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Autore: mattmary15    16/01/2015    1 recensioni
Aeris chiuse gli occhi celesti e allargò le braccia prendendo un respiro. Lo sentiva. Non era più sola. Tra lei e l’ombra, preannunciato da un poderoso battito d’ali, comparve Bashenian.
Lei aprì gli occhi e sorrise, sinceramente estasiata dalla bellezza della creatura. Bashenian era la bestia sacra di Strifen, il suo regno. Il mito narrava che fosse nato dalla preghiera di Serian, il canto che diede vita al creato. Il grifone atterrò nel suo nido e chinò il capo verso di lei affinché potesse ricevere una carezza. Aeris non si capacitava mai della maestosità di quell’enorme animale magico. Le sue piume erano morbide e dotate del potere di alleviare il dolore. I suoi occhi avevano lo stesso colore del cielo, più chiari nelle giornate assolate e ingrigiti in quelli di pioggia. Il corpo possente metà aquila e metà leone, era interamente piumato. Con due colpi di coda plaudì alle carezze di Aeris e si accoccolò nel nido.
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo VII
-La città del crocevia-

Il tempo era passato veloce in Balvaria. Un intero mese in cui Aeris non aveva fatto altro che imparare le formule con cui rispondere o rivolgere la parola ai nobili o alle sacerdotesse, i nomi di persone o luoghi che non aveva mai visto, ripassare date di eventi storici di cui una persona della sua età non poteva avere memoria diretta. Insieme ad Albered aveva studiato il modo di argomentare su qualunque provocazione potesse giungere dalla somma sacerdotessa o dai suoi consiglieri. Con Grifis si era esercitato nell’uso della spada come al solito e aveva studiato il territorio che avrebbero dovuto attraversare insieme per giungere a Cattedra. Ma era con Marine che si era davvero divertito poiché, tra una lezione di ballo ed una di galateo, la fanciulla gli aveva rivelato cose che da Grifis o Albered non avrebbe mai saputo.
“Così si dice che frequenti uomini dell’età del figlio!” concluse portandosi il ventaglio davanti alle labbra. Aeris, tra lo stupore e lo sconcerto, l’ascoltava.
“Ma tu come sai tutte queste cose?”.
“Ricordati, tesoro mio, che sono i pettegolezzi di corte che possono decidere le sorti di un gran consiglio! Pensa, potresti imparare tutto sul tuo viceré ma avresti mai detto che ha rovinato la maggior parte dei suoi nemici seducendo le loro mogli?” Aeris rise.
“E non è tutto. Rifiuta di sposare ogni principessa che gli è stata presentata nonostante ognuna di loro sia entrata nel suo harem personale. Dice che il suo cuore è solennemente impegnato, ma quale sia la fanciulla che detiene questo impegno non si sa! Quando va in battaglia, due delle sue cortigiane lo accompagnano! Immagina il nostro Grifis fare la stessa cosa!” Aeris si fece serio.
“Grifis non lo farebbe mai!” Stavolta fu Marine a ridere poi continuò.
“Inoltre si dice che una guardia d’elite non lo lasci mai solo perché i raminghi della Doreria hanno giurato che non avranno pace fino a che non ci sarà la sua testa su una picca in cima alla più alta torre di Dumbara! Io non potrei mai vivere così!”
Aeris si rabbuiò. Nell’ultimo mese gli adepti dello stregone Norren avevano attaccato più volte Rifiel la città più a valle della Balvaria e uno di essi alla sua ultima uscita pubblica aveva cercato di colpirlo gridando che Norren avrebbe avuto la sua vita. Da allora Grifis non lo aveva più lasciato un attimo ed era sempre di pessimo umore. Un giorno aveva anche provato a convincere Albered a rinunciare al viaggio a Cattedra. Non aveva avuto bisogno neanche di assistere alla conversazione per sapere com’era terminata. Aveva letto chiaramente nella mente del primo ministro la ferma determinazione a partire.
Le parole di Marine lo avevano turbato perché in fondo aveva sempre vissuto sotto costante minaccia anche lui. In quel momento ebbe un moto di simpatia per il viceré.
“E del generalissimo cosa sai?” chiese quasi per distrarsi da quei pensieri.
“Che è affascinante e solitario. Pare non abbia molti amici ma i suoi nemici giurano che più di una delle novizie di Cattedra abbia violato il voto di castità per compiacere il comandante!”
“Marine!”
“Perché ti scandalizzi? Ad ogni modo, a me non piace. Troppo sicuro di sé!”
“Ne ha ben ragione, credo!” disse Aeris.
“Che merito c’è nell’uccidere?”
“Uccide gli yomi!”
Marine s’incupì. Aeris ne lesse immediatamente i pensieri ma la fanciulla se ne accorse e lo riprese.
“Se vuoi sapere cosa penso, chiedi!”
“Perché hai compassione degli yomi?”.
“Serian mi fulmini, Aeris! Albered lo farebbe se mi sentisse parlarne con te! Ma io non credo al dogma degli yomi.”
Aeris non ne sapeva molto oltre quello che aveva appreso dai libri. Gli yomi erano stati originati dalla grande Ombra del nord evocata dal folle signore di Tesla durante l’ultima guerra. Si alimentavano dell’energia degli esseri viventi. Quelli toccati da uno yomi, a loro volta, divenivano yomi.
“Parla Marine, non devi avere paura di dirmi quello che pensi”. La fanciulla si fece coraggio.
“Io credo che sia come una malattia. Mi ci ha fatto pensare il contagio di cui parla il dogma. Si dice che chi è toccato da uno yomi è come contagiato e diventa a sua volta uno yomi. Proprio come una malattia. Ma una malattia non cambia ciò che la creatura malata è. La altera ma non la cambia. Forse, se è una malattia, si può curare. Forse chi è contagiato, potrebbe tornare normale. Non lo so. Una volta ho visto Grifis uccidere uno yomi. Mentre si dissolveva ho sentito un dolore fortissimo. Era come se stessero lacerando una parte di me. Ho sentito il suo dolore. Ed era come fosse quello di un essere umano. Non so dirti di più.”
Aeris era rimasta affascinata dall’argomentare della fanciulla. Ricordava il giorno in cui i grifoni dorati avevano portato Grifis in trionfo dopo che il giovane aveva ucciso lo yomi che, improvvisamente, era apparsa nel centro di Strifen e aveva cominciato a terrorizzare tutti. A lei, ovviamente, non era stato consentito di uscire dal palazzo.
