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Autore: elaisa    16/11/2008    1 recensioni
Il loro coraggio, che cadeva sul cortile soleggiato come sangue che sgocciolava sul terreno umido – di un rosso ugualmente intenso, ma altrettanto doloroso per l'anima -, non poteva e non doveva essere strumentalizzato, ma stimato e ammirato per la forza che esprimeva.
E la loro forza aveva la sfacciata pretesa di gridare a squarciagola che, sì, loro si amavano e non se ne vergognavano.
[Due amanti legati da catene sottili e indissolubili a una ragazza che, nell'ombra, li osserva e li protegge.]
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La mia più infinita gratitudine a Sere che ha recensito privatamente anche questo secondo capitolo e che, spero, gradirà il "surprise!!!" di questo terzo. XD
Amo fare casino coi finali, è una cosa a cui non rinuncerei mai.
Siamo ormai giunti alla fine di questo "canzoniere tripartito", che spero possiate prendere con le dovute pinze e interpretarlo secondo come deve essere.
Non ho la presunzione di crederci, comunque; la mia testolina è sin troppo complessa perché qualcuno riesca a penetrarla solo grazie a uno scritto in tre capitoli.
Buona lettura comunque ^_^

***

3- Fantasia




Camminava per strada con un andamento lento e cadenzato dal suono della musica proveniente dal suo i-pod. Estrasse il pacchetto delle sigarette dalla tasca, prendendone una e mettendosela tra le labbra, per poi accenderla con un accendino nero come la notte. Aspirò il fumo e lo espirò lentamente: aveva un sapore amaro sul palato, quel giorno, e le bruciava in gola come se fosse fuoco.
Alzò lo sguardo dall'asfalto e i suoi occhi caddero sulle mani dei due ragazzi che le camminavano di fronte: avevano le dita intrecciate, strette in una morsa così dolce e possessiva da far male al cuore di chi si fosse soffermato su quel particolare, vedendoli passeggiare insieme per le strade.
Si domandò se uno di loro – o tutti e due – avessero le mani fredde dal nervosismo di sentirsi osservati da occhi curiosi e malevoli, ma non riuscì a trovare una risposta: nella loro disinvoltura, sembrava che non se ne accorgessero nemmeno. Si chiese se avrebbe mai potuto essere diverso, se avrebbero mai vissuto senza quegli sguardi infami e disgustati che li squadravano, senza lingue maligne che parlavano sibilando alle loro spalle non appena passavano davanti a qualcuno di poco tollerante; la risposta a questo giunse spontanea: no, non avrebbe potuto essere diverso. Loro per il mondo non erano che malati di mente che dovevano essere curati da un bravo medico – o da un bravo psichiatra.
Sospirò, aspirando un'altra boccata di fumo amaro e pastoso sulla lingua; lei, ormai, si era abituata alla sensazione di vetri rotti nel petto che la loro vista le procurava – la vista dei suoi protetti, la vista di coloro che l'avevano salvata dall'annegamento nel nero mare della disperazione -, ma quelle occhiate gelide degli altri erano nuove. Fuori dal cortile privato, senza il riparo della colonna di cemento che li proteggeva, l'odio e il ribrezzo della gente sembrava penetrare nella loro carne come tanti sottili stiletti appuntiti – e colpivano anche lei, che li proteggeva nell'ombra, incurvandola di più a ogni affondo.
Loro, invece, con la sfrontatezza di chi non faceva niente di cui avrebbe dovuto vergognarsi, camminavano per la strada senza curarsi di nessun altro che loro stessi, sorridendosi, parlandosi senza sosta di tutto e di niente, del mondo e del nulla.
Spense l'i-pod, arrotolandovi le cuffie attorno prima di riporlo nella tracolla nera, e si mise le mani in tasca per cercare calore laddove sentiva soltanto freddo – erano gli sguardi della gente a renderle le mani gelate, e non soltanto quelle: anche il suo cuore era diventato freddo a causa dell'odio del popolo.
L'illusione vissuta con i due ragazzi, che le avevano consegnato la chiave d'accesso a un nuovo mondo in cui il colore della speranza – giallo intenso e brillante – la faceva da padrone, l'aveva uccisa per darle modo di rinascere diversa; più viva, ma pur sempre se stessa: eterna, volubile, terribile.
Avrebbe voluto ringraziarli entrambi, il ragazzo alto coi rasta e quello più basso con i capelli corti e la barba lunga, ma sapeva perfettamente che non avrebbe potuto: loro non la notavano nemmeno, chiusi nel loro piccolo mondo perfetto, e lei non aveva interesse a farsi notare; sapeva di non essere che un mero spettatore che osservava dalla platea una rappresentazione bellissima e che, alla fine, non avrebbe avuto nemmeno il coraggio di alzarsi in piedi e applaudire gli attori assieme al resto del pubblico, tanto si sentiva commosso ed emozionato – però regalava le sue lacrime, che erano già più di quanto avrebbe immaginato.
