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Autore: Lost In Donbass    22/01/2015    3 recensioni
Londra, 1888. Midford High School, istituto maschile per nobili rampolli.
Viole MacMillan è uno strano ragazzo; pittore senza pari e genio sconclusionato, malinconico ma deciso, curioso ma riservato, oscuro e dannato.
Edgar Cole è bello come il sole; intelligente e aggraziato come pochi, poeta e sognatore, idealista e innamorato del bello e del perfetto, popolare e avventuroso.
Queste due diverse personalità si fonderanno l'una con l'altra, si incendieranno a vicenda, si amalgameranno nonostante le diversità seguendo il tenebroso e sanguinario filo del destino. Filo che li conduce in un mondo maledetto, nascosto nel giardino interno della scuola. I due ragazzi si lasceranno trascinare in un mistero più grande di loro, dove demoni e dei della morte, streghe e corvi parlanti si dilettano in un banchetto senza fine, in cui gli umani non sono altro che pedine e biscotti da sgranocchiare nell'attesa.
Viole e Edgar intraprenderanno il viaggio nel baratro dell'orrore più nero, cercando di uscirne vivi e tagliare il filo sanguinolento del destino.
Ora loro sono gli scacchi, e la scuola la scacchiera.
Genere: Avventura, Dark, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Edgar saltò giù dal davanzale arrossendo. Viole si limitò ad alzare un sopracciglio con aria interrogativa, senza preoccuparsi minimamente della punizione in arrivo.
-Stavamo commentando la bellezza del tramonto e io stavo semplicemente ritraendo Cole che ha gentilmente deciso di posare per me. Tutto qui.
La tranquillità serena di MacMillan prese in contropiede i prefetti, ragazzi dell’ultimo anno che supervisionavano gli allievi ed erano in diretto contatto con il rettore.
-Semplicemente? Non so se ti ricordi, ma le regole di questa scuola prevedono il non arrampicarsi sui davanzali e il non utilizzare acquerelli nella Sala Comune né in camera- il prefetto James Greenhill squadrò arcignamente i due.
-Oh, davvero? Non ero stato informato, me ne scusino- il sogghigno beffardo di Viole fece innervosire non poco i prefetti. Ma cosa si credeva quello lì?! Va bene che era uno dei preferiti del rettore ma era inaccettabile il suo comportamento canzonatorio e perennemente sarcastico. Le labbra di Edgar si incresparono in un sorrisetto; certo che quando Viole sorrideva (se quel diabolico ghigno poteva definirsi un sorriso) era veramente bello.
-Devo però rendere presente il fatto che non abbiamo imbrattato la Sala Comune con i colori, né abbiamo rovinato l’arredamento- intervenne Edgar, rilegandosi i capelli in una coda fatta alla bell’e meglio.
-E’ inutile che cerchiate piccole scuse; avete trasgredito al regolamento e ora vi porteremo dal rettore- ribatté stizzito il prefetto William Redford, aprendo la porta della Sala Comune e facendo strada.
Edgar e Viole si scambiarono una fugace occhiata leggermente mortificata. Per quanto, nessuno dei due ci teneva a finire davanti al preside; Edgar perché sapeva benissimo che se il preside avesse avuto la malaugurata idea di riferirlo alla sua famiglia … beh, per lui non sarebbero stati tempi rosei, in quanto tutti gli uomini della sua famiglia avevano frequentato lo stesso istituto e nessuno aveva mai avuto grandi rimproveri. Però che noia la tradizione, che noia questa opprimente pressione da parte di tutti perché “lui doveva diventare il nuovo maggiordomo della regina”. Un destino fissato sin da quando ancora non era venuto al mondo. Ma a Edgar la prospettiva di passare la sua vita al servizio di una vecchia donna scorbutica non andava giù. Lui voleva diventare un poeta, passare la sua vita alla ricerca della perfezione e farne delle commedie che dilettassero la gente comune. Anche se con la sua famiglia a sbavargli sul collo la vedeva molto dura. Ricordava ancora le parole sconvolte dei suoi quando aveva provato a far presente che lui voleva diventare un letterato e trasferirsi in campagna; gli avevano urlato di tutto, dandogli “dell’ingrato nullafacente”. E allora aveva taciuto, reprimendo la sua tristezza a quando poteva soffocarla nel cuscino prima di dormire, o quando poteva illustrarla nelle sue poesie. Non voleva diventare come gli altri maschi della sua famiglia. Voleva distinguersi, avrebbe voluto diventare famoso per i suoi scritti.
