CAPITOLO 18
Michele e Sara.
Razionalità e follia.
Profondità e apparenza.
Dolcezza e passione.
Uno l’opposto dell’altro.
Erano sempre stati fascinosamente diversi.
Si completavano, misteriosamente.
Ma, entrambi, erano complicati.
- Ehi...guarda che ti è caduto un
sacchetto.
Una bionda, estremamente bella e attraente, si voltò verso il ragazzo che
l’aveva fermata.
- Ah, grazie.
Accennò un sorriso, malinconico e vuoto.
Le passò il sacchetto in questione.
- Che cos’hai?
Non si conoscevano, ma Michele sentiva già una strana sensazione. Come se
fossero legati.
- Scusa, ma chi sei?
- A dir la verità, nessuno che tu conosca
direttamente.
Lei lo squadrò con espressione cupa.
- Ecco, appunto. Allora non ti deve importare che
cos’ho.
Il ragazzo rimase sbalordito dalla risposta, acida e
sprezzante.
- Pensavo che ti avrebbe fatto comodo una
spalla.
- Pensavi male, mi dispiace, ma la mia amica mi sta
aspettando.
Sara fece per allontanarsi, ma lui la tirò a sé per un
polso.
- Dimmi, almeno, come ti chiami...
- Giulia!!!
La mora, che si era tenuta a distanza per lasciarli soli, si avvicinò
veloce, sentendo la voce dell’amica incrinata dal fastidio e da una certa
inquietudine.
- Che c’è?
Domandò preoccupata, alla vista della scena, ambigua per un osservatore
esterno.
- ‘Sto stupido non mi molla.
Michele allentò la presa, in modo che la ragazza potesse
allontanarsi.
- Scusa...ti sarò sembrato certamente un
cafone...
- Appunto...ciao!
Le due ragazze mossero qualche passo verso l’uscita del centro
commerciale, ma la voce roca e profonda dello sconosciuto le frenò, di
nuovo.
- Aspetta!
- Mi stai rompendo! Che cazzo vuoi?!
- Esci con me, stasera?
- No!
- Domani sera?
- No.
- La prossima settimana?
- No. Mai!
- Perché?
- Perché sei un cafone!
Giulia si schiarì la voce, infastidita da quella conversazione serrata, a
cui lei non era permesso l’accesso.
- Devo andare.
- Non me la dai una seconda possibilità?
-
NO!
- Aspetterò qui, finché non tornerai.
- Aspetterai per molto tempo, lo sai?!
- Non m’importa. Anche una vita.
- Meno male che, alla fine, sono venuta,
vero?!
Sara stava un po’ meglio.
Per tutta la mattinata era stata cullata dalle braccia forti e calde di
Michele.
Si sentiva al sicuro. Protetta anche da sé
stessa.
- Dove?
Chiese Michele, preso alla sprovvista.
- Al centro commerciale, la prima volta in cui tu mi hai
baciata.
- Ah...
La ragazza si voltò, per guardarlo negli
occhi.
- Ah...cosa?
- Dipende dai punti di vista...
Si tirò su, meravigliata da quella risposta.
- Per il tuo?
- Per me è stata una fortuna. Mi hai risparmiato una vita vissuta in un
centro commerciale.
Seguì un silenzio in cui le soppesò la risposta, attentamente,
analizzando il timbro di voce e le parole.
- Io non ti amo.
Michele spalancò gli occhi.
- Non ti amo più, lo sai?
- Che vuol dire?
- Che non ti amo più, Michele...
Il ragazzo si alzò dal letto.
Un’ espressione triste e spaesata sul viso.
- Mi dispiace...
- Non devi dispiacerti, non tu. Non hai fatto niente. Sono io che mi sono
illusa.
Michele sfilò il pacchetto di sigarette dalla tasca e ne prese una.
Se la infilò in bocca, ma non l’accese.
- Illusa?
- Credo di non averti mai amato, Michele.