“Non ne so abbastanza Marine, ma tu sei una persona molto sensibile e non è escluso che tu possa avere ragione. Tuttavia se ne dovessi incontrare uno, sono certo che saprei dirti se sei nel giusto. Io sento l’anima delle cose.”
“E tu credi che la somma sacerdotessa non le senta?”
“Che vuoi dire?” chiese Aeris. Marine s’accorse che Albered giungeva e tacque.
“Non un’altra parola davanti al vecchio!” disse ridendo. Aeris si fece seria e rivolse uno sguardo severo al primo ministro.
“Ho interrotto qualcosa?” chiese l’uomo. Aeris si alzò e lo oltrepassò.
“Vieni Marine è ora di andare a letto. Domani si parte per Cattedra!”
Marine si alzò e quando fu vicino ad Albered gli sussurrò solo poche parole.
“L’imperatore è nervoso perché si sente controllato a vista. Domani andrà meglio” fece proseguendo.
“L’imperatore è controllato a vista perché è l’imperatore!” disse Albered ad alta voce lasciandoli andare.

Il fuoco si agitava come il cuore del ramingo. L’accampamento era rappresentato solo da quel fuoco e dal mantello poggiato nell’incavo di un albero. Le luci di Rifiel s’intravedevano sulla destra mentre quelle di Lindon si potevano solo immaginare nella direzione opposta. La piana di Erbaverde sarebbe stata il luogo ideale per lo sviluppo di una grande città se non fosse stata sotto il governo di tre poteri diversi. Cattedra ad est, l’Impero ad ovest e la lunga mano del generalissimo a sud.
Sorrise tra sé. Anche se i tre signori si fossero messi d’accordo chi avrebbe mai voluto vivere all’ombra della grande nube nera di Zarandal? Forse era questo il vero motivo per cui la piana era pressoché destinata alla coltivazione ed era considerata zona di passaggio.
Il nitrito di Saltafosso lo scosse da questi pensieri. Guardò di nuovo la valle e, a sud, vide comparire prima alcune, poi molte fiamme. Si alzò e sfilò un cannocchiale dal sacco che si portava sempre dietro. Quando lo ripose non ebbe dubbi. Era la carovana del viceré di Aeria. Un moto di rabbia lo assalì come tutte le volte in cui pensava a Loran Valentine. Immaginarlo mentre, circondato dalle sue concubine, beveva e si divertiva andando per l’ennesima volta a recitare la parte del nobile protettore dell’ordine della nazione gli faceva ribollire il sangue nelle vene. Poi, quando l’onda della rabbia si placava, saliva quella del dolore. A quel punto tutto diveniva di un solo colore nel suo cuore. Il colore del sangue dei suoi cari, quello che era stato dell’amore e che era divenuto quello dell’odio. Il colore della casata di colui che era la sua ossessione e la sua ragione di vita. Seguì con lo sguardo la piccola carovana che si dirigeva verso Lindon e fu tentato di raggiungerla. Quanti potevano essere? Trenta, cinquanta soldati? Poteva essere un’occasione unica. Eppure riuscì a controllare i propri impulsi. Si toccò la cicatrice sulla guancia e sussurrò a se stesso che dopo il consiglio di Cattedra nulla sarebbe stato lo stesso e tutti i colpevoli, ognuno a proprio modo, avrebbero pagato.
Il cielo si era rabbuiato e, come a volersi unire alle minacce del giovane ramingo, un fulmine squarciò l’aria annunciando la pioggia.

“La notte è giovane, mie belle signore!” esclamò Loran Valentine viceré di Aeria aiutandole a scendere dalla carrozza. Nella locanda più grande di Lindon da giorni attendevano il suo arrivo e gli avevano riservato la camera più bella che avevano. Le due donne che accompagnavano il viceré non sembravano intenzionate a lasciarlo neanche per un istante e continuavano a corteggiarlo lascivamente. Le guardie vestite di rosso che lo scortavano controllarono che tutto fosse in ordine nella locanda e che nessun ospite sgradito vi stesse dimorando. Nel frattempo Loran giocava ad inseguire intorno ad una fontana la più giovane delle fanciulle mentre l’altra lo pregava di fermarsi.
“Mio signore, vi prego!” gridava questa “è tardi. Tutti dormono!”
“Non hai sentito il mio signore? La notte è giovane!” gridò l’altra mentre Loran le fu addosso ed entrambi caddero nell’acqua della fontana ridendo.
In quel momento un fulmine squarciò l’aria e il viceré si fece improvvisamente serio. Si scosse l’acqua che lo inzuppava e si tirò fuori dalla fontana portando con sé la giovane donna.
“Mio signore, state bene?” chiese quest’ultima.
“Sì. Salite in camera. Vi raggiungo” disse allontanandosi verso la strada dalla quale la carovana era venuta. Subito due soldati scarlatti gli furono dietro ma rimasero a distanza. Sapevano che ogni tanto il loro comandante si incupiva e, in quei momenti, dovevano lasciarlo solo.
Loran camminò per qualche minuto. La pioggia cominciò a cadere lentamente e lui si sentì avvolgere da una profonda malinconia. Odiava i temporali. Raggiunse un’ altura e prese un respiro profondo.
“So che sei qui. Forse non proprio qui adesso, ma ti sento nell’aria, nella pioggia. Sento l’energia dei fulmini che si sprigiona tutta intorno a me. Perché non me ne lanci uno addosso proprio ora?” disse a voce bassa perché le guardie non lo credessero impazzito. Sapeva comunque che quella domanda non aveva risposta. Il suo acerrimo nemico non era là, ma certamente avrebbe goduto nel vedere quanta disperazione era in grado di gettargli addosso seppure da lontano.
Rientrò scortato dai due soldati che rispettarono il suo silenzio. Quella notte dormì solo e sognò di nuovo il maledetto giorno in cui smise di essere felice.

La tempesta di neve si placò al levare del sole.
L’uomo abbassò il cappuccio e un filo di sole illuminò la pelle diafana. Dietro di lui procedeva un gruppo di Nagrod, i possenti uomini bestia.
A guidarli era Naro capotribù e valoroso guerriero. I Nagrod abitavano da sempre sul monte Arhat e proteggevano il passo di Varcoghiaccio. Prima della grande guerra, all’epoca dei due troni, erano al servizio del re dei Darine e Varcoghiaccio era considerato il confine del regno di Zarandal. Dopo la caduta di Tesla e la fine dei Darine, Varcoghiaccio era considerato il punto oltre il quale gli uomini non si spingevano per via della grande ombra a nord.