Sospirò, mentre veniva sospinto giù per le scale dai prefetti cercando con lo sguardo il suo compagno di sventura.
Viole, dal canto suo, non esplodeva certo di gioia all’idea di finire davanti al rettore ma non era che gliene importasse poi molto. Nella sua famiglia non veniva considerato più di tanto, in realtà. Aveva due sorelle maggiori e tre sorelle minori, e i MacMillan non avevano mai seguito la linea di discendenza patriarcale. Per quello meglio, pensava Viole. Lui era il terzo e non aveva nessuna possibilità di diventare capo della “protezione segreta della regina Vittoria”. Forse sarebbe stato tenuto ogni tanto a dare una mano a sua sorella Saoirse, primogenita, se si fossero presentate situazioni particolarmente delicate, ma di norma sarebbe stato libero di vivere la sua vita come meglio avrebbe creduto. Ovvero, dipingendo. Ogni tanto Viole pensava a casa sua, dove veniva considerato poco o niente, a parte dalle sorelle minori che lo adoravano. Ma per il resto veniva lasciato stare. Nessuna chiedeva la sua opinione e a lui non dava fastidio. Meno gli parlavano, meglio era. Più lo isolavano, più era contento. Si strinse meglio nel mantello che si ostinava a portare e si lasciò condurre silenziosamente anche se conosceva alla perfezione ogni angolo della scuola. Già dal primo anno, quando non riusciva a dormire, vagabondava come un’anima in pena per il castello. Conosceva ogni angolo, ogni colonna, ogni fiore del giardino. Aveva ficcanasato ovunque, anche in posti categoricamente vietati agli studenti.
-Eccoci arrivati. Mi raccomando, almeno non fate innervosire il rettore- dissero freddamente i prefetti.
I due ragazzi si guardarono seri per un attimo
-Devo bussare?- mormorò Edgar, mordendosi il labbro inferiore
-Vedi te, se dobbiamo rimanere qua fuori- ribatté acido Viole
Edgar scosse la testa alzando gli occhi al cielo e bussò timidamente alla porta
-Avanti- la voce grave e stanca del rettore risuonò e spinse i due ragazzi ad aprire con timidezza il pesante portone di noce seguiti dai prefetti, che li seguivano come avvoltoi che aspettano la morte della preda.
Quando entrarono un brivido percorse la schiena di Edgar e dei prefetti. Per quanto, il cupo e anziano rettore metteva una certa inquietudine a chiunque. Viole non sembrava per nulla intimidito dall’austera figura, al contrario. Avrebbe voluto aver carta e matita per ritrarlo.
-Signor rettore, chiedo la parola- disse con voce stridula il prefetto Maurice Bluer
-Concessa. Che accade, figlioli?- l’uomo continuava a tenere il capo chino sulla pila di pergamene che invadevano la scrivania, senza guardare in faccia nessuno dei ragazzi che gli stavano davanti.
-Gli alunni MacMillan e Cole hanno mancato di rispetto al regolamento scolastico- disse serio  il prefetto Lawrence Anderson, con un leggero inchino.
-Si sono permessi di utilizzare degli acquerelli nella Sala Comune del quinto anno e Cole ha osato stare seduto in una posizione poco consona sul davanzale della finestra- rispose Bluer.
Per un momento la tensione fu palpabile nell’aria, mentre i sei attendevano la risposta. Viole si guardò attorno e notò che sul camino vi era una giostra a manovella smaltata. Si fece l’appunto mentale di riprodurla su carta appena fosse uscito da lì. Ma che splendore … che smalti delicati, che perfezione nelle proporzioni dei cavallini che dovevano girare … lui amava le giostrine a manovella. Le amava perché nascondevano qualcosa nel loro interno, perché sembravano giocattoli per bambini ma nascondevano un cuore di alta ingegneria meccanica. Le amava per la musica malinconica che spandevano nell’aria, per i colori che giravano veloci senza posa.
