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Autore: primachespuntilsole    29/12/2014    0 recensioni
"Nessuno, mamma, ha mai sofferto tanto..."
E il volto già scomparso
Ma gli occhi ancora vivi
Dal guanciale volgeva alla finestra,
E riempivano passeri la stanza
Verso le briciole dal babbo sparse
Per distrarre il suo bimbo..
Or apotrò baciare solo in sogno
Le fiduciose mani...
E discorro, lavoro,
Sono appena mutato, temo, fumo...
Come si può ch'io regga a tanta notte?...
Mi porteranno gli anni
Chissà quali altri orrori,
Ma ti sentivo accanto,
M'avresti consolato...
Mai, non saprete mai come m'illumina
L'ombra che mi si pone a lato, timida,
Quando non spero più...
In cielo cerco il tuo felice volto,
Ed i miei occhi in me null'altro vedano
Quando anch'essi vorrà chiudere Iddio...
E t'amo, t'amo, ed è continuo schianto!...
Sono tornato ai colli, ai pini amati
E del ritmo dell'aria il patrio accento
Che non riudrò con te,
Mi spezza ad ogni soffio..
Passa la rondine e con essa estate,
E anch'io, mi dico, passerò...
Ma resti dell'amore che mi strazia
Non solo segno un breve appannamento
[...]
Giuseppe Ungaretti -Giorno per giorno.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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18.11.2013; 02.00 a.m.
 
Sam si svegliò ansimando.
Le tracce del suo incubo le facevano ancora irrigidire il corpo.
Ogni notte si sveglia agitata e spaurita, senza ricordare il probabile incubo che la spaventa tal punto.
Oramai  il sonno le  era scivolato via di dosso, tanto valeva concedersi una sigaretta.
Fuori era una fredda e nera nottata di fine Novembre, ma le stelle erano alte e chiare in cielo. Sam amava guardare le stelle, la facevano sentire più libera, meno soffocata da questo mondo così piccolo e stretto. Le stelle la trasportavano con la fantasia in universi lontani, via dal caos e la fretta.
Finì la sigaretta con fare deluso. Ciò significava che doveva rientrare. Tanto valeva accendersene un altra.
 
18.11.2013; 02.30 a.m.
 
Alessandro camminava nelle vuote strade di Lecco, immerse nel buio e lievemente richiamate da qualche lampione qua e la.
Si erano fatte le ore nere, così le chiamava le ore che precedono l’alba. Sono quelle ore in cui hai perso la speranza per una nuova luce, le ore più buie. Ma poi il sole arriva.
Troppo presto per tornare a casa, merda. Corro il rischio di trovare qualcuno in piedi ad aspettarmi. ”
Alex, così lo chiamano gli amici, era nel pieno delle sue ore nere e aveva disperatamente bisogno di vedere la luce, camminava molleggiando sulla parte pedonale da parte al lago.
Quel lago era una distesa nera e calma illuminata dalle stelle e dalle mille luci che si rispecchiavano sfocatamente sull’acqua. Era tutto sfocatamente al contrario. Alessandro camminava e espirava formando delle nuvolette di condensa. Guardava il mondo vero e il mondo al contrario e sentiva di appartenere almeno ad uno dei due. Dove essere così per forza. Doveva appartenere a qualcosa, doveva per forza.
 
18.11.2013; 03.00 a.m.
 
Elsa scese in fretta le scale del condominio, era tardi. Il treno sarebbe passato tra pochi minuti.
Il trucco colato le pizzicava gli occhi, i buchi sulle calze facevano assaggiare l’aria fredda e frizzante di quella notte di novembre alla sua candida pelle.
Quella notte, come tante altre, aveva dormito in una casa che non era la sua, con un uomo che non era il suo. Ma lei aveva un uomo suo? Lei era di tutti.
Elsa correva con le sue esili gambe verso il treno che prese per un soffio. Era un treno vuoto. Lei si sentiva come quel treno, la gente che saliva e scendeva, mai nessuno che restasse per più di qualche ora.
Si sedette su un sedile vicino al finestrino , guardando il mondo che le scorreva a fianco.
 
18.11.2013; 3.10 a.m.
 