Un uomo vestito di tutto punto passò accanto ai suoi protetti, lanciando loro un'occhiata di puro disgusto.
Loro non se ne accorsero, come non si erano mai accorti della sua lieve esistenza, e risero insieme per qualcosa che quello più basso aveva detto: disinvolti e concentrati nell'ignorare gli indegni, immersi nella contemplazione di loro stessi; la loro noncuranza affatto studiata, derivata dalla normalità del legame che li univa – tra loro e con lei -, la rinfrancò ancora una volta, nutrendola e saziando il vuoto dovuto alla solitudine e alla disperazione.
Ciò che restava del suo cuore scricchiolò nuovamente alla seconda occhiata di orrore che ricevettero da un ragazzo, quella volta, il quale si sentì in diritto di aggiungere una smorfia al ribrezzo con cui li aveva osservati.
I due ragazzi continuarono a camminare sotto il cielo grigio, a testa alta, e lei si sentì più vecchia di quanto non fosse, terribilmente stanca di una lotta insensata come quella che il mondo combatteva contro chi si amava, anche se in maniera semplicemente diversa.
Il rumore dei passi dei due giovani le pervase le orecchie e il battito del suo cuore si adeguò a quel ritmo cadenzato, una velocità struggente che rischiò di farla svenire e cadere definitivamente nel vuoto.
Alzò di nuovo gli occhi dall'asfalto umido fissando prima le loro mani, ancora saldamente ancorate l'una all'altra in una stretta possessiva e infinita, poi i loro volti, la cui dolcezza era come il miele – viscoso, infinitamente dolce, ma tanto appiccicoso da divenire difficile ripulirlo dalle dita – e si sentì perduta una volta per tutte in loro e con loro: l'anima – che non aveva più, ma le piaceva credere che ci fosse qualcosa a colmare quel buco vuoto – scivolò lentamente nell'oblio e ciò che di lei restava si pietrificò davanti alla cristallizzazione di quell'amore infinitamente dolce e infinitamente puro, che dai suoi giovani protetti, che ormai le appartenevano, le veniva trasmesso grazie al suo specchio non riflettente.
Gettò la sigaretta sul terreno e ne estrasse un'altra dal pacchetto; non si stupì di sentire ancora l'amaro del fumo impastarle la lingua, quando la accese e ne aspirò una boccata. Era cattivo quel tabacco, come se fosse andato a male: cattivo come la gente che disprezzava e derideva l'amore, che provava ed esprimeva per esso ribrezzo; era amaro come le nubi di quella giornata grigia e apatica, in cui solo un solo raggio di sole brillava per lei, permettendole di proiettare un'ombra sull'asfalto: quello che splendeva nitido dai due ragazzi che si tenevano per mano.
Qualcuno la tirò con forza indietro verso il marciapiede; non si era nemmeno accorta che il semaforo era rosso e le macchine sfrecciavano velocemente sulla strada, tanto era persa nei suoi pensieri. Ringraziò e chiese perdono per il disturbo.
I suoi inconsapevoli protetti non si erano voltati a osservare il suo salvataggio, ma erano rimasti a parlare vicini, sorridendosi in quel modo sfacciatamente melenso che ogni volta la uccideva e l'aiutava a risorgere dalle sue ceneri, come una fenice nera portatrice d'ombra, anziché di luce.
Respirò profondamente, quando il ragazzo alto con i rasta avvicinò il suo volto a quello dell'altro, chinandosi sulla sua guancia per depositarvi un bacio casto e innocente, dando vita a un candido ritratto della purezza che li circondava e che si espandeva nel cielo plumbeo della città.
Chiuse gli occhi, assaporando sulla lingua la dolcezza che si diffondeva dai due ragazzi; la loro bellezza, lo splendore che erano capaci di emettere insieme, erano cose alle quali non avrebbe mai potuto rinunciare - sebbene sapesse che prima o poi avrebbe dovuto imparare a farne a meno.
Riaprì gli occhi appena in tempo per vedere una signora distinta avvicinarsi a passi svelti e decisi ai due ragazzi, fermandosi davanti a loro e troneggiando sulle loro figure che, davanti alla rabbia che le si leggeva negli occhi, sembrarono farsi tanto piccole da diventare poco più grandi degli insetti.
“Cosa diavolo pensate di fare? - Disse la donna con un tono di voce stridulo, rasentante l'isteria – Mi fate venir voglia di vomitare!”
I due giovani si separarono, lasciando ricadere le mani lungo i fianchi; l'espressione felice del loro volto mutò, trasformando la gioia in avvilimento e tristezza; i loro occhi, prima brillanti di felicità e rilassatezza, si riempirono di amarezza alla constatazione che nel loro universo era entrato un intruso non desiderato.
Lei, nel guardare quella scena orribile, si sentì uccidere e straziare l'anima una volta per tutte. Ne raccolse i brandelli, tenendoli tra dita invisibili che si macchiavano di sangue e dolore, mentre continuava ad ascoltare la signora distinta esprimere il suo sdegno per qualcosa che non poteva comprendere, per una relazione tra due ragazzi non perversi né anormali, per un amore incompreso – ma pur sempre un amore - che li legava in una diversità unica e speciale, soltanto loro.
