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Autore: Monte Cristo    02/01/2015    2 recensioni
Il leggendario signore del Clan di Starbhion ha sconfitto Fenris il Lupo sacrificando la sua mano.
Diciassette anni dopo, però, il suo destino e quello dei suoi figli sembra ancora legato all'antico nemico oltre che all'odio tra Starbhion e gli Shawnnon, i fieri e focosi uomini del Clan rivale.
A chi toccherà stavolta sacrificare qualcosa?
All'invincibile spadaccino primogenito, sposato inspiegabilmente a una donna senza dote né voce? Al focoso Sanguefuoco catturato nelle spire della maledizione di un Nibelungo? Oppure ad terzogenito, lo Storpio? E l'unica figlia femmina di Starbhion reprimerà l'orgoglio e rimarrà a guardare o impugnerà la spada liberandosi così anche del giuramento di Steinn di Shawnnon che la vuole per sé?
In un mondo popolato di Nani maligni, draghi, Annegatrici ammalianti e altri spiriti inquieti, gli uomini dei Clan dovranno affrontare il Fato che gli dei hanno scelto per loro. E alcuni mortali, purtroppo, sono intrisi più di altri nella ragnatela divina.
Undici inverni e ventotto anni basteranno per la resa dei conti?
(Storia scritta per la Challenge: "L'ondata Fantasy" indetta da _ovest_)
Questa storia è in costante revisione. Ogni critica, suggerimento e opinione è ben accolta.
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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IV.
ORO E FUOCO - Parte II




 

Due giri di clessidra più tardi era l'ora convenuta.
I cavalli erano due bai veloci e leggeri, freschi e appena sellati e in uno di loro Muirdach riconobbe Bainæme, il preferito di Ossian.
Quest'ultimo attendeva lì accanto, una lancia in mano a fargli da sostegno e una corta spada al fianco.
Indossava solo un usbergo come protezione i cui anelli scintillarono alla luce della lampada che Muirdach portava in mano quando svoltò dietro le mura e lo vide.
La pioggia, per buona ventura, si era assottigliata e ora scendeva rada in gocce piccole e leggere. Il buio, però, era ancora fitto.
Ossian accolse il fratello con evidente contrarietà. «Ti aspetto da mezzo giro di clessidra almeno.» Poi esaminò l'aspetto di Muirdach e il suo cipiglio si fece ancora più profondo. «Dov'è l'oro?»
Muirdach prese le briglie del baio che gli spettava. «Non preoccuparti di quello: ho con me tutto quanto è necessario. Avanti, monta su quel cavallo e andiamo.»
Ossian afferrò i bordi della sella, si issò agilmente su Bainæme e legò la gamba zoppa con una correggia speciale che si era costruito lui stesso per cavalcare più agilmente.
Muirdach spense la lampada, riponendola nascosta in una nicchia tra le pietre delle mura e montando a sua volta sulla sua cavalcatura trattenne una smorfia di dolore: lo spallaccio del lord Beccolungo gli aveva lasciato un grosso livido violaceo lungo tutto il costato.
Non ci voleva. Non stanotte.
«Pare che non sia io l'invalido, per stasera» replicò Ossian notando il suo impaccio. «Mi è stato riferito che mi sono perso Shawnnon mentre ti impartiva una lezione di combattimento da mischia.»
«Ha tentato, ma è una lezione che avevo già imparato» sogghignò Muirdach, poi si fece di colpo serio. «Ma ora è tempo di muoversi, prima che qualche servo che parla troppo racconterà che siamo usciti nella notte. Sei certo di voler venire con me?»
«Sì. Non posso permetterti di andare da solo. Vorrei però almeno sapere che cosa hai in mente, Muirdach: loro non accetteranno alcun altro pagamento se non oro, lo sappiamo bene. E se li hai fatti venire senza avere nulla da offrire, non voglio sapere cosa potrebbe accadere.»
