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Autore: _Even    15/01/2015    10 recensioni
[Coppia: Mirco]
Marco e Mika. Il loro amore raccontato pezzo per pezzo.
Una raccolta che riguarda i momenti più importanti della loro storia. Filo conduttore: i sensi che, al contrario di ciò che si pensa, sono più di cinque.
«Perché noi eravamo questo. Vivevamo di piccoli istanti e brevi momenti che parevano senza senso, tanto erano piccoli e apparentemente senza importanza. Eppure per noi ce l'avevano, un senso. Noi eravamo in quello sguardo d'intesa, in quella parola detta sottovoce ed eravamo in quell'aroma di caffè. Eravamo nel dolore più intenso, nel profumo più forte e nella caduta che ci ha colti di sorpresa. Eravamo nelle notti statiche, il gelo nelle mani e il calore sulle guance. Eravamo noi in ogni cosa, eravamo vita. Eravamo amore.
E questo non ha mai avuto senso per nessuno. Per nessuno tranne che per noi.»
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Senso [Il senso è la facoltà di "sentire", cioè di percepire l'azione di oggetti interni al corpo o esterni ad esso. È la consapevolezza di ciò che avviene sentendo.]

 
Mika’s POV

 
Un infarto
, fu la prima cosa che pensai in quel momento.
C’erano tutti i segnali: il mio cuore perse un battito, il fiato mi venne a mancare e mi sentii improvvisamente stordito. Ma sapevo benissimo che quei sintomi non erano causati da un qualche malfunzionamento all’interno del mio corpo, no.
Avevo appena guardato di fronte a me.
E avevo visto Marco.
Accanto a mia sorella Yasmine.
Non ebbi neanche il tempo di chiedermi cosa ci facesse con mia sorella, o di valutare l’opzione che la mia reazione fosse dovuta a una causa diversa dall’arresto cardiaco, che io e Marco ci ritrovammo a fissarci. Occhi negli occhi, potenti come uno sparo dritto al cuore che mi mozzò il respiro. E poi, all’improvviso, lui scappò. Proprio così, scappò via.
E io mi ritrovai seduto, a fissare il vuoto, paralizzato dallo shock. Non ero preparato, mi aveva colto alla sprovvista. Il mio cervello mandava impulsi al mio corpo, implorava il mio cuore già provato di alzarmi e andargli dietro.
Dopo un attimo che parve infinito, mi lanciai al suo inseguimento.
Non ebbi che quel breve istante per riflettere che subito mi ritrovai, ancora una volta, a misurare a grandi passi le strade di quel vicoletto freddo e isolato che conoscevo fin troppo bene. Nella mia mente, una litania persistente ripeteva il suo nome. Marco, Marco, Marco. Ti prego, pensai, fa che riesca a raggiungerlo.
Annaspai nel bisogno di arrivare a lui, di poterlo toccare, faceva quasi male quanto lo desiderassi, e il mio petto, il mio petto era in piena esplosione, uno scoppio continuo che presto si propagò fino ai miei occhi, così che un velo di lacrime li ricoprì.
Qualcosa mi diceva che non avrei dovuto rincorrerlo. Stava scappando, probabilmente da me, e il solo pensiero mi straziò il cuore. Per un secondo comandai alle mie gambe di cedere, ma non ne vollero sapere di fermarsi, perché non era ciò che volevo in realtà: l’avrei rincorso fino in capo al mondo pur di poterlo rivedere anche solo per un istante, per riuscire a dirgli tutto ciò che non ero mai stato capace di confessargli.
Dovevo. Ne avevo talmente bisogno da star male. Non ce la facevo più.
Corsi ancora, mi spinsi ben oltre i miei limiti, finché non mi ritrovai la gola secca, la vista appannata e i muscoli irrigiditi dallo sforzo. Il mio petto bruciava e implorava aria.
Fu allora che lo raggiunsi.
Mi allungai il più possibile, fino a toccare la stoffa ruvida e morbida della sua giacca e, non appena l’ebbi a portata di mano, la strattonai verso di me. Colto di sorpresa, Marco non poté evitare di farsi trascinare all’indietro, allora lo presi per un braccio e lo inchiodai al muro.

Gli sfuggì un urlo, forse di sorpresa, o forse di dolore. Mi sentii morire nel timore di avergli fatto male, di essere stato troppo violento.
«Marco, sta bene?» gli chiesi senza pensare, tanto ero spaventato.

