26.
Padre Elton annusò l’odore di bruciato
mentre stava dicendo le sue orazioni del mattino nella canonica. Saltò giù
dall’inginocchiatoio e andò alla finestra a vedere. Sconvolto, si portò le mani
alle guance.
L’Istituto Jonathan Watkins, per il quale
si occupava di curare la pulizia delle anime degli
studenti e degli insegnanti, aveva iniziato a prendere fuoco. A giudicare
dall’intensità delle fiamme, il focolaio doveva essere il sotterraneo, dove,
pensò Elton, doveva essere scoppiata la caldaia.
- Oh, mio Signore! – esclamò,
facendosi subito il segno della croce, e ripensando immediatamente a ciò che
gli aveva detto Umbridge per tutti quegli anni. Non
poteva essere semplicemente stato un incidente all’impianto di riscaldamento.
Elton sapeva che cosa era in atto in quella scuola, da quando ci fu il primo
rogo, nell’ormai lontano 1890.
- Gli spiriti si stanno risvegliando. È
giunto il momento della battaglia tra le forze del bene e quelle del male.
–
Padre Elton allora entrò in chiesa, e
s’inginocchiò di fronte all’altare per pregare.
Dopo qualche minuto, udì dietro di lui
uno scricchiolio. Si voltò, ma non vide nessuno. Ritornò alle sue preghiere,
quando una mano che gli si posò sulla spalla lo fece
letteralmente sbiancare. La mano era insanguinata, e gli occhi del ragazzo lo
guardavano imploranti.
Era Jack Knight, lo studente che si era
tagliato le vene.
Aiutateci
Padre, disse Jack. Elton si voltò, e vide che il ragazzo non
era solo. Con lui c’erano anche altri due fantasmi: C’erano Robert Hayden e
Gerald Holmes.
- Ah! – esclamò il porporato
gettandosi la mano al petto. Strinse forte il crocefisso di legno che teneva
sulla tonaca, poi chiuse gli occhi e vide soltanto il buio.
*****
Quando la macchina della polizia giunse a
Chestnut Castle a sirena
spiegata, i suoi occupanti, vale a dire l’Ispettore Martin, George Barnett e l’assistente, trovarono
gli abitanti in fibrillazione: sulla piazza principale, alcune donne e bambini
erano fermi a guardare l’Istituto Watkins che in lontananza stava prendendo
fuoco. Due donne si girarono e sorrisero di sollievo. Una di queste gridò
– Dio sia lodato! È arrivata la polizia! –
I maschi intanto stavano preparando un
carro pieno di grandi botti d’acqua con l’intento di trasportarle sulla collina
dove sorgeva la scuola, nel tentativo di spegnere le fiamme. I cavalli però
erano nervosi. Nitrivano e scalpitavano come ossessionati, nonostante i
tentativi di calmarli dei rispettivi padroni.
- Fermi, state fermi!!!
– gridò un uomo munito di frustino, cercando di calmarli.
- Prova a dar loro una carota, forse si calmeranno – disse un altro.
- Gliene ho già date
quattro, ma non ne vogliono sapere! –
- Gli animali sentono le presenze
soprannaturali – mormorò George, dal sedile posteriore dell’automobile.
Martin si girò a guardarlo, tenendo la mano sul volante. Il ragazzo aveva
l’espressione assorta.
- Che avete detto? – chiese Martin.
- Che forse non siamo venuti qui per niente, Ispettore. Gli animali sentono le presenze
soprannaturali. Non è una coincidenza che i cavalli non vogliano saperne di
salire lassù. –
Martin gettò un’occhiata alle bestie da
tiro, che nitrivano impaurite e cercavano di sottrarsi alla spaventosa
spedizione.
- Che cosa facciamo Ispettore? –
domandò l’assistente.
Per un bel po’, Martin non rispose.
Guardò prima i due carri con sopra le botti, poi smontò dall’auto e guardò
dietro di essa. Poi guardò di nuovo i carri.
