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Autore: _wilia    21/01/2015    1 recensioni
[EdxLucy] [Incest]
I Pevensie, ormai ventenni, vivono a Londra, in una piccola casa in periferia. C'è crisi, e trovare lavoro sembra estremamente difficile. Mentre Peter ed Edmund lavorano per mantenere la famiglia, il più giovane dei fratelli diviene vittima del gioco d'azzardo nel disperato tentativo di riuscire ad azzerare i debiti, fallendo miseramente.
Quando nella vita si cede al male, a pagare le conseguenze per le proprie azioni sono spesso gli altri, e questo è il caso di Lucy, che diviene, a insaputa di Edmund, merce di scambio.
Dopo l'avvenimento, Lucy riesce a scappare a Narnia, non rispettando la promessa fatta ai fratelli: la terra magica è stata invasa ed è ancora sotto assedio.
Il mondo è andato avanti e loro sono rimasti indietro.
Una folle corsa contro il tempo ha inizio, per cercare di ingannare le antiche profezie e salvare Lucy dall'oscurità.
-
"Fuggì.
Il cavallo nitrì rumorosamente, protestando contro i calci decisi che la ragazza gli sferrava per indurlo a correre più veloce.
Il boato causato da uno sparo giunse alle sue orecchie, e la costrinse a chiudere gli occhi.
La fine era appena iniziata."
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Edmund Pevensie, Lucy Pevensie, Peter Pevensie, Susan Pevensie, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Incest
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Il cacciatore di lupi bianchi

II
La promessa

Spinse la porta massiccia verso l'interno, e le luci soffuse provenienti dalle candele sparse qua e là nel locale gli diedero il benvenuto.

L'intero posto era immerso in un'atmosfera quasi soprannaturale : era molto affollato, eppure il silenzio che vi regnava stava a sottolineare quanto le persone che lo frequentavano si trattassero come estranei, nonostante passassero gran parte delle loro serate lì dentro, insieme. Insieme, quelle persone si trascinavano all'inferno, giorno dopo giorno, ora dopo ora, e non facevano nulla per cambiare la situazione.

Un odore di cannella aleggiava nella sala principale, dove erano disposti quattro tavolini rotondi, ognuno dei quali ospitava tre o quattro persone intente a giocare a carte.

Edmund per poco non starnutì, infastidito come non mai da quel forte, speziato odore. Si fece strada tra la folla verso la sala numero 4.

Quella era la stanza che aveva condotto Edmund alla rovina economica, pochi mesi prima. Aveva iniziato a giocare a poker per scherzo, trascinato in quel locale da un suo amico che voleva animare la serata con qualcosa di diverso; non c'era e non ci sarebbe stata altra persona al mondo che il giovane Pevensie avrebbe maledetto quanto aveva fatto con Joshua, colui che gli aveva fatto conoscere per la prima volta il male. Non un male normale, ma quello da cui l'essere umano può prendere le distanze, ma non ce la fa.

Rifiuta perché è debole. E così debole era anche lui; aveva creduto di potersi arricchire, di poter dare un aiuto a quanto restava della sua famiglia, di poter essere accettato, almeno un po', da Peter.

Il mondo cambia, con il passare del tempo, e così anche le persone. Tutto attorno ad Edmund era cambiato, ed un'importante fase della sua vita si era conclusa poco più di un anno prima quando, attorno alla solita tavola poco imbandita, i quattro fratelli si erano presi per mano.

Ricordava ancora dove era seduto: alla sua destra c'era Peter, seguito da Lucy, che stringeva la mano di Susan, che stringeva la sua mano. Avevano formato un cerchio, sigillando un patto di sangue di cui in seguito si era pentito: aveva accettato che la parte più bella della sua vita diventasse un tabù.

 

Siamo tutti d'accordo, allora”, aveva mormorato Susan con lo sguardo fisso fuori dalla finestra. Edmund guardò nella sua stessa direzione e scorse una donna dalla lunga gonna raccogliere delle erbacce.

Non osavano guardarsi negli occhi per paura di cedere, di perdere la forza di volontà necessaria per compiere quel gesto. Confinata in quelle quattro mura, la loro vita aveva assunto un significato diverso da quello che aveva sempre avuto; il cambiamento sarebbe stato reso ufficiale di lì a pochi minuti.

Io non l'ho mai deciso”, disse all'improvviso Lucy, contrariata. Gli occhi di Peter le bruciavano addosso, e una sua mano le si posò sulla spalla destra.

Sorrise benevolo, ed Edmund fu sicuro di non aver mai visto un sorriso più falso di quello dipinto sul volto di suo fratello.

