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Autore: mattmary15    21/01/2015    2 recensioni
Aeris chiuse gli occhi celesti e allargò le braccia prendendo un respiro. Lo sentiva. Non era più sola. Tra lei e l’ombra, preannunciato da un poderoso battito d’ali, comparve Bashenian.
Lei aprì gli occhi e sorrise, sinceramente estasiata dalla bellezza della creatura. Bashenian era la bestia sacra di Strifen, il suo regno. Il mito narrava che fosse nato dalla preghiera di Serian, il canto che diede vita al creato. Il grifone atterrò nel suo nido e chinò il capo verso di lei affinché potesse ricevere una carezza. Aeris non si capacitava mai della maestosità di quell’enorme animale magico. Le sue piume erano morbide e dotate del potere di alleviare il dolore. I suoi occhi avevano lo stesso colore del cielo, più chiari nelle giornate assolate e ingrigiti in quelli di pioggia. Il corpo possente metà aquila e metà leone, era interamente piumato. Con due colpi di coda plaudì alle carezze di Aeris e si accoccolò nel nido.
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo VIII
-Si aprono le danze-
 

La notte trascorsa a Lindon non fu piacevole per Aeris come quella trascorsa a Rifiel. La città era tutta addobbata di rose rosse dato che per qualche giorno il Viceré vi si era fermato per far riposare la sua carovana. Era ripartito proprio la notte prima che Grifis ordinasse la sosta a Lindon. All’alba però erano ripartiti senza dare troppa importanza al grande mercato che sembrava attrarre tutti coloro che si fermavano nella città. Grifis voleva giungere, nel più breve tempo possibile, a destinazione così fece muovere tutti ad un passo tale che il sole era ancora alto quando videro le porte di Cattedra.
Le porte di Cattedra consistevano in un grande arco di pietra a cui erano fissate due altrettanto grandi ante di legno massiccio intarsiato e rafforzato con barre di metallo pesante e prezioso. Le mura, invece, erano sottili e grigie di tanto in tanto segnate dall’edera. Non erano mura da difesa poiché la forza di Cattedra era nella magia. Si trattava, tuttavia, di mura simbolicamente invalicabili fatte più per nascondere cosa c’era dentro la città agli occhi di chi vi stava fuori che per tenere all’esterno chi desiderasse entrare.
Entrare a Cattedra, comunque, non era poi così semplice.
La grossa porta era sorvegliata ad ogni ora del giorno e della notte da guardie e invocatori. Bastava un solo mago a mantenere l’ordine nella città bassa. Le porte, inoltre, fungevano da dogana in quanto era necessario pagare un tributo al tempio per accedere alla città.
Nella città bassa dimoravano il popolo e i viaggiatori, per lo più pellegrini, che s’incamminavano da tutto il reame per visitare il maestoso tempio di Serian, la dea creatrice e protettrice di Aeria.
Maestoso era il tempio, maestosi i porticati della città alta dove dimoravano le sacerdotesse e gli invocatori, maestosa la torre che si diceva fosse alta quanto profonda.
Al quinto piano, l’ultimo, della torre si trovava la sala dei due troni, quella del supremo consiglio, l’ultima meta del viaggio di Aeris.
L’imperatore era sceso dalla carrozza e camminava al fianco della sua promessa sposa scortato dai grifoni dorati e sempre sotto l’attento sguardo di Grifis Alteron. Per giungere alla porta infatti si doveva salire una grossa scalinata di pietra impossibile da percorrere in carrozza. I pellegrini formavano così un lungo e sinuoso serpente che saliva lungo il dorso dell’altura. Nobili, servi e soldati tutti i fila per raggiungere la vetta.
Aeris aveva indossato un mantello bianco e tirato su il cappuccio. Marine sbuffò.
“Ma insomma! Sono ore che siamo fermi in fila. Non si dovrebbe avere un po’ più di riguardo nei confronti dell’imperatore?” Grifis la guardò severamente.
“Siamo stati noi a non cercare attenzioni mia cara!” intervenne Albered sottolineando che, in quel momento, era più opportuno non farsi notare.
“Allora avreste dovuto avvertire me di non mettere quest’abito stamattina. Mi sta uccidendo!”
Aeris sorrise sotto il cappuccio. Stava per dire a Marine qualcosa di carino quando urla si levarono dalla fila poco più in alto rispetto a dove si trovava il gruppo.
Grifis assunse immediatamente una posizione di guardia e Aeris, inconsciamente portò la mano alla spada di suo padre. Marine gli fermò la mano e la strinse a lei nello stesso istante in cui un polverone s’alzò in aria e il fragore di uno scoppio la riempì.
Un’enorme figura a forma di serpente s’issò proprio pochi metri davanti a loro e, dopo essersi sollevata da terra si scagliò verso il gruppo capeggiato da Grifis. Il giovane guerriero spinse via Aeris e Marine mentre i suoi uomini prendevano posizione per difenderli. Alle spalle della grossa bestia un uomo incappucciato sollevò entrambe le mani e urlò che l’imperatore doveva morire.
“Uno di quei maledetti adepti di Norren!” gridò Grifis mentre la bestia si risollevava pronta a caricare di nuovo. Questa volta l’affondo fu talmente forte da sbalzare da terra alcuni dei grifoni dorati e lo stesso Grifis. A quella vista Aeris  si liberò da Marine e in un istante fu tra il serpente e l’amico.