«Ti ho detto di non dubitare di me, fratello. Ho qualcosa da offrire ed è qualcosa che non rifiuteranno, anzi: sono pronto a giurare che la smania di entrarne in possesso li porterebbe alla follia.»
«E questo» commentò Ossian mentre avviava il cavallo lungo il sentiero stretto che scendeva a valle, «è qualcosa che mi preoccupa ancora più che se stessimo portando con noi dieci file di carri pieni di gioielli.»
La pista meno battuta che portava da Poggio del Corvo giù nell'avvallamento era sinuosa ma nonostante il buio Ossian e Muirdach riuscirono a percorrerla tutta senza far inciampare i cavalli, che ne conoscevano ogni palmo almeno quanto i loro cavalieri e trottarono sicuri fino alla base della collina.
Ora, però, veniva la parte difficile poiché dovevano prendere un sentiero inselvatichito dentro la macchia di faggi che si trovarono a fronteggiare.
«Ho pensato anche a questo» disse Muirdach e dalla sacca che aveva portato con sé estrasse una fiaccola, tese i muscoli del braccio e dal formicolio familiare che avvertì sulle dita fece emergere il fuoco che subito aggredì il combustibile.
Le fiamme brillarono e la luce, sebbene esile, illuminò il viso di Ossian lì accanto.
«Che cosa ti prende?» domandò Muirdach notando l'espressione corrucciata del fratello.
«Vederti usare il fuoco mi mette a disagio. Sai che è pericoloso e non sarebbe consentito.»
Il sorriso sagace di Muirdach scintillò alla fiaccola infuocata. «Non è consentito usare i poteri dei Sanguefuoco sugli altri uomini ma per tutto il resto non esistono leggi che lo vietano.»
Tra sé aggiunse: No, non esistono e stasera lo scopriranno anche i Døkkarlfar.
Cavalcarono nella notte, lambiti dalle fronde spettrali degli alberi finché la pioggia non cessò del tutto, le nubi si aprirono e le loro masse furono distinguibili dalla luce arrossata della luna.
D'un tratto alla loro destra udirono strane voci venire dall'interno degli alberi e delle risate cristalline esplosero all'improvviso e quasi li fecero voltare.
«Wight» sibilò Ossian. «C'è una luna di sangue, stanotte, e parecchi di loro sono più vigili del solito.»
È una luna adeguata, si disse Muirdach che lo precedeva lungo la pista, ma a voce alta ammonì solo il fratello di non girarsi a guardare ai lati della strada per nessuna ragione. Spense la fiaccola poiché erano ormai quasi giunti alla meta e per non attirare creature notturne in quell'ultimo tratto di strada.
Bainæme e l'altro sauro erano bardati bene, con foglie d'iperico e un sacchetto di sale appesi a ciascuna sella e nessun elfo osò avvicinarsi a sfidare quelle protezioni. Udirono talvolta un battito di tamburi, talvolta dei canti lontani e a un tratto qualcosa si mise a camminare di fianco a loro. Ossian e Muirdach colsero con la coda dell'occhio capelli biondi e lunghi, un busto scoperto di donna con una vita innaturalmente stretta e, strisciante tra le erbe dietro di essa, una lunghissima coda di bue. Dopo una ventina di passi in cui i due cavalieri si sforzarono di tenere lo sguardo dritto davanti a loro ignorandola e tenendo a freno il nervosismo dei cavalli, l'apparizione scomparve com'era arrivata e tirarono un sospiro di sollievo.
Poi finalmente il bosco si aprì e il sentiero salì su per una brughiera spoglia e punteggiata di rocce e arbusti e infine si fermò dinanzi a un grosso gruppo di pietre tondeggianti.
Lì essi si arrestarono, smontarono dai loro cavalli e Ossian accarezzò Bainæme sussurrandogli complimenti sulla sua buona condotta.
Muirdach si tolse la sacca dalle spalle, posò il mantello sulla sella e si levò anche la casacca.
«Che stai facendo?» domandò Ossian.