Neanche mi rispose, si limitò a dimenarsi e a cercare di sfuggire alla mia presa. «Lasciami.»
«No Marco, aspetta, io …»
«Ti ho detto di lasciarmi!» strillò, furioso. Tentai di far incrociare di nuovo i nostri sguardi, ma i suoi occhi continuavano a fuggire da parte a parte. Il pensiero che potesse non sopportare la mia vista mi inferse una stilettata in pieno petto, ma non demorsi. Non potevo.
Finalmente Marco era lì, davanti a me, dopo tutto quel tempo passato a sperare di rincontrarlo, era accaduto. La gioia e il dolore si contendevano il posto nel mio fragile cuore, che sentii pronto a spezzarsi da un momento all’altro.
«Aspetta, please» provai a convincerlo.
Sembrò che gli avessi detto di andare al diavolo.
Sollevò la testa di scatto, riuscendo a divincolarsi, premette le mani sul mio petto e mi spintonò con forza, ringhiando: «Vattene.»
Arretrai involontariamente di qualche passo e per un istante vacillai pericolosamente, prima di riprendere prontamente l’equilibrio.
Sotto i miei occhi, Marco cambiò repentinamente: mi guardò e tese automaticamente la mano per arrestare la mia caduta. Quando però si rese conto di ciò che stava facendo, ossia cercare di aiutarmi, si ritrasse all’improvviso e trasalì, come se si fosse appena scottato.
Inutile dirlo, comprendevo appieno quella sensazione.
Ciononostante, mi risentii e non poco. Il petto ancora mi doleva per la violenza di quel gesto, e non mi riferivo soltanto alla spinta. Il fatto di volermi allontanare in tutti i modi, anche a costo di farmi male, non era un gesto da Marco.
Era cambiato, e non ci voleva certo un genio per capirlo. Il Marco che conoscevo non avrebbe mai fatto una cosa del genere, neanche contro la persona che odiava di più al mondo.
Mi venne da piangere. Quanto avevo sperato in quel momento? Quante volte mi ero ritrovato a sognarlo, nella veglia così come nel sonno? Nella mia immaginazione, lui era felice di rivedermi, ma nella realtà i suoi occhi erano vacui e timorosi, come se avesse paura di qualcosa. E non voleva neanche che io lo toccassi. Gli facevo schifo.
«Scusa» esalò, con un filo di voce.
Scossi la testa. Anche io l’avevo spinto contro il muro prima e gli avevo fatto male, eravamo pari. «Tu scusa.»
Rimase lì di fronte a me per un secondo, boccheggiando in cerca di parole da dire. Poi, come se quel singolo vocabolo gli pesasse, ripeté: «Scusa.»
E corse di nuovo via.
Stavolta, però, fui abbastanza rapido da trattenerlo per un polso.
Non l’avrei lasciato andare di nuovo.
Di nuovo cercò di liberarsi dalla mia stretta, furiosamente. «Ti prego, lasciami andare» mi supplicò, al limite della disperazione.
Volevo piangere. Quanto era giusto trattenerlo contro la sua volontà per il mio egoismo? Cosa dovevo fare? Se non gli avessi detto la verità, se non avessi dato voce al mio silenzio, me ne sarei pentito per il resto della vita. Ma vederlo agitarsi come un animale in gabbia per colpa mia era straziante. Non sapevo cosa fare.
Alla fine, in preda al panico, dissi l’unica cosa che mi venne in mente. «Ascolta me.»
«Non voglio» strepitò.
Insistei, con la voce che mi si spezzava. «Tu ascolta me ora e poi tu può andare per sempre e io e te no vede mai più, ok? Però ascolta, ti pleaso
I suoi movimenti si fecero pian piano più mansueti. Il mio cuore si strinse in una morsa d’acciaio nell’attesa che decidesse cosa fare. Se cerca ancora di scappare, pensai stringendo forte i denti, non lo trattengo oltre.
Invece Marco si girò, facendomi mollare la presa. I suoi occhi, il suo viso, esattamente come la sua voce, erano imploranti. Non capivo, non riuscivo a capire il perché di quell’espressione, o di quell’emozione. Cosa mi stava chiedendo, implicitamente? Avevo perso del tutto la capacità di comprenderlo?
O forse non l’avevo mai avuta?
«Parla» fece, stringendosi nelle braccia e tenendo le distanze. «In fretta.»
D’istinto feci per avvicinarmi, ma mi arrestai. Ero terrorizzato: un gesto inconsulto, una parola di troppo, potevano farlo allontanare da me. Avevo un’unica possibilità per fargli capire cosa sentivo per lui. Non potevo sprecarla. Tic toc, tic toc, il tempo scorreva.
Eppure, per quanto ci provassi, le parole non mi uscivano fuori di bocca. Provai a visualizzarle nella mia mente, ma mi apparvero confuse e tutte sbagliate, come se nessuna di esse fosse adatta.
Marco mi guardava, in attesa. Se avessi detto troppo, se ne sarebbe andato. Se non avessi detto nulla, se ne sarebbe andato.
Mi sentii perso.
Presi un bel fiato e, tremando dall’angoscia, tentai semplicemente di far fuoriuscire la verità che serbavo dentro di me, che avevo tenuta segreta per troppo tempo.
«Io sa che tu è uomo fidanzato ora, e io è felice se tu è felice» cominciai, sincero. «Ma tu mi ha detto che io no tornava se io no ti amava. Io è qui ora, e tu sa perché.»
Scosse la testa.
«Sì che lo sa» riattaccai. «Io ti amo, Marco. Forse tu no ama me più, forse tu pensa che io ha solo sexo da te, ma no è vero. Io ti amava prima e ti amo ora. Sì, io è stato stupido, perché io lasciato qui te, però io ti amo. E poi tu ora è felice no?»
«Felice?» mi interruppe.
Fece una risata, che suonò falsa e stridente alle mie orecchie.
Ecco la mia paura più grande realizzarsi davanti ai miei occhi: Marco non voleva ascoltarmi. Ciò che avevo da dirgli, ciò che avevo nel cuore non gli interessava più. Io non gli interessavo più.
Anzi, peggio, forse non mi amava più.
Avrei dovuto capire che mi aveva dimenticato quando Marta mi aveva detto che stavano insieme, e invece no! Io stupido, illuso, ostinato e malato d’amore avevo sperato invano che le cose potessero tornare come prima. Ero venuto fin lì, con il cuore gonfio di illusioni, da bravo idiota quale ero. Era logico che non mi volesse più, ci sarebbe arrivato chiunque, ma non io. Perché ero uno stupido che non capiva mai quando era il momento di fermarsi, che non capiva quando abbastanza era abbastanza. Mi sentii talmente umiliato.
Marco, però, non aveva ancora finito.
«Felice? Tu non hai la più pallida idea di come io mi sia sentito in questi mesi!» mi urlò praticamente in faccia, facendosi più vicino. Eppure mi era sembrato che volesse tenermi a distanza, poco fa.
«Marco» lo richiamai.
«No! Ora tu mi ascolti» si impose, con il tono di chi non ammette repliche. «Per tutto questo tempo sono stato malissimo. Mi hai capito? Malissimo. Non ho fatto che pensarti e mortificarmi perché mi dicevo sempre che avevi fatto bene a scegliere Andy, perché io non ero alla tua altezza e non avrei fatto altro che rovinarti la vita.»
Non fece che indicarmi mentre parlava, come se mi stesse accusando. Anzi, era proprio ciò che stava facendo. Di fronte alla sua rabbia mi sentii minuscolo, impotente, quasi spaventato da quanto quelle parole fossero vere. Avrei voluto fare qualcosa per calmarlo, ma non sapevo cosa, e ancora una volta mi sentii completamente smarrito. Avevo solo voglia di scoppiare a piangere e implorare il suo perdono per qualunque cosa gli avessi fatto, scioccamente, egoisticamente.