Anche il più basso fra i Nagrod doveva sembrare molto alto ad un Aerian ma non era di certo la statura ad intimorire nel loro aspetto. Era il loro aspetto simile per metà a uomini e per metà a lupi. Naro era il più anziano dei suoi e lo era già quando l’uomo, all’epoca bambino, aveva trovato rifugio presso di loro.
“Passato Arco Nero noi cammina dritto o taglia per buchi di terra?” chiese il capobranco all’uomo sforzandosi di comunicare nella lingua di quest’ultimo.
“Tagliamo per i grandi sotterranei di Cattedra” rispose l’uomo “le vie principali saranno troppo trafficate per non dare nell’occhio e sono riservate agli ospiti importanti. Noi non siamo così bene attesi”.
“Tu comporta bene. Naro non volere prima visita Nagrod da tanto tempo in terra verde rovinata.” Il giovane uomo si riportò il cappuccio sulla testa.
“Non mi vedrai, né sentirai. Sarò come neve che cade” gli rispose mentre passavano sotto l’imponente montagna di pietra ghiacciata che rappresentava il drago e che segnava il passo di Varcoghiaggio. L’enorme ‘terra verde’ come la chiamava Naro, che era la piana di Erbaverde, si srotolava davanti ai loro occhi. L’uomo si voltò a guardare di nuovo l’Arco e le terre innevate di Zarandal e si chiese come fosse possibile che una terra tanto florida potesse mutarsi tanto drasticamente in una così inospitale. Egli però sapeva che l’ombra nera che partiva da Tesla contribuiva non poco a generare tutta quella desolazione. Diede definitivamente le spalle a Zarandal e guidò i Nagrod verso Est e in basso lontano dalla piana verso i grandi tunnel naturali che, da quel luogo, portavano fino a Cattedra.

Ad una settimana dalla festa della Prima Luce la via dei pellegrini ad est del crocevia era già difficile da praticare e così anche quella dei mercanti a sud della piana di Erbaverde. Carovane di viaggiatori si univano a quelle che già regolarmente battevano quelle strade costituite da mercanti e sacerdoti.
Ai lati dei percorsi di terra battuta era tutto un turbinio di colori e lingue diverse. Le tende dei mercanti del sud erano variopinte e abbellite da pietre senza valore ma di mille sfumature bellissime. Su ogni tenda stava una bandiera di un colore diverso a seconda della mercanzia venduta. Così si sarebbero trovate erbe medicinali o rimedi in quelle che sbandieravano il vessillo verde come si potevano acquistare o rivendere armi in quelle segnate dalla bandiera rossa. Il vessillo giallo indicava i venditori di scudi e armature e quello blu i mercanti di formule magiche. Lo stendardo nero infine segnalava i commercianti di schiavi.
Tra le tende non era raro trovare i carri dei nobili che viaggiavano in piccole carovane e che stanziavano durante la notte. Allora si accendevano fuochi piccoli ma alti intorno ai quali danzavano le ancelle o cantavano i musici. I pellegrini, di solito, si allontanavano dal ciglio della strada per trovare il silenzio necessario alla preghiera e rifuggire la peccaminosità delle altre categorie di viaggiatori. Tra queste vi erano infine i soldati. Le vie, più trafficate che in altri periodi dell’anno, venivano vigilate da pattuglie dedite a far rispettare l’ordine e le leggi.  Anche tra essi i colori indicavano l’appartenenza a diverse etnie.
A sud del crocevia le guardie erano vestite di rosso e appartenevano all’esercito della Faleria. Ad ovest del crocevia i soldati portavano le divise biancoazzurre di Strifen. Per la maggior parte però i soldati  portavano le divise viola della Mano delle Nazioni che erano più presenti nella piana ad est del crocevia e fino alla città di Cattedra.
Il crocevia, un punto della piana d Erbaverde segnato con una pietra antica quanto e più del mondo, veniva in realtà aggirato da tutti i viandanti. Si trovava infatti sull’unica altura dell’intera piana. Leggermente a  sud ovest di essa era sorto, in tempi remoti,  un piccolo villaggio che aveva trovato la sua fortuna grazie all’ottimo vino che produceva in considerevoli quantità. Ogni uomo, donna e fanciullo di Rifiel, questo era il suo nome, contribuiva a coltivare i frutti che servivano alla produzione del vino e in città erano tutti coltivatori o osti. Persino alla corte dell’imperatore si usava definire ‘come il vino di Rifiel’ qualcosa che fosse di eccellente qualità.
Molti si stupivano comunque che una città così piccola potesse produrre così grandi quantità di vino da soddisfare la richiesta dell’intera Aeria al punto che alcuni ipotizzavano che in realtà alcune lavorazioni fossero fatte nella foresta dei Weird e che il segreto del vino risiedesse in qualche magia dell’antico popolo verde.
Tuttavia fu proprio la piccola dimensione della città del crocevia che convinse Grifis a far fare sosta lì all’imperatore e alla sua delegazione. Chiese ed ottenne un intero ostello che chiuse con un giorno di anticipo rispetto all’arrivo della delegazione di Strifen.
Grifis mandò in avanscoperta un manipolo dei più fidati grifoni dorati, la squadra d’elité dell’esercito che comandava, affinché sgombrassero il campo da minacce o da semplici ficcanaso. La carovana dell’imperatore seguiva ad una certa distanza seppure fosse partita di buon mattino. La prima sosta sarebbe stata a Rifiel la sera stessa.
La carrozza in cui viaggiavano Aeris e Marine era scortata da Grifis in persona che cavalcava di fianco alla carrozza e, ogni tanto, andava davanti al gruppo per accertarsi che Albered non avesse bisogno di qualcosa.
Aeris era l’immagine della felicità. Persino le sue guance sempre pallide avevano cominciato a prendere un po’ di colore. Grifis se ne preoccupava nonostante Marine continuasse a ripetergli che non era affatto un sintomo negativo e che non aveva mai visto il principe imperiale stare così bene.
Albered sorrideva delle sue preoccupazioni ma Grifis ostentava diffidenza e reagiva rimanendo silenzioso.