«È meglio che badi ai cavalli mentre io sono dentro» gli suggerì Muirdach in maniche di camicia senza rispondere alla sua domanda. «È pieno di wight e ho sentito un lupo ululare a qualche lega di distanza poco fa. Se non vogliamo trovarci a piedi dobbiamo fare la guardia.»
Ossian iniziò a protestare. «No! A quale scopo sarei venuto, allora? Se avevi bisogno di un semplice staffiere potevi chiamare Vithar o qualcun altro! Se credi che...»
Muirdach mise le mani sulle spalle a Ossian, mani calde, bollenti: stava già cominciando a bruciare da dentro. «Ossian, io non posso farti entrare lì dentro, non sopravviveresti. Devo andare da solo. Devo andare io.»
Ossian forse avvertì il calore attraverso l'usbergo, forse lesse le intenzioni del fratello nei suoi occhi o forse intuì solo dalle sue parole ma comunque, finalmente, capì.
«Che gli dei ci assistano! Allora queste sono le tue intenzioni! Tu...»
«Frena la lingua! Io li pagherò: non potrei mai disonorarmi fino a sopprimere un debito della nostra famiglia lasciato scoperto. Ho un tesoro con me, e sta' certo che lo vorranno. E dopo» e il suo viso si allargò in un sorriso compiaciuto, «e dopo sarò libero di agire come desidero.»
«Muirdach, tutto questo non porterà a niente di buono!» lo avvertì Ossian torvo.
«Sciocchezze. Proseguire sulla strada di nostro padre, Ossian, non porterà a niente di buono! Egli è stato costretto a riversare nelle mani di questa maledetta stirpe di Nani l'intera ricchezza di Starbhion. L'hai veduto anche tu l'oro scomparso dalle pareti, dai forzieri, le collane e gli anelli dalle mani delle dame, i bracciali dai polsi dei capitani! Sei venuto anche tu fin qui quella sera a pedinare nostro padre per vedere cosa stava accadendo. L'avidità dei Døkkarlfar è senza fondo, insaziabile come l'abisso di Hel. È ora di porre fine a tutto questo e se nostro padre non c'è riuscito finora, devo essere io a farlo per lui.»
«Ma non in questo modo» protestò Ossian. «Non così. È troppo pericoloso e avventato e se ho ben compreso le tue intenzioni, correrai un terribile rischio.»
«Oh, no, sono al sicuro» rise Muirdach. «Non temere per me, fratello.»
«Ebbene, allora va', gettati tra le fiamme: ma ti darò un solo avvertimento» ribatté Ossian seccamente. «Dwyfan fu il Sanguefuoco più grande mai esistito e si è perso nel suo stesso fuoco. Bada a non fare la sua fine.»
«Abbi fiducia in me, Ossian. Ormai non puoi fare altrimenti.»
Ossian avrebbe forse voluto dire ancora molte cose ma la determinazione di Muirdach era troppo forte e, turbato, scosse il capo.
«Tu non sai quello che fai. Ma va'! Prego che Odino e Tyr, signore della saggezza, siano con te. Vorrei dirti di essere prudente ma sarebbe come intimare ad una valanga di rallentare la sua corsa.»
Muirdach rise ancora e dopo un'ultima stretta fraterna al braccio di Ossian, gli disse: «A dopo, fratello mio», si voltò e si diresse al varco che si apriva dove due delle enormi pietre del complesso si poggiavano sul terreno, incontrandosi: il varco era buio e attraversandolo, egli lanciò un ultimo sguardo indietro, dove Ossian era rimasto solo, stagliato contro il cupo cranio di Ymir2 ora gremito di stelle.
Non appena varcò l'ombra della soglia tutto però tutto cambiò e da buio che era improvvisamente tutto assunse la tonalità di una luce rossastra: era dentro la caverna.
C'era una scala che dall'entrata scendeva dentro una vasta spelonca sul fondo del quale stava il letto quasi asciutto di un lago sotterraneo: le poche acque rimaste erano stagnanti e color ferro. Sopra di esso un lembo di roccia tagliava da parte a parte la grotta come una passerella. E, su di essa, lo attendevano i Døkkarlfar.