Marco vide le lacrime che si affacciavano dai miei occhi, e seppi che le aveva viste perché fece una pausa prima di continuare a parlare. «Non ho mai saputo che eri venuto in Italia prima di stamattina.»
Mi impietrii e sgranai gli occhi. «Mai?»
Scosse la testa. «Marta me l’ha tenuto nascosto. Ma quando l’ho scoperto sono subito corso in questo vicolo, non so perché ma sapevo che ti avrei trovato qui» un sorriso indugiò sulle sue labbra, prima di spegnersi, come una tremula fiammella. «Mi ero illuso che tutto potesse tornare come prima. Che sciocchezza.»
Abbassai lo sguardo. Non ebbi il coraggio di spiccicare una parola, non ero nemmeno sicuro di voler sapere come continuava quel discorso. Un sapore amaro e pungente mi invase la gola, poi le labbra e salì fino a impregnarmi le narici, fino a giungere ai miei occhi e a farmi piangere, benché non volessi. Presto le lacrime corsero lungo le mie guance. Non volevo, ma come trattenermi?
Mi era mancato, come l’aria che respiravo.
In tutti quei mesi non avevo fatto che desiderarlo. La notte lo avevo cercato al mio fianco, di giorno lo avevo cercato per le strade sperando, chissà, che avesse perdonato tutti i miei sbagli e che fosse venuto per ricominciare. Il vuoto che aveva lasciato nel mio cuore faceva male, era un dolore lancinante che mi impediva di vivere serenamente la mia vita.
Certo, io amavo Andy, lo amavo con tutto il cuore, ma non potevo vivere senza Marco. Con Andy la mia vita era piena, sì.
Ma senza Marco non aveva il benché minimo senso.
«Marco» provai a richiamarlo di nuovo.
Ma lui non ascoltò. Ormai aveva iniziato a parlare e non si sarebbe fermato nemmeno di fronte al mio dolore. Io mi ero forse fermato di fronte al suo quando mi aveva implorato di restare? No, e ora lui era sordo alle mie suppliche.
«Io non voglio che noi torniamo come prima» disse, con fermezza.