Non sapeva bene cosa fare, aveva agito d’istinto. Perciò non fece altro che sollevare le braccia come a voler impedire alla bestia di oltrepassarlo.  Grifis poteva anche essere pronto a morire per proteggerla ma lei non era pronta a vederlo morire.
La creatura, per nulla intimorita, l’ avrebbe di certo travolta ma Aeris rimase immobile fissando negli occhi il serpente. Ad un passo dal suo viso però qualcosa lo fermò. Un dardo bruciante come una saetta colpì in pieno la creatura che con un gemito si ritrasse.
Aeris s’accorse che alle sue spalle un uomo incappucciato ancora impugnava un grosso arco di legno intarsiato.
Albered, approfittando del momento, pronunciò rapidamente alcune parole e nello stesso momento un vento forte s’alzò. La gente si teneva i mantelli e guardava verso il cielo alcune nubi nere che s’addensavano. Una forte elettricità si sprigionò allora nell’aria e un fulmine spaventoso s’abbatte sul gigantesco serpente facendolo stramazzare al suolo. La sua figura scomparve nel nulla da dove era apparsa.
A quella vista e nella confusione generale l’uomo che aveva invocato la bestia cercò di scomparire nella massa che cercava ora di raggiungere più velocemente la vetta. Altri uomini incappucciati rivelarono la loro presenza e lo portarono via un attimo prima che alcune guardie vestite di rosso si facessero largo tra la folla per comprendere l’origine di quella confusione.
Aeris fu raggiunta da Grifis e Marine preoccupati per la sua incolumità. Mentre questi gli parlavano di quanto fosse stata sconsiderata, a lei che guardava ancora in direzione dell’arciere , sembrò che da sotto il cappuccio l’uomo le avesse fatto un cenno col capo. Solo un momento dopo s’accorse che alle sue spalle stava, silenzioso, Albered e intuì che il cenno dell’uomo era rivolto al suo primo ministro.
Le guardie rosse appartenenti alla guardia del viceré, appreso l’accaduto, s’offrirono di scortare l’imperatore alle porte di Cattedra.
“Così finisce la nostra avventura Aeris” disse Marine riprendendo sotto braccio Aeris “Ora comincia quella dell’imperatore!” senza perdere il suo enigmatico sorriso.

Il Vicerè fu ricevuto immediatamente dalla sacerdotessa e fu un incontro estremamente formale a cui partecipò anche Lady Kyria che aveva ascoltato tutto il tempo senza mai intervenire. In compenso aveva osservato ogni singolo individuo presente nella sala.
Il gran cerimoniere fermo sulla porta ad annunciare tutti i nuovi arrivati; le sacerdotesse anziane sedute in circolo in un angolo della grande sala della Somma Sacerdotessa che recitavano le litanie; i soldati della Mano delle Nazioni in coppia a sorvegliare ogni finestra; i maghi di corte seduti in fondo alla sala; le novizie che preparavano il grande tavolo per la cena.
Tra quest’ultime Kyria si fermò ad osservare una giovane dai capelli verdi e le gote rosse. Nei suoi movimenti c’era una grazia mista ad una sorta di malizia che le altre fanciulle non avevano. Per un istante i loro sguardi s’incrociarono e Kyria le sorrise. La fanciulla fece un cenno del capo e distolse lo sguardo.
La donna si annoiava tremendamente. La corte della Somma Sacerdotessa era troppo silenziosa per i suoi gusti. In due giorni di permanenza, l’unico suono udito era quello delle litanie e persino i giovani soldati sembravano essere stati selezionati rispettando rigorosamente come unico requisito l’assenza di carisma.
“Quanta bellezza sprecata!” pensò tra sé riportando lo sguardo sul figlio.
In confronto a quei giovani, Loran sembrava un’orchidea in un campo di margheritine. Bellissimo, intelligente ed audace, a Loran non sarebbe mancato nulla per essere uno splendido imperatore. In cuor suo però la donna conosceva l’unico punto debole del figlio e, proprio nella speranza di proteggerlo, lo aveva accompagnato. Il tocco del figlio sulla mano la riportò alla realtà.
“Sentito madre? Si rifiuta di dire perché ci ha convocati. Inaudito! E comunque trama qualcosa. Lo sento.”
“Certo amor mio che trama qualcosa! Altrimenti sarebbe avvizzita come un ramo secco. Tramare la mantiene in vita!”
Loran sorrise. Sua madre sapeva sempre come fare a fargli tornare il buonumore. Cambiò argomento.
“L’imperatore non si è ancora fatto vivo.”
“Arriverà vedrai. Mi aspettavo però che tuo cugino fosse già qui.”
“Il protocollo del Gran Consiglio non prevede la presenza di un rappresentante dell’esercito. Tuttavia non credo che mancherà. Tutti desiderano conoscere l’imperatore ma Seifer più di tutti non aspetta che di confrontarsi con lui.”
Svoltarono l’angolo che dal corridoio prospiciente la sala della Somma Sacerdotessa conduceva a quello diretto ai giardini. Dal fondo sopraggiungevano quattro uomini. Portavano stivali alti fino al ginocchio e mantelli di colore verde scuro. Capucci alzati.
Le guardie di Loran si posizionarono intorno a loro come facevano tutte le volte che incrociavano i raminghi, superstiti del popolo della Doreria che avevano giurato di uccidere tutti gli appartenenti della famiglia Valentine.
