25.
Dalle finestrelle che comunicavano con il
basamento della scuola, Louis vide del fumo che aleggiava nei locali.
L’incendio doveva essersi sviluppato nei sotterranei. Se non si fosse spento in
tempo, si sarebbe propagato per tutta la costruzione, compresi i dormitori, che
comunicavano con l’istituto per mezzo dei sotterranei.
Louis non sapeva cosa fare. Non sapeva se
Donovan era riuscito a chiamare i soccorsi prima di essere ucciso, ma da quanto
aveva intravisto, il telefono era fuori uso. Guardò ancora una volta la scuola,
chiedendosi cosa avrebbe dovuto fare.
Vai a
svegliare tutti quanti, presto!
Louis si girò intorno, ma non vide
nessuno. Eppure era sicuro di aver sentito qualcuno parlare.
- Cosa? Che cosa…? –
Corri
ai dormitori! Devi svegliare tutti e farli fuggire!
Di nuovo quella voce di ragazzo che prima
gli aveva suggerito di scappare. Non sapeva perché, ma sentiva di potersi
fidare. Tenendo la pistola spianata, girò l’angolo e si ritrovò nello spiazzo
principale. Salì velocemente i gradini che lo separavano dal portone d’ingresso
e si aggrappò alla maniglia, che purtroppo girò a vuoto.
- Oh no! È chiusa! –
Svelto,
fai saltare la serratura!
- Come? –
Con
la pistola, dannazione!
Louis alzò la mano destra, dove impugnava
la pistola che aveva trovato nel cassetto della scrivania di Umbridge. La guardò con espressione spaventata: non avendo
mai maneggiato armi da fuoco, Louis si chiese come fare per sparare. Cercò
nella sua mente qualunque ricordo potesse essergli utile. Gli venne in mente
che una volta aveva visto suo padre usare la rivoltella, quando aveva avuto
paura che fossero entrati dei ladri in casa, ma in quell’occasione non aveva
sparato. Però gli aveva visto fare un gesto molto comprensibile. Con il pollice
aveva tirato indietro quella specie di martelletto posto sopra il calcio. Suo
padre gli aveva spiegato che si chiamava cane,
e che il cane serviva a far girare il tamburo che
avrebbe allineato la camera di scoppio che conteneva il proiettile con la
canna.
Molto lentamente, con la paura a fior di
pelle, Louis tirò il cane con il pollice. La rivoltella emise un fiero “Click!” e contemporaneamente il
grilletto si tirò all’indietro. Sono
pronta per fare fuoco, Sir, sembrava di avergli detto.
Louis si parò a distanza di sicurezza,
mirando alla serratura della porta. Non sapeva come né perché, ma gli sembrava
che il suo braccio fosse stato spostato da qualcuno, e che lo stesso qualcuno
glielo stesse tenendo ben saldo mentre tutto il suo corpo tremava.
- Signore, ti prego aiutami! –
Esclamò, e con l’indice tirò il grilletto della pistola, che sparò il suo colpo
con un “BANG!” che l’assordò
temporaneamente. Nonostante questo, la serratura era saltata, e la porta era
aperta.
Louis la spinse con il gomito, tenendo la
pistola con entrambe le mani.
Corse dritto verso il portone d’ingresso
del cortile, quindi verso i dormitori.
Parti
dal terzo piano, gli disse la voce, parla con calma e dì semplicemente loro di seguirti e di avvertire gli altri
nelle altre stanze. Al resto penserò io.
- Dov’è Niall?
– domandò Louis, guadagnando la porta del cortile e precipitandosi verso
i dormitori.
La voce non rispose.
Louis salì velocemente le scale fino al
terzo piano, arrivandovi trafelato. Iniziò a bussare a tutte le porte, sperando
che ci fossero ragazzi già svegli. Dalle porte uscirono gli studenti, alcuni
che facevano parte della sua classe.
- Professor Tomlinson?
– domandò uno di questi, un ragazzo dai capelli rossicci.
- Ragazzi, ascoltatemi – disse
Louis con molta calma – C’è un problema con la scuola. Seguitemi e… -
- Che genere di problema? – domandò
un altro ragazzo, quest’altro castano con i denti da coniglio.