Erano Nani bruni, creature dalla pelle incartapecorita, le lunghe barbe nere e le mani tozze e mostruosamente grandi, con sei dita ciascuna.
Quando Muirdach discese le scale e fu finalmente dinanzi a loro, quello più alto -che comunque non arrivava al torace di Muirdach- lo accolse dicendo: «Bentrovato, lord uomo-drago»
«Salute a te, grande Re» replicò lui trattenendo la repulsione. Le rughe dei Døkkarlfar sembravano incisioni su una vecchia pietra che si distorceva e si muoveva agitata da una propria orribile, innaturale vita.
Le pietre non dovrebbero respirare, fu il pensiero spontaneo di Muirdach. La sensazione disagevole che ci fosse qualcosa di sbagliato, di perverso in quelle creature minacciò di sopraffarlo, ma lui la soffocò: sapeva bene che erano wight maligni e che in qualche modo avrebbero cercato di ingannarlo così si concentrò sul loro re continuando a tenere sott'occhio gli altri.
«Abbiamo udito molte cose sul tuo conto, uomo-drago» riprese il re dei Døkkarlfar.
Muirdach trattenne il sorriso che gli tremava sulle labbra. Non ne dubito: i wight hanno i loro modi di sapere. E io contavo proprio su questo.
«Cose gradevoli o spiacevoli?» domandò.
«Entrambe» replicò l'altro. «Abbiamo udito» e iniziò a camminare intorno a Muirdach, «che hai battuto uno di una stirpe come la nostra. Uno grande e potente alle cui capacità sei riuscito a sfuggire. Almeno, per il momento.»
Quell'ultima precisazione fece per un attimo tentennare la sicurezza di sé di Muirdach ma lui rimase fermo.
Sanno anche della profezia?
«E dunque?» chiese mantenendo un tono indifferente.
«Abbiamo udito che hai sottratto qualcosa che apparteneva a questo grande Nano.» Il Døkkarlfar continuava a girargli intorno come un predatore che circuisce la sua vittima sempre più dappresso. «Ma anche che egli ti ha profetizzato il futuro.»
Muirdach tacque, aspettando di vedere dove voleva dirigere il discorso.
«E sappiamo che gravi disgrazie ricadranno sulla tua famiglia.»
A Muirdach parve improvvisamente di udire un grido, fuori dalla caverna, e dei colpi.
Nei suoi ricordi risuonò la voce grottesca di Andvari come se fosse stato lì, vicino al suo orecchio: “Lontano da te morirà tuo padre, sotto i tuoi occhi un fratello...”
Ossian!
Stava per correre verso l'accesso della caverna quando l'anello al suo dito pulsò e Muirdach si rese conto dell'inganno e che il re nanico aveva intessuto un incantesimo girandogli intorno.
Allora rise e l'incantesimo si spezzò: la risata è l'arma più potente che esista per contrastare la magia wight.
«Ah, credete di potermi ingannare così? Là fuori non c'è nessuno e mio fratello mi sta aspettando impaziente. Sciocchi! Sapete che tesoro porto con me e che non posso essere raggirato dai vostri trucchi wight. Smettete dunque di gettarmi queste vostre reti magiche e venite al dunque.»
Il re Døkkarlfar fece una smorfia che lo rese, se possibile, ancora più brutto. «Non ci piace quel modo brusco di discorrere di voi umani, uomo-drago.»
«Lo so bene, ma oggi ho la spada dalla parte dell'elsa e so che voi non scomparirete offesi dai miei modi perché ho un tesoro troppo prezioso per essermi lasciato, non è così?»
Il Døkkarlfar tacque per qualche attimo, dondolandosi avanti e indietro sulle gambe, poi si fermò di colpo.