Dolore.
Non il dolore invasivo e bruciante di una scottatura.
Non il dolore pulsante e perpetuo di una contusione.
Un dolore sordo, intenso, vuoto fu quello che sentii. Il dolore di un crack, di un cuore che va in frantumi. Il dolore di chi non sente più niente dentro, se non il freddo del nulla.
Mi venne a mancare il fiato, così intensamente e così improvvisamente che tutto intorno a me per un attimo vorticò. Presi una gigantesca boccata d’aria per eliminare quella sensazione di chiusura che provavo alla base della gola e, così facendo, liberai un singhiozzo involontario.
«Perché?» gli chiesi, con un filo di voce.
Non mi importava se mi stavo dimostrando debole, non mi importava se il tempo che stavo spendendo per aggrapparmi a lui con le unghie e con i denti era tempo sprecato.
Io lo amavo da morire, e forse il problema era che non ero capace di rinunciare a lui.
Come lui aveva fatto già da tempo con me.
Sospirò. «Perché non facciamo che ferirci a vicenda, e poi non hai bisogno di me, seriamente. Voglio dire, hai Andy, le tue sorelle, tuo fratello, tua madre, a cosa ti servo io?»
Mi morsi forte il labbro. Non poteva dirlo sul serio, non poteva credere di essere un mero riempitivo nella mia vita.
Scosse la testa e abbassò lo sguardo. «È molto meglio se stiamo lontani.»
«Meglio per chi?» feci a un certo punto, al limite della sopportazione.
«Meglio per te» sbottò.
E mi guardò.
Ci ritrovammo di nuovo occhi negli occhi, i suoi erano pieni di lacrime proprio come i miei, la sua bocca tumida e tremante come la mia. Quel contatto visivo mi penetrò nel profondo ancora una volta. Eravamo talmente simili in quel momento. Uno specchio perfetto.
«Tu non capisci, va bene?» si giustificò. «Ora tu credi di volermi, ma prima o poi ti passerà, vedrai. Lo sai che non porto a niente di buono. Che cosa ho io da darti? Menzogne, sofferenza, una seconda scelta di cui presto o tardi ti stancherai? Non ti conviene, fidati.»
Improvvisamente, sentii le labbra secche e la gola arsa, il fiato che a malapena entrava e usciva. Non potevo crederci: voleva proteggermi da se stesso? Era questo che stava cercando di dirmi? Per questo era scappato?
«Io no mi stanca di te» lo rassicurai.
Alzò gli occhi al cielo. «Sì invece, è già successo.»
Scossi la testa, sempre più forte. No, no, no! Non poteva essere. Se la sua incertezza fosse dipesa da me sarei riuscito a convincerlo, a fargli capire che ero cambiato e che sarei cambiato ancora se solo lui me l’avesse chiesto. Ma era da Marco che dipendeva. Era Marco a sentirsi insicuro di se stesso, di noi. Pensava di non potermi dare felicità, quando invece la mia felicità era lui.
«No è successo» replicai. «Io no mi può stancare mai de te. Io ti amo.»
Emise un gemito frustrato, come se non sopportasse di sentire quelle tre semplici parole e, come faceva sempre quando era agitato, iniziò a straparlare. «Sì invece, ti stancherai e sai che ti dico? Farai bene, e io non potrò mai biasimarti. Io faccio stancare tutti quanti, perché sono uno stupido, un illuso, un tale fallimento che non so fare bene neanche l’amante! Neanche gli amici so scegliermi, visto che Marta mi ha allontanato da te anche quando volevo incontrarti, e ti ha fatto credere che io e lei stavamo insieme anche se non è vero. E io sono talmente patetico che non riesco a smettere di essere innamorato di te neppure volendo anche se ci ho provato per tutti questi fottuti mesi!»
«Marco, stop!» gli urlai.
Rabbrividii.
Era tutto così simile all’ultima volta, eppure totalmente diverso al tempo stesso, tanto da farmi quasi paura. Io ero terrorizzato, Marco vomitava tutti i suoi sentimenti senza riuscire a trattenersi, io avevo una voglia matta di baciarlo.
Stavolta, però, non sarei stato così egoista da pensare soltanto a me e alla mia felicità.
No, stavolta al primo posto avrei messo Marco.
Cercai di registrare tutte quelle informazioni in una volta.
Marco e Marta non stavano insieme per davvero.
Marco mi amava ancora.
Marco non voleva che stessimo insieme perché non si reputava alla mia altezza, anche se sinceramente sentivo che era tutto il contrario. Ero forse io a non essere degno di quell’uomo meraviglioso.