Aeris era davvero felice. Vedeva cose nuove e sentiva il profumo di terre che non conosceva. Inoltre non faceva che accarezzare il fodero dove era rinchiusa la lama che era stata di suo padre e che finalmente le era stato concesso di portare. Marine continuava a prenderla in giro sul fatto che tutti avrebbero notato quanto fosse basso l’imperatore.
In effetti, la statura di Aeris non poteva passare per quella di un ragazzo della sua età ma, poiché era molto esile, nel complesso risultava credibile e ben proporzionata. Di certo sarebbe apparsa molto diversa a coloro che avevano ammirato le effigi dell’imperatore ma Marine era convinta che ogni perplessità generata dall’aspetto di Aeris sarebbe stata fugata da quella luminosa, angelica bellezza che il suo volto emanava.
Lei e Aeris chiacchieravano di ogni cosa che veniva loro in mente. Della neve spazzata via dalla primavera, dell’uniforme di Grifis che lo faceva sembrare ancora più alto, della lunga barba di Albered, dell’aria dolce che profumava di lavanda. Solo della sacerdotessa di Cattedra, Aeris sembrava non voler discutere.
“Perché ne sembri intimorita?”
“Non sono intimorita, ma Albered ha continuato per tutto il tempo a dirmi di fare attenzione e di non abbassare mai la guardia con lei. Mi domando perché dovrei temere colei che protegge il mio regno con la magia di Serian.”
“Io credo sia solo una questione di potere. Chi ne ha molto è ossessionato dall’idea di mantenerlo e accrescerlo. Finora la sacerdotessa ha fatto il bello e il cattivo tempo dato che l’imperatore non ha mai messo il naso fuori dal proprio palazzo. Ora che sta marciando verso il suo tempio probabilmente comincerà a preoccuparsi.”
“Ma è stata proprio lei a convocarmi!”
“Questo è il punto. Albered si chiede come mai ha svegliato il can che dorme!”
“Non potrebbe essere che davvero un grande pericolo stia per abbattersi su di noi? E poi lo stregone Norren ultimamente ha fatto troppi adepti.” La domanda di Marine arrivò a bruciapelo.
“Tu non hai visto più niente dalla visione della bestia con gli occhi color cobalto?” Aeris era dotata del potere della preveggenza. Era talmente forte in lei che a volte preannunciava avvenimenti molto lontani nel tempo. In effetti quella visione era tornata spesso. La donna con lunghi capelli neri in ginocchio che pregava. La nube nera che si muoveva verso di lei assumendo la forma di un guerriero e il lupo. Poi la  visione spariva. Aeris non aveva detto nulla circa il ripetersi della visione per timore che il viaggio saltasse e per lo stesso motivo aveva preferito nascondere la verità anche a Marine.
“No. Nessun riferimento specifico ad un pericolo imminente.” Aggiunse quest’ultima frase per non sentirsi in colpa nel mentire alla sua migliore amica ma questa la guardò un po’ perplessa.
“Sarà, anche se mi sembra strano che tu sia completamente all’oscuro sul tuo prossimo futuro. Nonostante ciò, va bene così. Se avessi previsto una catastrofe non ci saremmo mossi dal palazzo!” concluse ridendo. Aeris si rilassò e rise con lei.
Al di fuori, Grifis cavalcava pensieroso e lanciava lo sguardo lontano. Tirò un sospiro quando intravide le luci di Rifiel. L’imbrunire avanzava e lanciò il cavallo al galoppo per andare in avanscoperta. Fu mentre cavalcava veloce che, con la coda dell’occhio, lo vide.
Era un cavaliere con un mantello bruno che stava immobile sull’altura di Cinno a nord della piana di Erbaverde. Non sembrava voler andare in alcuna direzione. Ebbe l’impressione che fosse di vedetta e fu tentato di accertarsi della sua identità. Ma il sole stava calando dietro le sue spalle e spronò il suo destriero verso Rifiel.
La cittadina era addobbata a festa. Tutti sapevano che l’imperatore era in viaggio verso Cattedra e ogni casa aveva fiori alle finestre. Tulipani bianchi facevano capolino ovunque. Grifis si rilassò e sorrise. Sapeva che a quella vista, gli occhi di Aeris avrebbero brillato. Raggiunse il centro di Rifiel dove sorgeva ‘L’ala del grifone’ la locanda più elegante della città.
Appena sceso da cavallo i giovani che si occupavano delle stalle gli corsero incontro per condurvi l’animale, ma Grifis disse loro che sarebbe andato via subito. Si accertò che le camere fossero pronte e sicure e tornò verso la carovana che, nel frattempo, era arrivata alle porte della città. Il giovane comandante non si era sbagliato. Nel guardare fuori dal finestrino della carrozza e vedere tutti quei tulipani Aeris si era emozionata. Aveva sgranato gli occhi e seguiva con lo sguardo l’onda bianca dei fiori. La carrozza si fermò davanti all’Ala del Grifone pochi minuti dopo.
Aeris scese dalla carrozza e porse il braccio a Marine. Essendo quasi buio non c’era molta gente ma quelli che, per caso, si erano trovati sul posto già si riunivano in gruppetti per commentare a voce bassa quella figura esile e angelica che avevano scoperto essere l’imperatore di Aeria. Un’occhiata severa di Grifis bastò a disperderli immediatamente.
“Non è poi una gran cosa!” esclamò Marine alludendo alla locanda.
“Qui non siamo a Strifen, Marine” la imbeccò subito il fratello.
“Andrà benissimo!” aggiunse Aeris che non vedeva l’ora di conoscere qualcuno degli abitanti del luogo.
Un uomo sui cinquant’anni gli andò incontro con un gran sorriso sulle labbra.
“Vostra nobile maestà, altezza imperiale, siamo onorati di ospitarvi nella nostra modesta locanda. Io, mia moglie e i miei figli siamo al servizio di vostra grazia!” disse profondendosi in un inchino.
“Grazie per l’accoglienza e per l’ospitalità! Io e la principessa imperiale con il nostro seguito siamo felici di soggiornare in Rifiel durante il nostro viaggio. Se vorrete, a cena, raccontarmi alcune storie sulla vita della città, saremo lieti di ascoltarle.”
Un sorriso comparve sul volto del locandiere che batté un paio di volte le mani provocando un via vai di persone. C’era chi portava i bagagli dell’imperatore di sopra e chi andava avanti ed indietro con anfore e portate. Aeris salì le scale insieme a Grifis e Marine.