“Non dovrebbero consentire a questi uomini di girare liberamente per le aule di Cattedra conoscendo i loro intenti e sapendo che noi siamo qui.”
“Non temere madre. Non possono girare armati”, disse  Loran per tranquillizzare la madre pur sapendo che ai raminghi non serviva un’arma per uccidere.
Quando furono fianco a fianco tre dei raminghi si mossero come a difendere il quarto. Il cuore di Loran si fermò per un istante come avesse intuito che in quel corridoio, in quel momento, dopo dieci anni, si era ritrovato innanzi colui che era stato il suo migliore amico fino al giorno del suo diciottesimo compleanno. Non un cenno dell’altro. Non un cenno da parte sua. L’aria fresca dei giardini gli punse il viso e l’immagine dei quattro raminghi svanì alle sue spalle lasciandogli la consapevolezza che il tempo del confronto con i suoi demoni personali era giunto inesorabile ed incurante che lui si sentisse pronto ad affrontarli.

Le stanze che la Sacerdotessa di Cattedra aveva riservato all’imperatore erano immense e riccamente adornate. Marine era rimasta sconcertata da tanta ricchezza. Aeris era rimasta invece silenziosa tutto il tempo. Quando i suoi fecero per congedarsi e lasciarla riposare, Aeris trattenne il suo primo ministro.
Grifis, come ogni volta che doveva staccarsi dal suo imperatore, si allontanò suo malgrado. Marine lo coinvolse nella riposizione di tutti i suoi merletti e i due fratelli Alteron sparirono dietro le porte laccate delle camere dell’imperatore. Albered se ne stava al centro della stanza senza parlare guardando il suo bastone da cerimonia.
“Non hai niente da dirmi?” chiese Aeris.
“A quale riguardo, mio principe?”
“Non costringermi ad esprimerti a parole ciò che vedi nei miei occhi!” disse Aeris un po’ risentito.
“Non ho, come voi maestà, il potere di leggere gli altrui pensieri.”
“Chi sono gli uomini che sono giunti in mio aiuto alle porte di Cattedra? Cos’hanno a che fare con te e, di conseguenza, con me?” Albered sorrise.
“Sono alleati di Vostra maestà. Appartengono alla casata di Doreria. Sono i raminghi. I superstiti rimasti fedeli al Conte Hornet. Garantisco per loro in quanto, lo sapete, anche io sono originario di quella terra anche se alla fine della grande guerra decisi di rimanere alla corte di vostro padre. Fidatevi di me come avete sempre fatto. Non sappiamo ancora per quale motivo la somma sacerdotessa ci ha voluti qui. Abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile. Non possiamo fidarci né di Cattedra, né di Faleria. Avere la Doreria dalla nostra parte sarà fondamentale.” Aeris lo ascoltò con attenzione.
“Nel supremo consiglio, qualunque cosa accada, dovrete avere la maggioranza. Non possiamo permetterci che la sacerdotessa vi costringa a fare qualcosa che sia controproducente per la vostra persona o il vostro regno. Certamente ella potrà contare sul viceré. E’ il cugino di primo grado del generalissimo che, a propria volta, è suo nipote diretto. Non ho avuto modo di sondare gli intenti del signore delle isole Maras ma il suo voto nelle assemblee comuni è minore e vale come quello del generalissimo.”
“Se la sacerdotessa dovesse avere i voti del generalissimo e del Viceré, ammesso che dalla mia parte si schierino la Doreria e le Isole Maras, non avrei comunque la maggioranza!”
“Vi ho mai deluso maestà? Abbiate fede in me.”
“Il voto che manca all’appello appartiene ai Darine. Ho forti dubbi che sarà a favore della progenie dell’uomo che li ha distrutti.”
“I Darine sono estinti. Il loro voto sarà espresso dal popolo dei Nagrod. I raminghi intrattengono con loro ottimi rapporti, soprattutto commerciali. Avremo la maggioranza. Ora però riposate. Stasera dovrete avere un ottimo aspetto per presentarvi a tutti i vostri sudditi!” Aeris sorrise e congedò il primo ministro. Rimasta sola raggiunse il grande specchio a parete e guardò la propria immagine riflessa.
“Qualunque aspetto io abbia, non soddisferò le loro aspettative. Ad ogni modo sono quello che sono. In quanto a te Albered, non dici tutta la verità. Nascondi con maestria i tuoi pensieri e presumo tu lo faccia per il mio bene. Tuttavia sono troppi i segreti che si celano in questo palazzo. Sfortunatamente il peggiore di tutti è custodito nel mio cuore.” Questo disse tra sé Aeris convinta ormai che la visione che da giorni la ossessionava fosse legata al motivo per cui la sacerdotessa li aveva convocati a Cattedra.

I preparativi per la grande apertura della parata dei protettori di Aeria erano terminati. I saloni della somma sacerdotessa erano predisposti per la festa. Un grande tavolo era stato allestito con ogni genere di pietanza e ogni poltrona destinata agli ospiti aveva i ricami bardati nel colore dello stemma del casato il cui rappresentante apparteneva.
Al centro del tavolo vi era una seduta in argento e viola ed una in oro e azzurro. Erano le poltrone riservate alla somma sacerdotessa e all’imperatore. Al fianco della sacerdotessa spiccava la poltrona in oro e porpora riservata al viceré al fianco del quale si sarebbe seduta la madre. Di lato ad Aeris la poltrona in oro e avorio era destinata alla principessa imperiale. Per buon costume al fianco della principessa avrebbero trovato posto alcune sacerdotesse e il cerimoniere di corte.