Siamo cresciuti, Lucy”, le aveva risposto poi, scrollando le spalle.

Lei si era liberata dal suo tocco, lasciando perdere la gentilezza che solitamente la caratterizzava. “Questo non conta”, aveva replicato con una punta di nervosismo.

Quello che volete fare è cancellare una parte fondamentale delle nostre vite”.

Spazientita, la più giovane dei Pevensie provò ad alzarsi ed abbandonare il tavolo, ma fu chiamata da Susan, che la invitò a sedersi nuovamente.

La maggiore parlò. “Stai fraintendendo quella che è la nostra intenzione”, disse, rivolta a sua sorella. “Noi non vogliamo dimenticare. Pur volendolo, sarebbe impossibile”.

Edmund se ne stava in silenzio con aria assorta. L'unica cosa che desiderava era che quel momento finisse presto. Non si stava sottomettendo al volere di Peter e Susan, che, contrariamente a quanto Lucy credesse, non li trattavano da bambini e neppure tentavano di prendere in mano la situazione più di quanto fosse necessario. Volevano solo che i loro fratelli stessero bene.

E allora perché volete che facciamo questo? Perché? In quale modo credete che possa aiutarci?” chiese a quel punto la più piccola, e in quel momento le sue guance si colorarono di rosso.

Peter sospirò. “Non possiamo tornare a Narnia, siamo adulti ormai, che vi piaccia o no”, spiegò ai suoi fratelli. “Quello che dobbiamo prometterci è che non proveremo neppure a trovare un modo per andarci, ammesso e non concesso che ce ne sia uno”, terminò di dire, passandosi la lingua sulle labbra secche. Cercò un consenso negli occhi dei suoi familiari. Lucy non lo guardava, esattamente come Edmund. Susan era titubante, chiunque se ne sarebbe accorto, ma sosteneva che un passo del genere fosse assolutamente necessario.

Il maggiore si rivolse al fratello: “Ed? Hai qualcosa in contrario a quello che abbiamo intenzione di fare?”. Questi alzò lo sguardo, incontrando quello di Peter solo per un breve istante.

Scosse la testa. “Tanto comunque non potremmo tornarci”, aveva commentato passivamente, guardandosi le unghie con aria distratta.

Io non ci sto”, aveva obiettato ancora Lucy. Questa volta, Edmund posò i suoi occhi su di lei e provò affetto per quegli atteggiamenti bambineschi che sua sorella non aveva ancora abbandonato.

Lucy, prova a capire-”

Perché non provi tu a capire, Susan? Perché devo essere sempre io quella che non capisce? Perché vi divertite così tanto a trattarmi come una stupida bambina?!”urlò, rivolta all'altra, che ammutolì.

 

Alcune persone si coprivano il volto, nella sala numero quattro. Temevano di essere riconosciute, avevano paura che il loro onore potesse essere messo a repentaglio per colpa di uno stupido vizio.

L'intera stanza era piena di fumo, e l'unico rumore percepibile era quello delle carte che venivano disposte sul tavolo, accompagnate occasionalmente dalle urla dei giocatori che esultavano quando riuscivano a farsi delle mani.

Una cameriera gli passò accanto e gli fece l'occhiolino, ed Edmund fu sicuro di averla vista sbottonarsi la camicia per mettere in bella mostra il suo seno sodo.

Lui le sorrise distrattamente, prima di dirigersi verso il tavolo dove era solito giocare. Le carte francesi erano disposte sul tavolo, e i ragazzi seduti attorno ad esso sghignazzarono alla sua vista.

“Hey, guardate, è Pevensie!”, urlò uno di loro, visibilmente ubriaco. Edmund abbozzò un sorriso.

“Martin, come va?”, gli chiese lui, mentre prendeva posto su una sedia di legno dalle gambe un po' traballanti. Quello distese le labbra in un sorriso abbastanza raccapricciante.

“Sei venuto a perdere di nuovo, moccioso?” gli chiese un signore ben piazzato, sulla sessantina, che tutti al locale chiamavano zio Mike.

La cameriera giunse al tavolo prima che Edmund potesse rispondere alla provocazione dell'uomo. Stringeva tra le mani un taccuino dalle pagine ingiallite e stropicciate. “Allora, che prendete? Non ho tutta la sera”, sbuffò annoiata nel vedere che i clienti la ignoravano, troppo concentrati per sollevare lo sguardo dalle carte da gioco; alla fine, tutti ordinarono delle birre.

Ci furono alcuni istanzi di profondo silenzio, in cui vennero mischiate e distribuite le carte. Dopo che furono date a tutti, Edmund le posò sul tavolo, coperte, come tutti gli altri giocatori.