«Poiché parli con tanta franchezza, anche noi lo faremo» decretò. «Ecco la nostra proposta, uomo-drago: dacci ciò che hai ottenuto dal signore dei Nibelunghi e noi ti libereremo dal peso di questa profezia: sai bene che essa ti consumerà nell'attesa che venga compiuta; tu saprai e fino all'ultimo la speranza ti dilanierà, invano, fino a farti impazzire per l'incertezza e la disperazione. Ma noi possiamo liberarti da tutto questo. E lo faremo, se accetterai.»
Un'immagine si formò nella mente di Muirdach: un letto disfatto e un uomo livido di febbre che sedeva sulla sua sponda, gli occhi lucidi. La visione si fece sempre più distinta finché Muirdach non fu in grado di riconoscere il suo braccio, amputato al gomito e nero, completamente consumato dalla cancrena che stava risalendo lungo la spalla, letale...
Ma l'anello pulsò di nuovo, la visione di suo padre morente scomparve e Muirdach scosse il capo mentre la mente gli si faceva di nuovo lucida. La tentazione indugiò nei suoi pensieri per un lungo, terribile istante.
Se solo potessi dimenticare. Se solo quest'orribile peso mi fosse levato di dosso... Il sudore gli scese lungo le tempie, la mascella così serrata che gli doleva. Abbassò lo sguardo sulle braccia, prive dei tatuaggi degli iniziati, le braccia di un Sanguefuoco: scelto da Loki, signore del fuoco, diseredato dagli uomini... ma pur sempre uno Starbhion si disse stringendo i pugno e prendendo la sua decisione.
"Il passato può essere odioso, le conseguenze terribili. Ma le azioni sono più importanti."
Alzò il capo. «Ah, no!» esclamò, e invece che ridere stavolta si gonfiò di rabbia. «E cosa farete? Cancellerete dalla mia memoria ciò che ho udito, lasciandomi ignaro, preda di una felicità sciocca e sprovveduta? Credete che sia questo ciò che voglio? Sono un uomo di Starbhion e sopporto le ferite al corpo come quelle all'anima. Se devo vivere con il peso di questa conoscenza, lo farò, e se il dolore cercherà di condurmi alla follia, mi getterò sulla mia spada prima di diventare un demente miserabile. Non baratterò l'occasione di riscattare gli Starbhion con l'agiatezza dei miei sensi!» Si sfilò i guanti con stizza e mostrò la mano a cui portava Andvaranautr, che sfavillò come una stella in un cielo plumbeo.

«Non chiedo meno, per questo tesoro inestimabile, che l'estinzione totale del debito della Casa di Starbhion con voi, Døkkarlfar. Accettate o rifiutate?»
I Døkkarlfar all'improvvisa vista dell'anello magico si erano pietrificati, completamente avvinti dall'adorazione per quel minuscolo, preziosissimo oggetto. Lo desideravano, Muirdach leggeva la loro cupidigia nei brutti visi grinzosi mentre avanzava verso di loro a mostrarlo meglio; la brama emergeva dal modo in cui stringevano le mani spasmodicamente e si stropicciavano le barbe. Lo volevano e non potevano farne a meno.3
Li ho in pugno.
«Allora, qual'è la vostra risposta?»
I Døkkarlfar borbottarono, si guardarono l'un l'altro agitati e il loro re sembrava volersi divorare le mani tanto aveva i nervi scossi. Cercando di ricomporsi, si fece di nuovo avanti e dichiarò: «La tua proposta, uomo-drago, è tutta in tuo favore. Tu ci dai un tesoro ottenuto facilmente per ripagare un lavoro da noi compiuto con immani fatiche: tuo padre ha giurato di pagarci nel modo che stabilimmo allora e non è leale che tu ora cambi le regole del patto.»
Muirdach sentì il fuoco che gli ribolliva dentro avvampare e cercare di emergere e faticò a controllarlo. A malapena si trattenne dal gridare ad alta voce: Non è leale? Voi! Voi, non siete leali, infide creature di sottoterra. Voi avete ingannato mio padre, voi avete preteso che egli riempisse d'oro quel vostro elmo senza fondo.