Estrasse dai pantaloni un accendino nero e bianco. Glielo aveva regalato
suo cugino, quando
Accese la sigaretta che aveva in bocca.
- Perché me lo dici ora?
Lei si avvicinò, ma lui la respinse, dolcemente. Era freddo. L’aveva
ferito.
- Perché tu non ti senta in colpa se io adesso ti caccio via e me ne vado
a scuola.
Lui sbuffò un soffio di fumo acre nell’aria.
- Perché mi dovrei sentire in colpa?
- Per quello che hai fatto con Mariangela.
Michele, calmo, si allontanò dal letto e aprì la
porta.
- Io non ho fatto niente, con quella
puttana!
- Certo che no, mi hai solo piantata in asso dicendomi che non mi amavi
più!
Aveva ricominciato ad urlare.
Era arrabbiatissima.
- Cazzo!
- Cosa vuol dire, cazzo?
- Vuol dire che sei una stronza, Sara!
- Ah...adesso sarei io la stronza?!
- Sì!
- Grazie! Io ti ho perdonato, e tu mi dici che sono una
stronza?!
- Lo sei! Perché tiri fuori Mariangela, ora?
- Perché non volevo che ti sentissi in colpa per quello che sto per fare.
Michele spense la sigaretta sulla parete viola della stanza. Poi si
avvicinò alla finestra e la buttò giù.
Si erano ribaltate le posizioni. Ora Sara era vicino alla porta e Michele
alla finestra.
Stavano lontani.
- E che cazzo staresti per fare?
- Piantala di dire parolacce, Michele!
- Dimmi cosa stai per fare.
Sara si fece coraggio e poi parlò.
- Ti lascio, Michele!
Lui si voltò, dandole le spalle e osservando le macchine che scorrevano
veloci, fuori dalla finestra.
- Lo sapevo che eri solo una bambina!
- Abbiamo solo due anni di differenza!
- Sei sempre stata una bambina, Sara!
- Mi dispiace...
- A me no. Io non ci perdo niente.
- Allora perché eri venuto qui?
Lo spiazzò.
Lui si girò e le si avvicinò.
Le prese il viso tra le mani.
Lo avvicinò al suo e, timidamente, la baciò.
Gli era mancata.
Tanto. Troppo.
Non poteva vivere senza di lei.
Ma ora, lo stava allontanando ed era giusto che lui si facesse da
parte.
Aveva sbagliato e lo sapeva.
Non voleva farla soffrire, ma continuò a baciarla, senza staccare le
labbra se non per respirare.
La stringeva a sé.
Per l’ultima volta, per sempre.
Quel giorno, Daniele, era il primo davanti alla
scuola.
Era arrivato alle sette e un quarto.
Non c’era nessuno per strada.
Era lui, solo.
Ma era stanco.
Non voleva più essere solo.
Lui voleva ricominciare. Avere una seconda possibilità. Ripartire da capo
con Giulia.
Voleva essere suo amico. Consolarla e abbracciarla senza malizia, senza
che lei pensasse che quell’abbraccio dimostrasse
amore.
Voleva che loro due fossero di nuovo Giulia e
Daniele.
Gli amici inseparabili che di dicevano tutto, senza peli sulla lingua.
Che correvano l’uno dall’altra ad ogni ora, solo perché uno dei due
soffriva.
Voleva che si potessero guardare di nuovo negli occhi senza leggervi solo
rancore e rimpianti.
Desiderava riavere la sua vita.
Perché, ora, non l’aveva più.
Stava solo resistendo.
Resistendo contro la corrente di dolore che gli si infrangeva addosso,
giorno e notte, senza preoccuparsi di quanto lui
soffrisse.
E ogni mattina arrivava a scuola a fatica, con gli occhi rossi e
cerchiati da occhiaie di tristezza.
No, non era quello che lui voleva dalla sua
adolescenza.
Agognava solo a un po’ più di felicità. Se non sua di
Giulia.
Che almeno lei ricominciasse a sorridere col
cuore.
