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Autore: Najla    17/01/2015    2 recensioni
Jade non ricordava di aver mai sentito così tanto silenzio in vita sua: non in quel posto almeno, non a quell’ora, non dopo una partita di Quidditch.
Era un silenzio teso, pieno di singhiozzi e sospiri, di parole lasciate a fior di labbra per paura di essere dette.
Era un silenzio pesante, che schiacciava fastidiosamente il petto e rendeva difficile respirare, non impossibile, solo più faticoso.
Era un silenzio che li lasciava tutti sull’orlo del baratro, a un soffio dalla caduta, a guardare il vuoto sotto di loro con lo stomaco improvvisamente ridotto ad un bicchierino da caffè, ma che comunque li teneva piantati con i piedi a terra.
Jade odiava il silenzio.
(tratto dal capitolo 10 )
Una storia che non è così semplice come potrebbe sembrare.
Un settimo anno ad Hogwarts che non potrebbe essere più incasinato.
Le basi di una battaglia che lascerà in ginocchio la Londra magica che tutti conosciamo.
Ma infondo, se si parla della nuova generazione, come potrebbe essere altrimenti?
(introduzione modificata )
Genere: Avventura, Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James Sirius Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Roxanne Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Diciassettesimo Capitolo
Falsi sorrisi e piani di omicidio
Parte 2



Londra, Ministero della Magia, Ufficio del Sottosegretario Weasley, ore 23.12
«Io non posso credere che tu l’abbia davvero lasciato uscire dal Ministero! » esclamò Harry seguendo Hermione all’interno dell’ufficio. Ron alle sue spalle si occupò di chiudere la porta e sigillarla per evitare che tutti quelli che ancora occupavano le stanze all’ultimo piano godessero dello spettacolo del Capo Auror e del Sottosegretario del Wizengamot che si urlavano contro come ragazzini. Era incredibile come il tempo avesse ridefinito i ruoli del loro indistruttibile trio rendendo lui quello più calmo e ragionevole.
«La legge è la legge, Harry, mi pareva di averlo già chiarito davanti agli altri » rispose la donna piccata puntando una mano sulla scrivania, «Vorrei sapere come diavolo ti è saltato in mente di tenere quel ragazzo chiuso qui dentro per più di due ore! Potrebbe farci causa! Potremmo perdere ogni possibilità di incastrarlo e tutto perché tu sei la solita testa calda! ».
Ron decise di mettersi comodo, stendendo le gambe in avanti e rilassandosi contro lo schienale in pelle di una delle poltrone, sospirando internamente di fronte a quella che sarebbe stata una serata interminabile, mentre vedeva le orecchie di Harry fumare.
Quando aveva visto la moglie presentarsi alla porta del suo ufficio con un fascicolo bianco in mano e lo sguardo accigliato di chi sa di aver capito bene ma spera vivamente di essersi sbagliato, Ron sapeva già che le cose sarebbero andate male. Quando poi l’aveva sentita chiedere dove fossero Harry, Susan, Theo e il sospettato che avevano catturato, gli sarebbe tanto piaciuto dire che Elias Martin era stato rilasciato come da protocollo, che Harry era a casa da Ginny, che Theo era a casa da Olivia e che Susan stava dormendo nel proprio letto. Inutile dire che ad Hermione era bastato un nanosecondo per capire ogni cosa e procedere di gran carriera verso l’ascensore per scendere al piano delle celle.
Ron l’aveva seguita veloce sperando di calmarla e Ted, che non aveva nessuna intenzione di perdersi lo spettacolo, lo aveva imitato altrettanto celere.
Tutto sommato, una volta arrivati alla porta della cella numero 2, Harry si era mostrato abbastanza ragionevole. Aveva rilasciato Martin senza una parola e si era sorbito la ramanzina di Hermione sul perché esiste la Legge magica davanti a tutta la sua squadra senza battere ciglio e li aveva congedati affermando che si sarebbero visti alle 9.00 della mattina dopo, per la gioia di Susan che non dormiva da un paio di giorni.
Il fatto che avesse fatto tutto ciò guardando Hermione come se provasse l’impellente bisogno di staccarle la testa era un dettaglio decisamente trascurabile.