Marco mi ama ancora.
Come un incantesimo, i pezzi del mio cuore si ricomposero tutti in una volta e il mio petto riprese a pulsare forte d’amore per lui. Mi sentii vivo.
Cercai i suoi occhi, ormai traboccanti di lacrime. «Marco, guarda a me.»
Lui agitò le braccia di fronte a sé. «Dimentica quello che ti ho detto, ti prego» farfugliò. «Non ha senso.»
«With you everything makes sense» ribattei.
Non sapevo come si dicesse in italiano, ma era vero. Con lui tutto aveva senso.
Sollevò il capo e, dimentico delle lacrime e della situazione, mi guardò stupefatto.
Non ne ero certo, ma forse avevo ancora una possibilità, non potevo sprecarla.
Forse non era tutto perduto.
Mossi un passo verso Marco, che istintivamente si ritrasse. Mi bloccai.
«Io e te può recomenciare» iniziai a dire, con cautela. «Se tu vuole, io vuole tanto, io ti amo e io ti promesso che io può essere migliore lover... no. No più lover. Io può essere migliore love che prima.»
Fece vigorosamente cenno di no con il capo. «No, te l’ho già detto, non voglio che…»
«Io ti promette che no è come prima» lo interruppi. «Io sta con te più che io può, io ti dice sempre, sempre verità. Ti fa stare bene sempre, ti amo tutti giorni e tu no è seconda scelta mai. Tu è mio senso.»
«Cosa?» chiese, confuso dalla mia ultima affermazione.
Ero un po’ confuso anch’io, ma il cuore mi palpitava così forte da rendermi difficile persino pensare.
«Io vuole dire che» presi un profondo respiro. «Io ti amo, tu me ama, noi vuole stare insieme. È tutto molto chiaro, no c’è niente da capire.» 
Si morsicò le labbra, mi fissò con gli occhi spalancati, sembravano infiniti tanto erano profondi. Passammo non so quanto tempo a fissarci, entrambi in lacrime.
Ora non c’erano trucchi, non c’erano maschere o fraintendimenti.
Eravamo nudi, esposti. Io, lui e i nostri sentimenti. Carte in tavola, ma senza possibilità di barare. Qualunque scelta avremmo fatto, non avremmo potuto dare la colpa a nessuno, né al destino, né agli altri, né agli eventi o a chissà cosa. Io e Marco. Nient’altro.
Ero così in tensione da tremare: le mani, le labbra, le ciglia, le gambe. Ero tutto un intenso ed enorme brivido.
Ero in bilico su uno spuntone di roccia, con Marco.
Potevamo cadere e farci male, sentendo il brivido del volo mano nella mano. Oppure potevamo restare al di qua del limite, del rischio, dell’amore.
Sì. Potevamo, come non potevamo, cadere in amore.
«Ho paura» mi confessò, con voce flebile.
«Anch’io» ammisi.
Marco puntò i suoi occhi in basso, come se si stesse guardando i piedi. Così era, capii nel momento in cui mosse un passo verso di me.
Spalancai la bocca, incredulo. Stava accadendo, non stavo sognando, vero?
Rimasi fermo, immobile, una statua di sale. Avevo il terrore di muovermi e metterlo in fuga, perciò rimasi dov’ero e lasciai che Marco mi raggiungesse.
Alla fine giunse di fronte a me.
I nostri sguardi si incrociarono il tempo di un sospiro.
Poi Marco crollò. Si gettò sul mio petto e si aggrappò letteralmente a me, prendendomi alla sprovvista. Lo fissai, sconcertato dal suo gesto: averlo di nuovo su di me fu una sensazione talmente forte che, mi sembrò incredibile, piansi e risi al tempo stesso. Avvertii i sussulti ritmici delle sue spalle e capii che stava singhiozzando, così lo avvolsi tra le mie braccia e lo strinsi, tanto forte che per un attimo temetti di avergli fatto male.
Esisteva forse una sensazione più bella, appagante, liberatoria?
No. Impossibile.
Affondai il volto nei suoi capelli morbidi e inspirai forte, l’odore chimico e dolciastro del suo shampoo permeò le mie narici. Il suo corpo era caldo e fremeva, come se stessi abbracciando energia in movimento, vita pura che stringevo a me.
Marco parlò tra i singhiozzi, tartagliando come suo solito: «Non lasciarmi più da solo.»
Sorrisi, con il cuore che si faceva talmente leggero da spiccare il volo da sé.
«Mai più amore. Ora è tutto bene.»
Poi lui si sollevò e, meravigliandomi, posò le sue labbra sulle mie con impeto.
Mi sentii improvvisamente vivo. Le sue labbra sapevano di caffè, esattamente come la prima volta, e io le assaporai completamente da cima a fondo. Mi era mancata quella sua bocca famelica dal sapore amaro e al contempo salato, per via di tutte le lacrime versate, e la cosa mi mandò in estasi perché anche la prima volta era così. Mosse le sue labbra freneticamente, mille brividi si spansero su ogni centimetro del mio corpo. Ci baciammo a lungo, come per recuperare il tempo perso. Come avevo fatto a privarmene per tutto quel tempo? Come avevo osato anche solo pensare che avrei potuto farne a meno? Lo sentii sorridere nel bacio, e di riflesso lo feci anch’io.

Ora è tutto bene. Ogni cosa era tornata al suo posto
E ci credevo veramente.
Sarebbe andato tutto bene. E avremmo anche sofferto, questo lo sapevamo benissimo, ma perfino il dolore di una caduta sarebbe parso più dolce insieme a Marco.
Il mio mondo aveva ripreso colore e calore, vita, speranza, gioia.
Il mio mondo aveva ripreso l’amore.
Anzi, aveva di nuovo senso.
 