La tavola poi girava a ferro di cavallo da entrambi i lati. Vi avrebbero trovato posto i nobili maghi della corte di Cattedra e i vertici dell’esercito della Mano delle Nazioni da una parte e i nobili della Doreria e delle Isole Maras dall’altra.
Layla aveva seguito personalmente che ogni dettaglio fosse perfetto. La sacerdotessa l’aveva molto elogiata.
“Sei sempre la migliore” le aveva detto. Ovviamente ogni volta che Lady Asaline le riconosceva un primato, Layla sapeva che escludeva se stessa. Lei era la migliore in tutto dopo la somma sacerdotessa.
Il cerimoniere di corte batté il pesante bastone in terra e annunciò l’ingresso della somma Sacerdotessa che doveva entrare per prima quale padrona di casa in attesa degli ospiti.
“Sua grazia la nobile e venerabile figlia della luna, signora delle aule di Cattedra, voce di Serian, pilastro di saggezza, dispensatrice di oracoli, lucente armonia, salutate la somma sacerdotessa di Cattedra, Lady Asaline!”
La sacerdotessa avanzò con una grazia tale che sembrava non toccasse terra. Realmente sembrava emanare una tenue luce argentata e i suoi movimenti scossero la veste semplice ed elegante che portava con una tale armonia che tutti s’inchinarono come avessero visto Serian in persona.
Layla, che le stava affianco e le teneva lo strascico della veste di colore argento e bordata di merletti lilla, ne poteva sentire il papabile orgoglio mentre camminava. Era bella. Nonostante l’età, nonostante i cupi pensieri che le soffocavano l’anima. Era bella. Sollevò un attimo lo sguardo verso i presenti e vide che nessuno osava posare direttamente lo sguardo su di lei. Incuteva timore e rispetto. O forse incuteva paura.
Appena la sacerdotessa prese posto, il bastone del cerimoniere batté di nuovo sul pavimento di marmo annunciando un nuovo ospite.
“Salutate la fiamma che arde senza sosta, la fenice immortale, il signore delle terre verdeggianti, il vincastro del regno, sua altezza reale illustrissima Lord Loran Valentine viceré dell’impero e Lady Kyria regina di Faleria.”
Sul fatto che Asaline fosse la donna più affascinante della sala, Layla dovette ricredersi subito. Lady Kyria era di una bellezza sconvolgente. I capelli neri le scendevano a boccoli lungo le spalle. L’abito rosso le stringeva il seno prosperoso e le fasciava il corpo perfetto fino a terra. Se i presenti non avessero saputo che era la madre del viceré, non le avrebbero dato che qualche anno in più di Loran Valentine. Semplicemente raggiante.
Il viceré che le teneva la mano, se possibile, era ancora più affascinante. Tutte le donne presenti in sala non trattennero il loro stupore dietro ai ventagli.
Loran portava l’alta uniforme dell’esercito scarlatto. Una lunga giacca rossa con i ricami in oro di due lunghe ali piumate copriva una camicia di colore avorio. Ogni piuma del ricamo terminava con un rubino incastonato nella punta. Al collo portava il medaglione a forma di fenice tutto in oro e pietre preziose.
Ma la bellezza di Loran derivava da un paio di occhi blu fissati in un viso perfetto circondato da una vera e propria cascata di fuoco. I suoi capelli infatti erano del rosso più acceso che si fosse mai visto. Si diceva che i sarti di corte avessero fatto molta fatica a trovare la miscela per rendere i suoi abiti di un rosso almeno paragonabile a quello dei capelli del viceré.
Layla voltò subito lo sguardo alla reazione dei raminghi. Pur avendo diritto a partecipare al consiglio, per loro non c’erano stati annunci o festeggiamenti. Erano stati fatti entrare da una porta secondaria e si erano accomodati in sala senza clamori. Portavano i loro soliti abiti. Solo uno di essi aveva una divisa diversa e sulla blusa portava il simbolo dell’unicorno.
Nessuno di loro aveva mostrato interesse per l’ingresso del viceré sfatando i suoi timori che si potesse accendere un conflitto tra i due clan un tempo rivali.
Layla non capiva quel tipo di odio rispettoso dei principi della cavalleria. Aveva sempre pensato che se un uomo giura vendetta e destina la sua esistenza al raggiungimento di quell’obiettivo, allora le regole non devono contare. Che senso poteva avere per quegli uomini odiare così tanto Valentine, averlo a pochi passi e non scagliarsi su di lui per conficcargli un coltello nella gola?
Il bastone del cerimoniere bussò ancora ma non apparve nessuno sulla soglia.
Il Viceré salutò lady Asaline secondo il rito e si accomodò.
Layla posò allora lo sguardo sull’ultima poltrona della sua fila che, secondo la sacerdotessa, sarebbe rimasta vuota. Era tutta d’argento e l’etichetta diceva che era destinata al generale della Mano delle Nazioni. Layla sospirò e pensò che forse i motivi di preoccupazione per il buon esito di quella serata non erano finiti.

Il cerimoniere aveva battuto due volte il bastone in terra ma l’ospite non ne voleva sapere di entrare.
“Ho detto che così non va bene!”
