Sen•so [Il
senso è la
facoltà di
"sentire", cioè di percepire l'azione di oggetti interni al
corpo o
esterni ad esso. È la consapevolezza di
ciò che avviene sentendo.]
Mika’s POV
Un infarto,
fu la prima cosa che pensai in quel momento.
C’erano tutti i segnali: il
mio cuore perse un battito, il fiato mi venne a mancare e mi sentii
improvvisamente stordito. Ma sapevo benissimo che quei sintomi non
erano
causati da un qualche malfunzionamento all’interno del mio
corpo, no.
Avevo appena guardato di
fronte a me.
E avevo visto Marco.
Accanto a mia sorella
Yasmine.
Non ebbi neanche il tempo di
chiedermi cosa ci facesse con mia sorella, o di valutare
l’opzione che la mia
reazione fosse dovuta a una causa diversa dall’arresto
cardiaco, che io e Marco
ci ritrovammo a fissarci. Occhi negli occhi, potenti come uno sparo
dritto al
cuore che mi mozzò il respiro. E poi,
all’improvviso, lui scappò. Proprio
così,
scappò via.
E io mi ritrovai seduto, a
fissare il vuoto, paralizzato dallo shock. Non ero preparato, mi aveva
colto
alla sprovvista. Il mio cervello mandava impulsi al mio corpo,
implorava il mio
cuore già provato di alzarmi e andargli dietro.
Dopo un attimo che parve
infinito, mi lanciai al suo inseguimento.
Non ebbi che quel breve
istante per riflettere che subito mi ritrovai, ancora una volta, a
misurare a
grandi passi le strade di quel vicoletto freddo e isolato che conoscevo
fin
troppo bene. Nella mia mente, una litania persistente ripeteva il suo
nome. Marco, Marco, Marco. Ti prego, pensai, fa
che riesca a raggiungerlo.
Annaspai nel bisogno di
arrivare a lui, di poterlo toccare, faceva quasi male quanto lo
desiderassi, e
il mio petto, il mio petto era in piena esplosione, uno scoppio
continuo che
presto si propagò fino ai miei occhi, così che un
velo di lacrime li ricoprì.
Qualcosa mi diceva che non
avrei dovuto rincorrerlo. Stava scappando, probabilmente da me, e il
solo
pensiero mi straziò il cuore. Per un secondo comandai alle
mie gambe di cedere,
ma non ne vollero sapere di fermarsi, perché non era
ciò che volevo in realtà:
l’avrei rincorso fino in capo al mondo pur di poterlo
rivedere anche solo per
un istante, per riuscire a dirgli tutto ciò che non ero mai
stato capace di
confessargli.
Dovevo. Ne avevo talmente
bisogno da star male. Non ce la facevo più.
Corsi ancora, mi spinsi ben
oltre i miei limiti, finché non mi ritrovai la gola secca,
la vista appannata e
i muscoli irrigiditi dallo sforzo. Il mio petto bruciava e implorava
aria.
Fu allora che lo raggiunsi.
Mi allungai il più possibile,
fino a toccare la stoffa ruvida e morbida della sua giacca e, non
appena l’ebbi
a portata di mano, la strattonai verso di me. Colto di sorpresa, Marco
non poté
evitare di farsi trascinare all’indietro, allora lo presi per
un braccio e lo
inchiodai al muro.
Gli
sfuggì un urlo, forse di sorpresa, o forse di dolore. Mi
sentii morire nel
timore di avergli fatto male, di essere stato troppo violento.
«Marco,
sta bene?» gli chiesi senza pensare, tanto ero spaventato.
Neanche mi rispose, si
limitò
a dimenarsi e a cercare di sfuggire alla mia presa.
«Lasciami.»
«No Marco, aspetta, io …»
«Ti ho detto di lasciarmi!»
strillò, furioso. Tentai di far incrociare di nuovo i nostri
sguardi, ma i suoi
occhi continuavano a fuggire da parte a parte. Il pensiero che potesse
non
sopportare la mia vista mi inferse una stilettata in pieno petto, ma
non
demorsi. Non potevo.
Finalmente Marco era lì,
davanti a me, dopo tutto quel tempo passato a sperare di rincontrarlo,
era
accaduto. La gioia e il dolore si contendevano il posto nel mio fragile
cuore,
che sentii pronto a spezzarsi da un momento all’altro.
«Aspetta, please»
provai a convincerlo.
Sembrò che gli avessi detto
di andare al diavolo.
Sollevò la testa di scatto,
riuscendo a divincolarsi, premette le mani sul mio petto e mi
spintonò con
forza, ringhiando: «Vattene.»
Arretrai involontariamente di
qualche passo e per un istante vacillai pericolosamente, prima di
riprendere
prontamente l’equilibrio.
Sotto i miei occhi, Marco
cambiò repentinamente: mi guardò e tese
automaticamente la mano per arrestare
la mia caduta. Quando però si rese conto di ciò
che stava facendo, ossia
cercare di aiutarmi, si ritrasse all’improvviso e
trasalì, come se si fosse
appena scottato.
Inutile dirlo, comprendevo
appieno quella sensazione.