Muirdach conosceva la storia, l'aveva strappata una sera al più fedele degli staffieri di suo padre facendolo ubriacare dopo che aveva scoperto dove una volta all'anno si recava lord Starbhion con tanti carri dal carico misterioso -l'oro di Starbhion.
Quasi diciotto primavere prima si erano incontrati nello stesso posto dove Muirdach si trovava ora, lord Starbhion e i Døkkarlfar, e suo padre aveva accettato di pagare il prezioso lavoro dei Nani riempiendo d'oro l'elmo del loro re. Un elmo, avrebbe scoperto poi con orrore, senza fondo: per quanto esso fosse riempito, l'oro non bastava mai ad arrivare all'orlo e ogni anno interi carri di tesori venivano riversati dentro di esso senza che si potesse anche solo indovinarne la fine.
Ma ora era tempo di concludere quella farsa.
Poiché i Døkkarlfar esitavano, Muirdach fece per rimettersi il guanto e nascondere Andvaranautr alla loro vista e quelli gridarono e lo pregarono di non farlo.
«Ah, dunque accettate? Rispondete o sarà il mortale, stavolta, a scomparire e lasciare i wight a maledirsi per ciò che non sono riusciti a ghermire in tempo.»
Allora i Døkkarlfar capitolarono.
«Sia come tu dici allora, uomo-drago. Dacci Andvaranautr e tutto il debito di tuo padre sarà saldato» dichiarò il loro re.
«Così sia.» Muirdach si sfilò piano l'anello dal dito ed esso gli scivolò dalla pelle come se fosse fluido, come se già non gli appartenesse più e fosse ansioso di passare al nuovo padrone.
Tese la mano al re dei Nani che allungò la sua e lo prese. Muirdach ebbe la netta impressione che in quel momento qualcosa si stesse sciogliendo, come due fili di un nodo che con un sibilo inudibile si lasciano andare ed ebbe la certezza che il debito, finalmente, era saldato.
Prima che il Døkkarlfar ritirasse la mano, egli chiuse la sua intrappolando quella raggrinzita e disgustosa del nano. «Ora che il debito è saldato, o re, non ho più legami d'onore che mi impediscano di agire.»
Il Døkkarlfar, sbalordito dall'impudenza di quel mortale che osava toccare un wight, disse: «Che cosa intendi, uomo-drago? Cosa vuoi ora?»
Muirdach allargò la bocca in un sorriso aspro. «La vendetta.»
Il fuoco stava ruggendo dentro di lui, lo sentiva: gli vibrava in ogni muscolo, in ogni vena, nei polmoni, nel cuore, nella testa.
Voleva uscire e Muirdach lo liberò.
Una fiamma si levò alta e violenta davanti a lui e il re Døkkarlfar non fece nemmeno in tempo a gridare. Il fuoco lo circondò, lo arse e lo consumò fino a dentro i suoi freddi organi di pietra, accendendoli come carboni.
Gli altri nani urlarono ma nemmeno loro ebbero il tempo di scomparire perché il fuoco li aveva già presi, vortici di fiamme che da Muirdach partivano e vorticavano lungo tutta la caverna arrampicandosi sui muri, sotto il ponte, sbattendo contro il soffitto e risucchiando l'aria.
Un vento forte si era levato a causa di quelle fiamme e soffiava selvaggio sopra di loro e coprì le urla e i gemiti dei Døkkarlfar.
I nani nulla poterono fare per liberarsi: il fuoco di un Sanguefuoco era magia, una stregoneria potente quanto l'anima di un drago, una forza che persino i wight temevano. Il fuoco ruggì come una belva e risplendette come se Sol stesso fosse entrato nella caverna con il suo carro fiammeggiante e, fatale come il sole per i Døkkarlfar, li tramutò lentamente in pietra.
Le figure tra le fiamme avevano smesso i contorcersi, completamente immobili e annerite ma il fuoco ancora ruggiva ed il suo richiamo era il canto stesso del cuore e dell'anima di Muirdach, musica soave per le sue orecchie.
