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Autore: Thingsthinker    08/01/2015    7 recensioni
Rinuccio e Nina crescono fra la polvere e il dialetto cattivo di un quartiere poverissimo alla periferia della città.
Le ragazze si sposano a sedici anni e se qualcuno le tocca prima è dovere dei familiari ammazzarlo di botte.
Nina è la più brillante della sua classe; lo sanno tutti che scapperà da quel posto appena possibile e cambierà il suo destino.
Rino nel suo destino ci sta già dentro fino al collo, lo vive tutti i giorni quando si alza e va al cantiere; dodici anni, la pelle bruciata dal sole, le braccia forti - perchè devi essere forte, per fare il muratore.
Non potrà mai averla e lei non potrà mai avere lui.
Forse.
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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NOTA: cercherò di non dare a questa storia un'ambientazione. L'ambientarla in un borgo di Roma per me sarebbe come annullare la possibilità che la stessa identica storia accadesse in un quartiere industriale di Dublino in Irlanda, in una zona malfamata di Città del Messico, in un rione Napoletano. Quello che voglio trasmettere è che queste storie - dove la classe sociale soffoca i sentimenti - succedevano (e succedono ancora) un po' ovunque.
PS: l'epoca va dagli anni '40 agli anni '60.

 

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L'AMORE INFAME è un racconto ideato e scritto da Lee, cioè me. Se vi servirà come fonte di ispirazione mi farebbe piacere che me ne parlaste.
Se me lo copiate vi spezzo le gambine. ^_^



2.
NON DIMENTICARE

 

Nella penombra dello scantinato, qualcosa si muove.
La luce fievole che filtra dal vetro sporco della finestra illumina dapprima un ragazzo. E’ alto, bruno, robusto. La pelle butterata da tagli e cicatrici, le mani ruvide di un lavoratore che, però, impugnano un carboncino. Ancora più strano è che quel ragazzo stia eseguendo correttamente degli esercizi di matematica.
Non appena si sposta un poco, però, il mistero è svelato. Nella sua ombra, quasi protetta dalla sua mole di diciassettenne molto cresciuto, c’è una ragazza. Ha i capelli castani folti e un po’ spettinati, le labbra piene, le forme morbide. Le sopracciglia folte corrugate in un’espressione di concentrazione mentre controlla l’esercizio.
“Bravo” dice alla fine “Sei molto più portato per la matematica di quanto lo sia io.”
 
Hanno cominciato l’anno prima a studiare insieme. In un anno, Rino si è portato allo stesso livello di lei. Studia le materie base: italiano, matematica, un po’ di scienze.
Si vedono durante il suo giorno libero dal lavoro, il sabato, e poi lei gli affida compiti per tutta la settimana. Libri da leggere, di solito; quelli che lei affitta alla biblioteca scolastica e finisce in un paio di giorni.
Ora che Nina ha cominciato il liceo Rino la vede sempre più stressata, spesso ha crisi di pianto di fronte a quegli strani simboli di quella lingua antica. Non capisce perché una ragazza come lei debba impazzire su quei testi di vecchi cazzoni filosofi, per di più morti.
Quel giorno però sembra andare meglio, è già a buon punto della sua traduzione.
Di quegli incontri non sa nessuno, tranne Giulietta e Cristiano. Studiano soltanto, chiusi nello scantinato di casa di Giulietta. L’hanno ovviamente invitata ad unirsi a loro, ma solo perché sapevano che si sarebbe stufata presto, e infatti così è stato. Ogni tanto scende e butta un’occhiata qua e là con un astio sul volto così evidente da farle tenere la fronte perennemente corrugata. Si sente esclusa e a Nina dispiace, ma nemmeno poi tanto.
Rino guarda l’orologio.
“E’ quasi ora di pranzo, Ninè, dobbiamo andare”
Nina annuisce, chiude i libri e affida a Rino un foglio con qualche espressione di matematica, un paio di esercizi di italiano.
“Stai ancora leggendo quel libro che ti ho dato?” chiede.
Rino la guarda ed è terribilmente bella, almeno per lui. Chi se ne frega se gli altri dicono che ha troppi capelli, che non si dipinge mai le labbra, che c’ha i vestiti sformati. Per lui è bella, con quegli occhi grandi e quelle labbra piene ma screpolate: è bella quando corruga le sopracciglia e si concentra, quando legge e si rilassa e si attorciglia una ciocca castana attorno al dito, è bella quando è nervosa e si mordicchia le labbra.
L’altro giorno ha quasi menato Duccio perché ha detto che “Nina è poco donna, pure se c’ha le tette”. Solo perché non va in giro scollata, non si trucca, non si acconcia.
Ma Rino sa qual’è la verità. Sa che i ragazzi della sua età odiano Nina e insieme l’amano: l’odiano perché non parla quasi più in dialetto, perché è magnetica senza essere bella, provocante senza essere scoperta, perché non volendo riesce a essere sexy più di tutte le altre e se ne accorge quando è troppo tardi, quando qualcuno già osa delle avances; la odiano anche perché dice cose che loro non possono capire, ma che capiscono essere molto intelligenti: la odiano anche perché non li discrimina mai e non gli dà motivo per odiarla.
Come molti Rino l’ama, l’ama di più di tutti gli altri. Ma lei, anche se forse lo sa, a lui non ha mai detto nulla. Gli altri spesso lo dicono: dicono che è una stronza.
Però l’amano, alla fine, l’amano o la invidiano tutti.
 