Yasmine’s POV
 

La vidi prima che lei vedesse me.
I capelli biondo grano, l’incedere taurino, gli occhi gelidi e furenti. Esattamente come me l’aveva descritta Mika.
Le andai incontro sbarrandole la strada. Mi disse qualcosa in italiano, parlandomi duramente, e fece per scansarmi.
«Tu sei miss Marta Donà?» le domandai, in inglese.
Mi fissò come se le avessi chiesto se aveva dei tentacoli al posto delle giunture.
«Sì, sono io» mi rispose. La sua voce era dura e vagamente indolente, come il suo aspetto.
«Sono Yasmine Penniman, piacere» le tesi la mano e lei fece per stringermela, finché non le dissi il cognome. Allora si ritrasse e parve infervorarsi.
«Yasmine Penniman? Cioè, sei la sorella di Mika?»
«Sì, sono io!»
Imprecò. Forse non ero esattamente un asso in italiano, ma sapevo riconoscere un’imprecazione quando la sentivo.
«Stai cercando mio fratello, miss Marta?»
Annuì frettolosamente, evidentemente era una che non perdeva tempo.
Mika mi aveva detto le precise parole da usare nel caso l’avessi incontrata, e io non ne avrei detta né una di più né una di meno.
«Mi ha detto di dirti che lui e Marco sono tornati insieme, che sono molto felici e che niente di quello che tu farai o dirai potrà cambiare qualcosa. E ha aggiunto, e cito testualmente, alla faccia tua
Sgranò gli occhi e fece un’espressione talmente furibonda che mi ricordò mia madre quando scoprì che avevo mollato l’università per iscrivermi a un corso di pittura, disegno e scultura. Qualcosa alla Mostro di Loch Ness.
Lanciò un urlo frustrato. «Cosa significa, che sono tornati insieme?»
«Insieme. Hai presente? Baci, abbracci, tante carezze in parti del corpo che sarebbe molto sconveniente nominare…»
Lanciò un altro urlo, più forte del precedente. Non fosse stata così arrabbiata, mi sarei complimentata per l’estensione da soprano.
«Lei lo sapeva? Li ha visti? Perché non li ha fermati?» cominciò a sparare domande su domande.
La guardai dolcemente. «Perché non sono affari nostri, miss Marta. Ci ho messo un po’ a capirlo, ma alla fine sono giunta alla conclusione che sono due uomini adulti e vaccinati. Che facciano i loro errori, se devono. È la loro vita, no?»
Mi guardò come se volesse prendermi a schiaffi, ma sapevo perfettamente che non l’avrebbe fatto: era pur sempre una signora, per l’amor del cielo.
«Yasmine» iniziò, cercando di mantenere la calma. «Cosa le fa pensare che sia una buona idea lasciare che suo fratello, un uomo fidanzato, vada in giro per il mondo a cercare altri boxer in cui infilarsi?»
Le sorrisi spontaneamente. «Io ritengo che sia giunto il momento.»
«Il momento di cosa?»
«Di farti una vita tua.»
E, detto questo, uscii di scena. Più tardi, avrei scoperto che lei non si era presentata a casa di Marco come avevo sospettato. Che progresso.
 

