24.
La
prima persona esterna a entrare a scuola era sempre la Signorina Pemberton, la segretaria. A sessantasei anni suonati, era
ancora lì in quell’istituto, a servire come meglio poteva. Entrava in ufficio e
incominciava a smistare la posta in entrata, poi cominciava a redigere le
lettere della posta in uscita secondo le istruzioni del Preside e ogni tanto
riceveva qualche telefonata. In quel periodo, a ridosso delle festività
Natalizie, stava preparando i biglietti d’auguri, quindi se possibile arrivava
anche molto più presto del solito. Talvolta rimaneva anche fino a molto tardi
in ufficio, e se fosse dipeso da lei, sarebbe rimasta fino a notte inoltrata,
ma c’era sempre il Preside che la mandava via quando l’orologio a pendolo del
suo ufficio batteva le nove e mezza. D’altronde, a
casa non aveva nessuno ad aspettarla. L’Istituto Jonathan Watkins era tutto ciò
che aveva nella vita.
Arrivata
in ufficio, appese il cappotto all’appendiabiti, e si sedette alla scrivania
per cominciare la sua giornata. Come prima cosa quel giorno, avrebbe dovuto
chiamare l’emporio giù a Chestnut Castle
per far arrivare gli spazzacamini e ordinare un po’ di legna per i camini.
Anche quell’inverno si stava rivelando parecchio freddo, e le stanze più
grandi, vale a dire la Sala Watkins, la Biblioteca e il refettorio che non
avevano subito il fascino della modernizzazione con l’installazione di
termosifoni come le altre stanze, avevano bisogno di legna per essere
riscaldate a dovere. Nemmeno il Preside Umbridge
aveva voluto saperne di installare un termosifone nel suo ufficio. Diceva che
il camino gli andava benissimo, perché gli piaceva sentire l’odore della legna
bruciata e lo scoppiettio dei ciocchi nel fuoco. Così, ogni inverno, bisognava rifornirsi
bene. Mentre prendeva la cornetta per portarsela all’orecchio, le venne in
mente che forse avevano bisogno anche di carbone per la caldaia giù in cantina.
Guardò il calendario. Se i calcoli del Signor Donovan erano esatti, almeno fino
al 15 Dicembre potevano stare tranquilli. Valeva a dire per un’altra settimana.
Quando
Miss Pemberton si portò il telefono all’orecchio, si
bloccò.
Di
solito quando non c’era nessuno dall’altra parte che parlava, si sentiva un Tuuuuu
prolungato, che segnalava che il telefono era allacciato alla linea. Quella
mattina invece non si sentiva nulla.
Miss
Pemberton schiacciò una volta la staffa (il corno di
bue, come lo chiamava lei) che reggeva la cornetta, poi la rilasciò dopo
qualche secondo.
Non
cambiò nulla.
Ripeté l’operazione, schiacciando e
rilasciando più volte la staffa, aspettando di sentire il Tuuuu di linea libera, ma
nonostante i suoi sforzi, nulla accadde.
Si
alzò dalla poltrona e guardò l’apparecchio con un sopracciglio perplesso. Poi
si ricordò che aveva visto il Preside armeggiare con il filo qualche tempo
prima. Difatti, il telefono era collegato a una specie di scatolina attaccata
al muro, che andava fuori fino a connettersi con dei pali che si perdevano
verso Chestnut Castle, dove
arrivavano all’altro telefono, quello del Signor Yorkey,
titolare dell’emporio.
Miss
Pemberton girò attorno alla scrivania, guardò in
basso e vide che…
Santi numi!
Si
portò le mani alla bocca. Il volto le si contrasse in
una “O” di stupore, quando vide che il filo era stato tagliato. No, non era
stato tagliato di netto. Sembrava che qualcuno l’avesse strappato con forza, e
poi avesse ridotto la scatolina in cui s’infilava in briciole sotto il tacco
della scarpa.
-
Ma chi può aver…? Adesso come faccio? –
Miss
Pemberton uscì dal suo ufficio quasi di corsa, per
avvicinarsi alla porta dell’ufficio del Preside. Alzò il pugno per bussare, ma
si trattenne quando udì il preside che fischiettava un motivetto.
Con
il pugno sollevato nell’atto di bussare, la signorina Pemberton
si chiese se per caso il Preside fosse malato. Di solito non fischiettava mai,
era sempre troppo occupato a guardare con malocchio gli studenti e tutto il
mondo che aveva intorno. Sentirlo che fischiettava era stato per lei più o meno come per Bob Crachitt
sentire che il suo principale Scrooge era diventato
improvvisamente buono: una cosa incredibile.
