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Autore: Nimue_    06/01/2015    3 recensioni
1944, una giovane donna viene prelevata con la forza e condotta in un luogo di cui nemmeno nel peggiore dei suoi incubi avrebbe immaginato l'esistenza.
Settantaquattro anni dopo la storia si ripete, ma quando Sybil Crowford ne capisce il disegno è troppo tardi.
Sua sorella è sparita. Loro sono venuti a prenderla, e lei ha detto di sì.
[Distopica - YA]
Dal capitolo:
"Che succede se me ne vado senza salutare? E se mi invento una scusa qualunque? Sono libera di andarmene quando voglio. O forse no. Dipende tutto da lui.
- Tua sorella è davvero, davvero un'ottima chimica , - sorride.
Poi la porta del laboratorio si spalanca."
Genere: Azione, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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capitolo 8

Crisi d'astinenza:
è una sindrome, caratterizzata da segni e sintomi che cambiano da dipendenza a dipendenza; essi appaiono alla sospensione
o alla riduzione dell'utilizzo di una sostanza assunta a dosi elevate e per un lungo periodo di tempo.



CAPITOLO 7.


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Le macchine non possono sentire niente: né la pressione schiacciante dell'impazienza, né quella insostenibile della delusione che ti strappa via le parole e riduce al silenzio. Niente. È quello che si è sempre raccontato, dopotutto: non importa in che libro o in che canzone d'altri tempi. Chi canta un corpo elettrico sa bene che le macchine non provano.
Sono solo cavi di plastica legati a lamiere, chiodi stretti e metallo freddo.
Come le dita poggiate sulla mia spalla.
Le mie grida s’interrompono per il tempo di uno spasmo. Poi vengo assalita da una repulsione così isterica da tentare di scalciare via le coperte, levarmi quelle cose di dosso e –
La mano scende a chiudersi attorno al mio polso.
Piano.
Come a non voler spaventare un animale sanguinante, braccato, smarrito.
Riprendo il controllo di me stessa quel tanto che basta per fare una considerazione sullo strano materiale che la ricopre: è rigido al tocco, ma liscio come una perla e dalla stessa superficie perfettamente lattea che si arrampica lungo il braccio, fino a un viso pieno e proporzionato. È quando incontro lo sguardo della cosa che decido di darci un taglio con questa scenata. Mi costringo a chiudere la bocca e istintivamente porto le mani sul petto. Il cuore sembra sul punto di mollarmi.
In risposta la macchina con il corpo da ragazza nasconde gli arti oltre il bordo del letto e abbassa la testa. Per poco non mi lascio andare a un sospiro di gratitudine: se non mi guarda, non dovrò preoccuparmi di camuffare l'incredulità che mi paralizza. Non potrei riuscirci, comunque. Non quando quello che vedo è un puzzle intricato di meccanica e anatomia che si compenetrano fin dentro al suo corpo.
Il lato sinistro, in particolare, è costituito da uno strato di lamina bianca perfettamente modellata. Delle articolazioni più scure collegano braccio e spalla, tradendo un ronzio leggero quando la ragazza - l’androide? - si avvolge in una stretta timida.
Mi pare di averla fissata per troppo tempo. Le macchine sono per definizione insensibili, è vero, ma lei sembra molto triste, come se non vedesse l'ora di scomparire all’istante. Mi chiedo in quanti l'abbiano squadrata come sto facendo io adesso.
Tanti. Qualcosa suggerisce "tu più di tutti".
Credo che a posto suo detesterei essere guardata in questo modo, e androide o no, non vorrei sapere che qualcuno ha paura di me.
- Mi dispiace di aver gridato in quel modo, - dico.
La gola si lamenta per il trattamento che le ho riservato nelle ultime due settimane; la schiarisco prima di continuare.
- Non sono sempre così imbarazzante.
Dì qualcosa.
Ma lei è immobile.
Dì qualcosa.
- Solo qualche volta.
Finalmente la macchina alza la testa. Le scappa un sorriso, e io faccio finta di non notare tutte le diramazioni metalliche impiantate sotto la sua pelle, che scorrono ad attraversarle il collo, le guance e la fronte, fino all'attaccatura di un orecchio finto.
La pupilla di uno degli occhi si allarga e restringe fino a focalizzare la mia immagine, senza che la palpebra accenni al minimo movimento. L’altra però si chiude in uno scatto involontario. E vivo, soprattutto.
Questo significa che tutti i componenti meccanici che la compongono sono solo una protesi incredibilmente moderna: la ragazza non è una macchina che ha rubato pezzi di pelle a una persona, ma un essere umano che qualcuno deve aver tentato di distruggere, un corpo che qualcuno deve aver cercato di riparare. Mi chiedo che cosa le sia successo, e come possa essere ancora in vita con tante viti nella carne. Poi però ricordo dove mi trovo e che cosa ho scoperto su Xanders e i suoi, finendo per accettarlo.
“Investiamo quasi tutto il nostro denaro in nuove tecnologie, per il bene degli altri."
È questo che ha detto.
- Sybil Crowford.
Tendo una mano calda e sudaticcia, la sinistra.
Lei la stringe con la destra, quella sana. Il risultato è impacciato, ma almeno sembra sollevata.
- Sharazad Al-Bitruji, molto piacere.
Il suo accento è forte. Aspira le vocali in un suono caldo e musicale.
Credo sia araba o qualcosa del genere, e del resto il suo aspetto parla chiaro. Il materiale perlaceo delle protesi sposa bene sia la pelle ambrata che i capelli corvini, rasati sopra l'orecchio meccanico. Forse lì non crescono, ma il taglio – come il contrasto dei colori opposti - sembra fatto apposta. Minuscoli campanellini sono intrecciati all'acconciatura complicata che tiene strette le altre ciocche, lunghissime rispetto alle mie. Quando la ragazza ruota il capo per coprire la metà meccanica della sua faccia, produce un dolce tintinnio.
- Sharazad è un nome che ho già sentito.
La mia pronuncia è ridicola, ma lei annuisce.
- C’era un libro, prima della Rottura, in cui una principessa raccontava fiabe per mille e una notte. Si chiamava Sharazad anche lei.
Faccio una smorfia buffa. Forse è uno di quei libri che hanno misteriosamente smesso di stampare anni fa, dopo che l’Oriente si è ribellato. Non lo conosco.
- Non fa niente. Puoi chiamarmi Shad, se ti va.
Certo che mi va. Non può immaginare quanto vorrei fingere che oggi , ad attendermi, ci sia solo una pagina bianca in cui copiare le stesse righe della mia ripetitiva esistenza. Per un po', forse, potrei riuscire a far finta che lei sia solo una nuova ragazza conosciuta a scuola, e che non c'è niente di diverso all'orizzonte se non la solita, vecchia sonata. Come prima che Lilith -
Come prima.
E invece Shad azzarda un'unica domanda.
- Ti hanno davvero parlato di Noi?
Lo dice come se l'intera faccenda la spaventasse a morte, e io vengo catapultata nella realtà dei fatti ancora una volta.
Sono sveglia.
Lei è Shad, ed è una macchina a metà.
È una di loro, dei Novi, di cui sono ospite e collaboratrice.
O, a seconda dei punti di vista, ostaggio.
Mi soffio via i capelli dalla faccia.
- Sì.
- Sì, - ripeto, - ma non ti preoccupare. Non credo a una parola.
Lei sembra sollevata da un attimo di breve illusione. Si sforza di sorridere, dirigendosi dall'altra parte della stanza, dove un grosso armadio dai motivi orientali è già aperto per me.
- C'è un bagno, lì. Puoi usare tutto quello di cui hai bisogno, mentre cerco dei vestiti adatti. Niente chadar¹, promesso.
Tutto qui? Non ci sono domande, per me? Niente più manette, né rivelazioni da togliermi il respiro? Shad indica una porta intarsiata e mi invita ad entrare; in lei c'è una gentilezza estranea a questo posto, come quella di un fiore in un groviglio di rovi.
Mi guardo intorno, riempiendomi gli occhi di tutta questa eleganza: siamo davvero nella sua camera da letto, visto il tipo d'arredamento così bizzarro, ma questa mattina non me ne ero accorta. Adesso sembra di stare in una corte sospesa nel tempo.
Non si hanno più molte notizie sull'Oriente: le nuove generazioni sanno che esiste, da qualche parte, e che la Rottura non ne ha lasciato che macerie. Qualcosa mi dice che questa stanza vi guarda ancora con un certa nostalgia.
Indugio sulla porta del bagno, respirando l'odore di resina e candele. Prima di entrare mi volto verso Shad.
- Ero seria. Non credo nei supereroi.
Lavorerò con loro, forse, ma per adesso non voglio credere che esistano esseri umani superiori, né tantomeno che mia sorella sia una di loro. Sarà solo un'ipotesi da verificare, di quelle che Lilith scriveva a grandi caratteri sulle pareti della propria cameretta prima di un'esperienza di laboratorio. È un punto di partenza, diceva, e allo stesso tempo un punto d'arrivo. Tutto torna, prima o poi, come le linee di un campo magnetico. Bisogna solo trovare il percorso giusto da seguire.
Shad apre un maglioncino morbido davanti a sé, come a prenderne le misure. Nel suo labbro inferiore - striato d'argento - affondano denti bianchi e perfetti.
- Meglio così, - sussurra.
Io mi chiudo la porta alle spalle, entrando sotto la doccia con i vestiti ancora addosso e l'acqua gelida che mi martella la testa. Respiro a grandi boccate.
Di tutte le risposte che Shad poteva darmi, questa è la peggiore.
***