-Lasciateci soli, per piacere- l’ordine perentorio del preside stupì i quattro prefetti
-Ma noi … - iniziò Redford, tirandosi il colletto della camicia
-E’ un ordine. Lasciateci soli- ripetè il preside, senza alzare la testa.
I quattro prefetti si scambiarono qualche occhiata stupefatta, ma poi con un inchino si congedarono chiudendo il pesante portone dietro di loro.
Edgar aprì bocca per spiegare, per trovare qualche scusa campata sul momento, per chiedere spiegazioni dello strano comportamento ma la mano gelida di Viole gli si chiuse attorno al polso. Il marchese voltò di scatto la testa e guardò interrogativamente il compagno : perché lo voleva far tacere? Incontrò gli occhi verdi dell’altro, e vi lesse chiaramente una cosa “Taci”. Edgar tacque e continuò a fissare le pupille nere di Viole; nere come l’oceano in tempesta, come l’inchiostro che colava sulle pergamene. C’era qualcosa di strano in quegli occhi e in quella mano che continuava a stringergli il polso; oltretutto quella mano emozionava Edgar come mai niente; si sentiva l’anima congelata ogniqualvolta veniva toccato dal pittore, si sentiva la mente ammantata da un manto invernale, si sentiva il cuore ricoperto di ghiaccio, i sentimenti diventavano statue di brina. Letteralmente, Viole aveva un effetto terribile su di lui.
Il silenzio ora era diventato imbarazzante per Edgar. Un po’ il fatto di essere nel torto, un po’ l’assurdo comportamento del rettore che non aveva mai alzato il capo da quando erano lì, un po’ l’ambiente austero e inquietante (trovava irrimediabilmente angosciosa la giostra dei cavalli posata sul camino) e un po’ il fatto che Viole non accennava a mollargli la mano.
-Allora, perché?- la voce del preside suonava strana alle orecchie dei due ragazzi. Era stanca, decisamente stanca. Ma non era quello, piuttosto il fatto che sembrasse appartenere a un’altra persona. Sì, era quello il problema di fondo. La voce sembrava essersi sdoppiata. Un brivido percorse la schiena di Edgar, e le gambe gli prudevano dalla voglia di scappare a gambe levate, da quella voce e da quella giostrina che sembrava squadrarli dal fondo dello studio. Viole, al contrario, trovava il tutto stranamente emozionante. Perché era diverso. Viole amava tutto ciò che si discostava dalla monotona realtà a cui era abituato, tutto quello che per quanto potesse essere crudele, spaventoso o granguignolesco riusciva a solleticare il suo interesse. Si nutriva di stranezze, per lui le novità erano come l’aria che respiriamo, ogni cosa particolare che riusciva a stimolare la sua sempiterna noia poteva spingerlo a non dormire per intere notti.
-Spero voglia scusare la nostra impudenza, rettore. Abbiamo avuto una semplice svista del regolamento- iniziò Edgar, con voce reverenziale.
-Dovreste sapere che la tradizione e il regolamento sono le basi della nostra scuola.
-Solitamente la gente mi guarda in faccia mentre mi parla- interruppe Viole, con un sottile tono di sfida nella voce.
Edgar sobbalzò. Ma come osava rivolgersi così al rettore?! Era semplicemente follia! Guardò sconcertato il compagno, che sembrava del tutto tranquillo e a proprio agio. Certo che era strano forte … ma la cosa che strabiliò ancor di più Cole fu il fatto che il rettore non rispose. Semplicemente, non si mosse. E quello era particolarmente assurdo! Un uomo che era da dieci minuti nella stessa identica posizione, con la voce sdoppiata e che non puniva uno studente insolente. C’era qualcosa che non andava, decisamente.
Sentì un fruscio accanto a sé e si voltò sobbalzando. Con orrore, si avvide della mano di Viole che si allungava verso il rettore.
  
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