“Mio signore vi ho già spiegato che ho delle regole da seguire. C’è un’etichetta! Suvvia i vostri titoli nobiliari sono eccelsi!” L’uomo sbatté un piede in terra e i suoi cominciarono ad agitarsi.
“Devi dire che sta entrando il re delle Isole Maras!”
“Signore vi ho già spiegato che io non posso.”
“Non alcuna intenzione di farmi offendere da alcuno, tanto meno da un nanetto come te! Se non ho ancora reagito alle tue offese è solo perché mio padre mi ha insegnato a rispettare gli anziani!” urlò l’uomo la cui statura e corporatura erano decisamente fuori dalla media. Indossava inoltre un abito di pelle nera che lo faceva sembrare ancora più minaccioso. Al collo portava un medaglione raffigurante la testa di una tigre feroce i cui occhi erano rappresentati da due smeraldi purissimi.
La barba del cerimoniere quasi si arruffò al suono di quelle parole. Era fermamente deciso a far rispettare il protocollo a tutti, compreso quel gigante dalla pelle scura che veniva dalle isole Maras e che pretendeva di sovvertirlo. Fu allora che udì una voce amica.
“Problemi, mio buon amico?” Il cerimoniere si voltò e vide Albered Doren in persona. Gli andò incontro e lo abbracciò.
“Che piacere rivederti. Dopo tutti questi anni cominciavo a dubitare che avrei avuto la possibilità di rivederti.”
“Se per rivedermi hai domandato alla somma sacerdotessa di convocare il supremo consiglio di Aeria, devo dirti, amico mio, che sarebbe bastato invitarmi personalmente!”
“Non scherzare! Qualcosa di grave aleggia nell’aria. La mia signora è molto turbata!”
“Di cosa si tratta?”
“Non ne ha parlato neanche con me.” Il gigante, stufo di aspettare, si schiarì la gola.
“Ma certo fate con comodo, continuate a mancarmi di rispetto!” Albered lo osservò accigliato. Poi parlò.
“Mio nobile signore lei deve senz’altro essere Lord Garan Berser. Non ho dubbi. Il suo portamento, la sua possanza! Proprio Lord Garan Berser!” L’uomo ebbe un moto d’orgoglio.
Il cerimoniere di Cattedra osservò l’amico fare la sua magia con un mezzo sorriso sulle labbra. Albered continuò.
“Vede mio signore, io ho l’immenso onore di essere il primo ministro dell’imperatore. Sua magnificenza è in fondo al corridoio e non può avanzare se voi non fate il vostro ingresso in sala. Mi ha mandato fino a qui a chiedere come mai l’ingresso non è libero. Non vorrei tornare a dirgli che deve attendere Lord Berser. Vi incontra per la prima volta e si potrebbe fare una cattiva impressione di voi!” Garan sollevò lo sguardo e vide un giovane con i capelli dorati che faceva su e giù per il corridoio infastidito. Portava continuamente la mano alla spada.
“Indossa la spada che sconfisse Zion?” chiese Garan. Albered annuì.
“E va bene. Dì pure quello che vuoi maledetto vecchio ma me la pagherai un’altra volta.” Il bastone bussò.
“Salutate il nobile signore dei mari oceanici, il possente governatore delle Isole Maras, l’artiglio della tigre urlante, Lord Garan Berser!”
“Governatore! Figurati!” continuò a borbottare Garan entrando in sala e andando a prendere posto vicino ai raminghi. Non appena Lord Garan sparì dalla porta il cerimoniere ringraziò con un cenno del capo e portandosi la mano al petto l’amico.
“Infiniti ringraziamenti. Stavo per perdere la pazienza!”
“Mi ringrazierai facendo una degna presentazione del mio signore.”
Il cerimoniere batté ancora più forte il bastone in terra, richiamò l’attenzione della sala intera e si schiarì la voce.

Grifis continuava a fare avanti e indietro sfiorando nervosamente l’elsa della propria spada. Osservava Albered parlare con degli uomini all’ingresso e non poteva nascondere l’irritazione. Le porte dietro le sue spalle si aprirono e Aeris comparve al fianco di Marine.
Grifis non riusciva a rassegnarsi. Ogni volta che l’erede dell’impero indossava l’abito cerimoniale e la corona, lui non riusciva a capire da dove venisse la luce. Non sapeva mai se a brillare tanto fossero i gioielli, i fili d’oro, o i capelli stessi dell’imperatore o piuttosto i suoi occhi.
“Non siamo ancora pronti?”
Come sempre accadeva quando Aeris si presentava in alta uniforme, anche Marine era splendida e la sua voce in queste circostanze non era quella della ragazzina impertinente ma quella della donna responsabile che sosteneva e affiancava il principe imperiale.
“C’è un tizio grande e grosso che non si toglie dai piedi. Volevo sincerarmi personalmente che fosse tutto a posto ma Albered ha insistito perché rimanessi qui.”
Mentre i due fratelli si scambiavano battutine, Aeris chinò il capo cercando di ricordare tutte le cose che aveva imparato nelle settimane precedenti al viaggio e alle cose che doveva dire alla somma sacerdotessa.
Immerso in questi pensieri concentrò la sua mente al punto che s’accorse che dietro una delle tende del corridoio si nascondeva una figura. Puntò lo sguardo in quella direzione e un paio di occhi cobalto incrociarono i suoi. Avrebbe potuto dare l’allarme, richiamare perlomeno l’attenzione di Grifis ma non lo fece e quando giunse il momento di incamminarsi lungo il corridoio, procedette senza esitazione cercando, quando fu vicino alla pesante tenda che nascondeva l’intruso, di percepirne i pensieri. Non avvertì nulla. Forse era già sparito o magari immune al suo potere.