Ciononostante, mi risentii e
non poco. Il petto ancora mi doleva per la violenza di quel gesto, e
non mi
riferivo soltanto alla spinta. Il fatto di volermi allontanare in tutti
i modi,
anche a costo di farmi male, non era un gesto da Marco.
Era cambiato, e non ci voleva
certo un genio per capirlo. Il Marco che conoscevo non avrebbe mai
fatto una
cosa del genere, neanche contro la persona che odiava di più
al mondo.
Mi venne da piangere. Quanto
avevo sperato in quel momento? Quante volte mi ero ritrovato a
sognarlo, nella veglia
così come nel sonno? Nella mia immaginazione, lui era felice
di rivedermi, ma
nella realtà i suoi occhi erano vacui e timorosi, come se
avesse paura di
qualcosa. E non voleva neanche che io lo toccassi. Gli facevo schifo.
«Scusa» esalò, con un filo di
voce.
Scossi la testa. Anche io
l’avevo spinto contro il muro prima e gli avevo fatto male,
eravamo pari. «Tu
scusa.»
Rimase lì di fronte a me per
un secondo, boccheggiando in cerca di parole da dire. Poi, come se quel
singolo
vocabolo gli pesasse, ripeté: «Scusa.»
E corse di nuovo via.
Stavolta, però, fui
abbastanza rapido da trattenerlo per un polso.
Non l’avrei lasciato andare
di nuovo.
Di nuovo cercò di liberarsi
dalla mia stretta, furiosamente. «Ti prego, lasciami
andare» mi supplicò, al
limite della disperazione.
Volevo piangere. Quanto era
giusto trattenerlo contro la sua volontà per il mio egoismo?
Cosa dovevo fare?
Se non gli avessi detto la verità, se non avessi dato voce
al mio silenzio, me
ne sarei pentito per il resto della vita. Ma vederlo agitarsi come un
animale
in gabbia per colpa mia era straziante. Non sapevo cosa fare.
Alla fine, in preda al
panico, dissi l’unica cosa che mi venne in mente.
«Ascolta me.»
«Non voglio» strepitò.
Insistei, con la voce che mi
si spezzava. «Tu ascolta me ora e poi tu può
andare per sempre e io e te no
vede mai più, ok? Però ascolta, ti pleaso.»
I suoi movimenti si fecero
pian piano più mansueti. Il mio cuore si strinse in una
morsa d’acciaio nell’attesa
che decidesse cosa fare. Se cerca ancora
di scappare, pensai stringendo forte i denti, non
lo trattengo oltre.
Invece Marco si girò,
facendomi mollare la presa. I suoi occhi, il suo viso, esattamente come
la sua
voce, erano imploranti. Non capivo, non riuscivo a capire il
perché di
quell’espressione, o di quell’emozione. Cosa mi
stava chiedendo,
implicitamente? Avevo perso del tutto la capacità di
comprenderlo?
O forse non l’avevo mai
avuta?
«Parla» fece, stringendosi
nelle braccia e tenendo le distanze. «In fretta.»
D’istinto feci per
avvicinarmi, ma mi arrestai. Ero terrorizzato: un gesto inconsulto, una
parola
di troppo, potevano farlo allontanare da me. Avevo un’unica
possibilità per
fargli capire cosa sentivo per lui. Non potevo sprecarla. Tic toc, tic toc, il tempo scorreva.
Eppure, per quanto ci
provassi, le parole non mi uscivano fuori di bocca. Provai a
visualizzarle
nella mia mente, ma mi apparvero confuse e tutte sbagliate, come se
nessuna di
esse fosse adatta.
Marco mi guardava, in attesa.
Se avessi detto troppo, se ne sarebbe andato. Se non avessi detto
nulla, se ne
sarebbe andato.
Mi sentii perso.
Presi un bel fiato e,
tremando dall’angoscia, tentai semplicemente di far
fuoriuscire la verità che
serbavo dentro di me, che avevo tenuta segreta per troppo tempo.
«Io sa che tu è uomo
fidanzato ora, e io è felice se tu è
felice» cominciai, sincero. «Ma tu mi ha
detto che io no tornava se io no ti amava. Io è qui ora, e
tu sa perché.»
Scosse la testa.
«Sì che lo sa» riattaccai. «Io
ti amo, Marco. Forse tu no ama me più, forse tu pensa che io
ha solo sexo da
te, ma no è vero. Io ti amava prima e ti amo ora.
Sì, io è stato stupido,
perché io lasciato qui te, però io ti amo. E poi
tu ora è felice no?»
«Felice?» mi interruppe.
Fece una risata, che suonò
falsa e stridente alle mie orecchie.
Ecco la mia paura più grande
realizzarsi davanti ai miei occhi: Marco non voleva ascoltarmi.
Ciò che avevo
da dirgli, ciò che avevo nel cuore non gli interessava
più. Io non gli
interessavo più.
Anzi, peggio, forse non mi
amava più.
Avrei dovuto capire che mi
aveva dimenticato quando Marta mi aveva detto che stavano insieme, e
invece no!