George e l’assistente lo osservarono
avvicinarsi agli uomini.
- Signori – disse, con pacatezza
– Ho bisogno di una corda molto robusta. Possibilmente una catena. Potete
procurarmela? –
- Certo, signore! – esclamò uno di
questi, un uomo magro con la camicia e i calzoni tenuti su da delle bretelle.
– Ehi Joe! Senti se Bob ha delle catene, in
bottega! –
Joe
doveva essere suo figlio, un ragazzino di circa quattordici anni, che corse
velocemente verso la bottega del fabbro.
- Molto bene. Adesso avrei bisogno di
un’altra automobile. Qualcuno di lor Signori ne possiede una? –
Gli uomini che erano lì intorno si guardarono
l’un l’altro, ma nessuno rispose. Martin dedusse che in quel paese era già
tanto se sapevano leggere e scrivere, quindi figurarsi se potevano aver imparato
a guidare un’automobile.
- Io, Sir. – disse una voce. Martin
si girò, e vide un uomo con il camice bianco che teneva le mani in tasca.
- Il Dottor McAuliffe
ne possiede una! – esclamò uno degli uomini.
- Precisamente, Sir. Ora, se voleste
essere così gentile da spiegarmi come posso aiutarvi, ve né sarò molto grato.
–
- Molto bene, dottore. Prestatemi
orecchio, ve lo spiegherò. –
Intanto George era sceso giù dall’auto
senza farsi vedere dagli altri, troppo impegnati ad ascoltare Martin. Con la
sua attrezzatura a tracolla, incominciò a correre per il sentiero che portava
su fino all’Istituto Watkins.
*****
L’atmosfera intorno a Louis era diventata
liquida. Oltre al caldo, che gli stava procurando il sudore sulla fronte, si
sentiva come se tutto intorno a sé stesse per
sciogliersi. Le pile di libri ardevano vivacemente di un fuoco che, lo sapeva,
non si sarebbe spento tanto presto. Dai candelabri a gas si sprigionavano
fiammate alte, come se qualcuno avesse aperto troppo il rubinetto che regolava
l’afflusso del gas in cantina. Louis guardò Niall,
che era lì, sospeso tra le fiamme e il vuoto, tenuto su solo dalla scala che
aveva sotto i piedi. Piangeva. Un solo movimento falso sarebbe bastato a far
precipitare la scala e impiccarlo come un salame.
Harry gli stava di fronte, a non più di
quattro metri di distanza, a guardarlo con espressione divertita.
- Harry – disse Louis, tenendo la
pistola puntata – Ti prego, cerchiamo di trattare. Lascialo andare e
prendi me. Non ti chiedo nient’altro. Lascialo andare ed io resterò con te.
–
Ignorando deliberatamente la proposta,
Harry lo fissò ed iniziò a parlare.
- Vent’anni fa – disse –
Vent’anni fa io ero al posto del tuo amichetto Niall. L’unica differenza era che non c’era nessuno a
trattare per la mia liberazione. C’erano solo loro, che mi volevano morto.
–
- “Loro” chi? – domandò Louis.
Harry avanzò. Louis continuò a tenergli
la pistola puntata. Sparò un colpo. Poi un altro. Poi un altro ancora. Ma Harry era ancora in piedi. Louis continuò a tenergli
l’arma puntata contro, ma Harry, come se non avesse sentito nulla,
gliel’abbassò con un delicato gesto della mano.
- Guardami – disse Harry, guardandolo intensamente negli occhi. – Guardami bene,
e saprai tutto ciò che c’è da sapere. –
Louis lo guardò,
mentre Harry gli portava le mani alle guance. Anche in quel momento di massima
tensione, con l’edificio in fiamme, Louis riusciva a provare attrazione per
quel ragazzo ed i suoi occhi verdi ammalianti. Cercò
di sottrarsi a quello sguardo magnetico, a quegli occhi brillanti, ma non
riuscì. Intanto, le mani di Harry avevano incominciato ad accarezzarlo sulla
fronte e sul viso, chiudendogli gli occhi. Lentamente, Louis si sentì
trasportato in una dimensione diversa, in un’altra epoca…
…camminava
con i libri premuti contro il petto e gli occhi bassi. Non sapeva il perché si
trovava lì, né il come ci fosse arrivato. Ricordava solo che doveva essere
sfuggito a un linciaggio di gruppo.