Bussò.
Dall’altra parte il fischiettio s’interruppe per un secondo, poi la voce del
preside si fece udire.
-
Avanti! –
Miss
Pemberton entrò. Lo trovò di
spalle, alla sua scrivania, che continuava a fischiettare. Sembrava intento a…
pulire qualcosa.
-
Chiedo… chiedo scusa se vi ho disturbato, Professor Umbridge. –
-
Oh, Miss Pemberton! – esclamò il Preside
– Che piacere vedervi. Prego, accomodatevi! – disse, senza nemmeno
girarsi.
Titubante,
Miss Pemberton avanzò. I suoi passi sul tappeto erano
pesanti. Si sentiva come quella volta in cui lei e sua sorella si erano
avvicinate troppo alla cuccia di Warlock, il cane dei
loro vicini quando era bambina. C’era silenzio, e
quell’atmosfera di paura che sarebbe esplosa subito dopo, quando il cane uscì
impazzito dalla sua cuccia, pronto ad azzannare le due bambine.
-
Chiedo scusa – ripeté la Pemberton – Ma
credo che il mio telefono abbia qualche problema. Il filo è stato strappato, e…
-
Il
Preside sembrò non udirla. Continuava a lucidare quel… quella… cosa dietro la
scrivania. Ad un certo punto si girò, e Miss Pemberton poté vedere che cosa stava lucidando: La grande
spada che teneva appesa al camino. Doveva essere una spada di periodo
medioevale, a giudicare dalla fattura. Sembrava una di quelle che si vedevano nei libri di storia a proposito delle crociate. Il
Preside Umbridge la alzò e
andò vicino alla Pemberton. Questa restò immobile, ma
stranamente qualcosa dentro di lei le diceva che sarebbe stato meglio filare, e
alla svelta.
-
Come avete detto, Miss Pemberton?
– domandò il Preside, tenendo la spada nella mano destra e la lama con la
sinistra.
-
Ho… ho d-de-detto… c-che… Il mio… t-telefono… è… è…
r-rotto. –
-
Oh, ma davvero? Lo so. Sono stato io a romperlo. –
-
Che cosa…? V-voi? M-ma… p-perché? –
Umbridge rise. La Pemberton sentiva le gambe che le tremavano. Umbridge si girò di nuovo.
-
Perché si da il caso, mia cara Miss Pemberton, che qui, oggi, io sarò incoronato Preside Ad
Interim. –
Prima
che la Pemberton potesse chiedergli spiegazioni, Umbridge, rapido come un serpente, girò su sé stesso tendendo la spada davanti a sé. Un colpo secco, e
la testa di Miss Pemberton rotolò dietro al suo
corpo, che cadde prima in ginocchio e poi si accasciò a terra, inzuppando di
sangue il tappeto verde scuro dell’ufficio.
Con
la spada ancora macchiata di sangue, Umbridge guardò
il corpo decapitato della segretaria e fece un mezzo sorriso.
-
Sapete una cosa, Miss Pemberton? Il vostro impegno
era davvero lodevole, ma lasciatemi dire una cosa: il lavoro non è tutto, nella
vita. –
Rinfoderò
la spada nella guaina che aveva appesa al corpo,
quindi uscì dall’ufficio.
*****
Louis
si svegliò madido di sudore nel suo letto, dopo un brutto sogno. Guardò fuori
dalla finestra, erano le prime luci dell’alba. Il primo pensiero che gli venne
in mente fu
Niall!
Doveva
vederlo.
Si
vestì in fretta e corse verso la sua stanza. Bussò, ma non ottenne risposta.
Bussò ancora, ma niente. Allora provò ad aprire la porta.
Entrato,
il letto di Niall era vuoto, e lui non c’era. Non
c’erano nemmeno i suoi vestiti, ma la sua valigia era ancora lì al suo posto. Quindi non se n’era andato. Tirò un sospiro
di sollievo, ma allo stesso tempo era inquieto.
Il
sogno che aveva fatto riguardava lui.
Aveva
sognato di vederlo bruciare in un incendio.
Uscì
dalla sua stanza, andando verso l’istituto.
Arrivato
al portone d’entrata, fece per aprirlo, ma per un attimo, esitò. E per poco non
svenne dalla contentezza.
Niall era lì, oltre il
vetro, fermo davanti alla porta d’accesso all’istituto, nell’ingresso
principale.
-
Niall! – Urlò Louis, bussando ai vetri. Niall non si girò.
-
Niall! – Louis provò ad aprire la porta, ma non
riuscì. Sembrava bloccata.
