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Autore: Zola_Vi    05/01/2015    1 recensioni
“Pensavi volessi anch' io un figlio?"
“Non ti conosco, non posso saperlo”
“Però lo stai insinuando”
“Si”
Trattenni il fiato per alcuni secondi, cercando di mantenere la calma.
Ma come é possibile farlo in una situazione del genere?
“Cazzo, sei uno stronzo”
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“Se lui non ti vuole é un idiota. Sei la ragazza più bella e intelligente che conosca, Lexie”
“Non devi dirlo per forza”
“Lo dico perché é quello che vedo”
“… e quello che sento” disse dopo essersi avvicinato pericolosamente al mio corpo.
“Non posso farlo, lo sai. Per te e per la band, non voglio rovinare tutto”
“Non succederà, te lo prometto”
“Invece si. E adesso non posso più pensare a me stessa, ho un’altra persona a cui badare” dissi sfiorandomi la pancia, sorridendo lievemente.
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“Me ne vado, sono stufa”
“No, non puoi. Non te lo permetterò”
“Chi sei per poterlo fare? É la mia vita, non la tua. Tu non ne vuoi fare parte, sei stato molto chiaro”
“Tu non andrai da nessuna parte. E se dovessi farlo, ti cercherò e ti troverò”
Sbuffai, stufa di tutta questa situazione.
“Perché?”
“Perché ora sei la mia famiglia. Tu… e la bambina”
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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“Smettetela!” 

Le urla di Louis, arrabbiato e con ormai poco controllo, riecheggiarono nella mia mente sonoramente. 

Le sue fans, impazzite e infuriate, continuarono a tirarmi i capelli, come se niente fosse, fino a strapparmene alcuni. 

Altre, invece, imprecarono parole mostruose e senza freni. 

Il mio volto, protetto dalle mie mani, tenute ben strette le uno alle altre davanti ai miei occhi, si rifiutò categoricamente di osservare gli sguardi accusatori e sprezzanti della ragazze davanti a se. 

Era sufficiente avere le orecchie perché rimanessi ferita e offesa. 

Poi, tutto ad un tratto, un attacco d’ansia pervase il mio animo, ricordandomi che non fosse il mio viso la cosa più importante da proteggere.

Ma la pancia. 

Così, senza pensarci due volte, strinsi le mie braccia attorno alla vita, cercando di evitare colpi bruschi. 

“Sei una stronza!” 

“Troia!” 

“Non meriti Harry!”

“L’hai incastrato!” 

“Spero che il tuo bambino muoia!”

Ascoltando quell’ultima frase il mio cuore si frantumò, incapace di comprendere tanta ingiustizia e cattiveria. 

Ero una ragazza normale. 

Proprio come loro. 

Come potevano essere così crudeli?

“Ecco a cosa si riferiva Liam” sibilò Louis, ringhiando contro se stesso. 

Forse si sentiva colpevole. 

Se mi avesse fermata, nella hall dell’hotel, in quell’istante non ci saremmo trovati nei guai. 

“Ascoltate!” urlò, ammutolendo la folla. 

“Se mi promettete che la lascerete andare, senza aggredirla ancora, vi giuro che firmerò ad ognuna di voi un autografo”

Il silenzio invase la via, tanto affollata quanto stretta. 

Vidi le teste di ognuna delle ragazze ondeggiare, imitando un timido cenno di capo. 

“Adesso vai” mi sussurrò Louis con voce sicura e ferma. 

Deglutii, ancora scossa e spaventata. 

Ma non feci domande. 

Lentamente, decisi d’allontanarmi da lui e farmi spazio tra la folla. 

Quando finalmente fui lontana da tutti, accelerai il passo come per voler dimenticare quella pazzia, barcollando dal dolore causato dai graffi delle fans. 

 

Narra: Harry. 

 

“Come sarebbe a dire che l’hai persa?”

La voce di Zayn, alterata e preoccupata per Lexie, mi fece alzare gli occhi al cielo, spazientito. 

Tanto fumo e niente arrosto. 

Poteva andare a cercarla, se tanto era preoccupato. 

“Dove l’hai lasciata l’ultima volta, Louis?” 

“Vicino al Golden Gate”

“E hai già controllato lì?” 

Annuì, corrugando la fronte. 

Liam lo seguì, non soddisfatto delle risposte ricevute. 

“Non abbastanza” sussurrai. 

Così.

Senza chiedere il permesso a nessuno. 

Senza salutare nessuno. 

Senza avvisare nessuno. 