Mika’s POV
 

L’appartamento di Marco era piccolo e disordinato, lo adoravo.
Eravamo rimasti lì per tutto il giorno, più che altro a parlare di ciò che ci era successo in quei mesi di lontananza. Con il pensiero sempre rivolto l’uno all’altro, avevamo avvertito un comune senso di vuoto, un’amarezza perenne. Avevamo scritto canzoni per consolarci, avevamo ritrovato amicizie che però non avevano sopperito alla mancanza. Avevamo pianto per amore, io forse più di Marco e la cosa lo fece ridere, visto che, disse così, in genere il piagnone della coppia era lui.
A quel punto l’avevo guardato e avevo sorriso. Ci aveva appena definiti una coppia, o avevo sentito male?
Marco era arrossito e, oh, quanto era bello, aveva fatto un sorriso a trentadue denti che mi aveva fatto venir voglia di baciarlo fino allo sfinimento. E così fu.
Parlammo, scherzammo, un paio di volte andammo vicini alle lacrime, ci confortammo a vicenda e ci baciammo, moltissimo. Lo feci ridere e potei nuovamente ascoltare quella risata così sguaiata e verace che mi faceva impazzire e, per un bel po’, non facemmo che stringerci e baciarci, talvolta concedendoci delle carezze dolci e proibite insieme, tali da farci sospirare e desiderare che calasse la notte. Capii che era arrivata soltanto quando il buio divenne così intenso da impedirmi di distinguere i lineamenti del suo volto.
«Vado a accende luce» mi proposi.
Ma Marco mi inchiodò sotto di sé e tornò a torturare le mie labbra e a consumarle di baci, cosicché non ebbi più la forza di respingerlo. Non diceva sempre che per essere perfette, le cose avevano bisogno del buio?
Le sue mani mi toccavano dappertutto, facendomi perdere il senno, dopo un po’ le sentii strofinarsi contro il mio collo e sulle mie guancie, erano gelide e lui cercava dolcemente il mio tepore. Posò le sue labbra sul mio orecchio.
«Sei così caldo» sussurrò, facendomi avvampare.
Non potevo resistere oltre.
Mi sollevai e gli afferrai le mani, poi lo trasportai in camera da letto. Ancora ricordavo dov’era.
Marco si lasciò guidare in modo talmente amabile, finché non inciampò in qualcosa. Non avrei saputo dire cosa, il suo appartamento era tutto un caos. Perse l’equilibrio e fece per cadere, ma fui abbastanza pronto da afferrarlo e tenerlo saldamente tra le mie braccia. Sorrisi, pensando che non era la prima volta.
«Preso.»
Sollevatosi, Marco iniziò a baciarmi, con foga e impeto, finché non arrivammo in camera e lui mi gettò sul materasso. Si mise su di me: la poca luce che filtrava dalle tapparelle mi permise di scorgere il suo viso, le sue mani forti sui miei fianchi esili, il suo sguardo, incerto e innamorato, che scavò dentro di me fino a strapparmi il cuore dal petto. Mi levò la maglia e i pantaloni così velocemente che non ebbi nemmeno il tempo di posare le mani sui suoi indumenti, che mi premurai di sfilare con tutta calma dopo che lui ebbe spogliato me. Poi passai ai boxer, che calai facendo attenzione a percorrere le sue gambe con le dita. Lo sentii gemere e pensai che un suono più eccitante non fosse mai esistito. Quando fu lui a levarmeli, per poco non me li strappò via di dosso.
Tra poco saremmo stati di nuovo una cosa sola, e il mio intero corpo era in tensione all’idea. C’era qualcosa di speciale quella notte, qualcosa che non saremmo mai stati capaci di replicare. Me lo sentivo.
Mi preparò frettolosamente, tanta era la smania che avevamo. Poi mi guardò, come per pormi una domanda. L’ultima volta che avevamo fatto l’amore in quel modo mi aveva fatto male ed era terrorizzato al pensiero di farlo ancora, ma io annuii in risposta: mi fidavo di lui.
Così Marco entrò dentro di me.
Il dolore era penetrante, ma fu ben poca cosa se paragonato al piacere. Non era affatto come l’ultima volta. Mi diede giusto il tempo di abituarmi alla sua presenza, e subito iniziò a spingersi nelle mie carni, incollando le sue labbra alle mie.
Fu pura vertigine che fece vorticare ogni cosa intorno a me, fin da subito cominciai a gemere e a stringere forte quelle braccia, che a loro volta strinsero forte me.
Dov’era finito il mio Marco dolce e impacciato?
I suoi movimenti erano selvaggi, forti, impetuosi. Boccheggiai, facendo separare le nostre labbra, e lui ne approfittò per scendere sul mio collo e prendere a leccarlo vigorosamente. Lanciai un piccolo urlo. Era una sensazione estrema: ero totalmente in balia del suo volere, del suo istinto animale. Quello era il suo modo di fare l’amore. E mi inebriava.
Si avvicinò fino a far aderire i nostri petti, le sue mani scesero a esplorarmi con frenesia le cosce e i glutei. Marco non si preoccupava di essere eccessivo o volgare, e non lo era. Era passionale come non avrei mai immaginato potesse essere. Il suo corpo da freddo divenne caldo, quasi bollente, ben presto mi ritrovai circondato da lui: confortato ed eccitato insieme, non mi era mai accaduto prima.
Iniziò a gemere dolcemente il mio nome. Il mio nome completo, mi chiamò Michael. Sulle sue labbra, divenne pura melodia. Mi sollevai fino a baciare la sua spalla e la sua clavicola e lo sentii tremare e fremere su di me.
Volevo parlare, dirgli qualcosa, ma ero talmente preso dal piacere che non riuscii a non urlare, ancora e ancora, la mia bocca era piena del suo nome come le mie narici lo erano dell’odore naturale della sua pelle, così forte e virile da stordirmi. Quello che aveva impregnato le mie coperte fino all’ultimo secondo del nostro passato.
Quando alla fine si spinse dentro di me, facendomi venire con un urlo violento, e gli graffiai la pelle nell’estasi dell’orgasmo, mi accasciai sul letto, madido di sudore.
Ripresi fiato qualche secondo, mentre ancora Marco cercava di arrivare al culmine a sua volta. Quando ciò avvenne e lui si riversò caldo dentro di me, gli presi il volto tra le mani costringendolo a guardarmi, i suoi occhi puntati su di me erano così belli. Quelli non erano cambiati di una virgola.
«Tu può chiamare Mika» ansimai, rivolgendogli un sorriso.
Ricambiò. Da quando eravamo tornati a casa sua, non aveva fatto altro che sorridere e il mio cuore era sul punto di scoppiare. Quanto era bello. Quanto lo amavo.
«Mi piace chiamarti Michael» sollevò le spalle. «Ormai ci ho fatto l’abitudine.»
Semplice. Con Marco era tutto così semplice, e al tempo stesso così complicato. Delle folli montagne russe, questo era l’amore con lui.
Marco si distese sul letto. Immediatamente poggiai la mia testa sul suo petto e lui mi avvolse tra le sue braccia così confortanti. Sapeva quanto adorassi stare in quel modo.
«Io ricorda ancora prima volta che tu chiamato Michael» tracciai dei cerchi sul suo petto.
«Davvero?»
Annuii. «Tu ha detto così piano, come se è cosa segreta mio nome.»
«Mi sentivo speciale, sai?» posò le sue labbra sulla mia fronte. «Come se io fossi l’unico amico che avevi sulla faccia della terra, l’unico che poteva chiamarti così.»
Mi sollevai e gli schioccai un bacio. «Io ti amo, Marco.»
«Anche io ti amo.»
Restammo in quel modo per un po’, ero quasi sul punto di addormentarmi, pago e sfinito, nella piena orgia dei sensi, ma tenuto sveglio dai ricordi.
L’odore di Marco, il nostro stare occhi negli occhi, il sapore delle sue labbra… tante cose di quel giorno mi avevano portato indietro nel tempo. Era come se avessimo ripercorso la nostra storia d’amore, negli insignificanti particolari che l’avevano composta. Dal momento in cui ci eravamo innamorati a prima vista fino a quando il suo odore era scivolato via dalla mia pelle, avevamo e avremmo rivissuto tutto.
Perché noi eravamo questo. Vivevamo di piccoli istanti e brevi momenti che parevano senza senso, tanto erano piccoli e apparentemente senza importanza. Eppure per noi ce l’avevano, un senso. Noi eravamo in quello sguardo d’intesa, in quella parola detta sottovoce ed eravamo in quell’aroma di caffè. Eravamo nel dolore più intenso, nel profumo più forte e nella caduta che ci aveva colti di sorpresa. Eravamo nelle notti statiche, il gelo nelle mani e il calore sulle guance. Eravamo noi in ogni cosa, eravamo vita. Eravamo amore.