Non era giusto, si disse mentre la rabbia la pervadeva, non era giusto che i suoi protetti subissero quell'umiliazione senza che lei, loro protettrice nell'ombra, guardiana di un amore puro che non danneggiava nessuno, anche se era diverso, facesse nulla per salvarli da quella stupida creatura imbevuta di pregiudizi.
Sospirò e gettò la sigaretta a terra, facendosi largo tra la folla per raggiungere il centro del cerchio formato dai curiosi e dai pettegoli, al centro del quale i due ragazzi stavano subendo qualcosa che, forse, avevano già sperimentato sulla loro pelle, e che bruciava e feriva come fuoco e lame; lo si capiva dall'amara rassegnazione dipinta sui loro volti che non era la prima volta che venivano presi a brutte parole dalle persone prive di buonsenso: per nessuno dei due dovevano essere delle novità quegli insulti dolorosi e taglienti.
Lei li raggiunse e gli si parò davanti, un piccolo scudo di fronte a un grande male.
“La smetta. - Disse semplicemente – E si vergogni di ciò che dice.”
La signora e i due giovani la guardarono come se fosse spuntata da una nuvola di fumo denso e pastoso, sgranando gli occhi per lo stupore.
“Cosa vuole, lei? - Domandò la signora – Non la disgustano, forse? Non si sente oltraggiata nella sua sensibilità di fronte a cotanta svergognatezza?”
Lei scosse il capo negando e guardò la signora con rabbia. “No, - rispose – è lei che mi disgusta. Lei e la sua sfacciata ignoranza. Lei e la sua indecente presunzione di detenere la verità su cosa è giusto o cosa è sbagliato. - Fece una pausa, spostando lo sguardo verso i due giovani che, ammutoliti, la fissavano per la prima volta, in silenzio – Non vede come sono belli? Non riesce a vedere quanto brillano in mezzo alla mediocrità di cui si fa portavoce? - Indicò i due giovani con una mano, tornando a guardare la donna che, a ogni parola, ammutoliva sempre di più – Si vergogni, quindi, perché quest'oggi lei ha mancato di rispetto all'Amore e alla Felicità altrui, ha violato un universo che non le apparteneva per esprimere un'opinione che non le era stata richiesta. Lei ha mancato di rispetto a due ragazzi che, con un coraggio invidiabile e una sfrontatezza adorabile, si amano e non si vergognano di mostrarsi al mondo, anche se composto per la maggior parte da feccia come lei.”
Terminò la sua arringa da arrabbiato avvocato difensore e la signora distinta terminò di ammutolire; il colorito del suo volto si fece giallognolo e i suoi occhi mandarono scintille d'ira. Tuttavia non osò replicare e si limitò a voltare le spalle ai ragazzi e a lei, andandosene lungo il marciapiede con passo cadenzato ed elegante. La folla di curiosi si sciolse in fretta e tutti coloro che avevano assistito al piccolo spettacolo che avevano offerto tornarono a farsi gli affari propri, parlando con gli amici o semplicemente facendo finta che niente fosse successo.
Lei estrasse una sigaretta dal pacchetto, l'ultima, e l'accese con l'ultimo residuo di gas dell'accendino, che poi rimise in tasca – più per abitudine che per necessità; il fumo le ustionò la lingua e il palato, disegnandole una lieve espressione di dolore sul volto tanto pallido da sembrare traslucido.
I due ragazzi, ancora immobili, si presero di nuovo per mano e le si avvicinarono guardinghi. Il più alto dei due, quello coi rasta, le si mise di fronte e le sorrise, un sorriso dolce e caldo che la fece sentire apprezzata, scaldandole il cuore che si era fatto gelido come il ghiaccio.
“Grazie.” Disse, passandosi una mano tra i capelli.
Lei fece spallucce ed espirò del fumo. “Di niente, figurati.” Gli rispose.
Anche il ragazzo più basso e con i capelli corti le sorrise, e lei, di fronte a quei due sorrisi disarmanti, non poté fare a meno di fare altrettanto, dimostrando a se stessa che aveva davvero imparato a sorridere e basta: un sorriso nuovo, semplice, in risposta a due sorrisi altrettanto semplici che aveva imparato ad amare – e a proteggere.
Il semaforo si fece verde e i ragazzi, dopo averlo visto, si incamminarono attraverso la strada con le dita intrecciate e gli occhi, che non si staccavano mai dalla contemplazione di loro stessi e di ciò che li univa, tornati luminosi.
Lei rimase immobile a guardarli varcare il confine di un luogo in cui non poteva più seguirli, mentre le persone intorno a lei passavano al di là della strada senza vederla e senza toccarla. Se anche avessero voluto, non avrebbero potuto farlo.
Aveva avuto tutto ciò che non aveva mai desiderato, pagato col prezzo della sua falsa esistenza e della sua vita di menzogna.
Adesso non le restava che chiudere gli occhi sotto il cielo grigio, vomitare l'anima e lasciarsi cullare dal vuoto.