«Era uno di loro Hermione! Era fottutamente uno di loro e l’abbiamo lasciato andare! » quasi ringhiò Harry puntandole un dito contro. La donna si accigliò ancora di più chinando il busto in avanti, quasi volesse staccargli quel sacrosanto dito con un morso.
«Abbiamo solo prove indiziarie, lo vuoi capire o no?! Non abbiamo neanche quello che serve per portarlo di fronte ad una corte normale, figurarsi per portarlo di fronte al Wizengamot! Una traccia magica a casa di Sybil Zabini e qualche insulto non fanno di lui un criminale ».
«Nata.. » provò a protestare lui e lei ricominciò a scuotere la testa.
«Natalie è una strega con una dote straordinaria ma servono le prove Harry, o quelle o una confessione e noi non abbiamo nessuna delle due. Persino la sua bacchetta era pulita, Harry, più pulita di una bacchetta appena uscita dal negozio di Olivander.. non so come abbia fatto ma non c’era un incantesimo sospetto che fosse uno, l’hanno controllata in tutte le maniere possibili » sospirò Hermione, aggrottando la fronte, «Non c’era modo di tenerlo qui, mi sono limitata a.. ».
«Lo so, maledizione lo so! » sbottò massaggiandosi gli occhi stanchi, «Poteva portarci a chi ha attaccato James, Hermione, magari sapeva chi c’è dentro Hogwarts, magari.. ».
«Lo terremo d’occhio, Harry, al primo passo falso ti giuro che lo scorterò personalmente ad Azkaban ma c’è un protocollo da rispettare ».
«Potremmo anche decidere di aggirarlo e occuparcene in un altro modo.. » azzardò il Salvatore del Mondo Magico preso dallo sconforto ma Hermione uccise subito qualsiasi implicazione più o meno illegale quella frase potesse avere.
«No, non possiamo » rispose pratica riordinando alcuni documenti sulla scrivania solo per tenere le mani occupate, «Siamo figure importanti per tutta la comunità magica, siamo osservati ora come mai e se qualcuno dovesse cogliere uno di noi a fare un passo falso finiremo nel mirino, non solo della stampa, ma anche di tutti gli uffici ministeriali » alzò lo sguardo su Harry per sottolineare quanto fosse seria al riguardo, «Non costringermi a fermarti dal fare qualcosa di stupido, potrebbe non piacerti il modo in cui intendo farlo ».
«È inutile che lo minacci, Mione » si intromise Ron intrecciando le mani in grembo, «Non è uno dei tuoi lacchè e nemmeno un politico senza spina dorsale come la maggior parte dei tuoi colleghi.. Se ha intenzione di fare qualcosa di insensato lo farà comunque, come ha sempre fatto ».
«Ci sono modi diversi di guardargli le spalle » commentò Hermione tornando con gli occhi truccati su Harry, «Ti voglio bene, sei il mio migliore amico e ho dimostrato più volte che non c’è niente che non farei per te come per la mia famiglia, ma non ti permetterò di mandare all’aria tutto quello che abbiamo costruito qui al Ministero ».
«Non lo farò.. » si arrese lasciandosi cadere sull’altra poltrone con uno sbuffò rassegnato, «Non guardarmi così, Hermione! Ho detto che non farò niente e non farò niente ».
La donna lo studiò ancora un po’, cercando di capire se la stesse prendendo in giro o meno e decise che questa volta poteva fidarsi, si accomodò sulla grande poltrona rossa dal suo lato della scrivania e prese a tamburellare sul legno con le dita.
«Bene, visto che Martin è stato una tomba vi farà senza dubbio piacere sapere che Caleb questa sera non ha scoperto niente di particolare » cominciò sarcastica sorvolando sopra alle imprecazioni dei due uomini, «Ha fatto rapporto poco prima che scendessi a cercarvi ma ha detto che per qualche motivo la Fyfield è convinta si tratti di uno degli insegnanti.. non ha spiegato il perché, ma ritiene improbabile che uno studente possa creare tanto scompiglio senza lasciare tracce ».
«Giusto, non è come se nessuno fosse mai riuscito a combinare qualche casino in quella scuola e poi fosse riuscito a cavarsela senza nessuna ripercussione » borbottò Ron sarcastico, «Forse dovremmo chiedere a Mirtilla Malcontenta che ne pensa di questa grande intuizione ».
«Comunque sembra che almeno per questa sera si possa stare tranquilli » continuò la donna intrecciando le dita a reggere il mento, «Pensavamo che avrebbero scelto di colpire un altro grande evento ad Hogwarts, e invece non si sono mossi.. Forse gli Illuminati hanno cambiato bersaglio ».
«O forse si preparano a fare qualcosa di veramente or.. » il bussare fremente alla porta dell’ufficio bloccò Harry e attirò l’attenzione degli altri due che per un attimo guardarono l’entrata piuttosto perplessi.
«Signora Weasley, signora! » esclamò la riconoscibilissima voce di Philips, il povero mago che faceva sempre la spola  dagli Auror ad Hermione e viceversa, «So che è tardi ma c’è qui la Professoressa Hastings, viene direttamente da Hogwarts! ».
Ron si alzò già agitato e aprì l’uscio con un colpo di bacchetta.
La faccia scura della docente di Difesa contro le Arti Oscure fece capolino nella cornice della porta appena sopra i capelli ben pettinati di Philips. Indossava ancora il vestito della festa e a nessuno dei tre servì chiedere conferma di quanto doveva essere successo.
Harry sperò che non fosse un altro dei suoi figli.
«Chi? » esalò un’Hermione già pallida.
«Due ragazzi » rispose la donna guardandola con un velo di rabbia a colorare le iridi ambrate, «Uno siamo riusciti a tenerlo al castello, l’altro è al San Mungo e non sanno se arriverà a domani ».
Il pugno di Ron si abbatté sulla scrivania con la potenza di un tuono nel silenzio della notte.
Rabbia, frustrazione..
Ancora.

18 Dicembre XX

Londra, Ospedale magico San Mungo, ore 00.43
«È tardi, James » disse una voce risvegliandolo dai suo pensieri, «Dovresti riposare, domani sarà una giornata impegnativa ».
Jamie la ignorò come aveva fatto tutte le volte precedenti e tenne gli occhi fissi sul numero dorato affisso ad una porta identica in tutto e per tutto a quella della sua stanza, solo che questa stava su un altro piano, in un altro reparto, uno di quelli che di solito precedono l’obitorio. Per arrivarci aveva dovuto scendere due piani, quattro rampe di scale, perché se si fosse avvicinato agli ascensori l’infermiera di turno lo avrebbe beccato, e aveva quasi rischiato di rompersi l’osso del collo perché non sapeva ancora usare le stampelle che Nihila aveva avuto la gentilezza di procurargli dopo l’ultimo intervento. La sua guarigione stava procedendo talmente bene che i medimaghi si erano detti disposti a mandarlo a casa per le vacanze di Natale, a patto che tornasse a farsi controllare almeno un paio di volte alla settimana.
James non sapeva dire se tanta attenzione fosse dovuta al fatto che potesse peggiorare di nuovo da un momento all’altro o all’essere il figlio di Harry Potter.