“Credevo ci fossero molte più persone in un posto come questo!” esclamò Aeris ad un certo punto. Marine sorrise. Sapeva che in pubblico doveva rivolgersi ad Aeris al maschile e fece attenzione a non cadere in errore.
“Amore mio, quanto sei ingenuo!” Grifis scosse il capo come a voler far capire alla sorella di non prenderlo in giro. Poi intervenne.
“Ho dato io ordine al locandiere di non accettare altre prenotazioni per stanotte. E’ già così difficile tenerti al sicuro in un posto come questo, figurarsi se la locanda fosse stata aperta!” Aeris mise il broncio.
“Lo sapevo! Sapevo che ci avresti messo lo zampino!”.
“Non essere capriccioso. Sai che è per il tuo bene. Cambiati e scendiamo per la cena.”
Aeris entrò nella sua camera e chiuse la porta dietro di sé per far capire che non voleva nessuno.
“A volte non lo capisco” scosse il capo Grifis.
“Io sì” disse Marine chiudendo a sua volta il proprio uscio.
“Porta pazienza, figlio degli Alteron!” Grifis si voltò e vide Albered che sorrideva.
“In alcune circostanze mi sembrano due bambini!”
“In questo caso tu devi fare loro da tutore!” Grifis si lasciò andare con le spalle contro la parete della camera di Aeris e sospirò.
“Ma non sono bambini. E non tollerano più un tutore che dica loro cosa fare!”
“Forse presto non ce ne sarà più bisogno. Fino ad allora porta pazienza Grifis, porta pazienza.” Il vecchio scomparve anch’egli dietro la porta della propria camera.
Solo Grifis rimase di guardia nel corridoio. Poggiò la testa alla parete e si fece pensieroso.
“Non so se sia peggio avere la responsabilità delle azioni di Aeris o sapere che presto non avrà più bisogno che io mi prenda questa responsabilità!”.

Aeris sciolse il laccio del candido mantello che finì per cadere sul letto. Andò verso la finestra e provò ad aprirla. Era bloccata. Fece forza poi, il pensiero che Grifis l’avesse bloccata di proposito la fece desistere.
Sfilò l’anello d’oro e diamanti che gli teneva legati i capelli dietro le spalle. La chioma dorata ricadde fluente sprigionando un profumo di narciso.
Le esili mani andarono ai ganci dell’armatura facendoli scattare dolcemente. La corazza di mithril cadde in terra. L’uniforme candida bordata in oro e blu aveva molti bottoni. Andò allo specchio e cominciò a sbottonarli. Se la sfilò e rimase con la camicia bianca che scendeva ordinata nei pantaloni blu.
Si scompigliò di proposito i capelli e si guardò di nuovo nello specchio che adesso rifletteva l’immagine evidente di una ragazza. Sorrise e si ricompose.
“Devi mantenere il contegno di un imperatore, Aeris.”
Fu in quel momento che senti un rumore metallico. Si voltò verso il letto, ma non vide nulla di strano. Andò verso la porta e l’aprì. Grifis era là. Quando il giovane udì il rumore della porta, aprì gli occhi.
Aeris s’accorse che era stanco e per un istante, sufficiente per consentirglielo senza che se ne accorgesse, lesse i suoi pensieri. Era davvero in pena per lei. Gli sorrise.
Come se dal sorriso del suo imperatore Grifis potesse riacquistare energia, il comandante si avvicinò e fece un inchino.
“Scusami per prima, Grifis. So che ogni cosa che fai, la fai per me. Ti voglio bene.”
“Non devi mai chiedermi scusa per qualcosa, Aeris. A volte sono un po’ opprimente. Ma in questo momento tu vieni prima di tutto.”
“In questo momento?” chiese Marine che, udendo le voci in corridoio, era uscita dalla sua camera. Grifis la fulminò con lo sguardo.
“E’ ora di cena. Andiamo” disse solo.
Marine aveva tolto il sontuoso soprabito blu e indossava una veste di colore azzurro. Non era il suo colore preferito ma era quello ufficiale della principessa imperiale.
“Un giorno o l’altro dovrai emanare un editto che cambi il colore d’onore della principessa imperiale!” disse ad Aeris indicando la veste.
“E’ un colore così bello! Cos’ha che non va?”
“Non mi sta bene, non vedi? Ci vorrebbe un bel rosso!”
Grifis, che si era fermato in cima alla scala, si mise un sorrisetto malizioso sul volto e fece un inchino.
“Sposa il viceré allora!” suggerì. Aeris sorrise e Marine sbuffò.
I principi imperiali furono accolti con doni e pietanze di ogni tipo. Durante la cena il locandiere e i suoi figli raccontarono ogni tipo di storia. La maggiore delle figlie cantò una ballata dolcissima sugli angeli e sulle terre perdute dell’est e poi il cantico d’amore di Serian. Ma fu durante il racconto di un giorno di scuola dei più piccoli figli del locandiere che Aeris rise di gusto e si divertì.
Furono ore liete che passarono in fretta. I principi si congedarono a tarda sera e raggiunsero le loro camere ridendo ancora delle storie ascoltate a cena.
“Aeris, io sarò dietro la porta. Dormi serenamente.”
“Dormirei più serenamente se sapessi che anche tu stai riposando.”
“Avrò molto tempo per riposare una volta a Cattedra.”
“Veglierai anche sulla candida purezza della principessa?” lo prese in giro Marine.
“La tua porta è qui di fronte, sta tranquilla!”
Aeris rise e si ritirò. La stanza era immersa in una luce soffusa di candele e chiaro di luna che filtrava dalla finestra. Si spogliò e si infilò sotto le lenzuola. Chiuse gli occhi quasi subito. Anche se non voleva ammetterlo, il viaggio lo aveva stancato. Pensò alla serata strana che aveva trascorso tanto diversa da quelle passate a corte, alla confusione che proveniva dalle cucine, alla voce della figlia del locandiere che cantava la canzone di Serian. Senza accorgersene la cominciò sottovoce, quasi fosse una preghiera. All’improvviso Aeris s’accorse che la canzone era tutta intorno a lei e che non era più la sua voce a cantarla. Prese a cercarne con lo sguardo la fonte. Una donna inginocchiata di spalle di cui non si vedeva il volto cantava dolcemente. I suoi lunghi capelli neri come la notte si agitavano nel vento. Così come era arrivato, il canto cessò. Un’ombra scura avanzava verso la donna in ginocchio e tentava di ingoiarla. Fu allora che lei girò il capo verso Aeris il tempo sufficiente solo a intravederne lo sguardo. L’ombra cadde su di lei e Aeris, per lo spavento, spalancò gli occhi. Almeno credette poiché un paio di occhi color zaffiro puntavano su di lei. Sollevò il capo lentamente e realizzò di essere nella stanza della locanda dell’Ala del grifone. La finestra era spalancata e gli occhi color zaffiro appartenevano ad una grossa fiera nera che non aveva mai visto neppure sui libri di Albered. Non urlò. L’animale respirava in maniera regolare. Grifis gli aveva insegnato che se le bestie respirano in modo normale, generalmente, non sono in procinto di attaccare. Stava ferma con il capo proteso verso Aeris, gli occhi fissi nei suoi. Lei alzò lentamente una mano per cercare di toccarla ma, un rumore di soldati in strada, la fece allontanare dal letto. In un balzo fu alla finestra e saltò fuori.