La sua attenzione fu richiamata dalla voce del cerimoniere. L’imperatore veniva presentato al mondo. La sua persona svelata. Il suo destino si compiva.

“Salutate tutti il supremo vessillo di Aeria, il luminoso signore dei cieli, brezza del mattino, benedizione di Serian, inchinatevi innanzi alla gloriosa ala di nuvola, fiore superbo del Berillion, sua altezza imperiale il principe Aeris Strifen erede dell’impero tutto e lady Marine Alteron principessa della Balvaria!”
A queste parole ogni sacerdotessa, mago, cavaliere, principe, dama presente nella sala lasciò ciò che stava dicendo o facendo e puntò lo sguardo alla porta.
Fecero il loro ingresso sei cavalieri vestiti di bianco e oro e si disposero ai lati della porta tre per ogni lato.
Il più alto di loro fece un cenno e tutti chinarono il capo innanzi ai principi reali. Avanzavano in una sincronia perfetta. La mano destra di lei sollevata a mezz’aria e stretta nella sinistra di lui. Lei meravigliosamente bella in un abito blu e bianco. Il suo viso sembrava un’unica rosa rossa in un giardino colore del cielo. Lui lucente come una stella, etereo come un angelo. Gli occhi fissi a cercare direttamente quelli della somma sacerdotessa. L’alta uniforme bianca e oro gli conferiva un’immagine di purezza difficilmente descrivibile.
Grifis, che aveva temuto quel momento da quando era stato deciso il viaggio, si rese conto che Aeris aveva conquistato tutti. Non era importante che non fosse alta come era stato descritto o che non avesse una grande fisicità. Nessuno dei presenti avrebbe osato contestare tanta regalità così manifesta.
Il mantello che portava si muoveva come se davvero nascondesse un paio d’ali candide. L’andatura era elegante ma sicura. Il sorriso sul viso era quello di un figlio che torna a casa dopo un lungo viaggio e non attende altro che di ricongiungersi alla sua adorata famiglia. Nessuna incertezza.
Il cuore di Grifis perse un battito. Se la sua Aeris non fosse stata pura come un fiocco di neve prima che tocchi il suolo, sarebbe stata una terribile principessa delle tenebre con quella sua innata capacità di dominare i suoi sentimenti e sopraffare quelli degli altri.
Quando la navata fu terminata, la coppia si ritrovò innanzi alla sacerdotessa. Marine fece un leggero inchino e lasciò la mano di Aeris.
“Do il mio benvenuto al principe imperiale di tutta la terra. Con la benedizione di Serian saluto te Aeris Strifen, ala di nuvola, dominatore dei cieli e nostro signore. La somma sacerdotessa di Cattedra rende onore a te e ti accoglie nella sua umile dimora.”
“Accetto il tuo benvenuto somma signora del mondo etereo. Con la benedizione di Serian saluto te Lady Asaline, figlia della luna, pilastro di saggezza e nostra guida. Il principe imperiale rende onore a te e torna a farti visita nella tua dimora.”
I saluti di rito furono pronunciati a voce alta e, mentre quella di Asaline era risuonata nell’aria forte e ridondante, quella di Aeris si diffuse come una canzone. Tutti batterono le mani e presero posto a tavola.
Aeris s’accomodò solo dopo avere fatto sedere Marine. Mentre prendeva posto intravide il ramingo che lo aveva aiutato alle porte di Cattedra e, dall’altro lato, Loran Valentine. S’avvide subito che il generalissimo non era presente e, anche per spezzare l’atmosfera formale che si era creata, chiese sue notizie a Lady Asaline.
“Il generale della Mano delle Nazioni non è presente mia signora?” La sacerdotessa gli versò del vino nel calice davanti a lui e gli rispose in tono confidenziale.
“Non abbiatevene a male se non è presente. Non è mancanza di rispetto. In questi giorni siamo stati minacciati fortemente dagli yomi e mio nipote ha dovuto dare loro la caccia allontanandoli da Cattedra. Anche per la vostra sicurezza, lo capite vero?”
“Mi addolora che non abbia potuto prendere parte al ricevimento. Avevo un grande desiderio di conoscere un simile campione”.
“Ci saranno altre occasioni, ne sono certa!” concluse sorridendo.
Grifis non volle prendere posto al banchetto ed rimase di fianco alla porta. Di guardia. Marine lo guardava piena di biasimo.
“Mio fratello non riesce a godersi neanche una serata come questa!” Aeris le prese la mano e le sorrise.
“Vedrai che faccia farà quando danzeremo!” Una voce dietro di loro li interruppe.
“Credevo che le più belle donne di Aeria fossero tutte alla mia corte ma devo decisamente ricredermi! Principessa, i miei onori. Siete in assoluto la donna più bella che abbia mai visto!”
Loran Valentine aveva sfoggiato il più profondo degli inchini e il più affascinante dei sorrisi che aveva in repertorio. Marine lo assecondò.
“Recate offesa alla splendida dama che vi accompagna questa sera viceré!”
“Mia madre, se me lo concedete mia signora, non rientra in questa mia lista. Lei è la mia vita. Non è una semplice donna per me. Inoltre credetemi se vi dico che tanta bellezza nasconde il più terribile dei predatori!” Marine sorrise di gusto.