Io stupido, illuso, ostinato e malato d’amore avevo sperato
invano che le cose
potessero tornare come prima. Ero venuto fin lì, con il
cuore gonfio di
illusioni, da bravo idiota quale ero. Era logico che non mi volesse
più, ci
sarebbe arrivato chiunque, ma non io. Perché ero uno stupido
che non capiva mai
quando era il momento di fermarsi, che non capiva quando abbastanza era
abbastanza.
Mi sentii talmente umiliato.
Marco, però, non aveva ancora
finito.
«Felice? Tu non hai la più
pallida idea di come io mi sia sentito in questi mesi!» mi
urlò praticamente in
faccia, facendosi più vicino. Eppure mi era sembrato che
volesse tenermi a
distanza, poco fa.
«Marco» lo richiamai.
«No! Ora tu mi ascolti» si
impose, con il tono di chi non ammette repliche. «Per tutto
questo tempo sono
stato malissimo. Mi hai capito? Malissimo. Non ho fatto che pensarti e
mortificarmi perché mi dicevo sempre che avevi fatto bene a
scegliere Andy,
perché io non ero alla tua altezza e non avrei fatto altro
che rovinarti la
vita.»
Non fece che indicarmi mentre
parlava, come se mi stesse accusando. Anzi, era proprio ciò
che stava facendo.
Di fronte alla sua rabbia mi sentii minuscolo, impotente, quasi
spaventato da
quanto quelle parole fossero vere. Avrei voluto fare qualcosa per
calmarlo, ma
non sapevo cosa, e ancora una volta mi sentii completamente smarrito.
Avevo
solo voglia di scoppiare a piangere e implorare il suo perdono per
qualunque
cosa gli avessi fatto, scioccamente, egoisticamente.
Marco
vide le lacrime che si affacciavano dai miei occhi, e seppi che le
aveva viste
perché fece una pausa prima di continuare a parlare.
«Non ho mai saputo che eri
venuto in Italia prima di stamattina.»
Mi
impietrii e sgranai gli occhi. «Mai?»
Scosse
la testa. «Marta me l’ha tenuto nascosto. Ma quando
l’ho scoperto sono subito
corso in questo vicolo, non so perché ma sapevo che ti avrei
trovato qui» un
sorriso indugiò sulle sue labbra, prima di spegnersi, come
una tremula
fiammella. «Mi ero illuso che tutto potesse tornare come
prima. Che sciocchezza.»
Abbassai
lo sguardo. Non ebbi il coraggio di spiccicare una parola, non ero
nemmeno
sicuro di voler sapere come continuava quel discorso. Un sapore amaro e
pungente mi invase la gola, poi le labbra e salì fino a
impregnarmi le narici,
fino a giungere ai miei occhi e a farmi piangere, benché non
volessi. Presto le
lacrime corsero lungo le mie guance. Non volevo, ma come trattenermi?
Mi
era mancato, come l’aria che respiravo.
In
tutti quei mesi non avevo fatto che desiderarlo. La notte lo avevo
cercato al
mio fianco, di giorno lo avevo cercato per le strade sperando,
chissà, che
avesse perdonato tutti i miei sbagli e che fosse venuto per
ricominciare. Il
vuoto che aveva lasciato nel mio cuore faceva male, era un dolore
lancinante
che mi impediva di vivere serenamente la mia vita.
Certo,
io amavo Andy, lo amavo con tutto il cuore, ma non potevo vivere senza
Marco.
Con Andy la mia vita era piena, sì.
Ma
senza Marco non aveva il benché minimo senso.
«Marco»
provai a richiamarlo di nuovo.
Ma
lui non ascoltò. Ormai aveva iniziato a parlare e non si
sarebbe fermato
nemmeno di fronte al mio dolore. Io mi ero forse fermato di fronte al
suo quando
mi aveva implorato di restare? No, e ora lui era sordo alle mie
suppliche.
«Io
non voglio che noi torniamo come prima» disse, con fermezza.
Dolore.
Non
il dolore invasivo e bruciante di una scottatura.
Non
il dolore pulsante e perpetuo di una contusione.
Un
dolore sordo, intenso, vuoto fu quello che sentii. Il dolore di un crack, di un cuore che va in frantumi.
Il dolore di chi non sente più niente dentro, se non il
freddo del nulla.
Mi
venne a mancare il fiato, così intensamente e
così improvvisamente che tutto
intorno a me per un attimo vorticò. Presi una gigantesca
boccata d’aria per
eliminare quella sensazione di chiusura che provavo alla base della
gola e,
così facendo, liberai un singhiozzo involontario.
«Perché?»
gli chiesi, con un filo di voce.
Non
mi importava se mi stavo dimostrando debole, non mi importava se il
tempo che
stavo spendendo per aggrapparmi a lui con le unghie e con i denti era
tempo
sprecato.
Io
lo amavo da morire, e forse il problema era che non ero capace di
rinunciare a
lui.
Come
lui aveva fatto già da tempo con me.
Sospirò.
«Perché non facciamo che ferirci a vicenda, e poi
non hai bisogno di me,
seriamente. Voglio dire, hai Andy, le tue sorelle, tuo fratello, tua
madre, a
cosa ti servo io?»