Guardarsi allo specchio è come saltare fuori dal proprio corpo e osservarlo dall'esterno. Mi passo le mani sulle guance, cercandovi il segno di un rigonfiamento, ma le ferite vanno meglio di quanto sperassi; i tagli hanno già cominciato a cicatrizzare e i lividi hanno perso colore. Lancio un'occhiata interrogativa a Shad, che si è offerta di acconciarmi i capelli in un chignon sopra la testa. Lei ha l'aria colpevole.
- Ho lavorato un po' sulle ferite, mentre dormivi. Le tue cellule hanno reagito bene al trattamento e... Beh, hai delle piastrine niente male.
- Uhm, grazie?
Torno a fissare il riflesso del mio viso ovale, soffermandomi sugli occhi grandi, dove qualche pagliuzza schiarisce il castano; poi faccio scorrere lo sguardo sulle labbra piene e arriccio il naso contro gli incisivi superiori cresciuti troppo. A un esame più attento trovo anche un piccolo neo sullo zigomo sinistro, quello che mi distingue da Lilith.
Come se fosse possibile scambiarci l'una per l'altra.
Shad mi prende in giro.
- Controlli di essere veramente tu?
Prima che possa giustificarmi, Shad mi riserva il risultato finale.
- Tadà!
In effetti con i vestiti comodi che mi ha prestato, la faccia pulita e i capelli in ordine, mi sembra di essere una persona diversa da quella che ero ieri sera: una persona nuova.
Deglutisco all'idea.
- Grazie, - dico, e sono sincera.
- Non ho mai avuto i capelli così apposto. Penso che ti terrò con me per il prossimo quadrimestre a scuola.
La scuola che mia sorella ha fatto saltare in aria.
Lei fa finta di non capire. Comincio a sperare che non sappia tutto, a proposito della ragione che mi trattiene in questo posto, ma in realtà Shad è una persona così tranquilla che non può fare a meno di mettere gli altri a proprio agio.
Mi dà qualcosa da mangiare e chiede di me come se le importasse davvero. Quanti anni ho, - lei ne ha quasi compiuti venti, - che cosa mi piace fare, come mi sento in questo momento. Solo alla fine accenna al resto.
- Sai, Xanders mi ha chiesto di farti fare un giro del posto, mentre pianifica qual è il prossimo passo.
Mi prendo qualche secondo per pensare, rassegnandomi all'idea che se voglio ottenere qualcosa da questa storia, devo rimanere qui. Tanto vale saperne di più sul luogo in cui mi trovo.
- Okay, - annuisco.
I suoi vestiti mi stanno corti sulle maniche, ma è bello avere qualcosa di pulito addosso. Shad è stata carina a prendersi cura di me. Mi piace.
Sto per dirglielo quando qualcuno bussa alla porta. La mia prima impressione è che si tratti di un picchio, tanto è insistente.
E adesso? chiedo a Shad con un'occhiata, ma lei si limita a sospirare dolcemente, sfiorando un pannello sul muro. La porta si spalanca e dietro c'è -
- Buongioooooooooorrrrrrno!
Lolly. Levy?
- Buon pomeriggio, Leslie.
Leslie.
La bambina è una forza della Natura. Chissà se anche lei è diversa da me. Superiore a me. Più intelligente e sveglia e resistente. Più carina lo è di certo, con quei capelli corti da folletto e il nasino sottile.
- Su su su, andiamo, Sybil! La Villa è enoooorme.
- Non ti sei nemmeno presentata, Leslie.
Shad si mette le mani sui fianchi e la rimprovera in maniera tenera, quasi materna, ma Leslie è un fiume in piena. Mi prende per mano, trascinandomi verso la porta senza una spiegazione.
- Ciao Sybil, sono Leslie, quella della cioccolata, e mi avrebbe fatto taaanto piacere se ti fossi unita agli altri per pranzo. È che stamattina mi sei sembrata un po' fuori di testa e Shad ha pensato bene di renderti le cose più semplici, portandoti qui la colazione. Shad pensa seeeempre a tutto.
Mi aggrappo allo stipite della porta, puntando i piedi. Non ho intenzione di andarmene da qui senza Shad.
- Tu non vieni? - la supplico.
- Leslie ha un talento per i giri turistici, - dice, - e io vi rallenterei.
Ammicca agli ingranaggi sofisticati che ha a posto delle gambe.
Oh.
Le sue dita meccaniche si piegano per salutarci, emettendo un leggero stridio. La ringrazio un'ultima volta prima di uscire, e lei risponde indicandosi la metà sfigurata.
- Grazie a te. Per non avermi chiesto di questo.
Anche se avresti voluto farlo.
Seguo Leslie per non dover aggiungere altro. Non voglio rischiare di ferire l'unica persona della quale spero di potermi fidare.
Che sia Nova o no, Shad è la più umana che abbia incontrato fin ora.
***