Aeris s’alzò di corsa per raggiungere la finestra e guardare fuori ma la fiera era sparita nel nulla. Chiuse la finestra un attimo prima che Grifis piombasse nella stanza.
“Aeris, che succede?”
“Dovrei chiederlo io! Che cos’è questa confusione?”
“I soldati di vedetta hanno visto la tua finestra aperta! Stai bene?” Aeris non seppe perché, ma mentì.
“Non è successo niente. Sto bene. La finestra deve essersi aperta per un colpo di vento ma io ero sveglia e mi sono alzata per chiuderla.”
“Un colpo di vento? Impossibile! L’ho chiusa io stesso per evitare problemi.”
“Ti dico che è tutto a posto. Sto bene non vedi?”
Grifis non volle più lasciare la camera e Aeris non riuscì più ad addormentarsi. Parlarono del viaggio da riprendere e di Marine. Quando Aeris, facendo riferimento alla capacità che la ragazza aveva di fare arrabbiare Albered, chiese del primo ministro, Grifis rispose che si era ritirato nella sua stanza e non ne era più uscito. All’alba Aeris dormiva e Grifis s’azzardò a chiudere gli occhi.

Albered raggiunse il mercato che le luci dell’alba erano ancora deboli. Si avvicinò ad un bancone di frutta e prese una mela. Il mercante, che stava sistemando le ceste, lo guardò ma prima che potesse dire alcunché una moneta rimbalzò ai suoi piedi. Un uomo incappucciato si avvicinò al vecchio e fece finta d’interessarsi alla qualità delle verdure riponendo le altre monete in un sacchetto di pele. Il mercante s’allontanò.
“Quali nuove porti?” chiese il vecchio.
“Chi ti dice che ce ne siano?”
“Non saresti qui altrimenti. Quando sei stato a Strifen mi hai detto che l’imperatore avrà la maggioranza in consiglio. Non dirmi che mi hai raggiunto per definire i termini della nostra collaborazione?”
 “Ti ho già detto qual é il prezzo della nostra collaborazione”, fece il ramingo.
“Non ho chiesto il tuo prezzo. Cosa chiede il nostro nuovo alleato per la sua fedeltà all’imperatore, se così possiamo chiamarla?”
“I nemici dei miei nemici sono miei amici. Questo ti manda a dire il nostro nuovo alleato. Non esiste legame più forte che l’astio comune. Lunga a vita all’Ala di nuvola e che il suo regno sia giusto e il suo pugno di ferro.”
“Hai altre informazioni utili?” Il cavaliere s’incupì  e guardò dritto negli occhi il vecchio.
“Non quelle che vorrei darti. Il viceré è quasi a Cattedra. Le sue spie sono ovunque ma cosa o chi stiano cercando mi è oscuro ancora. Ho il sospetto però che non cerchino me. Ho lasciato segni ovunque una settimana fa lungo il Lindolum, ma non li hanno seguiti. Cercano qualcosa nella foresta di Drasil.”
“Drasil? Con o senza il consenso del generalissimo?”
Il giovane scosse il capo e la cicatrice che gli segnava la guancia destra fece capolino da sotto il cappuccio.
“Senza credo, non si hanno notizie del generalissimo da alcune settimane.” Albered si fece cupo in volto e tirò un sospiro.
“E’ tempo per me di andare. Ci rivedremo a Cattedra. Che la buona sorte ti accompagni fino ad allora.”
“La buona sorte?” chiese il giovane ramingo “Mi ha abbandonato da molto tempo ormai.”
Così dicendo sparì nel viavai degli avventori che preparavano i banchi per il mercato del mattino.
Anche il vecchio s’incamminò e le sue speranze di rientrare nella sua camera non visto furono frustrate dalla presenza di Grifis nella stalla.
“Dove sei stato?” chiese il comandante un po’ irritato dall’avere scoperto che il suo primo ministro era scomparso durante la notte senza scorta.
“Non credevo che anche io dovessi rendere conto dei miei spostamenti al comandante dei grifoni!” disse ridendo bonariamente Albered.
“Niente storie con me!” rispose severamente Grifis “Mentre non c’eri qualcuno ha provato ad entrare nelle stanze di Aeris! Tu dov’eri?”
“Sospetti di me, ragazzo?” chiese cercando di oltrepassarlo. Grifis gli si parò innanzi.
“Non sono un ragazzo! Come faccio a proteggere Aeris se neanche tu collabori?” Albered lo guardò severamente.
“Credi che trami contro l’imperatore? Che sia stato io a forzare le sue camere? Io credo che tu faccia benissimo il tuo dovere e che abbia ben altre preoccupazioni che informarti su quale piccolo segreto abbia portato un vecchietto come me lontano dai suoi doveri per una sera!”
Udendo queste parole Grifis fece un passo indietro e cercò di immaginarsi il saggio Albered alle prese con qualche bella signora in un casa di piacere oppure davanti ad un boccale di birra buona in preda ai fumi dell’alcol.
“Non volevo offenderti. Ero solamente preoccupato.” Albered cambiò espressione.
“E’ tutto a posto. Pensiamo all’imperatore. Dobbiamo rimetterci in viaggio. Io sto bene. Ho fatto solo un giro a cavallo. Ma dimmi, chi ha provato ad entrare nelle stanze di Aeris?” Grifis scosse il capo.
“Non lo so. Le guardie in strada hanno dato l’allarme vedendo le finestre aperte ma, quando sono entrato in camera sua, non c’era nessuno. Era davanti alla finestra e ha detto che non era accaduto nulla. Non capisco perché dovrebbe mentirmi ma avevo sprangato io stesso le imposte. Sono confuso.”