«Pulce, ascolta i grandi per una volta » disse qualcun altro, «Già dovresti essere a letto e sei qui, non tirare troppo la corda.. ».
James avrebbe tanto voluto sputare nell’occhio della sua balia bionda, perché definire quello che stava facendo un capriccio era quanto di più insensibile si potesse fare, ma non sarebbe riuscito a staccare gli occhi da quella porta nemmeno volendo.
La notizia che qualcuno ad Hogwarts era stato aggredito era arrivata alla sua stanza per un catastrofico sbaglio mentre giocava a scacchi con la sua nuova guardia del corpo, Edward Harker, spedito lì dallo zio Ron poche ore prima. Il primo pensiero era andato a Lily e Albus, il secondo ai suoi amici e il terzo a tutti i suoi parenti e affini. Stupido a dirsi ma solo in quel momento si era reso conto di quanta gente importante per lui ci fosse in quella scuola. Era scattato in piedi prima che Ed potesse fermarlo e aveva zoppicato velocemente verso la porta, appena in tempo per vedere dei medimaghi correre insieme ad una brandina volante, poi l’Harker lo aveva preso per la maglia del pigiama e lo aveva trascinato di nuovo dentro sbarrando l’unico collegamento tra quella stanza e il resto dell’ospedale.
Nel giro di un quarto d’ora avevano scoperto cos’era successo e nel primo e unico attimo di distrazione della sua balia, James ne aveva approfittato per scappare e andare a vedere con i suoi occhi. A posteri, vista la facilità con cui il suo bodyguard e il suo medico l’avevano trovato, era parecchio sicuro che glielo avessero lasciato fare.
«James.. » riprovò Nihila ma il ragazzo si limitò ad intrecciare le mani in grembo, gli occhi sempre fissi davanti a sé.
«C’ero io dietro quella porta poco più di un mese fa » esalò sperando che gli altri due capissero qual era il vero problema, il motivo per cui non poteva andarsene, «C’era la mia famiglia nella stanzetta in fondo al corridoio.. c’era mia sorella che piangeva, mia madre che.. ».
Deglutì sentendo il naso pizzicare.
«Non è giusto che adesso ci sia un bambino.. ha solo undici anni e sta come stavo io un mese e mezzo fa.. ma lui ha undici anni ».
Nella sua testa il fatto che Matthew Lodge fosse solo al primo anno aveva un’importanza fondamentale, forse più del fatto che fosse finito in ospedale perché le cruciatus l’avevano portato a un passo dalla morte. Figurarsi che James non lo sapeva nemmeno che si potesse morire a causa della cruciatus, era convinto si impazzisse soltanto. Nihila gli aveva spiegato che se fosse stato di qualche anno più grande probabilmente i danni sarebbero stati minori e forse per questo il fatto che fosse un bambino nella sua testa aveva una rilevanza cruciale.
Prendersela con un innocente era di per sé un atto ignobile, se poi l’innocente era un bambino che sapeva a malapena tenere in mano una bacchetta..
«È orribile, James, hai ragione.. » rispose Nihila con il tono conciliante che usava quando aveva a che fare con i propri pazienti, quello calmo e attento di quando simpatizzava per i mali della gente.
«Non riesco a capire perché » continuò il ragazzo prima di voltarsi finalmente verso di loro.
Nihila avrebbe ricordato lo sguardo negli occhi di James per tutta la vita. Sapeva di disillusione, paura e disperazione, lo stesso sentimento non eclatante ma amaro che coglie di fronte a quegli eventi che non si possono cambiare, che bisogna accettare per forza, anche se non piacciono per niente. Quelli di Jamie erano gli occhi di un adulto che ha capito che niente è eterno, che la vita finirà anche per lui e non sa come gestire questa nuova consapevolezza, se ne sente solo schiacciato.
La medimaga ricordò quando lo stesso pensiero aveva colpito lei, forte come una cannonata, e agì d’istinto, lo abbracciò forte sperando di tenerlo un bambino spensierato ancora per qualche istante.