Mi
morsi forte il labbro. Non poteva dirlo sul serio, non poteva credere
di essere
un mero riempitivo nella mia vita.
Scosse
la testa e abbassò lo sguardo. «È molto
meglio se stiamo lontani.»
«Meglio
per chi?» feci a un certo punto, al limite della
sopportazione.
«Meglio
per te» sbottò.
E
mi guardò.
Ci
ritrovammo di nuovo occhi negli occhi, i suoi erano pieni di lacrime
proprio
come i miei, la sua bocca tumida e tremante come la mia. Quel contatto
visivo
mi penetrò nel profondo ancora una volta. Eravamo talmente
simili in quel
momento. Uno specchio perfetto.
«Tu
non capisci, va bene?» si giustificò.
«Ora tu credi di volermi, ma prima o poi
ti passerà, vedrai. Lo sai che non porto a niente di buono.
Che cosa ho io da
darti? Menzogne, sofferenza, una seconda scelta di cui presto o tardi
ti stancherai?
Non ti conviene, fidati.»
Improvvisamente,
sentii le labbra secche e la gola arsa, il fiato che a malapena entrava
e
usciva. Non potevo crederci: voleva proteggermi da se stesso? Era
questo che
stava cercando di dirmi? Per questo era scappato?
«Io
no mi stanca di te» lo rassicurai.
Alzò
gli occhi al cielo. «Sì invece, è
già successo.»
Scossi
la testa, sempre più forte. No, no, no! Non poteva essere.
Se la sua incertezza
fosse dipesa da me sarei riuscito a convincerlo, a fargli capire che
ero cambiato
e che sarei cambiato ancora se solo lui me l’avesse chiesto.
Ma era da Marco
che dipendeva. Era Marco a sentirsi insicuro di se stesso, di noi.
Pensava di
non potermi dare felicità, quando invece la mia
felicità era lui.
«No
è successo» replicai. «Io no mi
può stancare mai de te. Io ti amo.»
Emise
un gemito frustrato, come se non sopportasse di sentire quelle tre
semplici
parole e, come faceva sempre quando era agitato, iniziò a
straparlare. «Sì
invece, ti stancherai e sai che ti dico? Farai bene, e io non
potrò mai
biasimarti. Io faccio stancare tutti quanti, perché sono uno
stupido, un
illuso, un tale fallimento che non so fare bene neanche
l’amante! Neanche gli
amici so scegliermi, visto che Marta mi ha allontanato da te anche
quando
volevo incontrarti, e ti ha fatto credere che io e lei stavamo insieme
anche se
non è vero. E io sono talmente patetico che non riesco a
smettere di essere
innamorato di te neppure volendo anche se ci ho provato per tutti
questi
fottuti mesi!»
«Marco,
stop!» gli urlai.
Rabbrividii.
Era tutto così simile all’ultima volta, eppure
totalmente diverso al tempo
stesso, tanto da farmi quasi paura. Io ero terrorizzato, Marco vomitava
tutti i
suoi sentimenti senza riuscire a trattenersi, io avevo una voglia matta
di
baciarlo.
Stavolta,
però, non sarei stato così egoista da pensare
soltanto a me e alla mia
felicità.
No,
stavolta al primo posto avrei messo Marco.
Cercai
di registrare tutte quelle informazioni in una volta.
Marco
e Marta non stavano insieme per davvero.
Marco
mi amava ancora.
Marco
non voleva che stessimo insieme perché non si reputava alla
mia altezza, anche
se sinceramente sentivo che era tutto il contrario. Ero forse io a non
essere
degno di quell’uomo meraviglioso.
Marco
mi ama ancora.
Come
un incantesimo, i pezzi del mio cuore si ricomposero tutti in una volta
e il
mio petto riprese a pulsare forte d’amore per lui. Mi sentii
vivo.
Cercai
i suoi occhi, ormai traboccanti di lacrime. «Marco, guarda a
me.»
Lui
agitò le braccia di fronte a sé.
«Dimentica quello che ti ho detto, ti prego»
farfugliò. «Non ha senso.»
«With
you everything makes sense» ribattei.
Non
sapevo come si dicesse in italiano, ma era vero. Con lui tutto aveva
senso.
Sollevò
il capo e, dimentico delle lacrime e della situazione, mi
guardò stupefatto.
Non
ne ero certo, ma forse avevo ancora una possibilità, non
potevo sprecarla.
Forse
non era tutto perduto.
Mossi
un passo verso Marco, che istintivamente si ritrasse. Mi bloccai.
«Io
e te può recomenciare» iniziai a dire, con
cautela. «Se tu vuole, io vuole tanto,
io ti amo e io ti promesso che io può essere migliore lover... no. No più lover.
Io può essere migliore love
che
prima.»
Fece
vigorosamente cenno di no con il capo. «No, te l’ho
già detto, non voglio che…»
«Io
ti promette che no è come prima» lo interruppi.