“Ma perdonate la mia sconvenienza, altezza” disse rivolgendosi ad Aeris “se mi sono permesso di venire qui e rivolgervi per primo la parola, l’ho fatto al solo scopo di precedere i miei detrattori maestà. In molti vi avranno parlato, male credo, del sottoscritto. In fede mia, sono quasi tutte cattiverie! Vostra maestà, se me ne darà la possibilità di mostrarglielo, vedrà in me un suddito fedele e un devoto consigliere.” Aeris rispose d’impulso, realmente colpito da tanta franchezza e allo stesso tempo sagacia.
“Vi assicuro che tutte le cose che ho udito sul vostro conto lord Valentine sono tali da suscitare in me una profonda ammirazione nei vostri confronti e vi assicuro che a nessuno alla mia corte è consentito parlare male del mio viceré!”
Loran rimase, per la prima volta nella sua vita, senza parole e scoppiò in una fragorosa risata. La sacerdotessa si voltò per capire cosa stesse accadendo e quale fosse il motivo di una tale complicità tra due persone che fino a qualche attimo prima erano estranee. In quel momento qualcuno fece partire le danze. Loran ne approfittò.
“Mi trovo nella condizione di apparire nuovamente sconveniente e vi chiedo se posso avere l’onore di fare danzare la principessa imperiale.”
“Concesso” rispose solo Aeris con un sorriso tanto intenso che Loran dovette distogliere lo sguardo.
Il viceré e la principessa imperiale si lanciarono nelle danze sotto gli occhi stupiti di tutti e quelli compiaciuti di Lady Kyria.
Aeris chiese alla somma sacerdotessa di danzare ma questa si rifiutò e così toccò a Lady Kyria aprire le danze con l’imperatore. Terminato il primo ballo, i due cavalieri si scambiarono le dame mentre altre coppie affollavano la sala.
“Quel Loran è un tipo davvero curioso, non trovi?”
“Di certo aveva preparato tutta la scena” rispose Aeris a Marine “ma non riesco a non trovarlo divertente!” concluse ridendo.
“Il vecchiaccio ti direbbe di fare attenzione” disse la fanciulla indicando Albered con lo sguardo “ma io non lo trovo così tremendo!”
“Ti piace, vero?” Marine scosse il capo arrossendo.
“Ma che vai a pensare! Non è il mio tipo!”
“E qual è il tuo tipo?”
“Bello, forte e tenebroso!” Aeris rise ancora ma in quell’istante le porte si spalancarono e la musica cessò.
La folla si allargò per lasciare passare un uomo alto e dalla figura sottile con lunghi capelli color dell’argento. Indossava solo una blusa bianca su un pantalone grigio. Un brusio riempì la sala mentre Grifis con pochi passi fu al fianco di Aeris e Marine.
“Porgo i miei saluti a tutta questa splendida corte! Sono mortificato per il ritardo e per l’abbigliamento poco formale. Perdonerete un soldato che è appena tornato dal fronte e che avrebbe preferito il riposo delle sue stanze a cotanta confusione se non sapesse quali sono i suoi doveri. Vi saluto Lady Asaline.” L’uomo si era rivolto alla padrona di casa senza curarsi di Aeris che era a pochi passi da lui.
“Sei benvenuto quanto inatteso nipote adorato. Ti sapevamo lontano ma siamo lieti che tu sia qui.”
“Grazie, mia cara zia. Prendo il posto che è mio.” Disse Seifer Wiltord, generale supremo della Mano delle Nazioni passando davanti ad Aeris senza rivolgergli la parola.
Fu questo il primo incontro tra Seifer Wiltord e Aeris Strifen. Aeris aveva sempre provato una profonda ammirazione per le gesta compiute da quel cavaliere. Se l’era immaginato possente e nobile, dotato di un coraggio e di una forza fuori dal comune. Un uomo dal cuore grande. Vedersi passare davanti un ragazzo di qualche anno più grande di lui, che non l’aveva degnato di uno sguardo e soprattutto che indossava un sorriso sprezzante, lo irritò.  Il cerimoniale prevedeva che l’imperatore rivolgesse per primo la parola a chiunque e che in mancanza nessuno potesse parlargli.
Mentre Seifer Wiltord stava per accomodarsi la voce dell’imperatore risuonò nell’aria.
“Poiché dovete essere molto stanco generale per l’adempimento di qualche altra delle vostre eroiche gesta in difesa del mio impero, abbandoniamo ogni formalità tutti e da questo momento festeggiamo questa nostra riunione tutti insieme come fratelli! Non badate dunque all’etichetta e ricevete il mio saluto.”
A tali parole Asaline sussultò mentre, più lontano, Albered gioì di come il suo allievo  avesse imparato bene la lezione. Era riuscito a trasformare un’offesa arrecatagli in un gesto di chi, potente, può mostrare misericordia.
Il generalissimo, come erano abituati a chiamarlo a Cattedra, rimase impassibile. Sollevò il calice come volesse brindare a qualcosa. Certamente, dal sorriso che si era stampato sul viso, doveva aver preparato una risposta degna della propria fama. Qualunque cosa fosse, gli morì in gola quando, dall’altro capo del  tavolo qualcuno gridò.
“Lunga vita all’ala di nuvola!”.
Tutti sollevarono i meravigliosi bicchieri di cristallo e brindarono. Solo Lady Asaline s’accorse che Seifer abbassò il suo e non toccò più nulla per tutta la cena, cupo nella sua ira.