Quando recuperiamo Alphy - a cui hanno inspiegabilmente procurato degli occhiali nuovi - ho già sviluppato:
A) Una lunga serie d'istinti omicidi nei confronti di Leslie.
B) Una brama piuttosto egoistica di essere ricca come quelli che vivono qui dentro.
D) Guardare la lettera A per maggiori informazioni.

Quella che la ragazzina definisce una Villa, è un complesso di immense proporzioni. Non è il luogo in cui mi sarei aspettata di trovare delle persone come Xanders e i suoi, tutti progresso e ricerca scientifica. La Villa sembra più una vecchia tenuta aristocratica, abbellita da quadri, lampadari e decorazioni sui marmi del pavimento. Alphy non ha abbastanza spazio nel cervello per memorizzare tutto, e lo capisco: l'FC-nA Minnesota è ancora in buono stato, ma questo è troppo. Ci sono più soldi qui di quanti ne abbia mai immaginati in tutta la mia vita, e mette i brividi pensare che fuori da qui manchino servizi, energie, e qualche volta perfino del cibo.
- Aaaaallora, mentre i grandi risolvono i vostri problemi, noi andiamo a farci un giretto.
Mi avvicino ad Alphy più che posso, dandogli una pacca sulla spalla. Ha la faccia gonfia, come se avesse pianto.
- Che facciamo quando è finita la gita, ci hai pensato?
Continua a camminare, lasciandomi indietro, e io mi ricordo che non sono l'amica con cui vorrebbe parlare.
Perfetto modo di iniziare la giornata.
Quasi preferivo svegliarmi presto per andare a lezione.
- Cos'è esattamente la Villa, Leslie?
- Lo so a che pensi, amica, ma la Villa non è un quartier generale. Quelli sono nelle grandi città.
Non lo pensavo, ad essere sinceri.
- Questo per i Novi è solo un centro di ricerca, dove cerchiamo cose. Hai presente?
Mima il gesto di guardare attraverso una lente d'ingrandimento e ride di gusto.
Leslie si diverte con poco.
- Ce ne sono centomilamiliardi come questa, nel Mondo. Forse un po' di meno, tipoooo...qualche centinaio.
- I bambini come me ci vanno per imparare cose nuove, mentre i genitori si concentrano sulle scienze applicate. Qui però non ci sono genitori.
- O dai, è uno scherzo.
Alphy si porta le mani sui capelli, come se volesse strapparseli per lo sconforto. Lo capisco, anche io stento a crederci.
- Sì, mi stai dicendo che questo è un orfanatrofio per piccoli geni?
- No, non quello. Il quadro sopra la porta.
Si allontana da noi di qualche passo.
Questa è la parte in cui comincia una lezione delle sue?
- È un falso, spero.
Mi chiedo come possa importargli di un quadro proprio qui e proprio adesso, con tutti gli oggetti che addobbano questo posto. All'inizio quasi non lo noto, tanto i colori sono scuri e i lineamenti sfuocati dalle ombre. Poi un sorriso malizioso mi dice che l'ho trovata: si tratta di una tavola di all'incirca un metro quadrato, chiusa dentro una teca di vetro che quasi non si nota.
Adesso so perché ad Alphy sia venuto un colpo.
- Noooo, macché. Mica abbiamo falsi, qui. Ci è stato donato dal padre di uno dei nostri. Lo ha salvato dalle razzie giù in Europa.
- Se fosse vero, io non terrei il San Giovanni di Leonardo in un posto qualunque.
Leonardo? Quel Leonardo? Pensavo che anche lui fosse scomparso anni fa.
La versione ufficiale è che i capolavori dei più importanti artisti della storia sono stati affidati all'USD e rinchiusi in caveau segreti. Questo dopo essere stati sottratti a Stati Uniti e a Gran parte dell'Europa per come si sono comportati durante la Rottura, è chiaro.
Attualmente la polizia gestisce tutti i musei ancora esistenti, ma l'ingresso è limitato, periodico e così costoso che nessuno che conosco ci è mai andato. Io trovo che sia un'ingiustizia bella e buona, ma la USD non pensa che gli esseri umani si meritino di coltivare la bellezza. L'abbiamo fatta marcire da troppo tempo.
Comunque esistono ancora copie, stampe, cartoline e doppioni. Alla gente basta questo: in una scala dei bisogni l'arte è l'ultimo dei nostri problemi, purtroppo.
- Uffa, non è mica un posto qualunque! La Villa è stata costruita a partire dall'ala Est, e la prima pietra è stata posta proprio in questo punto. Non vedete?
Io e Alphy ci guardiamo intorno.
- No.
C'è qualcosa di inquietante in questa tavola. Nonostante le dimensioni di un comune ritratto non si può che rimanere di stucco davanti alla smorfia appena accennata di Giovanni. Gli occhi scuri del Battista mi fanno sentire praticamente nuda: dicono troppo, senza lasciar capire niente.
D'improvviso sento il bisogno di andarmene alla svelta.
- Forte il modo in cui sembra guardarti, vero? Eeeeh?
Leslie dondola sui piedi, gesticolando. Si porta due dita sugli occhi e poi le allontana, come a tracciare una linea immaginaria tra il suo sguardo e quello del Santo.
- Si tratta di un effetto ottico mooolto complesso. Puoi spostarti da una parte all'altra del corridoio, ma fino a quando rimarrai davanti alla porta, San Giovanni ti vedrà.
Alphy non sembra convinto.
- Perché quella mano alzata a indicare il cielo? - gli chiedo.
Si tormenta gli occhiali nuovi come se li sentisse estranei, troppo instabili sull'arcata un po' storta del proprio naso. Ha la bocca aperta per lo stupore.
- Le interpretazioni sono tantissime. Secondo alcuni il dito puntato verso l'alto è per ricordarci che c'è Dio lassù. Altre fonti, quelle più laiche, considerano che sia Da Vinci stesso ad essersi rappresentato nella tela, e che il suo gesto sia nient'altro che un codice per far riferimento alla...
- Conoscenzaaaaa! Il dono più alto di tutti, - l'anticipa Leslie.
- Il bene superiore.
Chino la testa per sfuggire al giudizio del Battista. Mi sento esclusa dai loro discorsi. Tagliata fuori. Ancora.
Leslie delle volte parla come se fosse un libro stampato. È un tono che non si addice a una bambina come lei, eppure non sembra farci caso. E intanto io mi sento come se non potessi sostenere una conversazione con loro due senza finire per apparire ridicola.
Lilith si sarebbe trovata bene in questo posto, circondata da persone tanto capaci, ma non posso dire lo stesso per me. Perfino Alphy è vicinissimo, eppure terribilmente distante.
- Cosa c'è dietro la porta?
Intervengo per dare tregua ai miei pensieri. Voglio interrompere il muto contatto visivo che mi lega al Battista, e farlo in fretta.
Leslie si fa vicina. Vicinissima.
Assottiglia gli occhi e poggia la mano sulle corone d'alloro incise sul legno. La sua espressione è solenne, e io trattengo il respiro.
- L'ascensoreee! - urla; poi fa trillare una risata delle sue.
Decido che odio i bambini.
Soprattutto quelli che possono vantare un QI più alto del mio.