«Io sta con te più che io può,
io ti dice sempre, sempre verità. Ti fa stare bene sempre,
ti amo tutti giorni
e tu no è seconda scelta mai. Tu è mio
senso.»
«Cosa?»
chiese, confuso dalla mia ultima affermazione.
Ero
un po’ confuso anch’io, ma il cuore mi palpitava
così forte da rendermi
difficile persino pensare.
«Io
vuole dire che» presi un profondo respiro. «Io ti
amo, tu me ama, noi vuole
stare insieme. È tutto molto chiaro, no
c’è niente da capire.»
Si
morsicò le labbra, mi fissò con gli occhi
spalancati, sembravano infiniti tanto
erano profondi. Passammo non so quanto tempo a fissarci, entrambi in
lacrime.
Ora
non c’erano trucchi, non c’erano maschere o
fraintendimenti.
Eravamo
nudi, esposti. Io, lui e i nostri sentimenti. Carte in tavola, ma senza
possibilità di barare. Qualunque scelta avremmo fatto, non
avremmo potuto dare
la colpa a nessuno, né al destino, né agli altri,
né agli eventi o a chissà
cosa. Io e Marco. Nient’altro.
Ero
così in tensione da tremare: le mani, le labbra, le ciglia,
le gambe. Ero tutto
un intenso ed enorme brivido.
Ero
in bilico su uno spuntone di roccia, con Marco.
Potevamo
cadere e farci male, sentendo il brivido del volo mano nella mano.
Oppure potevamo
restare al di qua del limite, del rischio, dell’amore.
Sì.
Potevamo, come non potevamo, cadere in amore.
«Ho
paura» mi confessò, con voce flebile.
«Anch’io»
ammisi.
Marco
puntò i suoi occhi in basso, come se si stesse guardando i
piedi. Così era,
capii nel momento in cui mosse un passo verso di me.
Spalancai
la bocca, incredulo. Stava accadendo, non stavo sognando, vero?
Rimasi
fermo, immobile, una statua di sale. Avevo il terrore di muovermi e
metterlo in
fuga, perciò rimasi dov’ero e lasciai che Marco mi
raggiungesse.
Alla
fine giunse di fronte a me.
I
nostri sguardi si incrociarono il tempo di un sospiro.
Poi
Marco crollò. Si gettò sul mio petto e si
aggrappò letteralmente a me,
prendendomi alla sprovvista. Lo fissai, sconcertato dal suo gesto:
averlo di
nuovo su di me fu una sensazione talmente forte che, mi
sembrò incredibile,
piansi e risi al tempo stesso. Avvertii i sussulti ritmici delle sue
spalle e
capii che stava singhiozzando, così lo avvolsi tra le mie
braccia e lo strinsi,
tanto forte che per un attimo temetti di avergli fatto male.
Esisteva
forse una sensazione più bella, appagante, liberatoria?
No.
Impossibile.
Affondai
il volto nei suoi capelli morbidi e inspirai forte, l’odore
chimico e dolciastro
del suo shampoo permeò le mie narici. Il suo corpo era caldo
e fremeva, come se
stessi abbracciando energia in movimento, vita pura che stringevo a me.
Marco
parlò tra i singhiozzi, tartagliando come suo solito:
«Non lasciarmi più da
solo.»
Sorrisi,
con il cuore che si faceva talmente leggero da spiccare il volo da
sé.
«Mai
più amore. Ora è tutto bene.»
Poi
lui si sollevò e, meravigliandomi, posò le sue
labbra sulle mie con impeto.
Mi
sentii improvvisamente vivo. Le sue labbra sapevano di
caffè, esattamente come
la prima volta, e io le assaporai completamente da cima a fondo. Mi era
mancata
quella sua bocca famelica dal sapore amaro e al contempo salato, per
via di
tutte le lacrime versate, e la cosa mi mandò in estasi
perché anche la prima
volta era così. Mosse le sue labbra freneticamente, mille
brividi si spansero
su ogni centimetro del mio corpo. Ci baciammo a lungo, come per
recuperare il
tempo perso. Come avevo fatto a privarmene per tutto quel tempo? Come
avevo
osato anche solo pensare che avrei potuto farne a meno? Lo sentii
sorridere nel
bacio, e di riflesso lo feci anch’io.
Ora
è tutto bene.
Ogni cosa era tornata
al suo posto
E
ci credevo veramente.
Sarebbe
andato tutto bene. E avremmo anche sofferto, questo lo sapevamo
benissimo, ma
perfino il dolore di una caduta sarebbe parso più dolce
insieme a Marco.
Il
mio mondo aveva ripreso colore e calore, vita, speranza, gioia.
Il
mio mondo aveva ripreso l’amore.
Anzi,
aveva di nuovo senso.
Yasmine’s
POV
La
vidi prima che lei vedesse me.
I
capelli biondo grano, l’incedere taurino, gli occhi gelidi e
furenti.
Esattamente come me l’aveva descritta Mika.
Le
andai incontro sbarrandole la strada. Mi disse qualcosa in italiano,
parlandomi
duramente, e fece per scansarmi.
«Tu
sei miss Marta Donà?» le domandai, in inglese.