“L’importante è che stia bene.”
“Non mi ha mai mentito.”
“Sono certo che non l’ha fatto. C’è sicuramente un’altra spiegazione. Andiamo a prepararci per la partenza.”
I due camminarono fianco a fianco fino all’ingresso del Grifone dorato poi Grifis rimase alla porta a dare istruzione ai soldati della guardia mentre Albered tornò nelle sue stanze.
Dopo due ore la carovana che scortava la carrozza imperiale si era già allontanata da Rifiel e avanzava nella piana di Erbaverde. Entro la sera sarebbe arrivata in prossimità di Lindon, la città dei mercanti.
Se Rifiel era l’ultima cittadina sui confini della Balvaria, Lindon era la prima sotto l’influenza di Cattedra. Tuttavia la città era una sorta di terra di nessuno governata solo dal denaro. Sul crocevia che segnava il confine tra nord e sud e ovest ed est i mercanti avevano creato una sorta di grande mercato nel quale era lecito commerciare qualunque cosa.
Grifis aveva visto con i suoi occhi mercanteggiare addirittura bambini e cuccioli di Nagrod. Non gli piaceva Lindon ma era meglio passare una notte in una delle sue lussuose taverne che nei boschi di Drasil. I boschi un tempo erano appartenuti alla Balvaria ma, dopo la guerra contro il signore dei ghiacci, erano diventate territorio dei Weird. Il padre di Aeris aveva trovato giusto compensare in questo modo il sangue Weird versato nella grande guerra. I Weird erano i mezzosangue dei Dradi, creature della terra, magiche in qualche modo, legate alle tradizioni di un rapporto simbiotico con la foresta. Grifis li considerava selvaggi nonostante Albered gli avesse più volte spiegato che erano un popolo fiero e saggio.
Il viaggio, durante quel giorno, trascorse tranquillo e silenzioso. Grifis, ancora risentito per quello che era accaduto la notte prima, non si avvicinò neanche una volta alla carrozza e Marine intrattenne Aeris con i racconti sul popolo dei Dradi.
Aeris finse di ascoltare ma la sua mente rimase tutto il tempo fissa su quel paio di occhi color cobalto che appartenevano alla misteriosa fiera incontrata di notte. Fu l’alto pilastro del crocevia che la distrasse dai suoi pensieri e la riportò a quel momento.
“Fermi!” gridò ai cocchieri “Aspettate. Lasciate che guardi un attimo!”
Prima che Marine potesse trattenere Aeris, questa scese dalla carrozza. Grifis gli fu al fianco in un baleno. Il monumento del crocevia non era altro che un alto ed essenziale pilastro che si ergeva al centro dello spiazzo in cui si incrociavano la grande Via dei Pellegrini e la Via dei Commercianti.  Aeris poté ammirare i bassorilievi del drago e della fenice che rappresentavano i punti cardinali del nord e del sud e del sole e della luna, rappresentanti l’ovest e l’est. Il monumento era roso dal tempo e attaccato dalle piante rampicanti. In cima ad esso tuttavia splendeva sempre una fiamma.
“E’ magica” disse Albered “Nessuno la alimenta ma non si spegne mai!” concluse sorridendo.
“Davvero?” chiese Aeris “E’ un peccato che questo monumento non venga curato!”
“Non ha bisogno di cure. La leggenda narra che questo pilastro scenda fin nelle profondità della terra e la fiamma sia alimentata dal fuoco del sottosuolo. Per questo nessuno osa toccarlo.”
Al suono di queste parole Aeris fu pervasa dal desiderio di posare la mano sulla fredda pietra ma, una voce nel suo cuore, l’ammonì dal farlo. Come spesso le accadeva, il mondo reale lentamente sfumò intorno a lei e i suoi sensi furono lanciati centinaia di miglia più avanti fino ai confini della grande nube nera che spesso compariva nelle sue visioni. Rivide la donna con i capelli corvini ma, questa volta, non poteva più avvertirla del pericolo perché giaceva priva di vita in terra. Intorno a lei la nube assunse la figura di un uomo e quando questi guardò in direzione di Aeris, lei rabbrividì alla vista di un paio d’occhi color cobalto che ormai conosceva bene. La visione passò e davanti ad Aeris ricomparve il mondo reale. Nessuno s’era accorto di nulla. Aeris perse interesse per il monumento del crocevia e per le sue leggende e risalì in carrozza.
Non voleva ammettere neanche a se stessa che la visione di quella bestia durante la notte l’aveva profondamente turbata. Inoltre, siccome non aveva confidato ad alcuno le sue visioni, aveva il timore che Albered o Marine potessero accorgersi che aveva mentito. Tuttavia, su questo, aveva un grande vantaggio. Sapeva sempre in anticipo qualunque domanda stessero per fare o l’argomento oggetto di discussione. Leggere i pensieri altrui era un dono. E una maledizione. C’era poco di davvero spontaneo nella vita di Aeris.  Ad ogni modo aveva sempre vissuto così e non sapeva come sarebbe stato vivere senza conoscere, in ogni momento, il pensiero altrui.
In quell’istante udì una voce che capì essere solo nella sua testa. Una voce cristallina e decisa.
“Non avere paura, io sono sempre con te.” Nulla più.
All’inizio gli sembrò fosse quella del padre. Ma ci mise poco a capire che non lo era. Apparteneva alla creatura che del padre aveva preso, praticamente, il posto. Il giorno dei funerali di Kalendis Strifen aveva dovuto mostrare contegno e forza ma, una volta di ritorno a palazzo, aveva sfogato tutto il dolore della perdita in un pianto inconsolabile. Del resto una bambina di otto anni non può comprendere la morte, neppure come ritorno alla Terra così come è scritto nelle Sacre Pergamene. Era allora fuggita in cima alla Torre Berillia dove non andava mai nessuno perché nessuno assistesse a quella disperazione. Fu allora che i suoi singhiozzi richiamarono il sacro grifone Bashenian. L’enorme creatura l’avvolse nelle sue morbide ali e la portò con sé nel suo nido in cima al Berillion. Lì Aeris smise di piangere e ascoltò le leggende antiche. Conobbe la natura del legame tra Bashenian e suo padre e ricevette il dono di invocare il grifone in caso di bisogno. Da quel giorno, per molto tempo, non si videro più ma Aeris sapeva che lo spirito della creatura era sempre con lei. Ci voleva molta energia e autocontrollo per richiamarlo e farlo comparire in carne ed ossa e forse era stato il suo dolore o l’amore per suo padre a dargliene l’occasione la prima volta. Sentire la voce di Bashenian le diede forza, eppure il timore di non essere in grado di invocarlo, in caso di necessità, le provocò un moto d’ansia. Chiuse gli occhi e si assopì senza sapere che, nel frattempo, la carovana s’affacciava nelle strade di Lindon.

