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Autore: malpensandoti    19/01/2015    3 recensioni
E non m’interessa se le gambe sul tavolo non posso metterle che tanto alla fine s’intrecciano sempre e solo con le tue.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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random words 


 
 


La sesta notte sul divano di Louis è probabilmente la peggiore dei miei ventidue anni di vita.
Fuori soffia il vento, c’è il cigolio continuo di una porta della casa e sento perfino le gocce d’acqua che in cucina cadono dal lavello rotto.
Kalia non è stata la mia prima fidanzata.
Ci siamo conosciuti al liceo, è vero, ma io stavo con Ashley. Kalia ha sempre fatto parte della mia compagnia di amici, frequentavamo gli stessi locali, gli stessi luoghi, i parchi un po’ deserti, i pub del sabato sera e anche gli stessi ristoranti.
Non ho mai capito perché il mio cervello abbia scelto proprio lei.
Ashley era bella, bionda, con gli occhi grandi e le mani intraprendenti. Abbiamo fatto sesso, siamo stati in vacanza insieme un anno e l’ho presentata perfino a mia madre.
Kalia è arrivata un giorno di dicembre, con i vestiti tutti bagnati per la neve e un sorriso genuino. È arrivata, mi dico sempre, anche se in realtà era sempre stata lì. Da qualche parte, seduta nei miei stessi luoghi accanto agli stessi amici.
L’ho baciata quello stesso giorno, con le guance gelate per il freddo e le mani infilate nei guanti. E l’ho rifatto altre volte, quando il tempo si è scaldato e il mio corpo si è abituato. A lei.
Ashley l’ho lasciata più avanti, al quarto anno. Era un mercoledì, un mercoledì che probabilmente non scorderò mai.
Ashley era bella, forse è lo è tutt’ora. È stato il mio primo ‘Ti amo’, uscito forse più per l’eccitazione del momento tra le lenzuola che per altro. Ma è stato comunque bello, mi sono divertito, sono stato bene.
Poi è arrivata Kalia e sono stato meglio.
Ci siamo trasferiti nell’appartamento appena finito il liceo, coi soldi del diploma e parecchia fortuna.
Un materasso largo, qualche mobile usato, il tappeto dei miei e il divano dei suoi, il quadro che ha fatto Zayn, il bagnoschiuma che è sempre lo stesso, noi.
Kalia è quel tipo di ragazza che non pretende di tenerti la mano mentre ti cammina affianco ma lascia comunque i palmi ben aperti nel caso in cui volessi stringerglieli un po’.
Io non l’ho mai fatto, i miei pugni sono sempre chiusi.
Però mi piacerebbe, giuro.
Adesso, per esempio, se lei fosse qui, probabilmente le stringerei le mani fino a farle male.
E forse, sempre se fosse qui, potrei chiudere gli occhi e non sentire l’acqua e non sentire il vento e sentire lei.
 
 
 