“Cosa c'è in ballo, stasera?” chiese Mike, mettendo sulla tavola di legno una mazzetta di banconote. Così fecero gli altri, seguiti da Edmund, a cui si contorse lo stomaco per l'ansia. Finiti quei soldi, non gli sarebbe rimasto più nulla in tasca per giorni.

Ma poteva vincere. Valeva la pena rischiare.

La donna tornò al tavolo con le birre, ed il giovane Pevensie si fermò ad osservare la propria bottiglia.

Il vetro lo ipnotizzava. Aveva rappresentato il sigillo della loro promessa...

 

Non è questione di essere bambini, Lucy. Tu non sei una bambina, e nessuno di noi lo è”, le disse Peter. “Nessuno di noi ha intenzione di insinuare una cosa del genere”, aggiunse poi, come a volerla tranquillizzare.

E' necessario che lo facciamo. Voglio che ognuno di noi prometta che non proverà mai più a fare ritorno a Narnia”, ammise con uno sbuffo.

La più piccola aggrottò le sopracciglia ancora una volta, ma poi, dopo istanti di profonda titubanza, acconsentì alla richiesta dei fratelli.

Tese le proprie mani, porgendole a Susan e a Peter, che la imitarono e porsero le proprie ad Edmund. Al ragazzo mancò il fiato e per un momento ebbe un giramento di testa; stava davvero per farlo?

Scacciò i pensieri negativi e chiuse gli occhi, porgendo le mani a Susan e Peter.

Ora i quattro formavano un cerchio compatto. Le mani di ognuno di loro erano incastrate in quelle degli altri, e il silenzio che piombò nella cucina spoglia fu assordante.

A romperlo ci pensò Susan, che si alzò dalla sedia sotto gli sguardi curiosi di tutti gli altri. “Aspettate un momento”, disse. “Una promessa non può essere considerata tale se non è segnata da qualcosa, no?”, chiese agli altri, che le regalarono, in risposta, delle occhiate confuse. Lei sorrise enigmatica, prima di sparire dietro il muro sottile che divideva un piccolo angolo cottura dal resto della stanza.

Un rumore di vetri rotti rimbombò nella sala da pranzo, e all'improvviso seppero cosa dovevano fare.

Secondo le antiche tribù aborigine, nessun patto può essere considerato davvero valido se non è segnato dal sangue...”

 

“Pevensie, è il tuo turno”, gracchiò una voce dall'altra parte del tavolo. “Il dado è stato tratto e tocca a te per primo”.

Imprecando mentalmente, il ragazzo non ebbe scelta.

Il dado era stato tratto, già.

E sarebbe accaduto ancora.

-

 

Freddo, solitudine, fame. Non una vera e propria fame, ma un bisogno che non poteva essere soddisfatto in alcun modo. Aveva superato il limite da tempo e aveva imparato che non avrebbe mai potuto salvarsi da solo, ma non avrebbe mai chiesto aiuto a nessuno. Edmund Pevensie non era un debole.

La strada era deserta, e riusciva a scorgere il fumo emesso dalle macchine donare un colore alla nebbia già presente.

Un cane ridotto in pelle ed ossa attraversò la via, diventando il compagno di viaggio del ragazzo. Camminò accanto a lui senza mai fermarsi, svoltando poco prima che il giovane Pevensie fu giunto a casa sua.

Non sapeva che ora fosse, ma era certo che non gli importava; era grande e responsabile e, qualora Peter o Susan avessero provato a fargli la paternale, avrebbe finto di non sentirli.

Ignorare i fratelli sembrava uno degli hobby preferiti dal ragazzo nell'ultimo periodo, solo che non lo faceva di proposito.

Infilò la chiave nella serratura, barcollando leggermente; non aveva bevuto molto quella sera ma, siccome non era per niente abituato all'alcol, non gli ci era voluto molto prima di iniziare a sentire girare tutto ciò che lo circondava.

Aprì la porta che lo portò nel piccolo ingresso. Tutte le luci erano spente; Peter, Susan e Lucy dovevano essere a letto.

Si recò in cucina, desideroso come non mai di un bicchiere d'acqua fresca. Aprì il frigorifero, estraendo una bottiglia di vetro verde e subito dopo si recò a prendere un bicchiere.

Dopo averlo riempito, lo portò alle labbra.

“Dove sei stato?”

La dolce, sottile voce di Lucy giunse alle sue orecchie. Si ritrasse spaventato, a primo impatto, poiché non aveva scorto la ragazza nell'oscurità della stanza.