***
L'ascensore può solo salire.
A detta di Leslie la Villa è costruita sopra dozzine di locali sotterranei che usano come laboratori di ricerca, ma non in questo punto. Nella parte più antica del complesso le fondamenta poggiano su terra e pietre, come dovrebbe essere.
Conto i piani, tre più un osservatorio. È normale per lei, tutto questo? Quest’unione forzata di vecchio e nuovo, di tradizione e innovazione tecnologica?
- Se non è un orfanatrofio è una specie di scuola, giusto?
- Più o meno. Non è mica noiosa come quelle normali.
- Non lo metto in dubbio, ma dove sono tutti, professori e studenti?
Mi meraviglio che non abbiamo incontrato nessuno, per adesso, anche se non mi dispiace. È che la struttura è gigantesca e fa strano che vederla vuota, dal momento in cui i genitori dei ragazzi che ci abitano hanno impieghi importanti e sono costretti a lasciare i figli nelle Ville più vicine. Nel continente ce ne sono otto, e questa non è nemmeno la più importante.
Registro le informazioni più utili e mi ripropongo di rifletterci su in un secondo momento. Per adesso cammino senza discutere - o quasi - perché Leslie ha fretta, e c'è ancora tanto da vedere.
Dopo aver fatto il giro completo di saloni e gallerie, dormitori e perfino una grande biblioteca, Leslie ci riporta al primo piano. Ha una sorpresa per noi, e a me non dispiace fare una pausa. Siamo in giro da un po', ormai, e Leslie non ha smesso di parlare un minuto.
Le porte dell'ascensore si riaprono su un corridoio ampio, dove le pareti di pietra e intonaco assorbono la luce che proviene dall'esterno. Non ho un orologio da polso e il mio telefono è mezzo rotto, ma il cielo fuori si sta scurendo. Mi sembra che sia notte da un'eternità, e che l'Inverno abbia consumato il giorno troppo presto. In realtà questa mattina ho dormito, e adesso mi sento stordita da una scansione così insolita della giornata.
Sbircio fuori dalle grandi vetrate sul lato sinistro del corridoio: non ho mai visto così tanti alberi in vita mia. Viene voglia di perdersi in mezzo ai boschi.
La Villa è incredibile, con le pietre chiare dei pavimenti e delle pareti, i mobili di vero legno e i lampadari che pendono. Mi mette in soggezione. Alphy ha detto che in Europa se ne trovavano molti, di posti come questo, con i soffitti alti e affrescati, le paraste scanalate, le esedre e le volte incrociate. Leslie conferma che l'architetto che ci ha lavorato sopra era austriaco.
Mi vergogno un po' a confessare che non conosco la metà delle parole che usano per descriverla, così tengo tante impressioni per me. Tocco le semicolonne addossate alle pareti, e faccio passare le dita sulle balaustre delle scale. Assaporo il freddo del marmo, l'odore delle resine e degli stucchi. Forse non è abbastanza per contemplare la sfarzosità del posto, ma è il mio modo di guardarmi intorno, e mi basta. Almeno fino a quando le spalle cominciano a curvarsi per la stanchezza.
- Ci possiamo fermare? Ho bisogno di una pausa.
Sono fuori allenamento. Da quando c’è stato l’attentato basta un piccolo sforzo fisico a farmi girare la testa. E il resto - l'attacco, il sequestro, la scoperta dell'attentatrice - non è stato d’aiuto. Appoggio le mani sulle ginocchia e faccio respiri regolari. Spero che non troppo lontano ci sia una sedia.
- Stai bene?
La faccia smorta di Alphy compare da sotto il mio naso. Ha le gambe piegate per potermi guardare meglio. Una fossetta profonda gli increspa la guancia, dove sono ancora visibili lividi a forma di polpastrelli. Sembra più piccolo di quanto non sia in realtà.
- Questo posto è così pazzesco da farmi venire le vertigini.
- Già, - dice solo, e si raddrizza senza aggiungere altro. Qualcosa mi dice che non sono l’unica ad aver avuto degli incubi, qui. Ammicco al fianco dove l’hanno quasi accoltellato. Ricordo di averlo tenuto stretto al petto come si fa con un giocattolo. Era inerte, con le braccia gelide e pesanti che cercavano il terreno, come a voler affondare nel catrame solido della strada. Alphy se ne stava andando come Lilith. Più di lei.
- Tu stai bene? – gli chiedo, e nel momento in cui lo dico mi accorgo che mi importa veramente.
Gli occhi di Alphy, polvere liquida e pallida, si fanno lucidi.
- No.
Sto per parlare quando Leslie mi strattona con insistenza.
- Ti sei riposata? Andiamo.
Mi affera per un braccio. Forte. Sopra le scottature.
- AHHH!
- Scusaaaa!
Scusa? Aaaaaaah.
Mi mordo il pugno con una mano. Fa male, ma non male come la pelle ustionata. E lei si scusa.
- Ti brucia ancora? DAI, a me passerebbe in un millisecondo!
Non so se a sconvolgermi di più sia quello che ha appena insinuato - e cioè che la mia capacità di guarigione è di serie B - o il fatto che lo abbia letteralmente urlato. Quando la sua eco si spegne decido che il giro turistico è finito. Stop. A-non-rivederci.
- Stai di nuovo parlando da sola, Leslie?
Io e Alphy ci scambiamo un'occhiata. Io non ho parlato. Lui non ha parlato. E a pochi metri da noi c'è una porta a due ante, di quelle con il chiavistello pesante d'ottone, dal cui interno si percepiscono risatine soffocate e tintinnii di tazze da tè.
Non mi servere chiedere il parere di Alphy per sapere che cosa suggerisce: ce ne andiamo. Subito. Nel giro di cinque secondi. Solo che dal primo al terzo quella maledetta peste ha già gridato alla sorpresa, e dal quarto al quinto si è già precipitata sulle maniglie, spalancando la porta con energia. Io non ho il tempo di defenestrarla. Ci provo quando mi sfreccia vicino, ma è veloce. Una scheggia.
Ho almeno il tempo di chiedermi se voglio conoscere qualcuno qui dentro, qualcuno di non-del-tutto-umano come la mia sorellina latitante-e-terrorista. Così, giusto per fare nuove amicizie. Quando dal sesto al decimo secondo vedo l'interno della stanza per la prima volta non mi sono ancora data una risposta. Mi distraggo facilmente.
Conto in fretta, a coppie di due, ma sbaglio poco dopo e sono costretta a ricominciare. Alla fine il totale è di ventiquattro teste. Ventiquattro Novi che mi guardano come se fossi una specie rara e, possibilmente, in via d'estinzione.
- Compagni, vi presento Sybil Crowford e Alphy Fleming!

