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Autore: Sottopelle    29/01/2015    2 recensioni
"Falene sugl'occhi" rappresenta la solitudine di una persona la cui vita viene man mano consumata dai vizi ed i peccati che ormai fanno parte della nostra routine quotidiana; è un viaggio che analizzerà il mondo odierno attraverso gli occhi di chi è nato e cresciuto nel degrado della città dei nostri giorni, fatta di apparenze piacevoli ma che nascondono verità ben più drammatiche, al limite del tragico. Un pellegrinaggio interiore che probabilmente, e lo dico con sincerità, non ha un capolinea preciso, ma non è forse l'ignoto a rendere l'esplorazione più emozionante?
Genere: Introspettivo, Satirico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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C’è qualcosa di affascinante nel moto di caduta – quasi – libera descritto dalla neve che cade. E non è tanto il fatto della leggerezza con cui traccia le sue traiettorie nel cielo, ma al silenzio prodotto quand’esse quando si concludono sull’asfalto. La resistenza del suolo che si annulla di fronte al bianco, che è, di per sé, l’annullamento dei colori.
La città si muove sotto ai miei piedi, sopra la mia testa, tra le dita delle mani, striscia come un serpente e sibila, canta, urla, piange, si contorce di dolore al tocco della neve fredda. Non sono mai stata il genere di persona di città: ho sempre preferito il fumo delle sigarette a quello dello scarico delle auto, per assicurarmi di avere i polmoni malandati, ho sempre odiato la frenesia caotica delle strade, eppure la calma mi rende ansiosa. Che poi tutto questo non importa assolutamente nulla, dei passanti che spintonano come giocatori di rugby, dei tram che sono sul punto di investirti un giorno sì e l'altro pure, delle strade puntualmente chiuse proprio il giorno in cui hai ceduto alla sveglia e ti sei detto: "Ancora cinque minuti" ma che si sono trasformati in una mezz'ora abbondante, non ha importanza se si è solo di passaggio, se io qui sono solo di passaggio, la mia è una vita transitoria che mi condurrà ad una morte transitoria e in molte altre dimensioni in avvenire fino a quando la mia anima deciderà di smetterla di traslarsi in altri spazi custoditi nell'inconscio dell'umanità e dell'esistenza stessa. O forse il concetto è più simile a quello del traffico cittadino: vivi, muori, resusciti, muori di nuovo e così via fino a quando non finisci il carburante. Che sembra eterna, l'esistenza, così come il tempo passato in coda davanti al semaforo.
Non dovrebbe importarti nulla di ciò che avviene dopo la morte proprio perché tutti noi entriamo nella condizione di non-vita, dice Anna.
Sorride con quei suoi due denti di plastica e i capelli di nylon.
Pensa a vivere la tua vita, dice.
Il rossetto marrone-merda che disegna cerchi perfetti sulla sua pelle giallastra.
Anche Gesù era in condizione di non-vita, dico.
Ma mica era morto veramente, dico. Mica si faceva beccare in giro tre giorni dopo, sennò.
Anna ride. La risata resa roca da una combinazione di smog, fumo e da tre giorni antecedenti a questo di raffreddore.
Nonostante non lo ammetta, anche lei è di passaggio, qui. Le strade piene di prostitute e altrettanti uomini che spogliano i loro corpi con la mente [i più temerari anche col denaro, ma sono in pochi], i parchi che hanno subito un'occupazione di massa da parte di senzatetto, bambini urlanti e genitori dall'aria più disperata de "L'urlo" di Edvard Munch, i vicoli ciechi che sono punto ormai diventati il punto di ritrovo di tossici, topi e qualche preservativo usato, sono solo gli elementi che contraddistinguono una realtà che tutto sommato non ci appartiene pienamente e che rappresenta solo la nostra cultura ed educazione, ma non il nostro modello di pensiero vero e proprio. Io non vivo di queste cose. Sono qui solo per imparare come gira questo mondo per poi andare a conoscere e capire il senso di rotazione di un'altro. Non si può definire come l'incapacità di legarsi ad un determinato luogo, né il desiderio di esplorarne altri: la mia è solo pura consapevolezza che ogni giuramento fatto oggi, domani o in futuro, non durerà mai in eterno come lo si vuol far credere, e che è inutile illudersi di tale durata.
Anna ride. Tossisce e ride.
Il sorriso che ormai è più una smorfia che altro.
Sta arrivando Johan, dice.
Tossisce ancora, le nubi tossiche che ancora faticano a scollarsi dalla sua gola infetta di aria inquinata.
E in tutto questo, ride. Lei e il suo squallore, il suo degrado. Lei e i suoi vestiti da pseudo-indie.
Johan è il tipo di ragazzo che non lascia mai far intendere agli altri ciò che pensa. Sempre se lui abbia ancora la capacità di pensare lucidamente. Anzi, mi correggo: se abbia ancora la capacità di pensare e basta, che io lui l'ho conosciuto in uno stato di evidente ebrezza e ancora non ho mai avuto l'onore [se tale si può definire] di parlargli da sobrio. Forse non lo è mai. Un'auto di cui l'unico carburante corrisponde all'alcol. Ecco, lui è l'esempio di persona che non vede la vita ma bensì l'ubriachezza come una fase transitoria della vita, una fase che, per lui, deve essere prolungata il più possibile con l'ausilio di bottiglie su bottiglie e denaro da spendere. Una vita distorta dalla non-lucidità della mente e che andrà a concludersi con la morte. Cosa ci sia dopo la morte, per lui, rimane un mistero: è lo stesso concetto di quando bevi troppo e il giorno dopo non ricordi più nulla. La morte non va ricordata, va vissuta nel suo essere poi dimenticata inevitabilmente.