Asaline fu scossa da un brivido. Accese la candela sullo scrittoio e si alzò. Raggiunse la pesante tenda di velluto scuro e la tirò lasciando la stanza nella penombra. Versò un filo d’acqua in una conca larga e bassa e attese che la superficie del liquido si calmasse. Quando fu un velo vi si specchiò e vi passò una mano aperta sopra.
Lentamente cerchi concentrici cominciarono a formarsi dal centro verso l’esterno del piatto e ogni cerchio che si allargava produceva una visione. Prima il viceré alle porte di Cattredra. Il giovane Valentine aveva portato con sé la madre. Asaline detestava quella donna. Poi la visione dei Nagrod in fila sotto il porticato della sua città. Dunque anche gli uomini bestia erano giunti. Passò di nuovo la mano sulla conca e la visione successiva fu dei Raminghi della Doreria che attraversavano il mercato del luogo. Cercò nella visione successiva l’imperatore ma anche questa volta il suo sguardo fu ricacciato indietro. Tentò con Seifer e l’esito fu lo stesso.
Bussarono alla porta. La sacerdotessa svuotò la conca e soffiò sulla candela lasciando la stanza al buio. Tornò alla finestra e fece in modo d’illuminare di nuovo la camera.
“Avanti” disse solo. La porta s’aprì lasciando entrare una novizia.
“Mia signora, l’interprete del popolo Nagrod chiede udienza.”
“Fallo entrare.”
La porta rimase aperta. La fanciulla, senza voltarsi, indietreggiò e lasciò entrare un uomo vestito con abiti da viaggio. Questi s’inchinò e spostò indietro il cappuccio. La sacerdotessa lo esaminò con attenzione e camminò verso di lui.
“Sei cresciuto in forza e bellezza Akram. Me ne compiaccio.”
“Voi non siete invecchiata, mia signora.” La sacerdotessa sorrise.
“Credevi di trovarmi vecchia e debole? Il potere di Serian mi protegge.” Il giovane non tradì alcuna emozione.
“I Nagrod rispondono alla chiamata della sacerdotessa in vece dei Darine estinti e in rappresentanza del potere di Naga drago della Terra a loro appartenuto. Naro, signore dei Nagrod, mi manda a porgere i suoi saluti.” La sacerdotessa sorrise ancora di malizia.
“Ricevo con gaudio i saluti del signore dei Nagrod, ma Akram, figlio della mia compassione, cosa viene a dirmi?” Il ragazzo strinse forte i pugni sotto il mantello e rivide l’immagine in cui la sacerdotessa lo liberava dalle catene e lo consegnava ai Nagrod perché vivesse con loro. Dall’età di otto anni non aveva più visto essere umano.
“Akram s’inchina al vostro cospetto e chiede cosa desidera la somma sacerdotessa da lui.”
“Presto i Protettori di Aeria saranno qui e verrà aperto il grande consiglio. Se l’imperatore vorrà mantenere i suoi titoli e preservare il suo rango scenderà dal Berillion e prestò sarà a Cattedra. Io desidero che, mentre svolgi i tuoi soliti compiti di accompagnatore di Lord Naro, scopra tutto ciò che c’è da sapere su Aeris Strifen. Nessuno meglio di te può svolgere tale compito. Silenzioso, sconosciuto e attento.”
“Non servono Vostra Grazia le spie rosse del Viceré?”
“Non mi serve una spia. Io necessito di un’ombra.”
Akram strinse di nuovo i pugni nell’udire quell’ultima parola. La donna diede le spalle al ragazzo e proseguì.
“Le spie di Valentine servono solo Valentine. Inoltre l’incarico dovrebbe esserti gradito. Così facendo, non favorisco forse il tuo desiderio di vendetta?”
Il giovane viaggiatore fissò gli occhi nella schiena della donna come fossero stati due pugnali affilati. Ella non sapeva neanche cosa fosse per lui il desiderio di vendetta. Anni e anni trascorsi tra le montagne gelide in un ambiente ostile per qualsiasi creatura tranne che per i Nagrod. Giorni interi di silenzio in cui aveva cominciato ad apprezzare il suono di ogni singola sillaba, notti passate a guardare la Grande Ombra cercando di ricostruire il volto di sua madre. Un dolore sempre fisso a tormentargli l’anima. La vendetta per ogni onta subita era divenuta la sua unica ragione di vita. Se la sacerdotessa s’aspettava che scaricare la sua rabbia sull’imperatore fosse sufficiente a placare il suo desiderio di vendetta, era ben lontana dalla realtà. Ad ogni modo continuò a non lasciar trasparire alcuna emozione.
“Farò ciò che devo” disse solo.
Alla sacerdotessa la risposta piacque al punto che non aggiunse altro e lo congedo benedicendolo. Ignorava che Akram, il ragazzo che dava ad ogni parola il peso della roccia, intendeva davvero che avrebbe seguito solo e soltanto il proprio senso del dovere.
Raggiunse Naro. Il capotribù degli uomini bestia era in piedi sotto il grande arco del porticato di Cattedra. Akram gli si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla pelosa.
Il manto di Naro era scuro e folto. Naro era dunque stato un grande guerriero al tempo della grande battaglia di Tesla e ora era un capo forte e saggio. Akram rivaleggiava con lui in statura anche se era più esile e non sembrava in grado di competere in forza con lui. Naro lo fissò negli occhi e il giovane disse solo le parole necessarie come sempre faceva con lui.
“La sacerdotessa intende usarci. Vuole che diventi l’ombra dell’imperatore.”
Naro tirò un sospiro. Preferiva non parlare la lingua di Akram tuttavia quando voleva che il ragazzo percepisse l’importanza di quanto stava per dire si sforzava di usare la lingua umana.
“Pericoloso avvicinare troppo l’alferian per te”. Akram si infilò di nuovo il cappuccio e lo oltrepassò.
“Non temere per me. So cosa fare. Del resto i nemici dei miei nemici sono miei amici. Per ora.”

  
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