Mi
fissò come se le avessi chiesto se aveva dei tentacoli al
posto delle giunture.
«Sì,
sono io» mi rispose. La sua voce era dura e vagamente
indolente, come il suo aspetto.
«Sono Yasmine Penniman,
piacere» le tesi la mano e lei fece per
stringermela, finché non le dissi il cognome. Allora si
ritrasse e parve
infervorarsi.
«Yasmine
Penniman? Cioè, sei la sorella di Mika?»
«Sì,
sono io!»
Imprecò.
Forse non ero esattamente un asso in italiano, ma sapevo riconoscere
un’imprecazione quando la sentivo.
«Stai
cercando mio fratello, miss Marta?»
Annuì
frettolosamente, evidentemente era una che non perdeva tempo.
Mika
mi aveva detto le precise parole da usare nel caso l’avessi
incontrata, e io
non ne avrei detta né una di più né
una di meno.
«Mi
ha detto di dirti che lui e Marco sono tornati insieme, che sono molto
felici e
che niente di quello che tu farai o dirai potrà cambiare
qualcosa. E ha
aggiunto, e cito testualmente, alla
faccia tua.»
Sgranò
gli occhi e fece un’espressione talmente furibonda che mi
ricordò mia madre
quando scoprì che avevo mollato
l’università per iscrivermi a un corso di
pittura, disegno e scultura. Qualcosa alla Mostro di Loch Ness.
Lanciò
un urlo frustrato. «Cosa significa, che sono tornati
insieme?»
«Insieme.
Hai presente? Baci, abbracci, tante carezze in parti del corpo che
sarebbe
molto sconveniente nominare…»
Lanciò
un altro urlo, più forte del precedente. Non fosse stata
così arrabbiata, mi
sarei complimentata per l’estensione da soprano.
«Lei
lo sapeva? Li ha visti? Perché non li ha fermati?»
cominciò a sparare domande
su domande.
La
guardai dolcemente. «Perché non sono affari
nostri, miss Marta. Ci ho messo un
po’ a capirlo, ma alla fine sono giunta alla conclusione che
sono due uomini
adulti e vaccinati. Che facciano i loro errori, se devono. È
la loro vita, no?»
Mi
guardò come se volesse prendermi a schiaffi, ma sapevo
perfettamente che non
l’avrebbe fatto: era pur sempre una signora, per
l’amor del cielo.
«Yasmine»
iniziò, cercando di mantenere la calma. «Cosa le
fa pensare che sia una buona
idea lasciare che suo fratello, un uomo fidanzato, vada in giro per il
mondo a
cercare altri boxer in cui infilarsi?»
Le
sorrisi spontaneamente. «Io ritengo che sia giunto il
momento.»
«Il
momento di cosa?»
«Di
farti una vita tua.»
E,
detto questo, uscii di scena. Più tardi, avrei scoperto che
lei non si era presentata a casa di Marco come avevo sospettato. Che
progresso.
Mika’s
POV
L’appartamento
di Marco era piccolo e disordinato, lo adoravo.
Eravamo
rimasti lì per tutto il giorno, più che altro a
parlare di ciò che ci era
successo in quei mesi di lontananza. Con il pensiero sempre rivolto
l’uno
all’altro, avevamo avvertito un comune senso di vuoto,
un’amarezza perenne.
Avevamo scritto canzoni per consolarci, avevamo ritrovato amicizie che
però non
avevano sopperito alla mancanza. Avevamo pianto per amore, io forse
più di
Marco e la cosa lo fece ridere, visto che, disse così, in
genere il piagnone
della coppia era lui.
A
quel punto l’avevo guardato e avevo sorriso. Ci aveva appena
definiti una
coppia, o avevo sentito male?
Marco
era arrossito e, oh, quanto era bello, aveva fatto un sorriso a
trentadue denti
che mi aveva fatto venir voglia di baciarlo fino allo sfinimento. E
così fu.
Parlammo,
scherzammo, un paio di volte andammo vicini alle lacrime, ci
confortammo a
vicenda e ci baciammo, moltissimo. Lo feci ridere e potei nuovamente
ascoltare
quella risata così sguaiata e verace che mi faceva impazzire
e, per un bel po’,
non facemmo che stringerci e baciarci, talvolta concedendoci delle
carezze
dolci e proibite insieme, tali da farci sospirare e desiderare che
calasse la
notte. Capii che era arrivata soltanto quando il buio divenne
così intenso da
impedirmi di distinguere i lineamenti del suo volto.
«Vado
a accende luce» mi proposi.
Ma
Marco mi inchiodò sotto di sé e tornò
a torturare le mie labbra e a consumarle
di baci, cosicché non ebbi più la forza di
respingerlo. Non diceva sempre che
per essere perfette, le cose avevano bisogno del buio?
Le
sue mani mi toccavano dappertutto, facendomi perdere il senno, dopo un
po’ le
sentii strofinarsi contro il mio collo e sulle mie guancie, erano
gelide e lui
cercava dolcemente il mio tepore. Posò le sue labbra sul mio
orecchio.
«Sei
così caldo» sussurrò, facendomi
avvampare.