 
Il Randy’s è un piccolo pub dopo il parco in cui da piccolo mi sono rotto il braccio.
Vengo qui da almeno cinque anni, ho bevuto su ogni tavolo presente in sala, ho provato tutte le birre che Peggie mi ha offerto e qui, proprio qui, sulla sedia su cui sono adesso, Kalia ed io abbiamo deciso di andare ad abitare insieme.
E anche i nomi dei nostri figli, e il suo vestito da sposa, la razza del cane, gli anelli, le promesse, le lenzuola, la prima parola della nostra bambina, le nostre ultime parole in generale.
Zayn lavora in un’officina in pieno centro, guadagna abbastanza da potersi permettere di dipingere quadri astratti e volti di persone ed è uno spirito libero.
Non si è mai fidanzato, “L’unica cosa in cui voglio essere coinvolto – ripete sempre, dopo il terzo bicchiere di birra – è l’arte”
Adesso è seduto davanti a me nel tavolo numero 7 del Randy’s, sta spiegando a Louis qualcosa sul basket e l’altro sta ridendo perché sa già che si scorderà ogni cosa nel giro di mezz’ora.
La situazione è alquanto comica sotto diversi punti di vista, sorrido a Zayn e ai suoi capelli scuri, all’orecchino destro, la lingua incastrata tra i denti bianchi e gli occhi dorati.
Ordiniamo tre birre grandi, è sabato e Kalia inizia a mancarmi.
“Non puoi semplicemente chiederle scusa?” mi chiede Zayn dopo qualche minuto, con le sopracciglia scure inarcate.
Louis tossicchia perché la birra gli è andata di traverso, si lecca le labbra: “Ma tu ce lo vedi Harry? Harry. Harry Styles che chiede scusa?”
No, certo che no. Non striscio ancora.
Sorrido, strizzo gli occhi che mi sembra tutto appannato: “Non è così semplice, Zayn” mormoro.
Il pub si sta riempiendo visibilmente, le luci si fanno più opache e il biliardo in fondo alla sala è circondato da ragazzi che ho già visto.
“Invece è semplicissimo – Zayn si appoggia alla sedia, allarga le braccia infilate dentro una camicia a scacchi blu scuro – La chiami, torni a casa, ammetti che sei una testa di cazzo e ti scusi. Non è un’impresa, sono due parole. Mi dispiace”
“O tre – Louis fa schioccare le dita, sorridendo – Sono uno stronzo”
“Mi faccio schifo” aggiunge Zayn, e probabilmente è un gioco che piace ad entrambi. Sorridono complici e hanno ragione.
“Sono una merda”
“Odio me stesso”
“Sono un fallito”
“Mi faccio pena”
Rido, scuoto la testa e mi mordo il labbro inferiore.
Fa un male cane.
“O magari quattro parole – ribatto, con la lingua pesante – Ti prego, vieni qui”
Tutti e due stanno in silenzio, il bar si agita.
“Sì – Louis sospira, prende un sorso di birra – magari anche quattro”

 
 
 
 
Kalia è seduta al bancone, Ella al suo fianco. Stanno bevendo un Martini, due paia di gambe lunghe e incrociate sotto dei sorrisi furbi.
Probabilmente mi hanno già visto.
È la seconda partita a biliardo che Louis vince, ho perso dieci sterline e Zayn si sta arrabbiando.
Giochiamo ancora e mi sento osservato. Guardo Kalia e lei è ancora di schiena, il profilo elegante del suo viso, i capelli legati, le mani sempre a gesticolare.
Deglutisco, mi passo una mano tra i capelli e appoggio il bastone da biliardo al muro: “Torno subito”
Ma spero sia una bugia.
Indossi un paio di jeans che io conosco a memoria. Hanno una cucitura sull’interno coscia sinistro per via del buco che ti sei fatta al lago l’anno scorso. Il maglione è il mio, quello grigio con le maniche strette, e mi fai sorridere perché stai cercando di ignorarmi anche se sappiamo perfettamente che entrambi non siamo mai stati capaci di farlo come si deve.
Quando provi a fare finta che io non esista, sorridi appena esattamente come adesso. E quando ci provo io poi ti bacio ti bacio e ti bacio ancora.
Mi schiarisco la voce e le tue spalle si irrigidiscono, Ella smette di parlare e Dio solo sa quanto questo mi faccia felice.
Cerco le parole adatte, devo andarci piano e farlo bene.
“Ciao”
Continui a guardare Ella che ride, ma poi sospiri e chiudi gli occhi: “Ciao”
Mi sei mancata più di quanto ammetterei.
Ti chiedo se possiamo parlare, inclino la testa e tu mi guardi.
Hai gli occhi più belli del mondo e non dire che non è vero perché non riesco ancora a dormire la notte.
Ti alzi, “Tienimi la borsa” dici a Ella e mi segui fuori dal locale.
Ci stringiamo nelle spalle ma non tra le braccia, sei ancora più bella quando tremi e fa ancora più male non poterlo fare insieme.
“Dimmi tutto” mi sproni, e la riga tra le tue sopracciglia è il segnale che vorresti una sigaretta.
Io vorrei te.
Cerco ancora le parole, parole che non ho e non posso darti. Mi dispiace, non lo dico.
“Come stai?”
E sono anche un po’ patetico.
Tu ridi, scuoti la testa e stringi i denti.
“Starò meglio quando inizierai a parlarmi seriamente – ribatti – Non riesco più a sopportare una relazione in cui tu non dici niente e io cerco di capirti ugualmente. Sono stanca”
Le cerco di nuovo, cerco anche la voce per cacciarle fuori.
Ho le parole ma non ho le palle.
Mi dispiace, non lo dico, lo sai?
Ti prego, vieni qui.
Sei già rientrata.

 
  
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