E questo non aveva mai avuto senso per nessuno. Per nessuno tranne che per noi.

Ma ora, ora eravamo pronti a ricominciare. Nuovi sapori, nuovi dolori, nuovi sguardi, nuove sensazioni. Nuovi futuri.
Potevamo farlo. E stavolta Marco non sarebbe stata la mia seconda scelta, né la prima: Marco sarebbe stata la mia scelta, l’unica possibile. Avrei scelto l’amore.
Perché con lui, l’amore aveva senso. Anzi, con lui l’amore era un senso.
«Michael?» mi chiamò dopo un po’.
Mugugnai, aveva interrotto il filo dei miei pensieri. «Sì?»
«Se tu fossi un guerriero, per cosa lotteresti?»
Aggrottai la fronte: era una domanda bizzarra. Che idee si faceva venire in mente quel matto, in piena notte, dopo aver fatto l’amore?
Il mio Marco poteva avere un aspetto diverso, una diversa attitudine, poteva fare ciò che voleva. Ma restava sempre il solito, piccolo, adorabile sciocco di cui sarei sempre stato pazzamente innamorato.
«Io lotterei per amore» risposi, senza esitazione.
Annuì, parve soddisfatto.
«Già» rispose, e prese ad accarezzarmi i capelli.
Quel movimento ritmico, il suo respiro regolare, mi cullarono fino a condurmi dolcemente nel mondo dei sogni. Anche Marco, a modo suo, era la mia casa, il mio rifugio, il mio sempre che mi faceva sentire al sicuro. Io amo quest’uomo.
«Per amore» udii prima di addormentarmi. «Piace anche a me.»

 

 

 

La soffitta dell’autrice:
L’ultima soffitta dell’autrice.
Già, ABBIAMO FINITO GENTE! Scusate il mio ritardo di quasi un mese, ma ho dovuto riscrivere il capitolo tre volte perché volevo che fosse perfetto, e tra le vacanze, la scuola, un’influenza da manuale e altre varietà… oh beh, l’importante è che sia finita.
Ho iniziato questa fanfic all’incirca quattro o cinque mesi fa, con il terrore che non avrei avuto la costanza di continuare. Invece ce l’ho fatta, e sono abbastanza orgogliosa di me stessa.
Il mondo ha bisogno dei Mirco.
Ringrazio i miei recensori più fedeli: _Lollipop_96; ayumi_L; xtizianosveins; Life In Fangirl Motion; Michaels e tutti coloro che hanno recensito a tratti. Vi voglio bene.
Grazie a chi l’ha messa tra le seguite, tra i preferiti e chi più ne ha più ne metta.
Infine, il grazie più grande va alla mia favolosa beta la mia comeunangeloallinferno94. Sei un marshmallow

Quindi, alla prossima fanfic. Vi adoro tutti. Baci

  
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