Non
potevo resistere oltre.
Mi
sollevai e gli afferrai le mani, poi lo trasportai in camera da letto.
Ancora
ricordavo dov’era.
Marco
si lasciò guidare in modo talmente amabile,
finché non inciampò in qualcosa.
Non avrei saputo dire cosa, il suo appartamento era tutto un caos.
Perse
l’equilibrio e fece per cadere, ma fui abbastanza pronto da
afferrarlo e
tenerlo saldamente tra le mie braccia. Sorrisi, pensando che non era la
prima
volta.
«Preso.»
Sollevatosi,
Marco iniziò a baciarmi, con foga e impeto,
finché non arrivammo in camera e
lui mi gettò sul materasso. Si mise su di me: la poca luce
che filtrava dalle
tapparelle mi permise di scorgere il suo viso, le sue mani forti sui
miei
fianchi esili, il suo sguardo, incerto e innamorato, che
scavò dentro di me
fino a strapparmi il cuore dal petto. Mi levò la maglia e i
pantaloni così
velocemente che non ebbi nemmeno il tempo di posare le mani sui suoi
indumenti,
che mi premurai di sfilare con tutta calma dopo che lui ebbe spogliato
me. Poi
passai ai boxer, che calai facendo attenzione a percorrere le sue gambe
con le
dita. Lo sentii gemere e pensai che un suono più eccitante
non fosse mai
esistito. Quando fu lui a levarmeli, per poco non me li
strappò via di dosso.
Tra
poco saremmo stati di nuovo una cosa sola, e il mio intero corpo era in
tensione all’idea. C’era qualcosa di speciale
quella notte, qualcosa che non
saremmo mai stati capaci di replicare. Me lo sentivo.
Mi
preparò frettolosamente, tanta era la smania che avevamo.
Poi mi guardò, come
per pormi una domanda. L’ultima volta che avevamo fatto
l’amore in quel modo mi
aveva fatto male ed era terrorizzato al pensiero di farlo ancora, ma io
annuii
in risposta: mi fidavo di lui.
Così
Marco entrò dentro di me.
Il
dolore era penetrante, ma fu ben poca cosa se paragonato al piacere.
Non era
affatto come l’ultima volta. Mi diede giusto il tempo di
abituarmi alla sua
presenza, e subito iniziò a spingersi nelle mie carni,
incollando le sue labbra
alle mie.
Fu
pura vertigine che fece vorticare ogni cosa intorno a me, fin da subito
cominciai a gemere e a stringere forte quelle braccia, che a loro volta
strinsero forte me.
Dov’era
finito il mio Marco dolce e impacciato?
I
suoi movimenti erano selvaggi, forti, impetuosi. Boccheggiai, facendo
separare
le nostre labbra, e lui ne approfittò per scendere sul mio
collo e prendere a
leccarlo vigorosamente. Lanciai un piccolo urlo. Era una sensazione estrema: ero totalmente in balia del suo
volere, del suo istinto animale. Quello era il suo modo di fare
l’amore. E mi
inebriava.
Si
avvicinò fino a far aderire i nostri petti, le sue mani
scesero a esplorarmi
con frenesia le cosce e i glutei. Marco non si preoccupava di essere
eccessivo
o volgare, e non lo era. Era passionale come non avrei mai immaginato
potesse
essere. Il suo corpo da freddo divenne caldo, quasi bollente, ben
presto mi
ritrovai circondato da lui: confortato ed eccitato insieme, non mi era
mai
accaduto prima.
Iniziò
a gemere dolcemente il mio nome. Il mio nome completo, mi
chiamò Michael. Sulle
sue labbra, divenne pura melodia. Mi sollevai fino a baciare la sua
spalla e la
sua clavicola e lo sentii tremare e fremere su di me.
Volevo
parlare, dirgli qualcosa, ma ero talmente preso dal piacere che non
riuscii a
non urlare, ancora e ancora, la mia bocca era piena del suo nome come
le mie
narici lo erano dell’odore naturale della sua pelle,
così forte e virile da
stordirmi. Quello che aveva impregnato le mie coperte fino
all’ultimo secondo
del nostro passato.
Quando
alla fine si spinse dentro di me, facendomi venire con un urlo
violento, e gli
graffiai la pelle nell’estasi dell’orgasmo, mi
accasciai sul letto, madido di
sudore.
Ripresi
fiato qualche secondo, mentre ancora Marco cercava di arrivare al
culmine a sua
volta. Quando ciò avvenne e lui si riversò caldo
dentro di me, gli presi il
volto tra le mani costringendolo a guardarmi, i suoi occhi puntati su
di me
erano così belli. Quelli non erano cambiati di una virgola.
«Tu
può chiamare Mika» ansimai, rivolgendogli un
sorriso.
Ricambiò.
Da quando eravamo tornati a casa sua, non aveva fatto altro che
sorridere e il
mio cuore era sul punto di scoppiare. Quanto era bello. Quanto lo amavo.
«Mi
piace chiamarti Michael» sollevò le spalle.
«Ormai ci ho fatto l’abitudine.»
Semplice.