***

Leslie batte le mani. Non si accorge che è l'unica a farlo, e continua fino a che non le dò un colpetto con la scarpa per smorzare il suo entusiasmo. Faccio un segno di saluto perché è la prima cosa che mi viene in mente e anche quella che richiede meno convinzione.
- Ciao.
Mi accoglie un coro di saluti. Alcuni sono più calorosi di quanto mi aspettassi, altri del tutto diffidenti, ma riescono a salvarmi dal silenzio imbarazzante che temevo di dover affrontare. Alphy mi sta dietro, rigido come un tronco, e si limita a un cenno della testa.
- Mmh, - borbotta, e io ho imparato che in certe situazioni è il massimo che gli si può chiedere. Vorrei ricordargli che negli ultimi giorni abbiamo affrontato sfide peggiori che un gruppo di adolescenti, ma servirebbe solo a convincere me stessa. Ci sono persone come incendi e altre che davanti a un respiro estraneo tremano come candele. Alphy è una di queste.
- Mmh anche a te.
Trovo l'unica persona che conosco abbandonata su una poltrona imbottita. Riconosco Reichenbach all'istante, anche solo per il modo in cui scimmiotta Alphy. Ora sì che mi pento di aver seguito Leslie fin qui.
- Mmh, mhh, - continua, - mhh.
Non mi stupisco del fatto che stia facendo l'idiota, ma del fastidio che mi provoca sapere perché lo fa: c'è una ragazza seduta sulle sue ginocchia, e lui sta cercando di divertirla. Banale? Comprensibile. Del resto si tratta della classica ragazza brava in cucina. Di quelle che tagliuzzano l'autostima di tutte le altre, la frullano per bene e la cuociono a fuoco lento per mangiarsela come dessert. Non che io abbia problemi con il mio aspetto, s'intende. Dico solo che se mi arrivassero per posta, non rispedirei indietro quella cascata soffice di ricci rossi, quelle lentigini sul naso, come spruzzi d'ambra, e quegli occhi azzurri dal taglio felino. Se solo non fossero intrecciate a quelle di Nicholas terrei perfino le sue gambe, ancor più lunghe delle mie.
Non devo essere invidiosa.
Mamma si arrabbia sempre, quando le sembra che sia invidiosa di Lilith. Distolgo lo sguardo per rispettare il proposito, e mi aiuto pizzicandomi la gamba.
A parte Reichenbach non conosco nessun altro. Tutti i Novi se ne stanno accoccolati attorno a un tavolino basso, giocando a scacchi o sfogliando un libro. Qualcuno si è raccolto vicino a un camino che scoppietta sul fondo della stanza, attizzando la legna. Se Leslie è la più piccola, nessuno deve avere più di diciotto anni.
- È la sorella di Lilith Crowford?
Una ragazza dà una gomitata al suo vicino, poi si copre la faccia con rassegnazione.
- Stupido!
Io non rispondo alle scuse mugugnate.
- Quando ci hanno detto che avevamo degli ospiti non riuscivamo a crederci.
Questa volta è un ragazzo a parlare: quasi due metri di muscoli ricoperti da una pelle così scura da sembrare nera.
- L'ultima volta che qualcuno si è unito a noi è stato l'anno scorso, con Annalise.
Il ragazzo sorride. Si fa avanti per stringermi la mano e io l'afferro subito per paura di scoprire che tremi. È calda, ferma. Sorrido di rimando.
- Sybil.
- Sam.
- Non sono Novi, - azzarda qualcuno, e tutti si girano a guardarlo. Ha toccato il tasto dolente.
- Non scherzare, Ren.
- Chol, digli se non sono serio.
Nicholas si arrotola una ciocca di capelli rossi attorno al dito.
- Xanders sostiene che sono dei Sapiens. Io ho miei dubbi anche su quello.
La frecciata mi centra in pieno. Non mi aspettavo la gratuità dell'attacco, e allora ingoio. Mi ordino che devo rispondergli per le rime, ma non sono abbastanza svelta nel formulare una risposta altrettanto caustica. Me lo lego al dito, che devo riparare, anche se qualcosa mi suggerisce che con lui è difficile.
Che problema ha?
- Allora perché sono qui?
La ragazza che si alza sembra tesa. Si guarda intorno in cerca di qualcuno che condivida la sua apprensione, ma tutti sono troppo interessati a me per darle corda. Ha la faccia pulita e le sopracciglia spesse che stonano un po' con il viso squadrato. Faccio per presentarmi anche a lei, ma la ragazza indietreggia.
Okay. Capito.
- Voglio dire, è la prima volta che qualcuno come loro entra nella Villa.
Leslie non sa come comportarsi. Non le hanno parlato di noi in quel senso e la cosa non mi sorprende: perché dovrebbero informare una ragazzina di dieci anni su quello che è successo? Sul suo faccino si intravede la delusione; si allontana da me e Alphy quasi si sentisse tradita, e a me cadono le braccia per il dispiacere.
