FAST FORWARD
Forse oggi l’obiettivo principale
non è di scoprire che cosa siamo,
ma piuttosto di rifiutare quello che siamo.
Dobbiamo immaginare e costruire ciò
che potremmo diventare.
(M. Foucault)
Londra, Dicembre
2006
Lui era
rimasto sdraiato sul divano a guardare il soffitto.
Abaigeal
sbuffò, quindi marciò spedita verso il salotto bloccandosi proprio davanti a
lui.
Gli indicò
con un cenno della testa il piatto di pasta che teneva in mano ma, vedendo che
lui non accennava a prenderlo, lo appoggiò con veemenza sul tavolino basso,
facendolo sbattere.
Orlando non
si mosse.
Abaigeal si
mise seduta per terra, all’altezza del viso di lui, gli prese una mano e la
strinse.
Orlando non
si mosse.
Allora appoggiò
la schiena alla base del divano sospirando, senza smettere di stringergli la
mano.
“Mi sento
uno straccio”, mormorò lui con uno strano tono di voce.
Abaigeal
non si voltò e non rispose. Lasciò che il suo silenzio parlasse per lei.
“In fin dei
conti è un momento d’oro per la mia carriera, no? Dovrei essere contento, ti
pare? E poi, diciamoci la verità, con Kate le cose non andavano bene già da un
po’, lo sai anche tu”, sospirò, “Insomma, sono passati quattro mesi, giusto?
Dovrei averla superata, ti sembra? Non capisco bene cosa mi stia capitando… che
è una specie di effetto boomerang emozionale?”
Abaigeal
non disse ancora nulla. Voleva lasciarlo parlare. Voleva che lui si sfogasse.
“Però lei è
stata…tu lo sai, c’eri, mi vedevi. Ci
vedevi. Lei è stata il mio primo vero amore. La prima storia veramente
importante. Io mi vedevo con lei per il resto della vita. E lo so, tu lo dici
sempre che sono un dannato sognatore e hai ragione. Sono un sognatore. E mi
piace esserlo, ok? Mi piace incontrare una donna, innamorarmi e sognare che sia
quella giusta per me. Quella che non se ne andrà…” ridacchiò, “Sono un
maledetto patetico, ecco che sono. Chissà magari è questo cazzo di Natale che
arriva a buttarmi addosso tutta questa malinconia. Hai ragione tu, Bee. Le feste
Natalizie rendono le persone estremamente patetiche e ipocrite. Allora che
faccio? Aspetto qui che passino?”
Non aveva
ancora finito, Bee lo sapeva.
“Eppure
Cristo Santo non è che chiedevo chissà che…no? Voglio dire, lo so che ho una
vita incredibilmente fortunata ma io sono niente senza amore”, sbuffò, “E non
capisco perché se tu riesci a capirmi le altre donne non ci riescono. Ok, dalla
tua hai qualcosa come tredici anni di conoscenza e ci può stare che mi conosci
meglio di altre persone no? Però, Bee, tu mi hai conosciuto dopo quattro giorni
che ci siamo incontrati. Mi hai guardato un minuto e hai capito chi ero, cosa
sognavo e cosa sarei diventato. Lo so che sei speciale Bee, non fraintendermi
ma insomma…non puoi essere l’unico essere speciale del pianeta che entra in
collisione con la mia vita, no? Ci sarà pure qualcuna disposta ad amarmi come
fai tu”.
“Ne
dubito”, sussurrò lei.
Orlando
fece una smorfia, “Bee se non lo avessi capito sto vivendo una crisi da cuore
spezzato. Ti sarei grato se evitassi di dirmi che non troverò mai una donna
nella mia vita”.
“Non ti sto
dicendo questo, Flow”, Abaigeal si girò per guardarlo, “Troverai mille milioni
di donne e prima o poi troverai quella giusta per te. Ma non sperare di trovare
qualcuno che ti ami come ti amo io. Parti perdente”.
“Non. Dirlo.”, sillabò lui contrariato.
“Non dire
cosa?”
“Quello che
stai per dire”, Orlando si mise a sedere, abbassò la testa per guardarla in
faccia, “Non partire con quel discorso
perché ora non ho bisogno di sapere quanto tu sia perfettamente incastrata in
ogni angolo della mia vita. Già lo so”.
“Non stavo
dicendo niente”, puntualizzò lei.
“Si,
invece. Ogni volta che le cose si mettono male tu tiri fuori cinque ricordi,
quattro citazioni, due parole e mi mandi fuori strada”.
“Cinque
ricordi, quattro citazioni e due parole…quali sarebbero?”
“Che vuoi
dire?”
“Quali sono
i cinque ricordi, le quattro citazioni e le due parole che tiro fuori per farti
sentire una merda?”.