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Ufficio della Preside McGranitt, ore 00.43
Jade si permise di sprofondare meglio nella poltrona tenendo gli occhi ben fissi nel liquido ambrato del the che la McGranitt aveva fatto apparire tra le sue mani quasi mezz’ora prima. Poco importava che fosse ormai tiepido e che non avesse nessuna voglia di berlo, tenere qualcosa tra le dita le dava un senso di stabilità e sicurezza che in mezzo a tutto quel caos non credeva di poter sentire.
L’ufficio della Preside era sorprendentemente affollato considerando che il pendolo nell’angolo avrebbe battuto a minuti l’una di notte e che la maggior parte degli studenti sarebbe tornata a casa di lì a una decina di ore. Il signor Potter sbraitava da un buon quarto d’oro sbuffando come una teiera, gli occhi furiosi dietro alle lenti degli occhiali rotondi e le mani intente a indicare a intervalli regolari la porta alle loro spalle, probabilmente riferendosi a qualcuno ancora assente. I signori Weasley, che Jade non aveva mai visto ma che sapeva essere i genitori di Rose, lo spalleggiavano un po’ più composti, uno seduto sulla poltrona gemella a quella dove si era accomodata lei, e l’altra passandosi continuamente una mano tra i capelli che ormai avevano rinunciato ad una qualsiasi parvenza di ordine. Jade non li avrebbe detti tranquilli, ma rispetto al signor Potter quei due parevano l’incarnazione della calma.
La McGranitt sedeva oltre la scrivania che la divideva dal padre di James con un’espressione imperscrutabile, le dita lunghe e raggrinzite tamburellavano piano contro il legno scuro del piano e sembravano dare un ritmo a tutti i pensieri che dovevano affollarle la mente, incurante dell’uomo che le sbraitava di fronte e totalmente estranea al resto degli ospiti che la osservavano. La Hastings, viceversa, sembrava sul punto di staccare il collo a qualcuno e per questo, secondo Jade, si teneva impegnata fumando come un camino in pieno inverno, da che erano entrati aveva acceso già quattro sigarette e il suo angolo di stanza odorava di tabacco e cannella in una maniera impressionante. Caleb le faceva compagnia con gli occhi puntati fuori da una delle piccole finestre e una mano lasciata mollemente in tasca. Jade non avrebbe saputo dire a cosa stesse pensando, forse all’attacco di quella notte, forse si sentiva in colpa per non essere riuscito a fare niente, ma se doveva essere onesta non ne era del tutto sicura. Caleb era diventato una persona sfuggevole, non era più il ragazzo socievole che l’aveva presa in squadra anni prima, e ogni tanto, quando parlavano, le sembrava di avere a che fare con un filo di fumo, pronto a cambiare ad ogni minimo soffio d’aria.
Le sarebbe piaciuto sapere cosa lo aveva cambiato tanto e si annotò mentalmente di chiederglielo alla prima occasione.
Lei dal canto suo sarebbe solo voluta andare in dormitorio per stendersi a letto, dubitava che sarebbe riuscita ad addormentarsi o anche semplicemente a chiudere gli occhi senza avere degli incubi, ma avrebbe gradito tanto un po’ di silenzio.
Da quando lei, Rox ed Elijah aveva trovato i corpi privi di sensi di Lorcan e Matthew Lodge, tutto era stato un continuo urlare e gridare e imprecare.
Jade non aveva saputo da che parte girarsi.
Aveva tenuto le mani strette attorno alle braccia di Roxanne, bloccata in un mutismo sconvolto, gli occhi scuri puntati sulla testa di Lorcan e sulle mani di Katherine che rifiutava di smettere di piangere. Nemmeno Joshua era riuscito a schiodarla da lì, nemmeno quando barcollando le aveva stretto le spalle con un braccio e aveva cominciato a sussurrarle qualcosa contro il collo.
Non avrebbe detto che era stato come tornare al giorno della partita perché era stato molto peggio. Ricordava che quando James era caduto tutto era stato molto più dinamico. Aveva detto a Ian di stare con Eli, aveva visto Evangeline avvicinarsi a Roxanne e poi aveva seguito la McGranitt, il fiato bloccato in gola e la mente impegnata a percorrere pensieri pragmatici, concreti. Cosa fare, come fare, perché, cosa era successo..
Sapeva di essere crollata nella doccia, più tardi, ma fino a quel momento era stata l’adrenalina a reggerla, a tenerla in piedi, a farle fare qualcosa, qualsiasi cosa.
Davanti a quella scena, invece, la paura aveva bloccato il mondo mentre l’immagine del corpo di James prendeva il posto di quella di Lorcan Scamander e il volto pallido di Matthew Lodge che le guardava con le palpebre abbassate sembrava ripetere “Non respira, non respira”.
L’urlo di Charity le aveva gelato il sangue ma aveva avuto l’effetto di riscuoterla come una cannonata nella calma dell’alba. Aveva mollato la presa sulle braccia di Roxanne che continuava a guardare di fronte a sé nel pieno di un attacco di panico e aveva bloccato Charity dall’avvicinarsi al fratello fino a quando Damian non l’aveva sostituita agguantando la ragazza per la vita per avvicinarsela al petto.
«Mollami! Matt! Cazzo Damian mollami! È mio fratello! MATT! ».
L’aveva ripetuto così tante volte e con un tono sempre più acuto e disperato che Jade aveva provato il naturale istinto di guardare da un’altra parte per non dover affrontare i suoi occhi sgranati e le sue labbra tremule.
Poi era arrivato anche Lysander  ma lui non aveva urlato, non aveva sbraitato, aveva cominciato a balbettare frasi sconnesse e Jade si era sentita davvero come il giorno della partita. Questa volta però aveva deciso di guardarlo negli occhi, anche se la paura gli stava scolorando il viso con una sincerità disarmante.
«Lys, sono sicura che sta bene » aveva detto mettendogli una mano sul braccio coperto dal vestito della festa, «Sono sicura che non è niente ».
«Jade, cosa è successo? » aveva continuato a chiederle Evangeline e lei non aveva saputo darle una risposta perché onestamente non ce l’aveva.
«Eva, non è importante adesso » le aveva risposto ad un certo punto Ian. Jade lo aveva guardato con tutta la gratitudine di cui disponeva e lui aveva scosso la testa come a dire che non c’era nulla di cui ringraziare.
La confusione era continuata in un crescendo fino a quando la McGranitt non aveva ordinato ai Prefetti di riportare gli studenti in Sala Grande e a Mordaci di prepararsi a controllare che tutti fossero presenti all’appello mentre gli insegnanti cominciavano a perlustrare i corridoi alla ricerca di un colpevole che sicuramente era già sparito.
Alla fine nel corridoio, erano rimasti solo Charity Lodge, a cui era stato concesso di seguire il fratello al San Mungo, Lys che invece aveva chiesto di poter accompagnare il gemello in infermeria per accertarsi che stesse davvero bene, la Hastings, che si era smaterializzata diretta al Ministero, e Jade, che non si era stupita troppo quando la Preside l’aveva invitata a seguirla nel proprio ufficio.
Il maleficio della conoscenza, aveva pensato mentre camminava in silenzio dietro alla McGranitt.
