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Autore: K anonima    01/01/2015    1 recensioni
“Dai, apri gli occhi”.
Volevo veramente che cominciasse un'altra giornata? Mi ponevo questa domanda ogni giorno, ma non riuscivo mai a trovare una risposta.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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-Sveglia sveglia! Muoviti o arriveremo in ritardo anche questa volta!-. Cosa ci facesse Clary in camera mia non lo sapevo. Il mal di testa mi stava facendo impazzire e una bionda che dava libero sfogo alla sua frustrazione era l'ultima cosa che mi serviva. Che giorno era? La gita.
-Che ci fai qui?- le chiesi cercando di essere gentile, soffocando ogni mio istinto violento nei suoi confronti.
-Mi ha fatto entrare tua madre e ti ripeto: siamo in ritardo!- mi urlò.
Mi vestii in fretta con le prime cose che trovai, riempii la borsa con album da disegno, matite, macchina fotografica e corsi giù per le scale.
Mi fermai davanti alla porta, -Mamma, quando suona quella bestiolina selvatica non le devi mai aprire, chiaro?- gridai e infine uscii di casa.
Randal già ci aspettava sul vialetto. -Che vi è successo?- domandò.
-Sam stava rimanendo a letto come al solito-, talmente era agitata Clary camminava a passo sveltissimo lasciandoci indietro.
-Non è vero, mi sarei alzata- cercai di giustificarmi.
-Non hai una bella cera- mi fece notare.
-Dici? Quella strana creatura mi è piombata in camera urlando. Sveglia indesiderata-. Quel fatto doveva aver proprio turbato la mia quiete interiore perché il mio tono era davvero scontroso.
-Sai com'è ormai. Se fa così non dovresti stupirti più-. Randal aveva pienamente ragione. Conoscevo Clary da almeno undici anni, ormai avrei dovuto fare l'abitudine a certi suoi comportamenti, ma non ci riuscivo.
-Sbrigatevi!- gridava lei da cinquecento metri più avanti.
Arrivati a scuola, facemmo l'appello e salimmo sul pullman. I posti erano sempre rigorosamente gli stessi per noi tre. Il primo a sedersi era Randal, lei lo seguiva per sedergli vicino e poi c'ero io che mi sedevo davanti a loro. Il posto vicino rimaneva sempre vuoto e ogni volta io sentivo quel vuoto anche dentro di me.
I due alle mie spalle si erano già messi le cuffie per evitare le parole ed io rimasi per quasi un minuto a fissare il sedile vuoto.
-Posso sedermi o aspetti qualcuno?- sentii una voce. Era la mia immaginazione? No, era una persona in carne ed ossa. Alzai gli occhi. “Tu”.
-No, è libero- risposi.
Mattia mi ringrazio con un cenno del capo e si mise a sedere. -Sicura che non disturbo?-.
-Nessun problema, Mat-.
Clary non ci mise nemmeno un secondo ad accorgersi di lui. -E tu chi sei? Come vi conoscete? Perché non me lo presenti?-
-Troppe domande, respira ogni tanto. Lui è Mattia. Lei è Clarissa. Bene ora vi conoscete, lasciatemi dormire- non avevo voglia di sorbirmi tutti i convenevoli e l'avevano capito tutti e due.
Mat accennò appena un grazie. Neanche a lui piaceva? Più acquisivo informazioni su di lui e più mi piaceva. Una persona tanto posata, tranquilla e riflessiva. Non ero sola.
Passo più di un'ora prima che qualcuno mi rivolgesse la parola -La tua amica sembra simpatica-.
Sorrisi piano e poi sussurrai -Finchè non ti piomba in casa alle sette del mattino- e poi continuai con un tono normale -Ma questa è un'altra storia. Non è una mia amica, la definirei conoscente. Alle volte ha dei modi un po' sopra le righe, ma è apposto- o almeno era la mia visione delle cose.
-Ammetto di averlo pensato anche io, ma mi sembrava scortese dirlo-. Sorrisi ancora.
-Ragazzi siamo arrivati- disse la professoressa di matematica al microfono. Il perché partecipasse alle gite non lo sapeva nessuno, faceva fatica a stare su un unico sedile, ogni uscita non aveva niente a che fare con la sua materia e il cibo per lei non era mai abbastanza ovunque andassimo.
Prima ed unica tappa: museo di biologia. A nessuno interessava passare due ore là dentro, a parte a Clary. Ad ogni spiegazione sembrava sempre più entusiasta, cosa che non capivo. Noi stavamo infondo al gruppo con un'espressione di finto interesse stampato in faccia.
-Mi avete rimpiazzata vedo- ci disse passandoci davanti. Io e Randal ci guardammo basiti, Mattia non sapeva che fare. Si sentiva talmente imbarazzato e umiliato che si separò da noi e rimase lontano per tutta la giornata.
-Che problema ha? Quel poverino ci sarà rimasto malissimo. Io non riesco a capire le donne-.
-Randal, nemmeno io capisco le donne- replicai e lui sorrise.
Le ore passavano e cercavamo un modo per far riappacificare gli animi, ma con scarsi risultati.
Tornati al pullman Clary andò a sedersi da sola, stranamente. Io detti un colpetto sulla spalla a Randal per incitarlo ad andare vicino a lei. Immediatamente non capì, ma poi obbedì. Io dovevo parlare con Mattia, stavo male al pensiero di come potesse essere turbato. Sentivo il dovere di scusarmi, anche se non ero stata io a turbarlo.
-Posso sedermi?-, strano a volte come si capovolgano le situazioni.
-Non vorrei che la tua amica si arrabbiasse- mi rispose senza guardarmi.
-Non è mia amica, di nuovo. Abbiamo un rapporto un po' particolare. Non volevamo mandarti via e nemmeno rimpiazzare lei con te. Non volevamo fare niente a dire il vero- non sapevo quali parole usare per sembrare consolante.
-La colpa è mia, voi vi conoscete da tanto tempo e io non centro nulla effettivamente-, più che ripeterlo a me penso lo stesse dicendo a se stesso.
-Eppure a me il quattro piace, per degli amici, come numero. Il tre, invece, lo trovo restrittivo- gli sorrisi sperando che mi ricambiasse.
-Sei davvero speciale tu. Non mi conosci, ma cerchi di farmi contento. Perché?-. Questa era una domanda inaspettata e io non avevo idea di come rispondere.
-Lasciami pensare- gli sorrisi di nuovo e appoggiai la testa sulla sua spalla.
Randal non se la stava cavando molto bene.
Provò a chiederle il perché di quella frase, ma Clary aveva deciso di voltarsi dall'altra parte.
Allora gli venne un'idea -Se mi fai un sorriso, domani usciamo a cena-. Lei si girò di scatto con un sorriso enorme stampato in faccia e lui rispose con una smorfia forzatamente felice. Infondo sapevo che Randal era al corrente della cotta che lei aveva per lui, ma non credevo che avrebbe mai fatto accenni alla cosa e tanto meno invitarla a cena.
Dopo quella giornata avevo imparato che è difficile vivere in mezzo alle persone. Si soffre, si è felici, ma solo per poco tempo perché poi basta una frase per distruggere la quiete creata in tanto tempo.
   
 
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