Giulietta per prima.
Eccola che scende le scale con quel suo corpo flessuoso, ancheggia quasi fino a sembrare ridicola. Nina la guarda, si accorge del suo comportamento, abbassa gli occhi mentre l’amica comincia a civettare con Rino.
Si dice che non può competere, che lei è cervello e Giulietta è bellezza: e in questa gara, se il giudice è un uomo, il cervello non vince mai.
Che non sarà mai come lei è una sicurezza: Giulietta ha gli occhi chiari proporzionati al viso, la pelle liscia, le mani sottili.
Nina raccoglie in fretta le sue cose, a testa bassa, ma non può non notare gli sguardi languidi che Rino lancia all’amica, e subito dopo quelli penetranti che rivolge a lei. Sta facendo il confronto, si dice, meglio andarsene prima che si accorga definitivamente di come sta sprecando il suo tempo.
 
Saluta velocemente, poi imbocca le scale in penombra.
A metà della rampa si ferma e si volta: Giulietta sta ancora parlando, ma ora Rino sembra annoiato. Intravede un luccichìo sulla gonna della ragazzina.
E non può contenere la lingua, le parole le scattano fuori come coltelli affilati.
“Giuliè, si vede la spilla con cui hai fatto diventare la gonna più corta.”
Giulietta si volta e la fulmina con lo sguardo, Rino ridacchia, Nina corre fuori.
Sono stata un’idiota invidiosa. Si pente immediatamente di quello che ha fatto e si allontana velocemente cercando di scomparire nel cappotto, stringendo al petto i libri.
Il quartiere d’inverno sembra ancora più povero e decadente, il freddo raziona il cibo e ammala i bambini. Le palazzine sembrano quasi abbandonate, senza il brulicare polveroso nella calura dell’estate. Nina sogna di quando andrà lontano in una grande città, forse persino fuori dall’Italia, e avrà una casa grande a tre piani e si abituerà a farsi chiamare Giovanna, non Nina. In quella casa a tre piani scorrazzeranno i suoi bambini, bambini puliti, bambini perbene, bambini che non scorrazzano fra la polvere del rione e che non gridano oscenità alle femminucce. Bambini che non crederanno neanche al fatto che un tempo, alla loro età, gli amici di mamma già lavoravano. E Giovanna si sarà dimenticata il vero nome di Rino e anche quello di Giulietta, forse non ricorderà più i loro volti.
Ma per ora è ancora Nina del Quartiere e Rino e Giulietta e tutti gli altri se li ricorda benissimo.
 
Si sente strattonare, si volta. Rino la guarda col suo sorriso sghembo.
Poco tempo prima si è accorto che forse a Nina potrebbe importare di lui. Ha quattordici anni, non sa ancora bene come funziona il mondo. Tra massimo un anno riderà dell’idea di loro due insieme, ma per ora forse un po’ di bene gli vuole.
La trascina in un vicoletto secondario perché nessuno li veda. Non fanno nulla di strano, ma se qualcuno li vede parlare e lo dice ai genitori di Nina sono guai. Non vedono Rino di buon occhio, lui è un poveraccio e loro si spaccano la schiena per comprare i libri e far studiare la figlia.
“Non sai proprio stare zitta, eh?” ridacchia lui. Lei lo fissa truce, continua a camminare a passo svelto: “No.”
“Ehi, non volevo offenderti.”
“Già.” anche stavolta non riesce a frenarsi. Ha uno scatto brusco del volto, i capelli le finiscono davanti agli occhi e lei li soffia via prima di sibilare: “Guarda che si vede che tu e Giulietta vi piacete.”
BAM. Eccoli di nuovo, pensa Rino: quei grandi occhi scuri che da bambino lo spaventavano, quegli occhi così ostentatamente cattivi da non poterlo neanche sembrare per davvero, quegli occhi che sembrano leggergli dentro. Ora Rino si è abituato a quella sensazione, ogni volta gli viene da sorridere, da stuzzicarla. Gli piace pensare che guardi così soltanto lui.
Non risponde per un po’.
Lei si volta e continua a camminare ancora più velocemente, ma lui ha le gambe più lunghe e la raggiunge in fretta.
“Non mi piace.” ammette però. E’ più forte di lui, la sincerità è il suo punto debole.
Lei fa un sorriso cattivo, cattivo verso se stessa “Non negare l’evidenza”
“Non parlare difficile, non capisco.”
“Hai capito benissimo.”
“Non mi piace.”
“Piantala, dì la verità. Sono tua amica, a me puoi dirlo.” Nina queste parole le ha lette in un libro e infatti non sono sue. Prenderle in prestito da altri sembra la scelta migliore.
Continuano a discutere, entrambi sinceri, entrambi convinti, la ragazza scarmigliata e il ragazzo bruno, lei correttamente, lui in un dialetto rapido. Lo fa apposta, sa che la fa arrabbiare.
“Se proprio non vuoi ammetterlo…” sospira lei, fintamente divertita. Sente un dolore nel petto. Lo sa che quando uno non vuole ammettere una cosa è perché è più vera del vero.
“Perché dovrebbe piacermi?” sbotta lui, al limite. Se insiste così tanto per trovargli una donna è perché ha capito che le vuole bene e vuole staccarselo di dosso.
“Piace a tutti.”
“E’ stupida.”
“E’ bella.”
“Tu sei più bella.”
Silenzio. Si fermano.
L’ha detto. Rino l’ha detto e gli è piaciuto dirlo, quindi lo dice di nuovo.
“Si, Nina, sei bella. Sei bella. Bella, bella, bella.” continua a ripeterlo.
Lei lo guarda a bocca aperta, le lacrime agli occhi. Un libro di latino cade sul marciapiede e nessuno lo raccoglie. E lui continua.
Che vadano a farsi fottere tutti gli altri, lo studio, l’età, il matrimonio.
“Non importa quello che dicono gli altri, per me sei bella. Sei la più bella del quartiere e del paese e anche del mondo. Io il mondo non l’ho visto ma sono quasi sicuro che di belle come te non ce ne stanno.”
Nessuno le ha mai detto una cosa così, anzi. Nella sua scuola è quella povera, quella sciatta, quella cessa.
Vorrebbe dire a Rino che dice così solo perché non è mai uscito dal rione, vorrebbe dire “non è vero”, ma il sussurro non le esce. E pensa che anche se non è vero, se si sta sbagliando, se qualcuno può sentirli, non importa.
Non è una dichiarazione d’amore, non esplicita, quello non si può.
Non si può ed è un peccato, non si può perché lui è Rino e lei è Nina, non si può.
Però si può essere felici, e Rino e Nina stanno facendo questo.
Stanno ritagliando un frammento di felicità dal loro angolo di mondo.
 