A distanza di quasi un’ora, seduta e impegnata ad ignorare quello che le succedeva intorno, si rendeva conto di aver una gran voglia di piangere. Un ragazzino stava morendo, Lorcan era in infermeria e nessuno sapeva con certezza come si sarebbe svegliato viste le condizioni della sua testa, e lei era chiusa nell’ufficio della Preside con una tazza di the in mano.
Era stanca, si sentiva furiosa non sapeva bene con chi e voleva andare a morire sotto le coperte.
Un atteggiamento molto poco da Grifondoro ma poco le importava.
«Dovresti berlo finché è ancora tiepido » la voce del signor Weasley la riscosse appena. Si voltò in silenzio verso di lui e doveva avere un’espressione particolarmente stravolta perché lo vide curvare le labbra in un sorriso incoraggiante e comprensivo.
«Lei è il padre di Rose » biascicò Jade prima di prendere un sorso dalla tazza. L’uomo sorrise passandosi una mano sulla barba corta.
«Già.. anche se in pochi lo direbbero, quella ragazzina è tutta sua madre » rispose con un certo orgoglio, «E tu invece devi essere Jade Fyfield, è un piacere fare finalmente la tua conoscenza.. a dispetto delle circostanze, ovviamente ».
Jade annuì in silenzio e appoggiò la tazza ancora piena per metà sul tavolino scuro che li separava. Lanciò uno sguardo allo sbraitante signor Potter e decise che anche se aveva sempre straveduto per lui da quando aveva undici anni, al momento il padre di Rose le stava molto più simpatico.
«Smetterà di urlare ad un certo punto » continuò lui abbassando il tono con fare cospiratorio, «Purtroppo la diplomazia non è mai stata il suo forte ».
«Penso non sia il forte di nessuno dei Potter » si permise di dire lei. Si guardarono e sorrisero disgraziatamente consapevoli di quanto quell’affermazione fosse vera.
«Ti dirò, non è il punto forte nemmeno di mia sorella quindi poveretti.. i ragazzi non hanno proprio avuto scampo ».
Jade ridacchiò un po’ più liberamente e Ron scosse la testa.
«Hai idea di quante volte abbiano litigato e poi lui abbia dormito sul nostro divano da quando è sposato con Ginny? Io ho perso il conto. E farli riappacificare, poi.. Per le mutande di Merlino! Come posso scegliere se dare ragione a mia sorella o al mio migliore amico? ».
Sentendoli ridere il signor Potter si zittì oltraggiato e incrociò le braccia al petto fulminando il cognato con un’occhiataccia. Aveva la stessa teatralità di suo figlio James quando doveva far sapere al mondo di essere indispettito.
Jade lo vide aprire la bocca per dire qualcosa quando la Hastings lo bloccò scostandosi dalla finestra, le mani infilate pigramente nelle tasche del vestito rosso scuro che aveva indosso alla festa.
«Per come la vedo io stiamo solo perdendo tempo, Potter. Continuare ad incolpare chicchessia per quello che è successo stanotte non ci porterà da nessuna parte » disse prima di spostare lo sguardo sull’allieva, «Abbiamo coinvolto la signorina Fyfield in questa storia per un motivo o sbaglio? Già che è qui facciamola parlare e partiamo da quello che ha da dirci ».
«Non vi dirà più di quello che ho già riferito io » si intromise Caleb e Jade si voltò appena per vederlo avvicinarsi allo schienale della sua poltrona e fermarsi proprio alle sue spalle, «Non ci siamo mai divisi stasera e non.. ».
«Ma non era con lei quando ha ritrovato il signor Scamander e il signor Lodge in corridoio, signor McDuff » lo interruppe la Hastings senza staccare gli occhi ambrati da quelli di Jade, «Signorina, può raccontarci cosa ha visto esattamente prima che il signor Faraday corresse a chiamarci? ».
Jade si sentì in soggezione ma continuò a guardare la professoressa dritta negli occhi mentre prendeva un respiro profondo.
Il racconto non durò molto, anche perché non ci sarebbe stato molto da raccontare. Aveva salito le scale, aveva visto i due corpi sul pavimento, aveva mandato Elijah a chiamare la McGranitt e il resto lo sapevano tutti. Confusione, grida, pianti.. Non era davvero una delle cose che avrebbe voluto descrivere nel dettaglio in quel momento, o più in generale in tutta la sua vita.
«Quindi le uniche persone presenti sulla scena prima del tuo arrivo erano la signorina Wetmore e il signor Nott, esatto? » a Jade non piacque per niente l’insinuazione sottesa alla domanda del signor Potter.
«Sì, ma non li considererei dei sospettati » rispose per niente spaventata dal cipiglio intimidatorio dell’uomo, l’aveva visto tante di quelle volte in James che ormai se ne sentiva immune.
«Perché? » si intromise la signora Weasley incrociando le braccia al petto.
Jade la guardò perplessa, come se la domanda fosse troppo stupida per essere posta.
«Josh è il nipote di un Mangiamorte, probabilmente è un bersaglio, non uno dei colpevoli. Non simpatizza per le idee di suo nonno ma sicuramente non si metterebbe a sterminare tutti i purosangue. Suo padre è un purosangue, che senso avrebbe? ».
«E la signorina Wetmore? ».
«Non ne sarebbe capace ».
«Non mi sembra un granché come risposta » fece notare il signor Potter e Jade sbuffò sentendo l’irritazione salire.
«Sentite, voi mi avete chiesto un parere, voi mi avete chiesto di guardarmi intorno alla ricerca di qualcosa di sospetto. Conosco quasi tutti in questa scuola e posso assicurarvi che se dovessi stillare una lista di possibili Illuminati non ci inserirei Joshua e la Wetmore ».
«Forse sono intervenuti per aiutare Matthew Lodge » ipotizzò Caleb, «Forse è lo Scamader il colpevole. Stava torturando il ragazzino, gli altri due l’hanno sentito e si sono messi in mezzo per fermarlo, la cosa è sfuggita di mano e gli hanno spaccato la testa ».
Jade sgranò gli occhi sconvolta, come diavolo poteva passargli per l’anticamera del cervello una teoria del genere? Lorcan un Illuminato?
«Per come la vedo io il figlio di Luna è stato solo un danno collaterale » disse il signor Potter sospirando, «Probabilmente ha visto qualcosa che non doveva vedere e chiunque sia stato ad aggredire il piccolo Lodge ha pensato fosse saggio zittirlo ».
«Ma non sono stati Josh e Katherine » ci tenne a precisare Jade.
«Le persone non sono sempre quel che sembrano, signorina Fyfield » commentò la Hastings.
Jade provò il malsano desiderio di ridere istericamente.
«Ma non sono loro due, ci scommetterei la testa! ».
«Una tale convinzione deve avere le proprie basi da qualche parte ».
Jade si voltò di nuovo verso il signor Potter.
«Non ho delle basi, lo so e basta » tagliò corto prima di rivolgersi alla McGranitt che fino a quel momento era rimasta in silenzio, «La prego, professoressa, ora posso andare a dormire? Vi ho detto tutto quello che sapevo ».
Con la coda dell’occhio vide Caleb rivolgerle un sorrisetto divertito e istintivamente seppe di aver usato un tono molto più indolente di quanto non fosse sua intenzione. Si morse la lingua socchiudendo gli occhi. La diplomazia non era nemmeno il suo, di forte.
«Ancora qualche minuto, signorina Fyfield, poi potrà andarsene » rispose pacata la Preside e Jade alzò gli occhi al cielo.
Il minuto durò più di mezz’ora e Jade si chiese se quella notte sarebbe mai finita.