Il calore lo avvolgeva completamente, tutti i vestiti consumati, i capelli che crepitavano sollevati e un senso assoluto di esaltazione lo faceva gioire ed esultare.
«Muirdach!»
Una voce lo chiamava, Muirdach se ne rese conto lentamente, una voce che pareva lontano anni luce.
«Muirdach!»
Si voltò, ancora avvolto da una colonna ardente di lingue vermiglie che guizzavano: c'era qualcuno che veniva verso di lui, qualcuno che si appoggiava a una lunga asta e si copriva gli occhi con una mano cercando al contempo di tenersi il mantello che vorticava intorno alle sue spalle.
«Muirdach!»
Muirdach strinse i denti, infastidito da quell'estraneo. Il fuoco dentro di lui ruggì ancora e Muirdach si beò di quel richiamo. Avrebbe voluto farlo uscire, urlarlo a sua volta verso l'altro, verso il cielo, seguire le fiamme che si innalzavano e strisciavano per il soffitto, intrappolate e innalzarsi di più, sempre di più.
«MUIRDACH!» Stavolta il ruggito veniva da un altro, uno che gridava il suo nome con voce imperiosa e feroce e sembrava imporsi su tutti gli altri pensieri e sensazioni di Muirdach.
C'erano due uomini davanti a lui, ora, e uno gli si era avvicinato quasi fino a farsi toccare dalle fiamme ma non sembrava avere paura. In piedi e dritto, il viso distorto da un'espressione di rabbia e il braccio levato a imporgli di obbedire, egli urlò ancora: «SPEGNI IL FUOCO, MUIRDACH! È UN ORDINE!»
Muirdach riconobbe la nota di comando, riconobbe la voce del padre e il suo corpo obbedì prima ancora che la mente avesse elaborato la frase che gli era stata rivolta.
Il ruggito si placò, il fuoco smise di colpo di vorticare e ricadde giù come tende splendenti che planano e si offuscano dolcemente e infine si spense. Anche Muirdach pian piano si placò, il cuore smise di martellare anche se il sangue ancora ribolliva come lava.
Lord Starbhion lo fronteggiava con il mantello bagnato e gli stivali infangati. Tutto intorno a lui c'erano le figure nere e immote dei nani pietrificati.
«Padre» disse Muirdach appena riprese il controllo. «Sei qui.»
Il volto di lord Starbhion ebbe un fremito d'ira e l'uomo raggiunse Muirdach ad ampi passi e gli sferrò un pugno al volto, facendolo barcollare indietro.
Muirdach emise un gemito e si tastò la mandibola mentre un rivolo di sangue gli scivolava giù dal labbro.
Il ruggito in fondo a Muirdach fece per ritornare in superficie ma lord Starbhion, come se l'avesse avvertito, intimò: «Controllati!»
Muirdach obbedì. «Come sei giunto fin qui?»
Lord Starbhion arrossì di collera. «Come? Credi forse che i servi della mia casa siano più fedeli ai miei snaturati figli che al loro padrone? Hanno parlato, sapendo che se più tardi l'avessi saputo, peggiore sarebbe stata la mia ira!»

Si voltò verso Ossian che li aveva raggiunti zoppicando. Sulla soglia della caverna era apparso anche Arras che scese i gradini e si affiancò al padre in silenzio mentre egli domandava: «Dunque! A chi devo l'idea di tutto questo?»
«A me» replicò Muirdach con fierezza continuando a tenersi la mandibola.
Lord Starbhion l'avrebbe colpito ancora se Ossian non si fosse lasciato cadere su un ginocchio aggrappandosi faticosamente alla lancia e avesse dichiarato: «A entrambi, padre. Chiedo perdono perché ci siamo intromessi nelle tue questioni ma saremmo stati colpevoli dinanzi alla nostra coscienza se, avendo saputo, non avessimo agito.»