- Non c’è tempo per spiegarvelo. Vi
prego, ragazzi, scendete giù, e mentre lo fate, avvisate i vostri colleghi
degli altri piani. Dite loro di seguirvi, e uscite nel cortile esterno. –
- Fuori fa freddo…! – protestò una
voce.
- Copritevi bene, ma non perdete tempo a
vestirvi. Mettete le scarpe e basta. Dovete assolutamente uscire dai dormitori.
Questo è un ordine! –
Louis alzò la voce, e i ragazzi finalmente
gli obbedirono. Ci furono dei borbottii d’incertezza, ma alla fine i ragazzi si
riunirono in massa e iniziarono a scendere le scale. Louis li
seguì, e vide che alcuni stavano bussando alle porte, chiamando fuori i
colleghi.
Louis tirò un sospiro di sollievo, quindi
li osservò andare verso l’atrio che separava i
dormitori dal cortile. Sostavano lì davanti alla
porta.
- Coraggio, ragazzi! Che cosa state
aspettando? –
- La porta è bloccata, Professor Tomlinson – disse il ragazzo di prima con i denti da
coniglio.
Louis spalancò la bocca.
- Fatemi passare – ordinò, e si
posizionò di fronte alle maniglie. Provò a girarle, ma non ci fu niente da
fare. Le porte erano bloccate.
- Allontanatevi,
ragazzi! – disse, mentre estraeva la pistola dalla tasca della giacca. I
ragazzi si allontanarono tappandosi le orecchie, e Louis ripeté le operazioni
che aveva fatto prima, sparando una seconda volta.
Questa volta però, oltre al botto e
all’odore di cordite che si spanse in una nuvola di fumo blu, altro non avvenne.
La porta rimase chiusa.
- Dannazione!!!
– imprecò Louis, tirando un calcio alla porta, che non si scompose di un
millimetro. Nel frattempo, dalla porticina che portava ai sotterranei,
incominciò a venire fuori del fumo.
- Che cos’è questo fumo?!?
–
- La scuola sta andando a fuoco!
Guardate! –
Uno degli studenti indicò verso la
finestra, da dove si vedeva la biblioteca che stava prendendo fuoco. Louis
rivolse lo sguardo in quella direzione, vedendo con orrore Niall
che sostava sul ballatoio con un cappio in mano.
- No!!! –
Urlò, dimenticandosi improvvisamente di tutto e di tutti. Corse verso i
sotterranei, mentre i ragazzi incominciavano ad agitarsi. Uno degli studenti gli
urlò di aspettare, ma nell’istante stesso in cui Louis udì quell’invocazione,
la porta dei sotterranei si chiuse dietro di sé. Provò a riaprirla, ma non ci
fu niente da fare. Era bloccata come quella dell’atrio.
E’ un
sortilegio. Non puoi aprirla, soltanto lui può.
Louis provò il desiderio di piangere. Si
portò le mani agli occhi e latrò come un cane per un momento.
Non
ti servirà piangere, piuttosto ascoltami. Siamo ancora in tempo per salvare Niall.
Louis aprì gli occhi, vedendo che in
fondo alle scale c’era qualcuno. Strizzò un po’ gli occhi per abituarli alla
penombra e cercare di dare un nome al volto che stava
vedendo: la figura in fondo alle scale era il ragazzo che vide quella sera in
cui Sean Cortland bevve la soda caustica. Non
gocciolava più acqua, ora aveva solo il colorito cinereo e gli abiti lacerati.
- Nathaniel… -
Seguimi.
Il ragazzo camminò a destra verso il
corridoio sotterraneo, e Louis lo seguì ad arma
spianata.
Nel corridoio faceva caldo. E c’era puzza
di fumo. Louis tossì, cercando di abbassarsi come meglio poteva per evitare di
morire soffocato. Dalla tasca dei pantaloni tirò fuori il suo fazzoletto, e se lo portò alla bocca ed al naso, cercando di filtrare il
fumo.
Stai
attento adesso, gli disse Nathaniel,
in questo corridoio c’è il focolaio.