- Non ti sei fatta spiegare nulla? Leslie, sei proprio una fessa.
La rossa reclina la testa all'indietro, sbuffando. La sua voce è stridula, mi dà sui nervi.
- Avete nominato mia sorella, quindi sapete perché ci troviamo qui, - sbotto.
- È sparita due settimane fa. Xanders ci ha letteralmente sequestrato, giustificandosi con la scusa che potevate aiutarci a ritrovarla. Mi ha parlato di questa specie di organizzazione segreta e di questi... questi psicopatici che hanno cercato di farci a fette. E anche di evoluzione della specie, sì.
- Ci ha chiesto di rimanere qui finché le cose non si saranno sistemate, quindi è con lui che dovete prendervela. Non con Leslie.
Lei tira su con il naso.
Cerco rinforzi. Alphy vorrebbe trovarsi in un altro posto, ma questo non vuol dire che non debba aiutarmi. Lilith è la sua migliore amica, dopotutto. Era. Non lo so, visto che ha ucciso quarantuno persone.
- Vero? - gli chiedo.
- S..sì.
Torno a guardare la ragazza e inclino la testa di lato.
- Piacere di conoscerti, comunque.
Le espressioni di tutti i ragazzi nella stanza si fanno serie, ad eccezione di quella della rossa. Lei sembra divertita, come se avessi appena detto la cosa più sciocca del mondo; non si preoccupa nemmeno di nasconderlo. Passa una mano sul petto di Nicholas e mi sfida con un sopracciglio alzato.
- Fammi capire: vi siete fidati di uno sconosciuto che vi ha parlato di esseri umani geneticamente superiori?
Nicholas ride. Aggiunge "Violando il Trattato".
- Beh, - comincio, perché adesso ne ho piene le tasche della coppietta felice, - a dire il vero quando ci ha indicato lui come essere umano superiore, abbiamo pensato di essere capitati in una candid-camera.
Un applauso impedisce a Nicholas di difendere il suo onore da Principe del dormitorio: è di un ragazzo dall’aria curiosa, con il viso seminascosto dai capelli neri che gli incorniciano la faccia. Era rimasto talmente silenzioso, prima, che l’avevo notato appena. Ora riesco a vederlo bene: ha dei lineamenti particolari, con il naso un po' troppo all’insù per i miei gusti. Gli occhi sono di un colore caldo, quasi dorato.
- Touché. – dice solo, ammiccando a Nicholas.
- Divertente, Armand, molto divertente.
Io indico Armand con due dita.
- Bella camicia.
Sexy, mi concedo il pensiero.
Lui mi fa l'occhiolino, ma con aria amichevole.
È il primo che vince del tutto la diffidenza e ci invita a sederci vicino al fuoco. Controlla che sia rimasto del tè e si offre di portarcene dell'altro quando scopre che è finito. Alphy ha la bocca serrata, figuriamoci lo stomaco, ma io mi accontento dei biscotti.
Mano a mano che parliamo gli altri ci si fanno attorno e si presentano uno a uno. Cerco di ricordare i loro nomi: Gregorie, Charles, Hellen e Maria, che promette che mi parlerà dell'Italia non appena le rivelo che mia nonna veniva da lì. I ricordi, però, la rendono un po' triste.
E poi c'è Toni, bella sotto i suoi occhiali finti che sembrano usciti da un mercatino delle pulci.
Infine Ivan, Ren e il ragazzo che mi ha stretto la mano, Sam. Gli altri non riesco proprio a tenerli in mente, e alcuni si rifiutano perfino di presentarsi. C'è la ragazza dai capelli rossi, tra di loro, ma Sam dice che il suo nome è scontato: Beatrice. Rimando a dopo il compito di afferrare il collegamento che c'è dietro.
- Non sappiamo di preciso cosa sia successo con tua sorella.
Hellen ci tiene subito a puntualizzarlo.
- Ma vedrai che andrà tutto bene. Nel frattempo prendi tutto come una vacanza; hai già visto i laboratori? Non sono come quelli che avevamo a Ginevra, ma non mi lamento.
- Sono sicura che ti piaceranno, - aggiunge Maria.
- Ti ci porto domani, piccola.
Ren filtra in maniera un po' ridicola, ma è simpatico.
Nel frattempo due delle ragazze coccolano Alphy in maniera un po' eccessiva, come fosse un coniglio da laboratorio che non hanno la forza di sezionare. A me viene in mente che forse ci considerano una variabile interessante della loro routine, ma per il resto non trovo niente che li possa rendere migliori di me. A livello genetico, intendo.
Qualcosa però mi dice che devo vederli all'opera: anche Lilith era solo una ragazzina, dopotutto, ma dietro quella fronte alta il suo cervello non stava mai fermo.
Trangugio gli ultimi biscotti.
- Avevi fame!
Annuisco.
Sai com'è, la tensione.
Era da un po' che non passavo del tempo senza rischiare di morire. Non mi sembra ancora vero.