Ma ormai le scuse non bastavano più.
Non erano più necessari gli sguardi e le
parole.
Doveva riacquistare la sua fiducia e, ciò, era
impossibile.
Doveva arrendersi.
Lasciarsi trasportare da quella corrente che, magari, si sarebbe rivelata
un’alleata.
Avrebbe cominciato da oggi.
Da ora.
Chiuse gli occhi e si lasciò invadere da quel sentimento che cercava di
arginare.
Strinse i pugni, sussultando.
Ma poi si lasciò andare.
Il cuore iniziò a piangere, gli occhi a
lacrimare.
Giulia non ce la faceva.
Lei non era abbastanza forte.
Aveva bisogno di un appoggio e non l’aveva.
Doveva tirarsi su.
Reagire.
- Mirta...
La sorellina di dieci anni si affacciò alla
porta.
Non era andata a scuola perché il giorno prima era stata poco bene e la
mamma aveva preferito lasciarla a casa, con la sorella più
grande.
- Che c’è?
Era la prima volta, da mesi ormai, che la maggiore la chiamava in camera
sua.
- Ti va di uscire, oggi?
La bambina assunse un’espressione
sbalordita.
- Davvero?!
- Sì.
- Che bello! E dove andiamo?
Aveva iniziato a saltellare sul posto, felice di poter, finalmente, fare
qualcosa di divertente con sua sorella, la sua amica più fidata, in tempi
migliori.
- Al parco?
- Sì! Sì! Che bello!!!!!
Si avvicinò di corsa a Giulia, saltando sul letto per abbracciarla e poi
le sussurrò all’orecchio
- Ti voglio bene!
Uscì dalla stanza saltellando e raggiunse la propria camera, per
cambiarsi.
Giulia si prese la testa fra le mani.
- Ora sorridi, Giulia! Devi essere felice! Se non per te, per tua
sorella!
Si alzò dal letto, per vestirsi.
Tirò fuori dall’armadio un paio di jeans neri e un maglione bianco e
grigio, abbastanza pesante, adatto per la stagione
fredda.
Mentre s’infilava i calzini, le squillò il cellulare.
Non era l’avviso di un messaggio. Era una
chiamata.
Si precipitò a rispondere.
- Pronto?
Una voce, rotta da singhiozzi, rispose, all’altro
capo.
- Giulia, ho bisogno di te!
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Rileggendo questo capitolo, mi rendo conto che la storia inizia a diventare monotona.
Forse è solo una mia sensazione, non so.
A voi continua a piacere? Cosa ne pensate di questo capitolo?
Ad ogni modo, tra pochi capitoli, la storia di concluderà e potrete sapere cosa ne sarà dei nostri "amati" personaggi.
Adesso voglio passare ai ringraziamenti.
Grazie di cuore a Neverwinter ed HarryEly: siete fantastiche entrabe. Siete le uniche che continuano a commentare con costanza i miei capitoli e, per questo, vi sono molto affezionata.
Anche in questo capitolo c'è qualche flashback. spero di essere stata in grado di eguagliare le vostre aspettative, ma forse è troppo presto per dirlo. Grazie di cuore per i complimenti.
Un grazie particolare anche a Mirkodancer che ha letto i primi capitoli e che adesso, spero davvero, continuerà a leggere e commentare. Il tuo parere è molto importante per me e, sapendolo positivo, mi arriva la carica per andare avanti.
Grazie, come di regola, a tutti coloro che hanno semplicemente letto e che hanno inserito la storia fra i preferiti: alesssia, avrilmiki, B r o k e n, Bella4, bella5, birri, Cry90, Elly692, HarrryEly, hunterxhunter, kia93, kikaulitz, ladolcebabi, linasyan, lorella, maecla, mary85, miki18, Mikiko, miss_miky, mora1992, Neverwinter, Sally_1408, Somoody, sweetthings, Tanny, vero15star, Veronica91.
Al prossimo capitolo, ragazzi.
La vostra affezionata
Miss dark
*_*