-
Ma che diavolo…! –
Si
ricordò che la porta era ovviamente chiusa, perché il signor Donovan doveva
ancora aprire tutto, ma allora come aveva fatto Niall
a…?
Un
brivido gli corse lungo la schiena. A riprova del terrore che stava provando,
arrivò Harry, che si avvicinò al giovane insegnante di filosofia e gli disse
qualcosa all’orecchio. Niall lo
guardò, quindi Harry gli fece cenno di seguirlo.
Senza
sapere nulla, ma fidandosi del suo istinto, Louis sbatté entrambi i pugni sui
vetri.
-
NO!!! – urlò Louis con tutto il fiato che aveva
in gola – Non andare, Niall! È pericoloso!!! –
Ma Niall
era già scomparso al seguito di Harry.
-
Signor Donovan! – urlò Louis, appena entrato nell’alloggio del custode
– Signor Donovan, svegliatevi, presto! –
Il
signor Donovan apparve dalla stanza da letto. Era ancora in mutandoni, ed era
scalzo.
-
Che il diavolo ti porti, ragazzo! Stavo dormendo! – imprecò il custode
con il suo accento marcatamente scozzese. Ma gli bastò
incrociare gli occhi di Louis per capire che non era più tempo di dormire.
Prese
le chiavi, Louis e il signor Donovan si precipitarono alla porta d’ingresso.
Donovan aprì velocemente il portone e s’infilò le chiavi in tasca, correndo
verso l’ingresso.
Louis
corse più veloce di lui, girando a destra. Si fermò.
Il
pavimento era sporco di gocce di sangue.
-
Oh, Gesù santissimo – mormorò Donovan, nel vedere il pavimento sporco.
Entrambi allungarono lo sguardo, e videro la testa della Signorina Pemberton posata sul pavimento, con il sangue che le usciva
dalla bocca e gli occhi rivoltati all’insù.
-
Andate a chiamare Scotland Yard, signor Donovan. Presto! –
Donovan
corse verso l’ufficio della Pemberton, e Louis si
ritrovò da solo nel corridoio.
Si
guardò intorno, pensando a dove potessero essere andati Harry e Niall.
Fece
per avanzare verso il corridoio, quando dall’aula di Arte uscì fuori Stephen.
Teneva una mano nella tasca della giacca.
-
Louis. C’è qualcosa che non va? –
-
Stephen! Meno male che sei qui. Guarda, qualcuno ha ucciso la segretaria del
preside, e Niall… Niall è
scomparso. –
-
Davvero? – disse Stephen, sempre tenendo la mano in tasca. Louis lo guardò sorpreso.
Stephen
gli mise una mano sulla spalla.
-
Ascoltami, dovrei parlarti di una certa cosa... –
-
Di cosa…? –
-
Devo parlarti di Niall. –
Louis
fece per ascoltarlo, ma all’improvviso udì una voce nel suo cervello.
SCAPPA!!!
La
voce urlò con violenza dentro la sua testa, tanto che forse la
udì anche Stephen. Dalla sua tasca, partì un colpo.
Louis
schizzò via per il corridoio, ma si girò quel tanto che bastava
per vedere che Stephen impugnava una pistola nella mano destra, e che si stava
preparando a sparare di nuovo.
Mentre
correva, vide la porta dell’ingresso verso gli uffici del Preside e della
Signorina Pemberton.
Entrò
e chiuse la porta col chiavistello, ansimando per il terrore.
-
Donovan! Chiamate la polizia, presto! –
Al
posto della voce di Donovan, udì soltanto un gemito.
La
porta del corridoio cominciò a muoversi. Era Stephen che cercava di entrare.
Louis
scappò verso l’ufficio della Pemberton, e qui trovò
Donovan in fin di vita. Qualcuno l’aveva pugnalato con il tagliacarte.
-
Donovan! – esclamò Louis. Aveva le lacrime agli occhi.
-
Ahhh… - gemette il vecchio – L…Louis… figliolo…
è… -
-
State tranquillo, Donovan. Vi aiuterò io. –
Ma il vecchio sembrò non
prestare attenzione alle parole di Louis, e continuò a parlare, con lo sguardo
perso nel vuoto.
-
E’… è lui. Lui. –
-
Chi, Donovan? Chi? –
-
E…li…ja…h…… Pick…Ford. Il …
il ragazzo… con i capelli ricci e gli occhi verdi. – disse,
tutto ad un tratto.
-
Harry Styles?!? –
-
No… è … E…li…jah… Pick…ford. Il…. Figlio… .della…. Strega! –
-
Che cosa devo fare, Donovan? Che cosa devo fare?