Gli
uomini di cui aveva memoria erano tutti armati: chi teneva un forcone, chi una
torcia… chi brandiva asce e accette. Ricordava che erano arrivati
all’improvviso in una notte senza luna, mentre lui e sua madre dormivano. Erano
stati svegliati all’improvviso dalla folla che li portava via insieme a altre
donne ed altri bambini e ragazzi. Non sapeva perché.
Sapeva solo che mamma e le sue amiche erano belle, e che spesso si dilettavano a fare dei giochi di magia: da quelle pentole
venivano fuori tutti i colori dell’arcobaleno, insieme con profumi inebrianti.
Come potevano delle donne così essere malvagie?
Frammenti
di ricordi, che si confondevano nella sua testa mentre attraversava i corridoi,
spinto dai mormorii dei suoi compagni e degli insegnanti: “il
figlio della strega, il bastardo del peccato… il figlio del diavolo” lo
chiamavano.
E di
nuovo la sua mente riandava a quella notte. Quella notte in cui vide sua madre
che veniva legata e imbavagliata, portata sulla
pubblica piazza e bruciata insieme ad altre. Si udì urlare, correre verso il
rogo allestito e cercare di gettarsi tra le fiamme per salvarla, ma venendo bloccato da qualcuno. Un agente di polizia, che lo portò via e lo sbatté in una cella.
Poi
ricordò il processo, e la decisione di mandarlo a scuola all’Istituto Watkins.
L’unico che avrebbe potuto ospitarlo. Gli altri, a sentire il magistrato, non
avevano voluto accoglierlo.
I
suoi sogni erano sempre tormentati. Rivedeva ogni notte quella notte maledetta in cui gli strapparono sua madre. E ogni
giorno che si svegliava, si trovava di fronte a quegli sporchi personaggi che
lo circondavano: i suoi compagni di classe e quei professori cattivi e
meschini.
Veniva punito se parlava troppo forte… veniva
punito se non si vestiva bene… se non sapeva la lezione del giorno… se non si
puliva bene le scarpe.
Tutti
questi perché li sapeva… quello che gli sfuggiva, il più importante, era il
perché a volte gli uomini si comportavano così.
E poi
c’era quel custode, Donovan. Che gli diceva di non
abbattersi, di resistere ancora un altro anno e poi sarebbe stato libero.
Libero di andarsene, libero di esplorare il mondo.
Anche se cercava di consolarlo, si capiva fin troppo bene che era lui il primo
ad aver bisogno di consolazione. era un uomo
tormentato, povero Donovan. Aveva perso moglie e figli ed era rimasto solo
anch’egli, a badare a quell’istituto ed alla sua gente
schifosa.
Una
notte, “Loro” aprirono di scatto la porta della stanza
dove dormiva: erano cinque, tutti incappucciati. Lo legarono, imbavagliarono e
portarono via. Vide alcuni ragazzi che uscivano dalle loro stanze, ma una voce
tonante ordinava loro di tornare a dormire.
I
cinque lo portarono via, nella biblioteca. Qui, sul ballatoio avevano allestito
una forca con un cappio. Gli misero il cappio intorno al collo, quindi lui
incominciò ad urlare. Quando gli tolsero il bavaglio,
stava ancora urlando a squarciagola.
- è
inutile che urli, non ti sentirà nessuno – disse uno di questi. Gli guardò il ciondolo che aveva sul collo, lo aprì e glielo
strappò.
-
Lascialo!!! È mio!!! – strepitò.