Lord Starbhion tacque per un lungo attimo e Arras ne approfittò per parlare: «Ciò che Ossian dice, padre, fa onore a lui e Muirdach: si sono comportati come dovrebbe fare un degno Starbhion e forse tu non avresti agito diversamente se fossi stato in uno di loro. Le azioni sono più importanti» aggiunse dopo un attimo.
Lord Starbhion era ancora corrucciato. «No, forse no, ma non mi sarei spinto fino al punto in cui è arrivato Muirdach.» Si voltò verso quest'ultimo. «Tu verrai confinato nel castello da oggi finché non avrò deciso quale sarà la tua punizione. Non ammetto che venga compiuta una vendetta a mio nome con la mano di un altro.»
Muirdach chinò il capo e annuì. «Sì, padre» mormorò trattenendo un sorriso che avrebbe ulteriormente inferocito lord Starbhion: non gli importava delle conseguenze, poiché qualsiasi fosse stata la punizione, sarebbe valsa la pena di ciò che aveva compiuto.
Suo padre si volse e tese la mano a Ossian. «Alzati.»
Ossian si lasciò aiutare dal padre a issarsi e forse non colse ciò che invece Muirdach, il capo chino e lo sguardo basso, intravide mentre il mantello si spostava indietro quando lord Starbhion alzò il braccio accompagnando il movimento del figlio: il moncherino era scuro, violaceo e gonfio e i tatuaggi in prossimità di esso erano divenuti neri, come spirali di vene marce.
Fu come una pugnalata dritta nel cuore di Muirdach; una pugnalata al cuore e un pensiero che gli si trafiggeva nella mente.

Un letto disfatto e un uomo livido di febbre che sedeva sulla sua sponda, gli occhi lucidi. La visione si fece sempre più distinta finché Muirdach non fu in grado di riconoscere il suo braccio, amputato al gomito e nero, completamente consumato dalla cancrena che stava risalendo lungo la spalla, letale...
La maledizione, se essa davvero era tale, si era scatenata. E, con essa, anche qualcosa di più grande e letale per tutti loro.
 


Note

La wight che cammina fianco a fianco di Ossian e Muirdach è ispirata a una scena dello splendido romanzo La ragazza della torre di Cecilia Dart-Thornton, uno dei migliori fantasy sul folklore celtico e britannico degli ultimi tempi.
2Il cielo. Nella mitologia norrena si narra che la conformazione del mondo ebbe origine dal corpo del defunto gigante Ymir, il cui cranio in particolare fu usato per creare la volta celeste.
3Qualcuno forse avrà riconosciuto una frase usata da Gandalf il Grigio ne Il Signore degli Anelli per descrivere la brama con cui Sauron cerca l'Unico Anello. Poiché ritengo che esprima chiaramente il sentimento della cupidigia l'ho presa in prestito per descrivere la forza con cui i Døkkarlfar desiderano Andvaranautr.
Bainæme, “gamba agile” dal tedesco antico baina, “gamba” e l'inglese antico næmel, “agile, capace di.”


Buonasera e buon anno a tutti voi!
Sono tornata con un nuovo capitolo e spero che vi sia piaciuto almeno la metà di quanto a me ha divertito scriverlo.
Non voglio dilungarmi troppo stavolta e vorrei solo comunicarvi che cercherò di rispondere a tutte le vostre splendide recensioni, domande o dubbi non appena possibile. Vi ringrazio tutti dal più profondo del cuore, sia a chi esprime il suo apprezzamento sia a chi muove qualche critica: scrivere è la mia passione ma condividere con voi le mie idee, i miei personaggi e i miei mondi immaginari è una gioia e mi rende fiera e felice che qualcuno sia interessato a ciò che ho creato.

Ringrazio veramente di cuore alessandroago_94, il mio più fedele lettore, _Skill_, VelenoDolce, Halley Silver Comet, Nemainn, StellaDelMattino, ChiaTag, DoubleSkin, Jordan Hemingway e Alice Jane Raynor. Spero di non dimenticare nessuno ^-^
A presto!

  
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