Il saluto che Johan ci rivolge è un'ondata di odore di alcol, occhi lucidi e sorriso forzato dalla lucidità ormai perduta.
Il saluto che Johan ci rivolge è dato dalla bottiglia di vodka-colluttorio [economica sottomarca tedesca, perché si preferisce alla quantità invece che la qualità, secondo la sua filosofia di vita-sbronza] stretta nella sua mano come se fosse la reliquia più preziosa di questo mondo.
C'è qualcosa di speciale nella neve, che conserva il suo candore nonostante la sua caduta tra mille e più metri di aria sporca e tossica. La capacità di essere puri anche in mezzo alla merda più totale.
Anna rivolge a Johan il più falso dei sorrisi che io, nella mia umile vita effimera, abbia mai visto.
C'è qualcosa di assurdo nel come l'essere umano riesca a mascherare i propri sentimenti e fingere di provarne altri. Qualcosa di grottesco e di corrotto, che abbandona l'umanità intesa come essere pensante ed intelligente per arrivarne ad una subdola e finta. Fottutamente finta.
Le labbra di Anna si incurvano in un sorriso da fare invidia alle pubblicità per dentifrici.
Ti vedo bene, dice.
Abbraccia l'uomo-bottiglia. Appiccicosa come una gomma da masticare fresca attaccata sotto la scarpa.
Johan mugugna qualcosa. Diciamo che ha un vocabolario tutto suo, che varia in base alla quantità di alcol in circolo nel suo corpo.
Stasera si va a ballare, dice Anna.
Ride come un'ossessa. Forse prima di uscire si fa qualche canna. O forse ha inalato del protossido di azoto.
Ci divertiremo, dice.
La vita è fatta di attimi. La vita stessa è un semplice attimo tra i tanti che costellano la nostra esistenza. Ed è proprio in un fottuto attimo che dalla periferia sudicia di Oslo con il portafogli abbastanza pieno finiamo per trovarci all’ingresso del Dixie con decisamente meno soldi di prima e con qualche senso di colpa per averli spesi inutilmente.
Anna ride con la sua faccia da cavalla, il corpo sedotto dalla musica assordante e la mente incenerita dal desiderio di passare la notte a fingersi più accattivante ed attraente di ciò che è in realtà.
Per quanto riguarda me, io non sono il genere di persona da discoteca: ballare è transitare in uno stato di euforia troppo a lungo per i miei standard. E dopotutto io non ho mai avuto il senso del ritmo.
Johan ormai è dato per disperso, ma gli unici due posti in cui può essersi andato a rifugiare è o il bancone del bar a prendere qualcosa da bere o al bagno a rimettere l’anima. La terza opzione è trovarlo collassato in pista da ballo ma ho sempre confidato nella sua capacità di reggere l’alcol meglio di quanto possa farlo con l’acqua naturale.
Tutto transita e nulla si ferma: il sudore sulla pelle di chi balla transita sui loro corpi, cola, gocciola, i piedi si muovono in cerchio, secondo un ritmo fatto anch’esso di attimi, il respiro pesante contro l’aria più viziata dei figli di papà che si trovano qui dentro a bruciare calorie su calorie dimenandosi e che subito dopo recuperano a forza di bere come se non ci fosse un domani. Una vita nuova.
Anna si guarda intorno con uno sguardo seducente non ben riuscito: potrebbe essere descritta come un esemplare di Anna-troia nel suo habitat naturale, se questo fosse un documentario scientifico sulla biodiversità presente in un ecosistema chiamato “locale notturno”.
Ho voglia di una sigaretta. Ho voglia di uscire da qui. Mi correggo: ho bisogno di uscire da qui.
L’aria notturna mi saluta con uno schiaffo in piena faccia, punge e pizzica con violenza la mia pelle nuda. La neve ancor cade, e ancora si ostina a non fare rumore. C’è il mondo sotto a fare rumore anche per lei.
Il mio respiro è una nuvola contro il buio, contro il freddo, contro il mondo, la vita, la morte, l’esistere e il conoscere. Le mie labbra sono spiraglio di calore e fumo, di veleno che corrode lentamente nel più dolce dei modi.
Questa è solo una delle tante notti di passaggio.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

È la prima volta che cerco di scrivere una storia a più capitoli, dunque mi ritengo piuttosto inesperta, a riguardo. Accetterò di buon grado i vostri consigli e critiche, qualora me ne lasciaste. Ho cambiato radicalmente stile, anche se non è la prima volta che lo utilizzo. Forse per questo scopo sì, lo è. Il che lo rende una cosa totalmente nuova, per me.
Che dire, forse devo spiegare un po' il senso di tutto questo: diciamo che si tratta della mia visione del mondo, di ciò che mi circonda. Parlerò di diverse tematiche, tra cui prostituzione, abuso di sostanze stupefacenti, violenza, perché questo è tutto ciò che ha caratterizzato e caratterizza tuttora la mia vita. Questi sono fatti in gran parte reali, e che io ho "vissuto" attraverso le esperienze dei miei coetanei, ma che sono posti in un contesto diverso. Lo scopo principale per cui scrivo è sia per piacere mio personale che per far riflettere su cosa siamo diventati oggi, su cosa rappresenti adesso il genere umano. 
Ah, mi scuso per la pessima impostazione del testo, ma la mia ignoranza nel campo informatico mi impedisce di strutturare il testo in modo più gradevole alla lettura. Chiedo venia.

 
  
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