Orlando
scosse la testa, “Lascia perdere”.
Abaigeal si
innervosì, “No, non lascio perdere niente. Dimmeli”.
“Bee per
cortesia…”
“Dimmeli”.
Orlando
sbuffò, “Primo ricordo: incontro alla caffetteria. Ci aggiungi una frase del
tipo ‘incredibile come tu avessi già conosciuto la parte più profonda di me
senza aver conosciuto me’, ecco è vero Bee. Ho letto il tuo taccuino e sapevo
perfettamente di che colore era la tua anima. Hai vinto!”
“Di che
colore è?”
Orlando
ignorò la domanda, “Secondo ricordo: Irlanda, casa dei tuoi. Usciamo a notte
fonda dopo esserci scolati qualcosa come cinque pinte a testa, saliamo nella
tua barchetta rossa e mi fai circumnavigare la baia di smeraldo. Canticchiavi
anche quella canzone…. Poi ad un
certo punto ci siamo promessi sotto la luna che qualunque cosa ci sarebbe
successa, anche se le nostre strade si fossero separate, non avremmo mai
rinunciato a cercare il grande amore. A qualunque costo”.
Abaigeal
sorrise. La ricordava bene quella notte.
“Terzo
ricordo: casa mia a Londra, lo stesso giorno che mi avevano confermato il ruolo
di Legolas. Arrivi a casa mia con una busta piena di pasta, pomodori, basilico
e una bottiglia di champagne. Ci siamo ubriacati come due cretini e abbiamo
parlato per quattro ore di come volessimo un compagno che somigli a noi… è
stata una serata intensa quella, non a caso abbiamo fatto finta di niente
scherzandoci su, finchè il giorno dopo tu mi hai detto ‘anche se non la trovi
perfettamente uguale saresti felice lo stesso’”
“Quarto
ricordo, tu che incontri Kate. Due giorni dopo vieni da me con un sorriso a
mille denti e mi dici, ‘ci stanno bene quegli occhi vicino ai tuoi’, mi
abbracci e mi canticchi quella
canzone. In quel momento ho capito che saresti sempre stata un pezzo di questo
cuore qui”, si indicò il petto.
“Quinto
ricordo…”
“Credo di
sapere qual è…”, lo interruppe Bee.
“No, adesso
me lo fai dire, porca puttana!”, imprecò lui alzandosi in piedi e
scavalcandola, “Voglio che questi ricordi li veda anche dalla mia prospettiva.
“Sera tardi. Eravamo sul terrazzo di casa dei tuoi a Galway. Avevo conosciuto
Kate da due settimane e mi sentivo su di giri. Tu avevi qualcosa di strano
invece, eri incredibilmente giù di corda. Lì per lì pensai che fosse per via di
Mike, in fin dei conti vi eravate lasciati solo un mese prima dopo una storia
di due anni…era ragionevole come spiegazione. Poi quando hai cominciato a
parlare, su quel portico, ho capito al volo qual’era il punto. Lì ti ho odiato Bee, questo devi saperlo. Mi hai
sbattuto in faccia una verità troppo grossa e in quel momento non ero in grado
di gestirla. In quel momento non volevo pensarci. E invece tu te ne sei
sbattuta alla grande e hai continuato imperterrita a parlare come se io non
fossi lì”, la fermò con la mano quando vide che stava per parlare, “E lo so che
lo fai spesso. Lo so che parli con me anche quando non ci sono, lo faccio anche
io. Ma non ti avevo chiesto di dirmi perché lo facessi. E non volevo chiederlo
nemmeno a me stesso. Volevo che rimanesse tutto com’era. Ti ricordi quella sera
che eravamo al Greenwich dopo che avevamo visto con la famiglia ‘Wilde’? Ecco,
quella sera mi pareva avessimo stabilito che tra me e te certi equilibri non
sarebbero mai mutati, no?”
“No”, disse
Bee.
“No?”
“No”, disse
di nuovo, “Quella sera tu mi avevi chiesto se avevo mai pensato all’evenienza
di venire a letto con te. Io ti risposi che non avrei potuto dire se sarebbe
successo o meno nell’arco di una vita, ma che lo escludevo perché eravamo io e
te i soggetti del discorso”.
“Appunto”,
sospirò lui.
“Appunto
che? La convinzione che avevo e che ho nasce proprio da quello che tu non riesci
a metabolizzare”.
“Non dire
cazzate Bee…la convinzione ce l’hai perché non hai mai provato attrazione
sessuale nei miei confronti, altrimenti non avrebbe senso quello che dici.
Come…dici che mi ami, dici che sono la parte migliore di te e poi non vieni a
letto con me? E’ un nonsense!”
