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Autore: Macy McKee    19/01/2015    6 recensioni
[Ambientato durante Mockingjay; Finnick & Katniss friendship]
Nelle fiabe, quando due creature ferite s’incontrano e si aiutano a vicenda, imparano insieme a guarire le proprie ferite e tutto torna com’era prima. Ma nella vita reale non funziona così. Nella vita reale ci siamo io e lui, sull’orlo del baratro, che lottiamo e ci aggrappiamo l’uno all’altra per non perdere l’equilibrio. Sapendo che, se uno di noi vacilla, nessuno ci salverà dalla caduta.
Genere: Angst, Introspettivo, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Finnick Odair, Katniss Everdeen
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Capitolo II
 
Sun's come up
And there's no one else around
Meet me in the shadows
Won't you tell me what you found?

"Where the lonely ones roam", Digital Daggers
 
Sento i passi di mia madre che entra di corsa. Prim si agita fra le mie braccia. Finnick urla, e non sembra avere intenzione di smettere.
Provo l’impulso di andare da lui, ma mi trattengo. Potrei essergli utile soltanto se qualcuno lo stesse attaccando, e questo è fuori questione.
Deve aver avuto un altro crollo. Provo una fitta sottile di senso di colpa, ma è accompagnata dalla consapevolezza che io non possa fare nulla: qui, almeno, può essere aiutato da qualcuno capace di gestire una crisi. 
A mia madre servono cinque minuti di parole rassicuranti per convincere Finnick di non trovarsi a Capitol City, e una dose di sedativo per farlo addormentare di nuovo.
Io non chiudo occhio. Sono ancora sveglia quando Prim scivola fuori dalle lenzuola, e mia madre si avvicina per chiedermi se io sappia cosa sia successo a Finnick.
Sospetta qualcosa, e questo mi sorprende. È sempre stata intuitiva con i suoi pazienti, ma non con me. Non le ho mai permesso di avvicinarsi abbastanza da riuscirci. 
Forse dovrei dirle la verità, ma non voglio essere confinata qui un secondo più del necessario. E non voglio nemmeno tradire Finnick, in un certo senso: uscire è stata una mia idea, dopotutto. Così, mi stringo nelle spalle e fingo di non averne idea.
≪Credeva di essere a Capitol City≫ continua lei, sedendosi sul bordo del mio letto. Mi ritraggo istintivamente, e vedo la sua espressione ferita quando se ne accorge. Ma non commenta. ≪E di essere fuggito dalle prigioni di Snow. Qualcosa riguardo all’essersi nascosto sotto un pavimento per non farsi prendere dalle guardie. Credeva che io fossi un Pacificatore.≫
Deve essere piuttosto convinta dei suoi sospetti, se è disposta a condividere con me queste informazioni. 
Mi stringo nelle spalle di nuovo, e lei si allontana, con un’espressione incerta. Sono sicura di non averla convinta, ma non ha importanza: finché non decide di confinarmi qui, può sospettare qualunque cosa. E so che non oserebbe mai rompere l’equilibrio che abbiamo in qualche modo raggiunto tentando di segregarmi qui.
Non mi avventuro più fuori dall’ospedale dopo quella notte. Da sola non saprei dove andare, e non ho la minima intenzione di tornare là sotto. E, naturalmente, coinvolgere di nuovo Finnick è fuori questione.
Passano un paio di giorni senza che succeda nulla, e io comincio a provare il desiderio di fuggire da una finestra. Ma non ci sono finestre. Solo muri immacolati e persone ferite che entrano ed escono e nulla da fare. Assolutamente nulla da fare.
La sera del secondo giorno scopro di non sopportare più la noia. Salto giù dal letto e comincio a camminare avanti e indietro. Devo sembrare più instabile di quanto io non sia, ma è un piccolo prezzo da pagare pur di non rimanere ancora sdraiata. Di questo passo, dimenticherò come si faccia a correre.
Quando comincio a sentirmi di nuovo in gabbia, allungo il mio percorso. Esco dalla zona sicura vicino al mio letto e muovo qualche passo attraverso l’ospedale. Vorrei trovarmi in qualunque altro luogo, ma non posso andarmene: devo fingermi docile, almeno per qualche giorno, o non mi dimetteranno in tempo per prendere parte ai combattimenti.
Riesco a scorgere Finnick che dorme poco lontano. Sto per tornare indietro, quando lo vedo aprire gli occhi. Dopo la nostra piccola fuga, non abbiamo più parlato, e io ho davvero bisogno di rivolgere la parola a qualcuno per non dover pensare.
Bisogno di rivolgere la parola a qualcuno. Io. Haymitch non ci crederebbe, se mi sentisse dire una cosa del genere. Forse sto impazzendo davvero.
Mi avvicino a Finnick. Il suo sguardo è ancora distante, e sembra teso. Capisco che ha notato la mia presenza quando lo vedo rilassarsi.