Quello
non l’ascoltò. Si ficcò in tasca il ciondolo, aprì un libro e si mise a
recitare delle preghiere, mentre gli altri quattro si preparavano a buttarlo
giù dal ballatoio. Guardò giù, vedendo il vuoto della biblioteca, e pronunciò
delle parole sottovoce.
- In
nome di Satana, io vi maledico, tutti quanti voi che occupate questo posto.
Sarete per sempre perseguitati dalla mia maledizione
per la vostra cattiveria. Possiate voi bruciare nell’inferno che voi stessi avete
creato!!!! –
Pronunciata
la maledizione, si udì un rombo assordante. Le candele spente si incendiarono, e le torce che avevano gli esseri
incappucciati diedero fuoco ai libri. Lui cadde giù, con il cappio che gli tirò il collo spezzandoglielo.
Non
morì subito. Giusto il tempo di vedere che gli uomini si erano tolti il
cappuccio, rivelando la loro identità:
il Professor Denker.
Il
professor Baskerville.
La
professoressa Rigg.
Il
professor Brown.
Il
professor Umbridge.
Louis si riebbe dallo stato di trance in
cui l’aveva portato Harry, ansimando a fondo. Harry, di fronte a lui, piangeva.
- Mi hanno ucciso perché ero il figlio
della strega, Louis! È stato orribile! Ma oggi
pareggerò finalmente il conto. Tutti. Tutti voi che siete qui, morirete insieme
a me. –
Addolorato, Louis guardò Harry. Benché
accecato dall’odio, il ragazzo gli aveva toccato il cuore con i suoi ricordi.
Anziché cercare di fermarlo, lo accarezzò. Harry si
ritrasse in un primo momento, scappando via, verso la scala che reggeva Niall.
- Non avvicinarti! – gli intimò
– O il tuo amichetto finisce appeso! –
Louis allora si fermò, gettando la
pistola. Alzò le mani, e guardò Harry con espressione triste.
- Che cosa c’è? Ti ha fatto male sentire
la mia storia? –
- Sì. E tu… tu mi hai fatto molta pena,
Elijah… Io… io vorrei solo aiutarti. –
- Nessuno può
aiutarmi. Nessuno, Louis. Nessuno. –
- Io posso aiutarti. –
- E come? -
Tenendo la sinistra sollevata, Louis infilò
la mano destra nella tasca della giacca.
Ciò che vide uscire da quella tasca,
lasciò di stucco Harry.
*****
Intanto fuori, George Barnett
si teneva a distanza di sicurezza con il suo apparecchio. Mentre l’edificio
bruciava, lui si esaltava nel vedere gli aghi dei quadranti schizzare verso
destra, segno che l’attività psicocinetica era ai massimi livelli.
Esaltato anche lui ai massimi livelli,
posò delicatamente l’asta di rilevazione e caricò la macchina fotografica. La
puntò sull’istituto in fiamme e poi sul portone d’ingresso. Qui, rimase
sbigottito nel vedere quattro ragazzi che stavano in piedi a guardarlo.
George abbassò l’apparecchio per guardare
con i suoi occhi, ma i quattro ragazzi erano scomparsi. Poi, nella sua testa,
udì una voce.
I
ragazzi sono ancora vivi, nell’accesso ai dormitori. Corri a salvarli, presto.
- Chi ha parlato? –
Guarda
nella macchina fotografica, disse un’altra voce.
George obbedì, e vide che di fronte a
lui, vicinissimi, c’erano i quattro ragazzi di prima. A bocca aperta, George
premette il bottone di scatto, ricaricò, poi scattò ancora.
Vai
ad aprire la porta dei dormitori, gli disse ancora una voce.
- S… sì. – rispose soltanto George,
lasciando la sua attrezzatura e correndo verso il cortile.
Le fiamme avevano già raggiunto il
dormitorio, e il fumo nero usciva da quasi tutte le finestre. Solo quelle
dell’atrio sembravano non fumare.