***

Molti dei ragazzi vengono da lontano, e tutti hanno viaggiato molto. Armand dice che i Novi vanno dove possono realizzare qualcosa di buono, ma non ne sono certa. Finora quello che hanno fatto non lo ha notato nessuno, ma lui afferma che lo fanno apposta, ad essere praticamente invisibili.
Un po' come me. Se fossi senza consistenza non sarebbe poi così diverso, per Reichenbach. Mi concedo occhiate brevi e furtive nella sua direzione: ha la testa poggiata sulla spalla di Beatrice, e lei sembra soddisfatta di sentire il suo respiro sulla pelle. Gli bisbiglia qualcosa di sfuggita, ma lui è più arrabbiato per la nostra presenza che altro. Le stringe le braccia attorno alla vita, e a quel punto distolgo lo sguardo. Non so perché, ma mi pare di rubare qualcosa che non mi appartiene. Lo trovo degradante.
Dopo un po' comincio a perdere il filo della conversazione. Mi ritrovo ad annuire senza prestare ascolto, guardando fuori dalla finestra per assistere alla ritirata della luce. Quando parlo non lo faccio a nessuno in particolare.
- C'è un'altra Villa per quelli che hanno scelto una Fazione opposta alla vostra?
Armand si tira indietro sul sofà, giocherellando con una pedina degli scacchi e Ren si abbassa i googles sul collo come se gli stringessero troppo la testa.
Già, Seymour mi ha rivelato anche questo.
È Toni che si fa avanti per prima.
Si scosta i capelli arruffati dalla bocca e fa segno di sì.
- Ce ne sono diverse.
- Come questa?
- No.
Detesto quando le persone mi rispondono a monosillabi. Spesso però lo faccio anche io, così mi sforzo di suonare tranquilla.
- Perché no?
- Sono state costruite tutte dopo la Rottura. Non hanno una copertura "architettonica" come la nostra.
- Sono moderne?
- Sì. Si trovano nelle grandi città, o poco distanti.
- Chiedilo e basta! Tanto non sappiamo dove si è nascosta tua sorella.
Prendo in considerazione l'idea di alzarmi e prendere a schiaffi Beatrice. Non sarebbe la prima volta che le mani mi formicolano per il bisogno irrefrenabile di picchiare qualcuno o di rompere qualcosa, farlo a pezzi e continuare a pestarlo. Ci sono giorni, quando le cose vanno male, in cui ciò che voglio è rovinare tutto per fare in modo che anche gli altri abbiano la propria parte. Ho distrutto il sismografo di Lilith, poco prima dell'attentato. Adesso so perché l'ho fatto. E so che è sbagliato, ma lo voglio lo stesso.
Però faccio finta di sbadigliare. Ignoro Beatrice e, stirandomi le braccia, faccio scrocchiare le dita. Mi rispondo da sola: Lilith è lontano, e se non fosse per la mamma potrebbe restarci per sempre. Beatrice invece posso ucciderla la prossima volta.
- Quando se ne andranno?
Potrebbe almeno abbassare la voce!
- Non dovrebbero, non so, cancellargli la mem -
- Shhh. Lo sentite?
Tendo le orecchie insieme agli altri, ma ci vuole un po' prima che riesca a sentire qualcosa.
- Che succede?
- A giudicare dalla frequenza dei passi, - comincia Gregorie, - sta arrivando Shad.
A quanto pare la precede il rumore degli ammortizzatori delle sue finte articolazioni.
Il modo in cui spalanca la porta, come se ci fosse andata a sbattere contro e qualcosa la inseguisse, lascia tutti di stucco. Io invece sono felice di vederla, e salto su prima ancora di salutarla.
- Shad!
Lei non fa caso a me.
Ansima forte, e dal suo petto si alza un rumore che ricorda un mantice da fucina. Sono i suoi...polmoni?
- Nicholas!
L'occhio meccanico si muove all'impazzata, troppo veloce perché quello sano possa seguirlo. L'immagine che mi si para davanti è mostruosa.
- Nicholas, Xanders sta tornando di corsa da Marshall.
Marshall. La mia città. Per poco Alphy non rovescia il tavolo da tè. Tutti sembrano pietrificati nell'esatto istante in cui Shad ha fatto irruzione nella stanza.
- E allora?
- Devi - a...andare nella...
Shad afferra il primo appiglio che trova, come se facesse fatica a stare in piedi.
- Sala circolare.
L'impronta della sua voce si perde parola dopo parola, sostituita da un timbro meccanico, come quello di un androide o di un un vecchio GPS. Rimango a fissarla con gli occhi sbarrati.
- Ci stanno trasmettendo un messaggio da DC, e chiedono che in assenza di Seymour sia tu a riceverlo.
Tutti cominciano a borbottare. Parlano, parlano, parlano.
Shad riesce a emettere un unico suono prima di scivolare ai piedi della parete. Toni la soccorre in un battito di ciglia.
- Subito.
Shad singhiozza nella mia direzione. Una contrazione di dolore le irrigidisce le venature di metallo nell'esatto istante in cui si accorge che sono qui.
Anche Nicholas mi guarda, e io guardo lui.
Se è davvero come Lilith, sa che cosa sta per succedere e non perderà altro tempo, ma Beatrice è ancora sulle sue gambe quando io mi alzo e infilo la porta.
Lo sento imprecare alle mie spalle. Armand cerca di riacciuffarmi, afferrando un lembo della mia maglia. C'è il rumore di uno strappo, ma non mi fermo.
Quando Reichenbach mi sfreccia vicino, io giro su me stessa e colpisco alla cieca il braccio che mi tiene stretta.
Corro come quando alle mie spalle c'era il fuoco, e di nuovo il torace brucia come se i tessuti si stessero sfaldando per staccarsi dalle ossa. Anche se lui mi semina, perché è più veloce di qualunque essere umano abbia mai visto, la strada me la ricordo. Leslie è stata brava, in questo.
Corro, e i passi che stanno per raggiungermi sono solo una spinta ad andare più forte. Riesco a prendere l'ascensore prima che Armand riesca a intrufolarvisi, e tiro un pugno contro le porte per scaricare la rabbia. So che Nicholas è già arrivato. Scommetto che quelli come me se li lascia sempre alle spalle.
Quando arrivo a destinazione mi sento così male che mi viene da vomitare.
Eravamo troppo lontani dallo studio di Xanders, e io ci ho messo troppo. Nicholas mi ha preceduto da un pezzo.
Lo posso dire con certezza perché riesco a vederlo, adesso, oltre la nebbia che per lo sforzo mi offusca la vista.
Mi sta guardando.
Ha lasciato la porta aperta per me.