Claudio si alzò dal divano sentì suo padre vomitare nel bagno, si era preso un'altra bella sbronza.
Sua madre dormiva tranquilla sulla poltrona, probabilmente voleva aspettare suo padre. La tv stava trasmettendo vecchie puntate dei Robinson.
La porta del bagno si aprì e ne uscì il padre, barcollante.
Claudio finse di dormire e aspettò che suo padre si trascinò fino in camera. Prese le sigarette il telefono il giubbotto e le chiavi, uscì di casa e fu investito dal freddo di novembre.  Dove andare e cosa fare erano cose secondarie, voleva un posto tranquillo e una bottiglia di birra.
 
18.11.2013; 03.12 a.m.
 
Gabriele fini la canna con uno sbuffo, tutto in torno a lui si riempì di fumo per un istante e poi sparì. Si chiedeva perché tutto intorno sparisse e si allontanasse da lui, più veloce del vento che portò via il fumo.
Forse era lui che sbagliava o semplicemente non voleva rovinare qualcuno, trascinarlo con lui negli abissi. Non lo avrebbe augurato nemmeno al peggiore dei suoi nemici.
Era così da quando la madre era andata via, scomparsa da un momento all’altro, come il vento. Si era trovata un altro e si era dimenticata di lui. Aveva otto anni ma da allora non era più stato un bambino era diventato un ragazzo, senza un età di maturazione, senza una fine degna per l’infanzia di un bambino.
Adesso non sentiva niente. Aveva perso le emozioni e non le aveva più trovate. Riusciva a sentire qualcosa solo col fumo, riusciva fargli schioccare una piccolissima scintilla che per un paio d’ore lo faceva sentire normale.
Alzo lo sguardo al cielo e guardò tutte quelle bellissime stelle. Chi sa cosa vogliono dire le stelle.
 
18.11.2013; 03.14 a.m.
 
Charlotte alternava lo sguardo da lago al suo libro, accompagnandolo da qualche sorso di te nero.
Aveva visto tramontare il sole e sorgere la notte, vecchia amica e compagna di sbronze.
Strana cosa la notte. Ti affascina e ti fa riflettere. Come se il buio ti facesse riflettere su quanto effettivamente sia importante la luce, su quanto conti nel giorno. Le tenebre sono facili da abbattere? Charlotte non lo sapeva, lei viveva nel suo mondo, lei, i suoi libri e la musica, quanto amava la musica. Adorava il fatto che qualcuno che non la conoscesse potesse descrivere i suoi stati d’animo così facilmente. Si sentiva protetta dalla musica come se fosse un manto invisibile su di lei e quando c’è musica non può esserci il buio, solo lei e la musica.
Arctic Monkeys nelle orecchie.
Il telefono squilla, un nuovo messaggio.
Era il gruppo.
Prima dell’alba;
Sam: svegli?
Ale:  Sul lago.
Clau: Per strada.  
Elsa: ho preso il treno per puro culo.
Gabriele: Sballato a merda, in piatta.
Charl: Ci troviamo al solito posto, 10 minuti?
Sam: ci si trova li.
Ale: Charl sono sotto casa tua andiamo insieme.
Elsa: Sono quasi a Lecco, arrivo.
Clau: Sono in giro, ci troviamo li.

Charlotte chiuse il suo libro e spense la musica. Diede un ultima occhiata al pezzo di mondo che poteva vedere dalla sua stanza prese il giubbotto e uscì.
Scese le scale di casa sua correndo, apri la porta e trovò Alex, col suo giubbotto grande e la sua sigaretta.
-Ciao- Esordì Alex accennando un timido sorriso. –Ciao. Andiamo?. – il piccolo naso di Charlotte si era già fatto tutto bordò. –Certo.-
 
18.11.2013; 03.43 a.m.
 
Il primo fu Gabriele, seguito da Claudio ed Elsa.
Poi arrivò Sam.
E per ultimi Charl e Alex.
 
18.11.2013; 07.34 a.m.
 
Erano tutti li, al monumento vicino al lago. Ridevano. Ballavano. Gridavano.
I loro pensieri si erano cancellati. Le loro preoccupazioni erano sparite.
Erano li insieme, prima dell’alba.
   
 
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