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Comune Grifondoro, ore 01.31
Ian non si svegliò quando sentì il ritratto della Signora Grassa spostarsi per liberare l’ingresso alla Sala Comune. Non si svegliò anche se era steso sul divano con sopra una coperta e gli occhi arrossati dal sonno per il semplice motivo che non stava dormendo, se ne stava a fissare il soffitto in attesa, pensando a che fine potesse aver fatto la sua migliore amica, ormai latitante da ore, in una notte in cui avrebbe di gran lunga preferito avere tutte le persone a lui care a portata di sguardo.
Quando al frusciare della tela si aggiunse un leggero ticchettio si decise a dare un’occhiata al nuovo arrivato sbucando dalla sagoma rossa del divano solo con la testa.
Jade stava cercando di togliersi le scarpe in precario equilibrio su una gamba sola, la bacchetta appoggiata sul tavolo vicino all’ingresso e i capelli ricci e gonfi come il pelo di un gatto incattivito. Sembrava strano ma ogni volta che quella ragazza era stressata o arrabbiata con qualcuno i suoi ricci si gonfiavano facendola assomigliare molto ad una paziente psichiatrica reduce da un elettroshock. Lui e i ragazzi l’avevano presa in giro anni per questo fatto.
«Che fine avevi fatto? » chiese dopo un po’ con il tono più disinvolto che gli fosse mai riuscito, come a voler sottolineare che no, lui non la stava fissando da quando era entrata, no no.
Lei si voltò di scatto verso i divani, una mano premuta all’altezza del cuore e l’altra pronta a lanciare le scarpe con il tacco in testa all’idiota che le aveva appena accorciato la vita di una decina d’anni. Ian avrebbe tanto voluto ridere ma si trattenne.
«E tu che ci fai qui? Perché non sei a letto? » chiese poi passandosi una mano tra i capelli nel blando tentativo di appiattirli un poco.
«Non si risponde ad una domanda con una domanda, sai? È maleducazione » commentò lui mettendosi a sedere e facendole segno di fargli compagnia sul divano.
Jade acconsentì con un sospiro sfinito, appoggiò la testa contro lo schienale, il viso rivolto verso il suo, e chiuse gli occhi.
«Sembri distrutta » mormorò portando il volto parallelo al suo. Erano amici da anni, non era la prima volta che si trovavano su quel divano a parlare e visto che avevano decretato di comune accordo di comportarsi come avevano sempre fatto, Ian non si sentì minimamente in colpa per essersi avvicinato in quel modo. Anche se farlo gli fece tremare la gola.
«Penso che distrutta non renda bene l’idea » sorrise appena lei strofinando la guancia contro il velluto rosso, «Non mi hai ancora detto cosa ci fai qui ».
«Ero preoccupato per te, non arrivavi più » Ian sbadigliò vistosamente e Jade storse il naso.
«E poi parli a me di educazione.. ti ho appena ispezionato le tonsille. E comunque so come tornare al mio dormitorio, non serve che tu perda ore di sonno preoccupandoti. Ricordi? Conosco tutte e tredici le strade ».
Ian ridacchiò appena.
«Lorcan è in infermeria, Il fratello della Lodge è al San Mungo, è stato un po’ difficile non farlo.. Roxanne si era proposta di rimanere qui finché non fossi arrivata ma l’ho mandata a letto, era stravolta e continuava a far esplodere cose.. Penso si senta in colpa per quello che è successo a Lorcan ».
«Penso le abbia ricordato quello che è successo a James » sospirò Jade guardandosi le mani.
«E a chi non l’ha ricordato? » sussurrò Ian mentre i loro sguardi si incrociavano.
Dopo alcuni secondi le labbra di Ian si curvarono in un sorriso consapevole lasciando la ragazza piuttosto interdetta.
«Quando nascondi qualcosa te lo si legge negli occhi, è come se implorassero le persone di farti domande, di costringerti a parlare.. » spiegò sottovoce, era difficile usare un altro tono nel piccolo silenzio che li divideva.
Jade non si mosse, rimase lì, accoccolata contro lo schienale del divano, immobile. Ian la sentì trattenere il fiato e si disse che nonostante tutto poteva ancora vantarsi di conoscerla come pochi.
«Perché sei arrivata così tardi? » chiese cercando di suonare calmo, quando invece sentiva una preoccupazione crescente e inspiegabile attanagliargli lo stomaco.
Jade lo guardò con gli occhi sgranati e lucidi prima di scoppiare a piangere senza una vera ragione e Ian fece l’unica cosa che gli venne in mente. La abbracciò prendendo ad accarezzarle la schiena, in silenzio, lasciandola sfogare. Non sapeva se a renderla così era stato il ricordo di quello che era successo a James, o forse vedere quei due ragazzi sul pavimento del corridoio o addirittura qualcos’altro ma non aveva molta importanza.
A lui bastava che smettesse di piangere.
Più tardi, in quella notte che pareva non conoscere fine, Jade avrebbe alzato gli occhi al soffitto e gli avrebbe raccontato ogni cosa, senza una ragione apparente. Entrambi sapevano che se lei non avesse voluto dire niente, lui non avrebbe insistito, sapeva per esperienza personale che spingere Jade a fare qualcosa equivaleva ad ottenere istantaneamente la reazione contraria.
Più tardi, Ian avrebbe deciso di non chiederle cosa le avesse fatto cambiare idea, cosa l’avesse convinta ad aprirsi in quel modo, consapevole del fatto che doveva esserle costato un coraggio infinito mostrarsi tanto vulnerabile, regalargli di nuovo la sua fiducia.
L’unica cosa che avrebbe fatto sarebbe stato ascoltarla in silenzio fino ad addormentarsi, alle quattro del mattino, con la testa appoggiata alla sua.


Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Comune Serpeverde, ore 01.33.
Josh osservò Damian agitare la bacchetta con un colpo secco del polso e percepì il calore delle fiamme nuovamente ravvivate nel vuoto del camino scaldargli una guancia, illuminando un poco l’oscurità verdastra che li avvolgeva. Non si mosse per constatare l’ovvio, come avrebbe fatto solitamente sovrappensiero, ma rimase con gli occhi fissi sul volto del suo migliore amico. Era talmente concentrato nello studio della sua figura apparentemente immobile che ogni altra sensazione passava inesorabilmente in secondo piano. Studiò con attenzione la curva rigida della mandibola e la linea tesa delle labbra sigillate, vide che inspirava ed espirava a fondo con il naso e teneva gli occhi, ridotti a due fessure, fissi nel fuoco.
Ad alcuni sarebbe potuto sembrare semplicemente immerso nei propri pensieri, ma Josh sapeva che dentro a quel corpo statico si stavano agitando sensazioni forti e contrastanti, e sapeva, sopra ogni cosa, che Damian non era semplicemente arrabbiato o preoccupato, era letteralmente furioso. Furioso del tipo di furia che ti porta a compiere un omicidio godendone sul serio.
Se doveva essere onesto, Josh se ne sentiva vagamente intimorito. Solo vagamente, però, perché conosceva Damian da diversi anni e sapeva come tenergli testa, anche a costo di fargli male sul serio. Era capitato in passato e non escludeva che potesse ricapitare nell’immediato futuro.
L’unica cosa su cui non si sentiva sicuro era il perché di tutta quell’ira. Forse perché era stato attaccato un Serpeverde? Forse perché si era trattato del fratello di Charity?
Josh si convinse che doveva essere una commistione di entrambe le cose. Quello e il fatto che con l’attacco ai parenti di Dolohov tutta la sua famiglia sarebbe stata sul piede di guerra.
Non aveva mai pensato alla guerra vera, prima di quella sera, nemmeno quando Jade li aveva chiusi in una stanza per discuterne. Gli era parsa una cosa così distante e sfocata da non meritare la sua attenzione, Nott era uno che tendeva a preoccuparsi dei problemi solo quando gli si spiaccicavano sulle lenti degli occhiali, prima di allora, non erano affar suo.
A voler essere sinceri, anche pensandoci non avrebbe saputo da che parte schierarsi, non avrebbe nemmeno saputo dire se si sarebbe schierato da qualche parte: non condivideva le idee degli Illuminati, questo era certo, farlo sarebbe equivalso a sterminare quasi tutta la sua famiglia, ma non si sentiva nemmeno pronto a spargere sangue per difendere un’idea di vero mago che nemmeno capiva. Lui era un mezzosangue, figlio di una babbana e di un purosangue, il che lo rendeva un papabile bersaglio per chiunque allo stato attuale delle cose.
Ecco, se ci fosse stato un partito che si fosse opposto ad entrambe le idiozie si sarebbe certamente unito a quello. Filosoficamente parlando, Josh si sarebbe volentieri visto come una macchina grigia tra il nero dei Mangiamorte e il bianco degli Illuminati, impegnato strenuamente nella salvaguardia del suo essere un colore di confine.
Ma non era un ragazzo pieno di ideali con cui colorare il mondo, Josh, quindi sapeva con assoluta certezza che, se la guerra fosse arrivata, Damian non avrebbe fatto il puntino grigio con lui.
No, Damian aveva già addosso un mantello nero e una maschera da assassino pronte ad aspettarlo fuori dalle porte del castello e Josh sapeva che le avrebbe indossate entrambe senza esitazione. Non perché credesse a cazzate come la purezza del lignaggio e affini, Damian non era così stupido, ma perché farlo avrebbe significato avere vendetta per cose che forse non erano ancora accadute, ma lo avrebbero fatto prima o poi.
E Damian amava l’idea della vendetta più di ogni altra cosa.
Josh lo capiva, perché era un ragazzo intelligente e acuto e capiva sempre tutto, anche se fingeva il contrario, e non si sentiva deluso all’idea che il suo migliore amico potesse scegliere una strada del genere. Non si sentiva deluso e non sentiva il desiderio di fargli cambiare idea, erano entrambi adulti di fronte alla legge magica e consapevoli delle proprie scelte, ma sapeva che ci sarebbe stato un giorno in cui Damian gli avrebbe chiesto di seguirlo e lui avrebbe  dovuto augurargli buona fortuna, prendendo la strada opposta.
L’idea gli metteva addosso una tristezza indescrivibile.
Voltò appena il capo per guardarsi alle spalle, scrutando la figura di Katherine raggomitolata sotto ad una coperta, con gli occhi chiusi e una mano stretta a pugno vicino al viso. Sembrava una bambina.
Quando era uscito dal bagno, quella sera, dopo averla sentita urlare, mentre appoggiato contro la parete fredda del bagno cercava di non rigettare anche l’anima, si era ritrovato per un attimo senza saper cosa fare. Probabilmente per la prima volta in tutta la sua vita, la sua mente si era scoperta sgombra di qualsiasi pensiero intelligente e lo aveva lasciato lì a boccheggiare come un idiota, e no, i postumi dell’alcol non centravano niente.
Aveva visto le mani di Kath sporche di sangue, ancor prima di realizzare che quello a terra era Lorcan Scamander e che a pochi passi c’era il corpo di Matt. Aveva solo visto il sangue su quel ridicolo vestito arancione e il suo cervello era andato nel pallone.
Era stato l’istante più brutto della sua vita.
Poi aveva visto Jade e Roxanne Weasley in piedi lì vicino e il tempo aveva ripreso a scorrere, insieme alla sua attività cerebrale. Più tardi avrebbe realizzato che quel momento di vuoto era dovuto alla paura che quella stupida della sua compagna di Casa fosse ferita in qualche modo, ma non l’avrebbe ammesso ad anima viva nemmeno sotto le più atroci torture.
Accompagnarla in Sala Grande quando la McGranitt aveva ordinato a tutti di andarsene da quel diavolo di corridoio era stato quasi surreale, aveva tenuto un braccio ancorato a quelle spalle esili come se da quello dipendesse la stabilità del mondo mentre lei si lasciava scortare in silenzio, gli occhi spalancati e le mani sporche abbandonate sui fianchi, come appendici inutili.
Katherine era stata l’immagine della desolazione fino a quando non si era addormentata su quel divano, implorandolo di rimanere con lei perché era spaventata a morte.
Per una volta Josh non aveva risposto con un commento ironico o sarcastico, aveva solo annuito, si era infilato il pigiama, aveva portato una coperta e si era seduto ai piedi del divano, vicino al caminetto, il fiato caldo di Katherine che gli solleticava il collo e un libro aperto sulle ginocchia.
Damian, apparentemente vittima della sua stessa insonnia, aveva deciso di fargli compagnia poco dopo e si era seduto di fronte a lui sul pavimento, in silenzio. Un silenzio furioso che Josh non aveva avuto voglia di spezzare per non doverne affrontare le conseguenze.
«Credi che Matt si riprenderà? » si sentì chiedere con un filo di voce, un suono a metà strada tra un ringhio e un sussurro.
Joshua si voltò verso Damian. Non si era mosso, non lo stava guardando e per un istante il ragazzo temette di aver avuto un’allucinazione uditiva.
«Non ne ho idea, Dam » rispose togliendo gli occhiali per pulirli con un angolo del pigiama, giusto per avere qualcosa da fare e non guardare l’amico in faccia. Sapeva che c’avrebbe visto qualcosa di rabbioso e oscuro ed era decisamente troppo stanco per affrontare anche quello.
Infilate nuovamente le lenti sulla punta del naso, spostò lo sguardo sul soffitto della Sala Comune, sperando di vedere al più presto l’alba specchiarsi nell’acqua del lago.
Aveva bisogno dell'inizio di un nuovo giorno.