–
Il
vecchio stava perdendo molto sangue. Parlava, ma stava lentamente morendo.
-
Sta… cercando…. Quel… quel suo… oggetto… il c…. c….
–
-
Cosa sta cercando? –
-
Il c……. -
Mentre
tentava di concludere la parola, dalla bocca di
Donovan sprizzò del sangue. Lo sguardo si fissò su un punto imprecisato nel
vuoto, quindi il vecchio esalò il suo ultimo respiro.
-
No, Donovan! –
Intanto,
la porta stava per cedere.
Louis
uscì nel corridoio, quindi entrò nell’ufficio del Preside. Anche qui chiuse
bene con il chiavistello e usò una picca per bloccare la porta. Si guardò
intorno. Era già stato nell’ufficio di Umbridge e gli
era sembrato un postaccio, ma per qualche ragione,
quel giorno gli sembrò più oscuro del solito.
Si
guardò intorno, cercando qualcosa con cui difendersi. Ricordava che ci fosse
una spada, sul caminetto, ma quando guardò, non c’era più. Si accontentò di un
attizzatoio. Lo tenne dritto davanti a sé, quindi si barricò dietro la scrivania.
Sul piano, c’era ancora il diario di Umbridge.
Louis
vi posò lo sguardo sopra e sfogliò velocemente le
pagine.
15 Luglio.
Mi è apparso ancora una
volta. Dice che non devo preoccuparmi di nulla, che tutto ciò è passeggero. Prima o poi si dissolverà come nebbia al sole.
Ma io continuo a vederli.
Non riesco più a fare niente
per trattenerli, prima o poi mi faranno impazzire. Se
ne stanno lì, mentre sono qui che lavoro, mentre sono in bagno, mentre vado a
letto. Vedo i loro occhi, vedo che me la faranno pagare…
Ma io continuo a fare il mio dovere. Perché io amo questa scuola, e dire ciò
che so mi comporterebbe il rischio di perderla. Oh… Dio, aiutami tu.
Louis
sfogliò ancora le pagine, con i brividi che salivano.
18 Settembre.
Continua a dire che non devo
preoccuparmi. Che sta cercando una cosa, che prima o poi
troverà, perché sa chi gliel’ha rubata mentre lo portavano via. “Neanche il
rispetto per i morti, hanno avuto”, mi ha detto. E lui
continuerà ad uccidere tutti quelli che ritiene
giusto, ma finché io terrò la bocca chiusa, nulla mi accadrà.
La
calligrafia di Umbridge era concitata, così come lo
erano i periodi che scriveva. Immaginò che scrivesse per togliersi dalla mente
il fardello di quei segreti, come una specie di esorcismo scacciapensieri…
20 Settembre.
Elijah dice che il nuovo
arrivato gli piace molto. Gli ho chiesto se aveva intenzione di ucciderlo, ma
mi ha soltanto risposto “Non lo farò, se non ce ne
sarà bisogno”.
Non sembra un pervertito come
Denker, anzi mi sembra un bravo insegnante,
nonostante la sua giovane età. La giovane età. Gli altri due professori giovani
qui sono Stephen Robbins e Niall Horan.
Uno che si è macchiato di un orrendo delitto, uccidendo quel povero ragazzo, Nathaniel Ellsworth… e l’altro
che si fa sodomizzare da alcuni studenti. Che posto è mai diventato questo. A
volte penso che vorrei farla finita. Prendere la
pistola che ho nel cassetto e…
Lo
sguardo gli andò verso i cassetti della scrivania. Erano aperti, per fortuna.
Aprì il primo a destra e vi trovò una rivoltella. Con
molta cautela, provò ad aprirla, e vide che era carica. Poco più in fondo, nel
cassetto, trovò anche una scatola di proiettili. La prese e se la infilò nella giacca.
-
Vieni fuori, Louis! – urlò Stephen – Devo parlarti! –
-
Vai al diavolo, Stephen! – esclamò Louis, impugnando la pistola e
tendendola davanti a sé.
-
Che ti è successo? Una volta eravamo amici! –
-
Forse una volta, adesso non più! –
Louis
aprì la finestra e balzò giù, facendo un volo nell’erba. Camminò rasente l’edificio,
accorgendosi troppo tardi di una cosa.
Dal
seminterrato, proveniva del fumo.
E
anche dai piani superiori della scuola.
-
Oh, mio dio… - mormorò soltanto Louis, prima di rendersi conto che la scuola
stava per trasformarsi in un enorme rogo.