Oltre ad Albered Doren, primo ministro della Balvaria, qualcun altro si godeva lo spettacolo delle reazioni dei presenti. Gli era stato ordinato di essere un’ombra e, almeno per il momento, stava eseguendo alla lettera gli ordini di Asaline. Akram se ne stava dietro una delle statue della sala che nascondeva un passaggio segreto che conduceva dalla sala della somma sacerdotessa ai giardini. Da quella posizione poteva vedere quasi tutta la sala senza, a sua volta, farsi notare.
Non aveva mai visto Loran Valentine in precedenza e ne aveva percepito subito l’indole astuta. In quel momento aveva compreso i commenti sulla sua duplice personalità.
“Luminoso come il sole ma doppio come la luna” gli aveva detto il suo migliore amico “Come luna sembra bellissimo ma ha un lato oscuro che non è facile vedere”.
Poi c’era il generalissimo. Non si aspettava molto da quell’individuo se era il degno nipote di tale zia. Doveva essere tanto pericoloso quanto meschino. Un essere del quale diffidare.
Garan Berser era né più né meno un sempliciotto. Aveva fatto un po’ di confusione al momento di entrare nella sala. Voleva che gli fosse riconosciuto il titolo di sovrano delle isole Maras. Sul Monte Arhat non arrivavano molte notizie ma anche ai Nagrod interessavano quelle sull’andamento dell’impero.
Le Isole del Sud del Mare esterno appartenevano di diritto alla Faleria. I Valentine non avevano dimostrato però un grande attaccamento a queste terre povere e abitate da popoli arretrati devoti solo alla pesca. Con il passare del tempo la mancanza di governo aveva creato l’anarchia sulle isole e scatenato una guerra tra clan. Anche a questo punto il governo di Faleria se n’era disinteressato.
Lion Berser, capoclan dei Maras, teneva invece alla propria gente e formò un piccolo esercito che riuscì a riportare l’ordine tra le isole e ad assoggettare i clan più belligeranti. Chiese ma non ottenne mai l’indipendenza delle isole dalla Faleria e, nonostante ciò, non fu mai attaccato dall’esercito rosso divenendo, di fatto, una sorta di vassallo del re, un governatore alla pari di quelli ufficialmente insigniti di tale titolo. Akram lo guardava divorare le varie portate incurante dello sguardo degli altri ospiti.
Al suo fianco sedeva Mars Hornet. Se avesse potuto tenere il cappuccio alzato anche a tavola, Akram sapeva che Mars lo avrebbe fatto. Era l’ultimo sopravvissuto dei signori di Dumbara. La sua famiglia era stata completamente sterminata nella guerra tra la Doreria e la Faleria. La cicatrice sul suo viso gli ricordava ogni giorno quale fosse il suo destino. Ma tenere il cappuccio alzato non serviva a difendere lo sfregio sul viso dagli sguardi della gente, bensì a difendere la gente dal suo sguardo gelido e tagliente. Era il capo dei raminghi della Doreria e, per quanto vuoto fosse il titolo, un conte dell’impero. Sulla sua testa Kyria Valentine aveva fatto mettere una taglia di migliaia di scudi.
Tuttavia per quasi l’intera serata Akram tenne lo sguardo posato su Aeris Strifen. Era l’imperatore l’osservato speciale. C’era qualcosa in quella figura che trasmetteva regalità e forza ma Akram sapeva che non era il suo corpo. In effetti era un ragazzino e anche di fragile corporatura. Aveva sentito dire, da quando era arrivato a Cattedra, che l’imperatore era malato. Di quale malattia soffrisse, lui però non lo avrebbe saputo dire. In effetti era anche una cosa strana che non lo capisse giacché, sin dalla nascita, era dotato della facoltà di assorbire il dolore altrui. Sapeva perciò individuare quale cosa lo provocasse. L’imperatore sembrava sano e soprattutto non sembrava soffrire. Inoltre era molto basso per un ragazzo della sua età anche se nel complesso era armonioso e slanciato.
Nonostante tutti questi aspetti, Akram aveva capito che l’imperatore non era meno forte del viceré o del generalissimo. La sua forza veniva da dentro. L’aveva sentita nitidamente. E poi c’era la spada che aveva sconfitto Zion.
Oltre alla forza, Akram aveva percepito anche un’altra sensazione. Inizialmente non l’aveva saputa definire poiché non gli capitava spesso di imbattersi in una cosa come quella. Con il passare delle ore però l’aveva riconosciuta.
Dolcezza.
Il modo in cui l’imperatore muoveva le mani gli aveva ricordato quello con cui sua madre gli pettinava i capelli da bambino.
Dolcezza.
Era normale che una persona come quella avesse una simile emanazione? Tante domande dovevano trovare una risposta ma Akram era certo che l’intreccio della sua vita con quella di Aeris Strifen avrebbe dato quasi tutte le risposte.

Note dell'autrice:
Bentornati su Aeria! In questo capitolo cominciamo a conoscere un po' meglio le dinamiche tra alcuni personaggi. Trovate ancora la storia interessante? Mi lasciate un riscontro? Sì?
Nel frattempo ringrazio coloro che l'hanno già fatto, che hanno messo la storia tra le seguite o preferite o che semplicente l'hanno letta.
Grazie a tutti. Di cuore. A presto!

  
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