Note dell'autrice:
Buonasera a tutti! Allora, comincio con il ringraziare di cuore
Roxy_14   e B r e e  che hanno così gentilmente recensito lo scorso capitolo, non vi conosco ma questo capitoletto lo dedico a voi!!
Poi ringrazio anche chi ha solo letto la storia, nonostante fosse passato un anno dall'ultimo capitolo. Non siete state proprio due persone, il che mi ha sollevato incredibilmente il morale, quindi GRAZIE davvero! Se la prossima volta volete anche recensire, non mi dispiace per niente :)

Non ho molto da dire su questo capitolo, se non che è stato riscritto almeno venti volte, se ne sono andati tanti pezzi e altri invece sono cambiati, insomma, quando avevo pensato alla conclusione del Ballo d'Inverno, non avevo sicuramente pensato a questo, tranne per il piccolo Matthew Lodge, lui era destinato ad essere steso su un pavimento fin da quando questa storia è cominciata.. povero Matt..
Comunque, questo voleva essere un capitolo pieno di umanità e spero si sia percepita tutta, dalla rabbia di Harry Potter che vede la situazione sempre sfuggirgli di mano, a James che sperimenta concretamente cosa significhi aver paura della morte, a Jade che cerca di tirare fuori un po' di palle ma alla fine crolla miseramente quando se ne presenta l'occasione, a Ian che ascolta in silenzio, senza troppi pensieri, perché a volte basta ascoltare e guardare per capire le cose, non servono ore di riflessioni, a katherine che nonostante sia una vipera, va nel ballone, per finire con Josh che pensa al futuro con il suo occhio disilluso e ci vede già la guerra.
Quando ho cominciato a scrivere questa storia avevo ben chiara l'idea che i personaggi non sarebbero stati santi, non avrebbero fatto sempre le scelte giuste e non avrebbero mai frequentato tutto a testa alta, indipendentemente dalla Casa di appartenenza, perché diciamocelo, le scelte giuste nella vita sono rare e spesso ci si arriva perché prima si ha fatto tutte quelle sbagliate. Sarebbe molto più semplice scrivere di persone statiche che agiscono sempre per il bene, o sempre per il male, o che sono sempre impavide e coraggiose di fronte ad ogni situazione, e forse potrei farlo se James e combriccola fossero dei bambini che non sono mai caduti e quindi non hanno paura di farsi male, ma come si rendono conto un po' tutti, non sono più bambini, sono giovani adulti e mi piace farli comportare come tali, con tutte le sfumature e le contraddizioni che questo può comportare.

Bene, detto questo ci sono un paio di cosette da chiarire, giusto perché, in effetti, non aggiorno da un anno:
1- Quando Jade dice che la faccia di Matthew Lodge sembra ripeterle "Non respira, non respira " è un riferimento a quando James cade dalla scopa durante la partita e l'infermiera della scuola dice alla Hastings, "Cinnamon, non respira, il ragazzo non respira". In pratica Jade vede il ragazzino già morto, come James il giorno della caduta. (Cap. Lacrime di Pioggia )
2- Quando Harry e Hermione stanno parlando del dono di Natalie, si riferiscono al fatto che possa scegliere di frugare nella mente della gente senza l'ausilio di una bacchetta. (Cap. Al ritmo di una danza )
3- Nonostante James paragoni Lily che piangeva mentre lui era sotto i ferri a Charity, questo non significa che la ragazza stia effettivamente piangendo. Nemmeno quando vede suo fratello al castello sta effettivamente piangendo. Come ho già detto, Charity non piange. (Cap. Di distrazioni e gufi inquietanti )
4- Non so se si è pienamente percepito ma io nutro un amore spropositato nei confronti di quella ciminiera ambulante della Hastings e del pragmatismo cinico di Joshua Nott, per cui Cinnamon Hastings avrà sempre in mano una sigaretta e Josh reagirà sempre in maniera molto calma, anche di fronte all'apocalisse.

Penso di aver detto abbastanza, forse troppo, quindi vi saluto :)
Il prossimo aggiornamente non so quando sarà ma credo in due/tre settimane, tempo di dare un po' di esami universitari. Anche quello è già scritto, quindi devo solo convincermi che possa essere pubblicato e mi permetto uno spoiler: i nostri eroi torneranno a casa per Natale e ci saranno le loro dolci famiglie ad attenderli, quanto saranno contenti da 1 a 10 di questa cosa? Lascio a voi qualsiasi speculazione in merito!

Ancora buona serata a tutti,

Najla








  
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