Subito dopo si voltò verso di lei, scorgendo il suo viso pallido illuminato da un debole riflesso lunare.

“Non credo ti riguardi”, le rispose lui e subito dopo scrollò le spalle in un gesto abituale. Contrariamente a quanto si aspettava, lei non se ne andò e rimase lì a fissarlo con sguardo indagatore.

“Pensi davvero che non riguardi me? Che non riguardi tutti noi?” gli chiese lei, retoricamente. L'altro sgranò leggermente gli occhi.

Finse un'aria indifferente e si portò nuovamente il bicchiere alle labbra, sorseggiando ancora dell'acqua fresca. “Di cosa stai parlando?”

Lei andò a chiudere la porta della cucina, per evitare che i maggiori ascoltassero la loro conversazione; ci teneva che fosse privata.

“So molte cose di te che probabilmente non sai neanche tu”, gli rispose, enigmatica.

Attraverso la fioca luce che la luna proiettava all'interno della piccola stanza, Edmund scorse un cipiglio preoccupato sul volto di sua sorella.

Non ricevendo alcuna risposta, lei continuò a parlare. “Sei mio fratello, Edmund, e sei più simile a me di quanto lo siano Susan e Peter”, disse, parlando così a bassa voce che l'altro dovette concentrarsi per poter udire quello che diceva.

Edmund credette di essere stato scoperto, ed ebbe davvero paura che un momento poco piacevole stesse per arrivare.

Per quanto lo negasse, il giudizio dei fratelli era qualcosa a cui lui dava molta importanza ed essere giudicato da loro in maniera negativa era un'idea che lo spaventava.

Dopo alcuni attimi di silenzio, lui parlò. “Siamo solo fratelli”, iniziò,“Non puoi leggermi la mente, Lucy”.

Lei rispose alla provocazione. “Questo purtroppo non posso farlo”, sibilò, guardandolo in modo torvo, “ma per tua sfortuna riesco ancora a vederti uscire di casa e tornare così tardi quasi ogni notte”, continuò.

Si diresse poi verso il centro della stanza, sedendosi su una sedia, mentre Edmund rimase a guardarla. Gli girava la testa e aveva bisogno di mettersi a letto.

“Io me ne vado a dormire, non c'è davvero niente di cui dovremmo parlare”, le disse lui, nell'esatto momento in cui la sorella si accingeva ad accendere il piccolo lume posato sul tavolo.

Sentì che lei gli afferrò il polso, stringendoglielo senza fargli male.

“Vorrei solo che tu sapessi che in questa casa si è diffusa l'idea che i soldi mancano perché io li sto usando per studiare all'università”, sussurrò, “ma io posso frequentare l'università grazie ad una borsa di studio, e tu lo sai fin troppo bene... solo che non vuoi mai dire la verità davanti a Peter e Susan”.

“Senti, Lucy”, la interruppe lui, innervosito dal suo modo di fare. “Quello che faccio è un problema mio, e non vedo come possa c'entrare con te o con gli altri in qualche modo”

“Edmund, ti stai rovinando! È questo il tuo modo di risolvere i problemi? L'alcol? O qualcosa di cui non sono, per fortuna, a conoscenza?”

Lucy stava visibilmente delirando. La sua espressione si era indurita e ora non si preoccupava più di controllare il tono di voce.

Suo fratello l'aveva delusa e la stava mettendo contro Susan e Peter, e lei si sentiva terribilmente impotente.

Lui le si avvicinò e la fulminò con lo sguardo.

“Io non bevo e non sto rovinando la mia vita in nessun modo, né sto cercando di rovinare la tua” sussurrò, prima di uscire dalla stanza.

Lucy rimase a fissare il vuoto davanti a sé, finché l'orologiò a cucù le suggerì che era giunta l'ora di andare a letto.

Un altro giorno stava morendo.

 

-

 

“Finalmente potremo andarcene da questo tugurio!”

Peter fece il suo ingresso in cucina all'ora di pranzo, dopo aver finito il turno mattutino in ufficio.

Era stanco e provato dal lavoro che aveva dovuto svolgere nelle ultime settimane, ma in quel momento, nonostante tutto, riuscì a sorridere.

Susan e Lucy chiacchieravano mentre apparecchiavano la tavola e finivano di preparare il pasto, e si voltarono verso di lui incuriosite.

“Che succede, Peter?” gli chiese Susan, che lasciò perdere momentaneamente le faccende domestiche per prestargli ascolto.

Anche la più piccola smise di apparecchiare e gli sorrise debolmente.