Presi la giacca nera posata sulla sedia accanto a me, non preoccupandomi di chi fosse, me la infilai velocemente, avendo tutti gli occhi puntati su di me, e uscii da quella stanza. 

 

Il vento, gelido e impetuoso, fece sì che lasciassi scivolare la mia testa all’interno della sciarpa marrone attorno al mio collo. 

Le strade di San Francisco, tutte uguali e a sali-scendi, erano ormai state tutte percorse dal mio corpo almeno due volte. 

Quando il mio telefono, con una suoneria lenta e calma, suonò. 

Lo tolsi dalla tasca dei miei pantaloni e risposi, non riconoscendo il numero comparso sullo schermo. 

“Devo trovarla, quindi non ditemi di ritornare in hotel, perché non lo farò senza di lei” affermai aggressivo, per far comprendere la mia determinazione a chiunque stesse ascoltando. 

“Harry…”

Riconobbi la sua voce. 

Quella di Lexie.

Corrugai la fronte.

Aveva il mio numero?

Perché era stata così stupida da lasciare l’hotel senza permesso?

Non potevo ancora contare su di lei. 

Era imprevedibile.

“Volevo solo farti sapere che non tornerò, stasera… dillo agli altri per favore…”

Accigliai lo sguardo, sorpreso e non d’accordo. 

“Non dire stronzate. Dimmi dove sei” 

“No. Non lo farò”

Era testarda. 

Terribilmente. 

E questo mi fece impazzire. 

“Lexie, o me lo dici o…” 

“O cosa? Non mi parlerai più? Mi metterai in castigo come i bambini? Lo fai già” 

Sospirai. 

Mi faceva sembrare un mostro. 

Forse lo ero. 

Con lei, almeno. 

“Dimmi almeno dove sei” 

Stette in silenzio per alcuni minuti. 

Ma, alle fine, rispose. 

“In un bar, vicino al fiume”

A quel punto, riattaccai, di fretta. 

Se pensava di poter scappare, si sbagliava di grosso. 

Così, senza farmi troppi problemi, ripresi a camminare ininterrottamente e velocemente. 

Era ancora una ragazzina.

Come pretendeva che credessi stesse bene e fosse senza problemi, dopo tutto quello che aveva passato poche ore prima?

Era caparbia e orgogliosa, ma non insensibile. 

E io, dopotutto, dovevo prendermene cura. 

 

Il suo corpo, che pochi mesi prima avevo reputato maledettamente sexy e irresistibile, era seduto all’angolo della stanza. 

Sorseggiava una bevanda calda, poiché notai il fumo salire dalla tazza che teneva stretta attorno alle mani. 

Ero entrato in mille posti, ma alla fine l’avevo trovata. 

Attento a mantenere il più nascosta possibile la mia vera identità alle persone accanto a me, ma deciso a raggiungerla e portarla via, mi avviai verso il suo tavolo. 

Era come se nulla affianco a lei esistesse.

Teneva lo sguardo perso nel vuoto, costantemente. 

Corrugai la fronte, pensando a cosa potesse provare, in quel momento. 

Lentamente, posai il mio sguardo sul suo viso, una volta giunto a poca distanza dalla sua postazione. 

Alzò lo sguardo non appena si accorse di non essere sola. 

E cercò di pietrificarmi con solo quel gesto. 

“Vattene” 

Non risposi. 

E non feci quello che mi aveva ordinato di fare. 

Girò il volto. 

E stette in silenzio, di nuovo. 

Passati alcuni minuti, decisi di sedermi di fronte al suo corpo. 

I miei occhi, sempre scuri e severi, la studiavano come se fosse per la prima volta. 

In effetti, da quando era comparsa nella mia vita dopo quella notte, lo era davvero. 

I suoi profondissimi occhi color nero pece continuavano a fissare la cioccolata calda, come se al suo interno vi fosse qualcosa di tetro e spettrale. 

All’improvviso mi suonò il telefono, per la cinquantesima volta. 

Non lo presi neppure in mano. 

Ignorai il suono della mia suoneria per svariato tempo, fino a quando la ragazza davanti a me decise di rivolgermi nuovamente la parola. 

“Ti stanno cercando?” 

Annuii, non cambiando l’espressione facciale nemmeno di un millimetro. 

“Non sanno che sei qui?” 

Scossi il capo. 

Silenzio.

Ancora. 

La sentii sospirare, tutto d’un tratto. 

“Perché sei qui?” 

Accigliai lo sguardo, sorpreso da quella domanda. 

“Tu non mi vuoi nella tua vita. Allora perché sei venuto a prendermi?”