Ormai Nina piange, piange a dirotto, in silenzio. Rino ha smesso di parlare.
Il vento smuove i capelli di lei e quelli di lui, il gelo di Febbraio le gela le lacrime prima che possano scivolarle via dalle guance.
Lui non si pente di quello che ha fatto, il cuore gli batte forte, ficca le mani nelle tasche della vecchia giacca. Sorride.
“Ti ho messo così tanta paura?”
Nina scuote la testa e scoppia a ridere. Ride anche lui, ride di cuore: un cuore che ora è più leggero. Non si abbracciano perché non si fa, rimangono a qualche metro di distanza, anche se i loro sguardi annullano lo spazio.
Nel freddo, nel grigio, i loro cuori battono forte, i loro sorrisi illuminano il giorno.
Però Rino torna serio. E, per la prima volta, non parla più in dialetto:
“Ora ascoltami, Ninè, devi farmi una promessa. Io non so chi ti sposerà, ma sicuramente sarà tra molto tempo. Beh, Ninè, sposa solo qualcuno che ti dice una cosa come questa, che ti fa piangere così, che ti fa fare questo sorriso con le lacrime. Fallo per te e se non vuoi fallo per il mondo.” ride. “Credimi, Ninè, questo sorriso illumina il mondo.”
 
Silenzio. E Nina piange ancora, non è triste, però piange.
Anzi triste lo è, perché anche se l’ha detto in un modo strano, ha detto chiaramente che a sposarla non sarà lui. Lui punta quei begli occhi chiari nei suoi, le sorride.
E quel sorriso è contagioso, Nina smette di piangere.
Raccoglie il libro di latino e quando si rialza lui è ancora nella stessa posizione.
“Prometti.”
E le sfugge un sussurro impercettibile.
“Prometto.”
“Eh?”
“Ho detto che prometto. Te lo prometto, Rino.”
Lui sorride e fa un cenno con la mano.
 
Nina lo guarda scomparire, le spalle larghe che si notavano già da piccolo si dissolvono nella nebbia.
E ora ha la certezza concreta che anche nella sua grande casa a tre piani con i suoi bei bambini, anche in una vita futura, ci sarà sempre una persona di cui l’adulta Giovanna non dimenticherà né nome né volto.


 


*saltella e agita la mano e rovina tutta l'atmosfera*
Ma che bello che siete ancora qua.
Lo so che questo capitolo era stralungo, però è stata colpa loro perchè mi hanno costretta a scrivere tanto.
(Colpa di Rino e Nina, intendo)
Qui li vediamo molto più cresciuti, ovviamente. Lascio a voi le osservazioni, però.
Dico solo che amo moltissimo questi due personaggi e ho sempre il terrore di renderli piatti o banali, le loro parole scontate, le loro frasi già sentite.
Ditemi se questo capitolo vi è piaciuto più, meno o quanto il precedente, come ho già detto ci tengo molto e voglio rimediare se ci sono errori!
Un bacissimo
Lee, Rino e Nina
  
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