Mi siedo su un angolo del suo letto, come Prim fa con me. Rimaniamo in silenzio fino a quando ci viene portata la cena e io torno nel mio angolo. Quando mi avvicino di nuovo a lui, lo trovo addormentato.
Ripetiamo questa routine per due giorni.
Il terzo giorno, Finnick mi guarda sorridendo e dice: ≪Vuoi lasciarmi sulle spine fino alla fine della rivolta?≫
Vede il mio sguardo interrogativo e scuote la testa con un po’ troppa enfasi per essere serio.
Questi suoi cambiamenti d’umore improvvisi cominciano a irritarmi. So che non è colpa sua, ma non mi piace non saper prevedere quale sarà la sua prossima mossa. È come cacciare in un bosco in cui gli alberi possono spostarsi. Anzi, è più difficile, perché le persone rimangono per me un territorio quasi completamente inesplorato. Questo non è mai stato il mio campo.
≪La favola del Principe Merlo≫ spiega lui. ≪Non me l’hai raccontata.≫
La favola. Mi ha sentita, allora. Ricorda il mio discorso.
Avrei preferito che lo dimenticasse: è solo una sciocca fiaba, e io non sono assolutamente in grado di raccontarla. Non avrei nemmeno dovuto nominarla.
≪Prim è una narratrice molto più brava di me.≫
Lui scuote la testa. ≪Mi accontenterò.≫
Cerco una posizione più comoda sul letto, a disagio.
Non sono brava a raccontare. Non sono Peeta.
Se lui fosse qui, prenderebbe la vecchia favola di una bambina del Giacimento e la trasformerebbe in una grande avventura.
Ma qui ci sono solo io.
Dovrei rifiutarmi, ma qualcosa mi dice che accontentarlo è il modo più veloce per fargli dimenticare che io ne abbia parlato.
≪Uhm…≫ comincio. Come si racconta una storia? Non è come scambiarsi aneddoti sul passato nella grotta insieme a Peeta. Lui riusciva a trasformare i miei goffi tentativi in un racconto con un significato. Gli dava forma, come faceva con i colori sulle tele.
Finnick alza un sopracciglio, dicendomi “puoi fare di meglio” con gli occhi.
La considero una sfida. 
Mi concentro. Come cominciava sempre le favole Prim? C’era una formula, un’espressione che aveva trovato in un vecchio libro polveroso, ma non riesco a ricordarla. Decido di improvvisare.
≪In un regno lontano≫ inizio. ≪Vive un Principe brutto. Non si guarda mai allo specchio, e passa le giornate chiuso nelle sue stanze. Esce soltanto la notte, quando nessuno può vederlo. Un giorno, una fata bussa alla sua porta e gli concede di esprimere un desiderio. Tutti sono convinti che chiederà la bellezza, ma non lo fa. Invece, le dice di non voler più essere solo. La fata accetta di esaudire la sua richiesta, e scaglia un incantesimo. Lo trasforma in un merlo.
Il Principe si infuria, e urla che condannerà a morte la fata. Ma prima, troverà qualcuno che cancelli l’incantesimo.
Vola fuori dalla finestra, verso i boschi.
Vola fino a non avere più forze. Allora si ferma su un ramo, e a un tratto guarda in basso e vede una margherita che danza e danza nel prato. È bellissima, e il merlo se ne innamora. Trascorre tutta l’estate accanto a lei. Un giorno, si accorge che la margherita ha un petalo annerito. Le chiede cosa sia successo, e lei risponde che il tempo e il vento l’hanno ferita. Sta appassendo. Ma il merlo non si arrende. Rimane accanto alla margherita, parlandole e portandole l’acqua con il becco, e lei non appassisce.
Ma l’estate lascia il posto all’autunno, e poi l’autunno finisce. Un giorno, il merlo si allontana per cercare un po’ d’acqua per la margherita. Ha piovuto poco, quell’anno, e lei soffre la sete. Ma quando torna, lei è scomparsa. Un velo di neve ha coperto tutto, nascondendo anche il fiore. Il Principe la cerca ovunque, ma non riesce a trovarla. Allora si posa su un ramo e rimane immobile a vegliare sulla radura tutto l’inverno, aspettando che la neve si sciolga. Ma quando…≫
Mi interrompo di scatto quando sento qualcuno toccarmi una spalla. Un’infermiera mi sta tendendo un vassoio, e mi fa cenno di ritornare al mio letto.
Nessuno mi aveva mai impedito di rimanere lì, prima d’ora: i sospetti di mia madre devono essere condivisi.
Mi rimprovero fra me. Ero convinta di essere stata più prudente nella mia fuga. Rimanere qui non mi sta facendo bene.
Finnick protesta, ma l’infermiera non cede.
Torno al mio letto, e quella notte sogno Peeta che vola verso di me. Non ha ali, ma galleggia nell’aria. Io rido vedendolo volteggiare nel cielo, e mi sorprendo di quanto mi suoni estranea la mia risata. Ma all’improvviso comincia a nevicare, e la neve mi seppellisce. Preme sulla mia bocca, sul mio naso. Mi soffoca.
Cerco di liberarmi, ma ovunque io guardi vedo neve. Neve bianchissima. Come le rose di Snow.
 
 
 
Note: Sì, la favola del merlo mi ha risucchiato la vita. Si nota?

 
   
 
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