Abaigeal si
alzò in piedi. Orlando intuì dalla sua espressione che si stava arrabbiando.
Poco male, aveva bisogno di scaricarsi.
“Il
problema è non aver fatto sesso con te quando avevo vent’anni?”
“Il
problema è che tu non puoi dire di amare in assoluto una persona se poi non ti
viene neanche lontanamente l’istinto di farci l’amore. Fare l’amore Bee…ti è
chiara come frase? Fare. L’Amore.”, sillabò.
“Io faccio
l’amore con te ogni volta che ti guardo negli occhi”, si difese lei, “Ogni
volta che stiamo a parlare per tutta la notte. Faccio l’amore con te quando
restiamo abbracciati a fantasticare sulle nostre vite. Quando mi sparo cinque
ore di volo solo per venire da te e farti parlare. Perché lo so che spesso hai
bisogno di mettere la tua anima a nudo e non mi tiro indietro quando serve.
Faccio l’amore con te quando mi chiami in preda a stati d’ansia assurdi solo
perché ti rendi conto che la gente ti ama e ti stima. Faccio l’amore con te
quando passiamo insieme Samhain e quando tu ti chiudi in camera mia aspettando
che finisca il rituale. Faccio l’amore con te in mille modi che la gente
normale non può neanche lontanamente immaginare, e lo faccio mettendoci il
cuore, la testa, gli occhi, le orecchie, la bocca e l’anima. Faccio l’amore con
te continuamente”, terminò indispettita. Aveva le guance rosse. Orlando trovò
quel particolare assurdamente delizioso.
“Non sto
parlando del nostro piano astrale, Bee…”, l’accusò lui, “Sto parlando di
sentirsi veramente. Tu quella sera mi
hai detto di amarmi. Mi hai guardato negli occhi e mi hai detto, ‘io ti amo,
Flow. Lo sai’, e aspettavi che io dicessi qualcosa che non sapevo dire. Non
riuscivo a dirti ‘ti amo anche io’, e non ci riuscivo perché avevo messo una
diga su quel ruscello lì. Non potevo buttarla giù solo perché tu avevi una
crisi d’abbandono”.
“Non ti ho
detto quelle cose perché ero in crisi d’abbandono, stronzo. Questo lo sai anche
tu”.
Orlando
strinse i pugni, “Mi hai detto ‘ti amo’ sapendo che avevo conosciuto una
ragazza Bee. Tu e Mike vi eravate lasciati da poco. Sam era tornata in pianta stabile
a Canterbury, e tu era in preda ad un attacco di panico”.
Abaigeal lo
guardò disgustata.
“Come puoi
dirmi una cosa del genere? Come cazzo fai a rivolgerti a me così?”
“Così come
Bee? Dico solo quello che penso…”
Bee scosse
la testa e marciò verso di lui.
“Orlando Jonathan
Blanchard Bloom”, sibilò, “Esci da questa casa e non tornarci più”.
Detto
questo camminò verso la camera.
Orlando
sentì solo il tonfo della porta che si chiudeva.
Rimase per
un momento immobile, quindi andò verso la cucina. Aprì il frigo e prese una
lattina di Guinness.
Stavolta,
l’aveva combinata decisamente grossa.
Sentì un
live bussare alla porta.
Sbuffò
indispettita. Era veramente incazzata.
“Ti ho
detto di andartene”, gridò alla porta chiusa.
Per tutta
risposta, Orlando la spalancò ed entrò.
“Non fare
la bambina Bee”, l’ammonì, “Finiamo il discorso”.
“Io non ci
parlo con uno che si crede un adone del cazzo e che pensa che la sottoscritta
gli stia vicino solo perché ha paura di essere abbandonata”.
“Non ho
detto questo”, precisò lui.
Lei alzò un
sopracciglio.
“Bee provi
a leggere fra le righe?”, fece un paio di passi e la raggiunse, “Ti ho detto
che non ero pronto ad ammettere quello che sentivo, ok? Tu non puoi lanciare
una bomba e aspettarti che gli altri se ne rimangano lì a saltare per aria. Si
chiama istinto di sopravvivenza, sai?”
“Sei un
maledetto stronzo!”, lo colpi con entrambi i pugni sul petto. Aveva gli occhi
rossi, “Sei un bastardo del cazzo.”, lo colpì ancora, “Ti detesto con tutta
l’anima”, e ancora, “Mi hai ferita incredibilmente e non ti aspettare che ci
passi sopra come se niente fosse”, e ancora, “Pezzo di merda insensibile”, e
ancora.
Orlando la
guardò. Gridava. Le lacrime le scendevano dagli occhi e aveva le nocche
arrossate per la forza con cui stringeva i pugni. E lo spingeva e lo insultava
e piangeva.