Effettivamente, da quella porta a doppio
battente proveniva il fumo. Odore di carta e di carbone,
oltre che di combustibile. Louis dedusse che in quel corridoio da
qualche parte c’era la caldaia, e che chiunque fosse stato, avesse usato il
fuoco dell’impianto per appiccare l’incendio.
Louis provò a mettere la mano sulla maniglia,
ma questa scottava. Allora cercò qualcosa lì intorno con cui avvolgersi la
mano: uno straccio per spolverare. Lo avvolse intorno alla mano e girò la
maniglia, che si aprì rivelando il corridoio in fiamme.
*****
Intanto, a Londra, un’automobile guidata
dall’Ispettore Martin era lanciata a tutta velocità, mentre un aiutante girava
la manovella che azionava il motore della sirena,
facendo spostare velocemente carrozze, cavalli e calesse. Per la verità, data
la rumorosità del motore a scoppio (un potentissimo impianto a trentacinque
cavalli in dotazione a Scotland Yard), la sirena non sarebbe servita: chiunque
si sarebbe spostato sentendo quell’assordante boato.
Sul sedile posteriore, in mezzo a due
agenti, stava George Barnett. Il suo volto era
un’immagine a metà fra la preoccupazione e la soddisfazione. Finalmente, stava pensando,
finalmente vedrò da vicino gli effetti di
una tempesta psicocinetica.
Mentre guidava, l’ispettore Martin si
chiedeva come si fosse lasciato convincere a fare una cosa del genere. Be’, era
facile: quando c’era stato da fermare quel pericoloso criminale di Jack lo
Squartatore, l’allora giovanissimo padre di George, aveva dato una mano alle
indagini. L’assassino non era mai stato catturato, però Scotland Yard non aveva
mai dimenticato l’aiuto di Sir Marcus Ezra Barnett.
Martin guardò George. Sembrava
preoccupato, ma allo stesso tempo trepidante. Mentre era arrivato in ufficio,
lì per lì non ci aveva fatto caso, essendo troppo impegnato a lavorare su delle
scartoffie riguardanti casi di omicidi e tentativi di rapina. Addirittura
Martin aveva pensato che lo stesse prendendo in giro,
dopo la storia che gli aveva raccontato, e quel giovane biondo con il suo
vestitino di velluto verde si sarebbe fatto una notte in cella se non avesse detto
di chi era figlio. In ogni caso, se era vero ciò che aveva detto sull’Istituto
Watkins, quel giorno ci sarebbero state molte vite da salvare.
*****
Dell’inferno Louis aveva visto soltanto
le miniature provenienti dalle letture della Divina Commedia di Dante Alighieri, quel poeta italiano che cantava
dell’amore per Beatrice e sembrava avesse dato agli italiani la lingua che
correntemente parlavano. Se lo immaginava come un
posto buio, dove regnava sovrano il dolore e la disperazione: nulla di neanche lontanamente
simile a ciò che stava vedendo in quel momento.
Le fiamme provenivano da una porta
aperta, dove c’era una caldaia. Chi aveva appiccato l’incendio aveva avuto cura
di ubriacare ben bene i muri di cherosene, tanto che le fiamme si erano
propagate anche sulle pareti. Le strutture di legno che sorreggevano i mattoni,
sarebbero presto state divorate dal fuoco, cedendo inesorabilmente.
Louis tossì, cercando di individuare Nathaniel. Non lo vide, quindi avanzò nel corridoio,
sperando di trovare l’uscita dai sotterranei.
Un tizzone ardente gli cadde vicinissimo,
e poi fu la volta di un’intera trave, che si staccò dal soffitto cadendogli
alle spalle. Louis urlò, correndo per il corridoio. Svoltò a sinistra. Lì,
c’erano le scale che salivano e una porta chiusa.
Salì velocemente le scale, ma a metà
gradinata, la porta si aprì, rivelando la figura di Stephen con la pistola in
mano.
Louis sgranò gli occhi. Stephen non
sembrava più lo stesso: aveva uno sguardo spiritato, come se fosse sotto
ipnosi. Sparò un colpo, che ferì di striscio il braccio di Louis.
