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Autore: Holly Rosebane    17/12/2014    5 recensioni
«Cosa ti fa anche lontanamente pensare che io possa fidarmi di voi? Voglio dire, mi hai guardato? Hai presente la tua notorietà all’interno del campus? Siamo come due linee parallele. Andiamo lungo due percorsi differenti», spiegò Harry, con fermezza.
«In geometria descrittiva», disse allora Zayn, «due linee parallele s’incontrano. All’infinito».
«E si da il caso che Juliet sia “l’infinito” che faccia per noi», aggiunse Niall.
«Ma perché volete aiutare proprio me? Non ci siamo mai parlati in tutto l’anno…» riprese Styles, ma Louis alzò una mano, zittendolo.
«Sono…» altro calcio. «Siamo», sibilò allora, incenerendo Liam con lo sguardo, «convinti che sotto tutta questa robaccia nerd, ci sia del materiale notevole. E raramente ci sbagliamo», concluse. Esibendo uno dei suoi allegri sorrisi contagiosi con retrogusto di pazzia latente.
«Non mi farete fare cose umilianti, nudo nel bagno del campus… per poi mettere il video su YouTube e indurmi al suicidio, vero?»
Genere: Comico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Warning!: Questa storia era già stata pubblicata precedentemente sotto un altro account, "Aethereal". Si trattava del mio profilo provvisorio, tutte le storie che erano state cominciate lì, verranno ripostate sul mio attuale accout, ovvero questo. Perdonate l'inconveniente.











Ouverture



“L’occhio è il più autonomo dei nostri organi. Lo è perché gli oggetti della sua attenzione si trovano inevitabilmente all’esterno. L’occhio non vede mai sé stesso, se non in uno specchio. […] L’occhio continua a registrare la realtà anche quando non vi è ragione apparente per farlo, e in tutte le circostanze. […] Questo spiega la predilezione dell’occhio per l’arte in generale […]. Questo spiega l’appetito dell’occhio per la bellezza, e l’esistenza stessa della bellezza. Perché la bellezza è sollievo, dal momento che la bellezza è innocua, è sicura.”
 IOSIF BRODSKIJ
 
 
 
 

 
Lunedì, ore 8:05
 
 
Era una fresca giornata di inizio maggio, non una nuvola sembrava stingere il terso cielo azzurro chiaro. Il sole, disco dorato ancora semi-argenteo, splendeva dietro uno dei numerosi ed alti palazzi che costeggiavano la strada.
Una bicicletta imboccava solitaria il vialetto d’accesso dell’università, facendo lo slalom fra studenti e macchine già parcheggiate. Il rumore della catenella e delle ruote sottili che divoravano l’asfalto si fondeva con il cicaleccio delle persone e i cinguettii degli uccelli sugli alberi antistanti.
Il giovane smontò dal suo mezzo con un agile balzo, atterrando silenziosamente e procedendo a passo svelto insieme alla bici, che ancora si muoveva per forza d’inerzia. Giunse al suo solito posto e si fermò, inginocchiandosi e armeggiando con il lucchetto che aveva tirato fuori dalla tasca, per cercare di sbrogliarlo dal mazzo di chiavi.
Osservandolo meglio, sarebbe tranquillamente passato per il classico secchione da liceo, quello sempre seduto al primo banco, con gli occhiali dalla spessa montatura e la mano perennemente rivolta verso l’alto, in previsione di una qualsiasi domanda del docente. Indossava una t-shirt assolutamente anonima su un paio di jeans stinti altrettanto scialbi e un paio di mocassini logori e consumati, che avrebbero fatto invidia ai calzari della prima guerra mondiale. Un’accozzaglia di cattivo gusto, insomma. A condire il tutto, poi, vi erano anche la postura leggermente ingobbita e i modi sgraziati, goffi, assolutamente fuori luogo.
Ai tempi del liceo, lo chiamavano tutti “Giacomo Leopardi”, per prenderlo in giro. Ma lui non coglieva mai alcuna provocazione. Passava letteralmente inosservato, come un attaccapanni all’angolo di una stanza. Le prime volte, ci si faceva caso. Poi, ci si abituava e alla fine lo si dimenticava.
Peccato, perché sotto ogni strato d’inadeguatezza e abiti fuori luogo, si nascondeva un bel corpo alto e ben proporzionato, dalle spalle larghe e le mani affusolate. Il suo viso, nascosto dietro quegli occhialoni tondi a fondo di bottiglia, avrebbe potuto essere molto bello. Occhi azzurri dalle lunghe ciglia, naso interessante, bocca sottile dalle scarlatte labbra morbide e sopracciglia ad ali di gabbiano che ben definivano uno sguardo penetrante. Il quale, per abitudine, tendeva a non interessare mai a nessuno. I suoi capelli, se non fossero stati così duramente disciplinati dal gel in una dritta e noiosa riga laterale e appiattiti a spregiudicato suon di pettine, sarebbero stati ricci. Voluttuosi. Color cioccolato. Chiunque avrebbe provato il desiderio di affondarci le dita dentro. E invece no.
In quel momento, il ragazzo venne distratto dal rombo del motore di un’auto che si parcheggiava al posto poco distante da lui. Una lucida Volvo blu, che dava istintivamente un’idea di lusso e pulito in chi la guardasse. Si aprì uno sportello e al di sotto di esso, lui poté scorgere il sinuoso profilo di una caviglia femminile, stretta in un cinturino color ebano che apparteneva ad una scarpetta con tacco alto, la quale fasciava un esile piede dall’incarnato pallido. Gli sembrò la cosa più bella che avesse mai visto.
A quell’unica opera d’arte se ne affiancò un’altra, perfettamente identica, che toccò terra con un sonoro ticchettio, persosi nell’aero. Alla fine, la figura che uscì dall’auto si rivelò per intero, chiudendo lo sportello con un colpo secco e inserendo la sicura schiacciando un bottone sulla chiave.
 La ragazza alzò lo sguardo, dedicandogli una fugace occhiata, come quando ci si rende conto di avere un anonimo prato verde dinanzi agli occhi. Non era molto alta e benché le sue caviglie non lo facessero intuire, era anche abbastanza formosa. Indossava un trench primaverile color caramello e una camicetta azzurra di cotone leggero, aperta fino alla seconda asola. Una gonna scozzese blu scura a pieghe frusciava seguendo ogni suo movimento. Alla sua spalla pendeva una grande borsa nera. Quella gamma di colori metteva in risalto il suo colorito eburneo e la grazia con cui si muoveva la faceva sembrare quasi eterea.
Lui non fece in tempo ad incrociare i suoi occhi che lei era già andata via. Lasciandolo lì imbambolato con un lucchetto semiaperto nella mano destra e i due capi della catena di sicurezza nella sinistra.
 