“Ho ottenuto una promozione! Il lavoro che la mia squadra ha svolto ci ha fatto guadagnare un aumento permanente dello stipendio!” esclamò felicemente, prima di andare da Lucy e prenderla in braccio. La fece volteggiare in aria e risero insieme, ad alta voce, come non facevano da tempo.

Susan si unì alle loro risa e, quando Peter ebbe lasciato andare la più piccola, lo abbracciò a sua volta.

“Ma è meraviglioso!” gli disse lei,e gli arruffò i capelli.

Peter si sedette a tavola, invitando le sorelle a fare lo stesso. “La costruzione del nuovo ospedale pediatrico è stata la più rapida degli ultimi vent'anni, a Londra”, spiegò loro, fiero. “E la ditta con cui lavoro è stata elogiata anche sui giornali! Credo che potrò guadagnare abbastanza e ci potremo permettere un appartamento un po' più grande, se unisco i miei soldi a quelli di Susan ed Edmund, ovviamente”, terminò con un sorriso. Poi si rivolse a Lucy:

“Non ti stresserò mai più per l'università, Lu”, le disse, allegro.

Lei sorrise di rimando, mentre nel suo animo si facevano strada una serie di sentimenti e pensieri negativi.

I soldi di Edmund non sarebbero finiti insieme a quelli di Peter e loro non avrebbero mai lasciato quel posto, a meno che lei non avesse iniziato a lavorare.

Non sapeva cosa facesse suo fratello, ma era certa che non fosse nulla di buono. Tornava tardi ogni notte e non partecipava mai alla vita quotidiana della famiglia; era totalmente disinteressato e lei era molto preoccupata per lui, ma Edmund rifiutava ogni tipo di aiuto da chiunque.

“Stasera c'è una festa in un ristorante, completamente offerta dalla ditta”, annunciò alle sorelle, versandosi un bicchiere d'acqua.

“Vado a dirlo ad Ed” disse, e si alzò dalla sedia, prima che Lucy lo chiamasse.

“Edmund non è ancora tornato; lo avviseremo quando viene”, lo informò lei.

Dopo alcuni minuti in cui parlarono della promozione di Peter, si sedettero a mangiare, mentre il pranzo di Edmund si raffreddava lentamente all'interno della pentola stessa.

 

-

 

Alla fine Edmund l'aveva saputo. Si era vestito il più elegantemente possibile ed aveva combattuto contro la voglia di dire a suo fratello che anche quella sera aveva da fare.

Erano arrivati al ristorante mezz'ora prima, e lui era uscito in giardino per una breve pausa. In realtà, era uscito perché non riusciva a sopportare la tensione creatasi tra lui e Lucy dopo il battibecco della sera precedente.

Era deciso a scusarsi; voleva molto bene a sua sorella e si era comportato male. Non voleva che sapessero quello che faceva, anche se credeva che avessero capito, per lo meno in generale, il modo in cui i suoi soldi scomparivano così velocemente. L'unica ad aver trattato l'argomento con lui era la più piccola.

Se ne vergognava terribilmente, ma ormai era dentro un circolo vizioso e sapeva di aver bisogno d'aiuto. Se solo avesse avuto qualcuno con cui confidarsi, l'avrebbe fatto.

Stava per entrare all'interno della sala quando qualcuno lo chiamò.

“Pevensie!”

Si voltò inorridito e scorse il suo incubo peggiore materializzarsi davanti a sé.

Marlon camminava verso di lui con aria di sfida, sghignazzando.

“Che ci fai qui?”, gli chiese Edmund, sentendo il panico assalirlo.

“Fossi in te non sarei così aggressivo nei confronti di una persona con la quale ho un grande debito”, gli rispose, pungente. Lo fronteggiò, guardandolo con sprezzo.

“Hai i miei soldi?” gli chiese a bassa voce, senza distogliere lo sguardo dall'altro. Edmund scosse la testa. “Avevamo detto tre giorni... ne sono passati solo due”

Marlon lo ingnorò e fece per entrare nel ristorante, quando il ragazzo lo fermò per chiedergli dove stesse andando.

“Mio fratello lavora con il tuo, Pevensie, e anche io sono stato invitato a questa cena”, lo informò con tono infastidito.

Ancora una volta, Edmund fu sciocco.

Ancora una volta lasciò perdere e finse che tutta quella situazione non lo riguardasse.

Se solo avesse saputo quello che Marlon avrebbe fatto da lì a poche ore, avrebbe fatto di tutto per impedirgli di entrare. Ma il dono della perspicacia non è scontato, ed Edmund non si accorse di nulla, mentre, una volta dentro, lo sguardo malvagio dell'uomo bruciava sulle spalle scoperte di sua sorella Lucy. 

  
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