Con Marco era tutto così semplice, e al tempo stesso
così complicato. Delle
folli montagne russe, questo era l’amore con lui.
Marco
si distese sul letto. Immediatamente poggiai la mia testa sul suo petto
e lui
mi avvolse tra le sue braccia così confortanti. Sapeva
quanto adorassi stare in
quel modo.
«Io
ricorda ancora prima volta che tu chiamato Michael» tracciai
dei cerchi sul suo
petto.
«Davvero?»
Annuii.
«Tu ha detto così piano, come se è cosa
segreta mio nome.»
«Mi
sentivo speciale, sai?» posò le sue labbra sulla
mia fronte. «Come se io fossi
l’unico amico che avevi sulla faccia della terra,
l’unico che poteva chiamarti
così.»
Mi
sollevai e gli schioccai un bacio. «Io ti amo,
Marco.»
«Anche
io ti amo.»
Restammo
in quel modo per un po’, ero quasi sul punto di
addormentarmi, pago e sfinito,
nella piena orgia dei sensi, ma tenuto sveglio dai ricordi.
L’odore
di Marco, il nostro stare occhi negli occhi, il sapore delle sue
labbra… tante
cose di quel giorno mi avevano portato indietro nel tempo. Era come se
avessimo
ripercorso la nostra storia d’amore, negli insignificanti
particolari che
l’avevano composta. Dal momento in cui ci eravamo innamorati
a prima vista fino
a quando il suo odore era scivolato via dalla mia pelle, avevamo e
avremmo
rivissuto tutto.
Perché
noi eravamo questo. Vivevamo di piccoli istanti e brevi momenti che
parevano
senza senso, tanto erano piccoli e apparentemente senza importanza.
Eppure per
noi ce l’avevano, un senso. Noi eravamo in quello sguardo
d’intesa, in quella
parola detta sottovoce ed eravamo in quell’aroma di
caffè. Eravamo nel dolore
più intenso, nel profumo più forte e nella caduta
che ci aveva colti di
sorpresa. Eravamo nelle notti statiche, il gelo nelle mani e il calore
sulle
guance. Eravamo noi in ogni cosa, eravamo vita. Eravamo amore.
E
questo non aveva mai avuto senso per nessuno.
Per nessuno tranne che per noi.
Ma
ora, ora eravamo pronti a ricominciare. Nuovi sapori, nuovi dolori,
nuovi
sguardi, nuove sensazioni. Nuovi futuri.
Potevamo
farlo. E stavolta Marco non sarebbe stata la mia seconda scelta,
né la prima: Marco
sarebbe stata la mia scelta, l’unica possibile. Avrei scelto
l’amore.
Perché
con lui, l’amore aveva senso. Anzi, con lui l’amore
era un senso.
«Michael?»
mi chiamò dopo un po’.
Mugugnai,
aveva interrotto il filo dei miei pensieri.
«Sì?»
«Se
tu fossi un guerriero, per cosa lotteresti?»
Aggrottai
la fronte: era una domanda bizzarra. Che idee si faceva venire in mente
quel
matto, in piena notte, dopo aver fatto l’amore?
Il
mio Marco poteva avere un aspetto diverso, una diversa attitudine,
poteva fare
ciò che voleva. Ma restava sempre il solito, piccolo,
adorabile sciocco di cui
sarei sempre stato pazzamente innamorato.
«Io
lotterei per amore» risposi, senza esitazione.
Annuì,
parve soddisfatto.
«Già»
rispose, e prese ad accarezzarmi i capelli.
Quel
movimento ritmico, il suo respiro regolare, mi cullarono fino a
condurmi
dolcemente nel mondo dei sogni. Anche Marco, a modo suo, era la mia
casa, il
mio rifugio, il mio sempre che mi faceva sentire al sicuro. Io amo quest’uomo.
«Per
amore» udii prima di addormentarmi. «Piace anche a
me.»
La
soffitta dell’autrice:
L’ultima soffitta
dell’autrice.
Già, ABBIAMO FINITO
GENTE! Scusate il mio ritardo di quasi un mese, ma ho dovuto riscrivere
il
capitolo tre volte perché volevo che fosse perfetto, e tra
le vacanze, la
scuola, un’influenza da manuale e altre
varietà… oh beh, l’importante
è che sia
finita.
Ho iniziato questa fanfic
all’incirca quattro o cinque mesi fa, con il terrore che non
avrei avuto la
costanza di continuare. Invece ce l’ho fatta, e sono
abbastanza orgogliosa di
me stessa.
Il mondo ha bisogno dei Mirco.
Ringrazio i miei
recensori più fedeli: _Lollipop_96; ayumi_L; xtizianosveins;
Life In Fangirl
Motion; Michaels e tutti coloro che hanno recensito a tratti. Vi voglio
bene.
Grazie a chi l’ha messa
tra le seguite, tra i preferiti e chi più ne ha
più ne metta.
Infine, il grazie più
grande va alla mia favolosa beta la mia comeunangeloallinferno94. Sei
un
marshmallow
♥
Quindi, alla
prossima
fanfic. Vi adoro tutti. Baci