Il ragazzo più basso dai capelli corti si fermò sul marciapiede opposto e il suo compagno si immobilizzò con lui, guardandolo con aria interrogativa.
“Che c'è?” Gli domandò un po' perplesso, senza capire come mai avesse lo sguardo smarrito.
“Abbiamo dimenticato di chiedere a quella ragazza come si chiamava e ci siamo scordati di presentarci. - Disse con disappunto - È stata infinitamente gentile con noi, avremmo dovuto ringraziarla in maniera migliore.”
Il ragazzo coi rasta annuì. “Hai ragione, - rispose – sono stato piuttosto scortese. E anche tu.” Concluse con una nota spensierata nella voce, che fece sorridere il compagno.
Si guardarono intorno, cercando colei che li aveva salvati da una situazione imbarazzante e oltraggiosa; tra le persone che avevano attraversato la strada, però, non ve n'era traccia.
Il ragazzo dai capelli corti, infine, si girò verso il marciapiede opposto, dove l'aveva vista l'ultima volta, e assunse un'espressione perplessa, stranita. Anche il ragazzo coi rasta si voltò e, dopo aver visto ciò che aveva catturato l'attenzione dell'altro, assunse la sua stessa espressione basita.
Lei, la ragazza di nero vestita e dalla pelle tanto candida da sembrare trasparente nel grigiore di quel giorno, non c'era più.
Al suo posto, sull'asfalto umido, era rimasta soltanto la tracolla nera che portava con sé a lezione.
E una sigaretta appena accesa, che si consumava lentamente diffondendo nell'aria una lieve scia di fumo grigio, denso e pastoso sulla lingua.



***

Titolo ispirato a "Faget" dei KoRn.
Storia protetta da svariate licenze che vi prego di leggere attentamente nel caso in cui vi venga in mente di prendere anche solo una virgola da questo testo qui.
Mi trovate anche su Last Quarter
  
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