I capelli
neri gli coprivano la faccia, le labbra si erano gonfiate perché adesso le
mordeva per non gridare.
All’improvviso
le bloccò le mani, evitandosi l’ennesima spinta.
La guardò
negli occhi e senza pensarci un secondo lo fece.
Lo fece e
basta.
E fu
dolcissimo.
Fu
violento.
Fu
delicato.
Erano più
di dieci anni di emozioni, di ricordi, di promesse, di parole e di risate.
Erano i sapori degli umori delle loro stagioni.
Erano le
mani di Bee la prima volta che si era messa lo smalto bordeaux, ed era il primo
pizzetto di Orlando. Erano le gite in barca sulla Baia di Smeraldo e le
passeggiate al Greenwich. Era il giorno che avevano portato Sidi a casa per la
prima volta. Era il compleanno di Orlando dopo l’operazione alla schiena e il
ricovero di Bee per quelle maledette emicranie. Era quel bacio che si erano
quasi dati durante il capodanno a Canterbury e le loro mani strette quando
dovevano farsi forza. Era la prima di ‘Trojan Women’, quando lei gli aveva
comperato dei fiori salvo poi accorgersi che era allergica. Erano anni e anni
di ricordi.
Ed erano le
mani di lei che, adesso, gli circondavano la schiena mentre si alzava sulle
punte per baciarlo meglio.
Ed era il
sorriso di Orlando mentre le stringeva le braccia intorno alla vita per
trattenerla.
Occhi
chiusi che si aprono e si fissano.
Terra e
cielo che si mescolano in un unico sguardo carico di aspettativa.
Mani che
scivolano sui vestiti e risatine imbarazzate.
Orlando la
prese in braccio e Bee gli avvolse le gambe intorno alla vita.
Senza
smettere di baciarsi.
Non
smettevano di baciarsi.
Non
respiravano.
Non
guardavano.
Sentivano.
Lui camminò
lentamente verso il letto, quindi l’adagiò sopra il piumone che avevano
comprato insieme in centro.
Lei teneva
gli occhi chiusi. Non aveva bisogno di guardarlo. Lo conosceva a memoria.
Sapeva ogni minimo dettaglio del suo viso, ogni significato delle sue
espressioni.
Orlando
prese nuovamente a baciarla, con urgenza, stavolta.
E con
urgenza si tolsero i vestiti, affamati di assaggiarsi, affamati del reciproco
respiro. Affamati del reciproco amore, affamati di emozioni.
E quando
finalmente i loro corpi si fusero insieme, un brivido passò contemporaneamente
da lui a lei. Un brivido che li spinse a chiedere di più, a consumare
quell’attesa con audacia, con ardore con voracità.
E la stanza
si riempì del profumo del loro amore che finalmente si mischiava completamente,
e dei loro sospiri, e dei loro sorrisi.
Si stavano
scambiando tutto. Gli amori più belli, quelli più difficili, quelli finiti male
e quelli che li avevano fatti soffrire. Si stavano scambiando le diverse
emozioni che avevano provato nei medesimi momenti.
E quando
Orlando la chiamò piano per nome, si scambiarono tutto l’amore che provavano
l’uno per l’altra. Un amore che li colpì come un onda di suono lasciandoli
storditi e stupiti. Lasciandoli finalmente sazi.
Lui rimase
sopra di lei, senza muoversi di un centimetro.
Rimasero a
fissarsi.
A respirare
dei loro respiri.
Rimasero
lì, senza muoversi, a sorridersi.
“Di che
colore è la mia anima?”, domandò piano, Bee.
“Blu…lo
stesso blu del cielo d’Irlanda”.
Abaigeal
alzò la testa e lo baciò lentamente.
“Tà mè
chomh mòr”, le sussurrò Orlando sulle labbra.
“Ti amo
anche io”, ripose lei, socchiudendo gli occhi.
NDA.
Ed
ecco come Mr Bloom e Mrs Gallagher si gettarono di testa, in un casino
incontrollabile!!!
E’
stato molto difficile scrivere questo capitolo, un po’ perché attinge ad una
situazione accaduta realmente, un po’ perché far tirar fuori a Bee quello che
sentiva veramente è stato più difficile che sturare il lavandino del mio
dannato bagno!
Spero
che comunque vi sia arrivato…arrivato tutto, come volevo che arrivasse!
Un
ringraziamento speciale a quelle meravigliose donne che mi seguono con
costanza. Se nn riesco a smettere di scrivere è anche per merito vostro!
E
adesso, allacciate le cinture… siamo ufficialmente partite!!
Un
abbraccio forte forte
Amaranta