Abbassai lo sguardo per un secondo, pensando alla sua affermazione e riflettendo alla domanda che avrei potuto darle.

“Finisci di bere e andiamo” 

I miei occhi, adesso, erano posati sul suo grembo. 

Come preso da una snervante e irrefrenabile tentazione, avrei voluto starle accanto, accarezzarle la pancia, giusto per sentirmi vicino a quel piccolo essere che stava nascendo dentro di lei. 

Ma non feci nulla, se non alzarmi dalla mia sedia. 

Presi dalla tasca dei miei pantaloni cinque dollari e li posai sul bancone, facendo segno al cameriere che avevo pagato io per la ragazza. 

Le girai le spalle e iniziai a camminare verso l’uscita del bar. 

L’aspettai in piedi, con la schiena poggiata alla porta del negozio. 

Mi fissò per molti istanti, forse cercando di capire cosa avessi in testa. 

O forse sperando di potermi mandare via con la sola forza del pensiero. 

Tuttavia, alla fine, mi raggiunse. 

Il vento freddo, non appena uscito da quel posto chiuso, mi scompigliò i ricci.

Affondai le mani nelle tasche della mia lunga giacca e incominciai a camminare più velocemente. 

Quando mi accorsi, però, di essere ormai troppo distante da lei, rallentai il passo, fino ad averla al mio fianco. 

“Puoi anche fare a meno di starmi intorno. Me ne sto bene anche da sola” 

Sorrisi. 

Forse divertito dalla troppa stranezza delle circostanze.

Forse per disperazione. 

Forse semplicemente perché non lo facevo da troppo tempo e mi andava di farlo. 

Vidi accigliò lo sguardo, fissandomi scontrosa. 

“Chiama gli altri e digli che non sono morta” aggiunse, dopo un po’. 

Il tono della sua voce era ancora acido. 

Ma non so per quale motivo, ero quasi sollevato di sentirlo ancora. 

“Non sono sicuro che io sia la persona che più vorrebbero sentire, in questo momento”

“Perché?” 

La guardai per svariato tempo. 

Ma alla fine le risposi. 

 

Narra: Lexie. 

 

Quando tornai in hotel la mia voglia di vivere s’estinse completamente. 

Tutti continuarono a guardarmi male per l’intera serata, senza rivolgermi la parola.

Tutti tranne Zayn.

Ed Harry: che alla fine si faceva i fatti propri.

Durante la giornata era stato persino carino con me.

Il moretto mi aveva assicurato che il ricciolo si fosse preoccupato quando ero scappata. 

E saperlo mi fece sorridere. 

Forse qualche speranza d’andare d’accordo l’avevamo.

“Non é così stronzo come vuol far credere”

Se lo diceva lui, che era suo amico, forse mi potevo fidare. 

Passammo le ultime ore del giorno a giocare a carte, cercando di evitare le brutte occhiatacce che quelli dello staff mi mandavano. 

Passare il tempo con Zayn era piacevole. 

Lui sapeva come farmi ridere.

Tuttavia non era sufficiente, a volte. 

“Hai già pensato ad un nome per il bambino?”

“Non so ancora se é maschio o femmina…”

Fu in quel momento che Harry si girò verso di noi, con sguardo serio. 

“E’ una bambina” 

La mia anima sorrise. 

Non appena si parlava dell’argomento, lui drizzava subito le orecchie e interveniva immediatamente. 

“E ora dovresti andare a dormire, Lexie. E’ tardi” 

Odiavo quando mi diceva cosa dovevo fare. 

Ma in quel momento non ci pensai e feci come aveva detto. 

In fondo, lo faceva per lei

Ehi, ragazze :) 
Ciao a tutte! Finalmente sono riuscita ad aggiornare la storia, mi dispiace avervi fatto aspettare così tanto. 
Ma quando scrivo ho bisogno dell'ispirazione, altrimenti non sono abbastanza soddisfatta e non riesco poi a continuare. 
Allora, come vi sembra questo capitolo?
Forse é troppo corto, ma provvederò!:3 
Cosa ne dite di Lexie? O di Harry? 
Mi farebbe piacere ricevere alcune recensioni, rispondo sempre a tutte e le trovo sempre molto costruttive!C:
Come vi piacerebbe che la storia andasse avanti? Cosa vi aspettate? 
Sono curiosa <3 
Fatemi sapere, quando ne avrete voglia. 
A presto e un bacio, 
-Zola. 

P.S: Passate a dare un'occhiata all'altra mia Ff "Piccola Peste", mi farebbe davvero piacere! Ci tengo tantissimo.

 

   
 
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