- Ah! – gemette Louis, quasi
perdendo l’equilibrio. Se fosse caduto da lì, si sarebbe sicuramente rotto la
testa. Si aggrappò al corrimano. Scottava, ma era sempre meglio che cadere
all’indietro.
Si precipitò giù, ricordandosi troppo
tardi che non poteva ritornare nei sotterranei dei dormitori. La strada era
bloccata dalla trave incendiata.
- Louis…? – stava chiamando Stephen
– Coraggio, vieni fuori. Non ti faccio niente, voglio solo parlare.
–
Louis si rintanò nello stipite di una
porta. Stephen sparò un secondo colpo, quindi Louis tirò di nuovo il cane della
pistola e allineò un altro colpo.
- Sì, voglio fare un bel discorsetto con
te. Hai presente Niall? No? Be’, sappi che io l’ho
sempre tenuto d’occhio. È un opportunista, uno che non si fa scrupoli a
portarsi a letto chiunque voglia. –
Bang! Un
altro sparo risuonò nel corridoio, questa volta Louis riuscì a udire persino i
fischi del rimbalzo.
- E non gl’importa
che siano vecchi… giovani… studenti… colleghi! Lui se li porta a letto. E vuoi
sapere una cosa? Era riuscito a portare a letto anche me.
- Proprio così, mi ha portato a letto,
Louis! Perché tenessi la bocca chiusa sui passatempi che aveva con gli
studenti. –
- C’è, c’è stato, ci sarà un insegnante che non sia mai stato un pervertito, in
questo posto? –
- Oh, eccoti Louis… finalmente sento la
tua voce. Però non riesco a vederti… non è educato
nascondersi, non lo sai? Comunque forse uno c’è: è il professor Umbridge. Che cara persona. Pensa che ha
sempre fatto di tutto per proteggerci. Per non farci finire in mezzo ad
una strada. –
- Già, vi ha tenuti in una specie di
gabbia popolata da mostri e soggiogata da una maledizione… ma tanto a voi cosa
importava? A farne le spese erano i ragazzi. –
- Deduzione esatta, Sir Tomlinson! – esclamò, apparendogli di fronte.
Istintivamente, Louis sparò un colpo, che ferì Stephen ad
una spalla. Se non gli fosse tremata la mano all’ultimo secondo, forse lo
avrebbe centrato dritto al cuore.
- Bastardo!!!
– imprecò Stephen, sbattendo alla parete. Louis sgattaiolò fuori dal suo
nascondiglio, andando verso le scale. Stephen sparò un altro colpo, ma poi
Louis lo sentì urlare.
- Uaaaaaaaaaarrggghhhhhh!!!! –
Si girò. Vide il suo collega che stava
bruciando. I suoi vestiti stavano venendo divorati
dalle fiamme, e lo stesso il suo corpo. L’urto con il muro doveva avergli
bagnato i vestiti di cherosene, e a contatto con il fuoco, si erano accesi. Ed ora il professore di storia dell’arte giaceva
ginocchioni, con le fiamme che lo stavano divorando lentamente.
Louis scappò, arrivando alla porta.
Corse a perdifiato per il corridoio,
vedendo Nathaniel che gli indicava la porta della
biblioteca. Arrivato, Louis l’aprì e velocemente entrò.
Qui, vide che i libri erano stati tutti
accatastati in enormi montagne. Sulla ringhiera del ballatoio, c’era appeso un
cappio, al quale era legato, sostenuto da una scala, Niall.
Il giovane professore di filosofia
piangeva, con le mani legate dietro la schiena e il cappio intorno al collo. Se
la scala avesse ceduto o fosse stata spostata, Niall
sarebbe morto soffocato.
- Louis… - piagnucolò.
- Niall!
Aspettami, vengo a salvart… -
Attento
alle spalle!!!
Non fece in tempo a finire la frase, che
la voce di Nathaniel per poco non gli fece esplodere
il cervello. Dietro di lui, il Preside Umbridge
brandiva una spada, che calò pesantemente contro Louis.
Louis si scansò, evitando per un soffio
che la lama gli staccasse un orecchio. Rotolò accanto ad una pila di libri,
quindi cercò di rialzarsi e affrontare Umbridge con
la pistola. Non riuscendo a rialzarsi, sparò da
seduto. Il colpo mancò Umbridge, che balzò con l’arma
impugnata, cercando di tagliarlo in due.