 
 
 
Ore 8:20
 
 
Caso volle che il giovane capitasse a sedere nella stessa fila della ragazza che aveva incontrato quella mattina, dall’altro lato della serie orizzontale di bancate. Mentre il docente di Analisi 1 continuava a sproloquiare sulle derivate e su quanti atroci modi ci fossero di provare a risolverle, lui lanciò un’occhiata di sottecchi nella sua direzione.
Aveva la testa china sul suo quaderno, un gomito poggiato sul banco e giocherellava con la penna nera, facendola volteggiare fra le dita. Il profilo che disegnava il suo volto la faceva sembrare ad una di quelle dive del cinema anni ’50, con nasino alla francese, labbra scure e carnose, occhi nocciola dalla forte espressione e sopracciglia accuratamente disegnate da madre natura. Il tutto, incorniciato da una cascata di riccioli castano chiaro lunghi fino alla vita.
Si accorse di essere osservata e si voltò verso di lui, con espressione neutra. Il giovane distolse immediatamente lo sguardo e finse di focalizzarsi sui suoi preziosi appunti. Invano. Non resistette alla tentazione di lanciarle un’ultima occhiata e scoprì, agitandosi, che lei era ancora fissa su di lui. Le sue labbra parvero accennare ad un sorriso, mentre accavallava lentamente le gambe, mozzandogli il respiro e accelerando il suo battito cardiaco.
La campanella di fine lezione suonò improvvisamente, interrompendo quel momento e facendo sì che tutti i presenti nell’aula si alzassero, producendo baccano e rompendo il silenzio. La ragazza stessa sciolse l’intreccio e si alzò, raccattando la sua borsa e uscendo senza degnare il giovane di un altro sguardo. Quando fu fuori, il ragazzo si lasciò sprofondare sulla sedia con aria insofferente, sbuffando infastidito. Si guardò attorno e notò che lei aveva lasciato qualcosa sul suo banco. Riemerse dal suo scoramento momentaneo e balzò in piedi, raggiungendo il posto che fino a qualche minuto fa era stato suo, vedendo di cosa si trattasse. Sembrava un’agenda, o un diario personale. Le sue mani lo strinsero in un gesto istintivo, non ebbe nemmeno il tempo di pensare a cosa stesse facendo.
Lo aprì, sentendosi vagamente in colpa, come se avesse infranto un divieto non detto. Ma era una vaga protesta ai recessi della sua coscienza, troppo fievole per darle retta. Vide una pagina a caso, dove era attaccata una fotografia con alcuni cuoricini rosa disegnati a mano tutt’attorno. Ritraeva lei, languidamente stretta ad un ragazzo dall’aria sfuggente, i profondi occhi azzurri e i morbidi riccioli color cioccolato, che fissava l’obiettivo con aria di sfida. Le sottili labbra rosso scuro piegate in un mezzo sorriso ironico. Allora capì.
 






Nota: Questa vicenda ha avuto una storia un po' sfortunata. E' stata spesso eliminata e ripubblicata, prima di riuscire a trovare il posto giusto nell'account appropriato. Ebbene, meglio tardi che mai! Sarà un'avventura non troppo breve ma neanche eccessivamente lunga (4 capitoli in totale), che aggiornerò con regolarità ogni tre/quattro giorni. Questa si avvicina maggiormente al mio vero stile attuale, e l'idea di un Harry "sfigato" era troppo ghiotta per non servirmene. Vi faccio notare che la storia è anche pubblicata sul mio profilo Wattpad, che vi allegherò in basso insieme al banner della mia ultima long che sta per terminare, "The Paper Boy" (per chiunque volesse farci un salto). Vi ringrazio per l'attenzione, per essere arrivati fino a qui e per aver letto il capitolo! Sarebbe carino che mi lasciaste qualche parere in merito, che sia positivo, negativo, sono aperta a dialoghi e confronti con qualunque opinione. Bene, ora mi dileguo. Alla prossima!



The Paper Boy
 


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