- Aiuto! Aiuto!!!
–
- Resistete, vi
salverò io! – urlò George, precipitandosi a cercare di aprire la porta,
le cui maniglie erano bloccate.
- La porta è bloccata! Cercate qualcosa
con cui rompere i vetri, presto! –
George allora si guardò intorno, quindi
vide un’accetta piantata in un tronco lì vicino. La prese e menò un pesante
colpo alle vetrate accanto alla porta, che andarono in frantumi dopo un paio di
colpi. Picchiò ancora un po’ per assicurarsi di aver rimosso bene i vetri,
quindi spalancò le finestre, ed a quel punto i ragazzi
incominciarono a scavalcarle. George li aiutò a
scendere dalla finestra, poi si sporse e guardò dentro.
- E’ rimasto qualcuno, lì dentro? –
domandò George.
- No, sir. Siamo usciti tutti! –
rispose un ragazzo, che fuggì via uscendo dal cortile.
A quel punto, sorridendo,
George si spolverò le mani, battendole leggermente. Mentre stava per andarsene,
un’invocazione d’aiuto attirò la sua attenzione.
Immediatamente si voltò e trovò la porta
dei dormitori spalancata (strano, pensò, credevo fosse
chiusa), e vi entrò dentro. La voce continuò a gridare aiuto. Cercando di
capire da dove provenisse, George entrò in una porta. A giudicare da ciò che
aveva intorno, capì di trovarsi nell’appartamento del custode. Qui c’erano
diversi oggetti, tra cui sul camino una doppietta da caccia. L’aprì, vide che era scarica e cercò le cartucce. Le trovò nel
cassetto di uno scrittoio lì vicino al camino. Caricò l’arma e uscì
dall’appartamento.
- Aiuto! – disse la voce.
- Calmatevi, ora siete al sicuro. –
Improvvisamente, una porta si aprì, e da
lì venne fuori un individuo alto e dal volto sfigurato, con i vestiti
bruciacchiati. L’uomo sembrava un arrosto umano, ma nonostante questo camminava
e muoveva le braccia con disinvoltura.
- Ha’e…ètto Ba’haaardoooo!! – urlò il figuro, avvicinandosi sempre di più a
George.
Il ragazzo stava cercando di capire chi
fosse quell’individuo, e perché fosse ancora vivo nonostante tutte le ustioni
che aveva sul corpo. La faccia non era più riconoscibile, sputava sangue dalla
bocca e un occhio gli era esploso. Più in giù, dove una volta doveva esserci
stato lo stomaco, si vedevano le costole sporche di sangue misto a fumo nero. L’uomo
era morto, eppure parlava.
- H…I U’hido!!! – urlò di nuovo il morto vivente, quindi
George alzò la doppietta e gliela puntò contro. A differenza di Louis, George
aveva avuto occasione di partecipare a battute di caccia quando era ancora un
ragazzino. Premette il grilletto e dalle due bocche dell'arma partì una scarica di pallettoni in una fiammata che colpì in
pieno volto l’individuo urlante, che andò a schiantarsi sul muro.
Per gesto automatico, George aprì il
fucile e fece saltar via i bossoli esplosi dalle
camere di scoppio, inserendone altri due. Richiuse il fucile, quindi andò a constatare se l’individuo fosse finalmente morto.
Non era neanche tanto vicino, che l’uomo
che doveva esser morto una seconda volta si mosse, cercando di alzarsi.
- Gesù! – imprecò George,
allontanandosi in fretta. Quando provò ad uscire, la
porta gli si chiuse davanti. Provò a scappare dalla finestra, ma anche questa
si richiuse. George era in trappola.
Il morto vivente intanto si era rialzato,
e guardava George con l’espressione minacciosa del suo unico occhio rimasto.
George deglutì, quindi alzò il fucile e si preparò a far fuoco di nuovo.
Oh
signore, ti prego, aiutami. Che diavolo sta succedendo a questo posto??