- Professor Umbridge,
svegliatevi!!! Siete vittima di un sortilegio! –
Nei suoi occhi Louis vide una luce
malvagia. Era come se il suo volto avesse perso ogni fattezza umana: ora non
c’era più il professor Umbridge con lui, ma solo un
mostro senza sentimenti.
Louis si nascose dietro una libreria,
cercando la scatoletta con i proiettili. La trovò. Fece scattare il meccanismo
che apriva il tamburo e s’infilò cinque proiettili in bocca.
- Vieni fuori, e combatti da uomo!
– berciò Umbridge, calando la spada sulle
librerie. Louis scappò, nascondendosi dietro un’altra scaffalatura.
- Tu non sai quanto ho fatto
per questa scuola. Non lo puoi neanche lontanamente immaginare. Non riuscirai a
portare degli intrusi qui dentro. Non
riuscirai a portarmela viaaaaaa!!!!
–
l’urlo
del Preside fu raggelante. Infilando i proiettili uno alla
volta nel tamburo, Louis ricaricò la pistola, richiudendola con destrezza. Umbridge era di spalle, e Louis gli sparò.
Il colpo lo
centrò ad un polmone, tanto che Umbridge fece un
“Oh!” di sorpresa, cadendo in avanti.
- V… vigliacco! Alle…
alle spalle…! –
Louis gli andò vicino con la pistola puntata.
- Non muovetevi. – disse, mentre Umbridge stava tentando di recuperare la spada. Louis la
calciò, tenendolo sempre sotto tiro. Umbridge fece
un’espressione spaventata mentre le sue labbra si riempivano di sangue.
Poi, incominciò a ridere.
- Che cos’avete da ridere? –
- Coraggio, figliolo, ammazzami. Non è
sempre questo ciò che hai desiderato? –
Allora Louis non vide più il suo Preside,
bensì suo padre. Quel vecchio ubriacone del suo padre naturale. Accanto a lui,
persino una bottiglia di whisky aperta. Lo guardava con quegli occhi cerchiati
di rosso, e quell’espressione gufesca e cattiva. Louis
continuò a tenerlo sotto tiro, ma la mano gli tremava.
- L’ultima volta non ti è riuscito bene,
uccidermi… sei stato maldestro, a mettere quella cordicella sulle scale… sono
caduto e mi sono rotto l’osso del collo. Ma non mi hai
ucciso abbastanza. –
La mano di Louis tremò ancor di più
mentre stringeva saldamente il calcio nella mano. – S..stai… zitto! – gli intimò.
- Ora sono tornato, figlio mio… e ti
prometto che staremo insieme per sempre. E sempre. E sempre. –
- Basta!!!
– urlò Louis, sparando uno, due, tre, quattro colpi alla figura sotto di
sé, chiudendo gli occhi. Quando li riaprì, vide che il
corpo era quello del Preside.
Un paio di mani si misero ad applaudire
lentamente.
Louis si voltò. Dietro di lui, Harry sorrideva
divertito mentre batteva le mani.
- Bravo, Louis. Molto bravo. –
- Harry… o forse dovrei chiamarti Elijah?
–
Il ragazzo incrociò le braccia sul petto.
– Chiamami come preferisci. Elijah… oppure Harry. L’importante è che tu
sappia chi sono. –
- Sì… Lo so chi sei… Qualunque sia il tuo
nome… sei un ragazzo che non ha mai provato la felicità nella sua breve vita. –
disse Louis.
Harry lo fissò
intensamente senza dire una parola per un lunghissimo tempo. Poi sospirò.
- Già, forse. È tutta acqua passata
quella che ho in corpo. Però… le ferite non si cancellano. Ma
forse oggi riuscirò a pareggiare i conti. –
Detto ciò, Harry allargò le braccia e
chiuse gli occhi. Istantaneamente, le pile di libri accatastati incominciarono
a fumare, prendendo fuoco sotto gli occhi attoniti di Louis.
Niall
urlò.
Harry riaprì gli occhi e li portò su di Louis.
- Che la festa abbia inizio –
disse.