***

Entro facendo ben attenzione a dove metto i piedi. Reichenbach ordina a tutti quelli che arrivano subito dopo di restare fuori, e a quanto pare se hanno chiesto di lui è perché tra i Novi ha una certa influenza. Alcuni si lamentano e strepitano; Leslie batte perfino i pugni sul muro, ma Nicholas fa avanzare solo me. Digita un codice di quattro cifre sulla fascia rigida che porta al polso e la stanza si fa tranquilla. Insonorizzata, realizzo.
Cammino a debita distanza da lui, con il petto che si alza e si abbassa come se non ne avesse mai abbastanza. Non riesco a dargli le spalle senza farmi venire la pelle d'oca.
Reichenbach indica lo schermo a mezzaluna, alto sopra la scrivania.
- Il messaggio.
Ha l’aria beffarda e le sopracciglia leggermente aggrottate. Nel punto in cui gli ho squarciato il braccio con un pezzo di porcellana, la pelle è liscia e perfetta, tesa a modellare dei muscoli asciutti.
- Tutto per te, creaturina.
Mi guarda fisso l'incavo del collo e aspetta.
Di colpo mi sento come se ci fossero lunghe onde elettromagnetiche ad attraversarmi, di quelle invisibili che Lilith temeva tanto. Non si vedono, ma ci sono. Raggi gamma, raggi X o che so io, che uccidono lentamente e modificano le cellule poco a poco, riuscendo a perforare qualunque cosa senza lasciare traccia.
Ricordo che da piccola mia sorella mi aveva terrorizzato a tal punto, con questa storia, che prima di andare a dormire passavo in rassegna gli elettrodomestici uno a uno. Staccavo le spine per impedire la formazione di campi magnetici, proprio come mi aveva insegnato Lilith, e la mattina i miei genitori mi davano sempre della psicotica.
Adesso voglio solo che Nicholas smetta di guardarmi. Continuo a ripetermelo fino a quando non mi ritrovo sotto lo schermo, senza sapere come ci sono arrivata. All’inizio mi sembra che la voce dei Novi sia ancora percettibile oltre la porta, ma poi mi accorgo che si tratta del messaggio. Più che altro si tratta di una telecronaca di quelle che all'inizio scambi per un film del post-Rottura.
Ben presto diventa l’unica cosa che i miei sensi riescano a registrare.
La vista precipita nei colori delle immagini. Rosso, sabbia, nero e bianco che si scontrano nel grigio del fumo.
L'udito isola i suoni: le grida, i crepitii, le boccate d’aria dei giornalisti senza fiato.
In bocca invece torna il giusto amaro dei ricordi, e sa di bile che risale in gola.
Alle mie spalle Reichenbach si porta un auricolare all'orecchio. Qualcuno dall'altra parte comincia a litigare così forte che riconosco la voce di Xanders. Vedo il riflesso di Nicholas sulla superficie lucida del legno: ha il mento poggiato sulla mano come la statua di un pensatore e la stessa espressione attenta. C'è una sorta di distacco che lo separa dal resto del Mondo, come un'ironia tra l'insolente e l'intellettuale.
- Sam dice che è lì con te. Perché l'hai lasciata entrare?
Per prendersi la rivincita, certo.
Xanders non vuole che sappia quello che sta succedendo là fuori, come Reichenbach non voleva che sapessi quello che succede qui dentro. Ecco perché la porta era aperta, quando sono arrivata. Nicholas non aspettava altro che farmela pagare.
Mi chiedo se avesse previsto la possibilità di un'occasione come questa. Questa sequenza concisa di didascalie sullo schermo.
Scandisco una lettera alla volta, mentre Xanders minaccia che sta già salendo sull'elicottero.
- Hai superato ogni limite, Nicholas.
Reichenbach riattacca, e mi pare che sulle sue labbra si formino delle parole.
Non hai idea.
"Non hai idea di quello che posso fare." È questo che vuole dire?
Forse. Che importa?
Non può essere peggio di quello che leggo sullo schermo.
Attacco terroristico nella Capitale, il secondo dopo l'attentato che due settimane fa ha sconvolto Marshall, nell'FC-nA Minnesota. Gli unici due ospedali pubblici della città sono stati disintegrati a distanza di due minuti e ventisette secondi l'uno dall'altro. Ancora incerte le dinamiche dell'accaduto.
- Sai, questo è ciò che chiamo un gran bel problema.
Nicholas si allunga sulla scrivania e afferra un pezzetto di torrone. Lo scarta piano, assaporando ogni secondo della mia reazione.
- Ed era ora, - sospira.
- Il mio cervello era sull'orlo di una crisi d'astinenza.
Si caccia il dolcetto tra i denti.
- Oh.
Lo sento irrigidirsi, e so che non è più me che osserva.
- A quanto pare ce ne sono ottocentonovantasette, di problemi.
Non capisco che cosa voglia dire finché non trovo il contatore che lampeggia all'angolo della schermata. A questo punto non ho domande da fare, né voce per farlo, quindi mi siedo. Ho la bocca secca come terra bruciata dal Sole, argilla e deserto arido.
Perché ottocentonovantasei è il numero delle vittime.
E cresce.
A ottocentovantasette.
Ottocentonovatotto.
Ottocentonovantanove.



Note: non ci sono note, yay! Semplicemente mi scuso per il ritardo; da qui in poi Entropyè stata immaginata a pezzi, quindi collegarli si fa non dico difficile, ma delicato. Non escludo che questo capitolo potrà essere modificato. Ringrazio le cinquantacinque persone che mi hanno inserito tra i loro autori preferiti, in particolare chi segue questa storia. Essere arrivata fino a qui è già un traguardo, per me. Mi scuso per un imprevisto che forse alcuni di voi avranno notato. Qualcuno è entrato sul mio profilo e ha inserito immagini poco eleganti nel secondo capitolo di Entropy. Adesso le ho rimosse, ma ci tenevo a dirvi che mi dispiace per l'accaduto. Ah, complimenti alla persona che mi ha giocato questo scherzo. Complimenti per la maturità.
Detto questo spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi auguro un felice anno nuovo.

1. Chadar: tipica veste orientale.
2. San Giovanni Battista: olio su tavola di Leonardo Da Vinci.


   
 
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