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Autore: FEdeLauris    31/01/2015    2 recensioni
Éléonore e Charlotte, due fanciulle di nobili natali, si trovano a trascorrere un’estate presso la zia della seconda. Si tratta della Marchesa de Vernon, famosa per la sua condotta irreprensibile e la sua solida morale, che si dice ella abbia trasmesso anche ai suoi tre figli. Tuttavia, nell’ambiente circoscritto della tenuta di famiglia, i personaggi si ritrovano a mettere in discussione i propri principî, sperimentando di persona l’intramontabile conflitto tra la natura umana e le regole imposte dalla società.
Da questa deliziosa giostra settecentesca, che raccoglie una notevole varietà di stimoli letterari dell’epoca e non, da "Orgoglio e Pregiudizio" a "Le Relazioni Pericolose" a "Justine", emerge una profonda riflessione filosofica, frutto di un progressivo rifiuto delle convenzioni. Ed è forse questo sottile nichilismo, questa rinuncia verso un’esistenza fredda e formale, che conferma l’assoluta contemporaneità dei protagonisti.
Il lettore viene trascinato inesorabilmente attraverso danze galanti, concerti di pianoforte, tra colpi di fioretto e passeggiate a cavallo, in una trama di intrighi, nel crescendo di una tensione incontrastabile che si risolve nel finale inatteso...
(tratto dal romanzo "La Rosa d'Oro, ovvero i paradossi della virtù" di cui possiedo i diritti d'autore)
Genere: Introspettivo, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
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La luce del mattino accolse il Marchese de Vernon nel cortile della sua villa. La polvere aleggiò qualche istante intorno agli zoccoli dei neri cavalli che avevano trainato la carrozza fino a destinazione. La portiera si aprì e una bionda chioma scintillò al sole.
«Thierry!» chiamò la madre andandogli incontro.
I due si abbracciarono. La Marchesa, donna molto alta, gli arrivava appena sotto le spalle.
«Madre, finalmente vi rivedo!» le disse sorridente.
Anche Sophie e Lambert si avvicinarono.
«Bentornato, fratello. Come state?» disse Lambert.
«Bene, soprattutto ora che sono di nuovo a casa».
«E il viaggio?» si informò Sophie.
«Stancante. Ma lasciate che vi presenti il nostro ospite.»
Nel frattempo, dalla carrozza era sceso un altro giovane.
«Lord Ariberto di Midhurst» annunciò il Marchese.
‘Un Lord italiano?’, fu il pensiero di molti.
Il giovane bruno si inchinò, baciando la mano della Marchesa e della figlia, le quali si inchinarono a loro volta.
«Enchanté, Madame» disse con una perfetta pronuncia. «Vi sono davvero grato per avere accettato di ospitarmi con così poco preavviso».
«Non preoccupatevi. Gli amici di Thierry sono sempre benaccetti. Potrete stare qui per tutto il tempo che desiderate, o almeno fino a quando i vostri impegni ve lo consentiranno.»
Il Lord sorrise.
La Marchesa invitò entrambi ad entrare e a riposarsi dal lungo viaggio. Ad Éléonore sembrava di rivivere da spettatrice il giorno del suo arrivo alla villa. Non aveva potuto fare a meno di notare lo sguardo famelico con cui Charlotte aveva squadrato il Marchese. In fondo, non la biasimava. Era davvero bello. Il velluto nero del nastro che gli fermava i capelli risaltava in modo spettacolare sulla chioma del giovane, che di certo era la caratteristica che attirava di più l’attenzione. Pensò alle aspettative di Aline su Charlotte e Laurent e si chiese se la Duchessina si sarebbe controllata di più se quello fosse stato presente.
Il lieve tocco di Aline la distolse dai suoi ragionamenti e la invitò a rientrare con gli altri.
Si fermarono nell’ingresso. Molte serve ripresero le loro faccende, scomparendo nelle varie sale, mentre la Marchesa presentò le ospiti. Le due fanciulle si avvicinarono e Charlotte scandagliò con i suoi occhi maliziosi entrambi i giovani, rendendo faticoso ad Éléonore contenere la propria irritazione.
D’altronde, era difficile distogliere lo sguardo dal Marchese: le ricche vesti ne evidenziavano la prestanza del fisico, ben proporzionato ed elegante nel portamento. Di certo il Lord non colpiva l’attenzione allo stesso modo. Molto più basso, capelli corvini, occhi neri, pelle di un tono più scura di quella dei presenti: si vedeva che era italiano.
Si riunirono tutti, familiari e ospiti, nel salotto, affinché il Marchese raccontasse del suo viaggio.
«Parlateci dell’Italia» suggerì la madre.
«È meravigliosa!» esordì Thierry. «Nei miei spostamenti ho visitato diverse città. Ariberto mi ha fatto da Cicerone. Sa una tale quantità di cose che non potete nemmeno immaginare!»
Ariberto sorrise apparentemente imbarazzato, ma non negò.
«Dove siete stati?» domandò Sophie.
«Quando sono arrivato, le navi hanno fatto scalo a Genova. Da qui poi, per varie ragioni, ci siamo spostati nelle zone interne fino a Milano. È lì che ci siamo conosciuti.»
«Come?» chiese Sophie.
«Conoscenze in comune» rispose il fratello semplicemente. «Gli ho espresso il mio desiderio di visitare la Penisola e lui non ha esitato ad offrirsi come guida. Mi ha portato a Mantova, Ravenna, Firenze, Venezia…»
«Ah, Venezia!» esclamò Éléonore. Subito arrossì per averlo interrotto. «Ci sono stata…» aggiunse per giustificarsi. «È molto bella».
«Avete ragione» concordo Thierry. Le sorrise.
«E poi?» lo incalzò Sophie.
«Sorellina, in tutte le città più famose del Nord più quelle previste dall’itinerario! Non voglio assolutamente tediarvi con un elenco così lungo.»
«Monsieur Ariberto,» si intromise la Marchesa «cosa vi ha spinto ad unirvi a mio figlio nel suo ritorno in Francia?»
Il Lord si sistemò sul divano.
«La mia fidanzata vive in Inghilterra. Avrei dovuto attraversare queste terre comunque, quindi perché non farlo in compagnia?»
Bernadette annuì.
«Dunque vi tratterrete per poco?»
«L’intenzione è quella, sia per non essere d’incomodo a voi sia per non far penare troppo a lungo la mia giovane futura sposa».
«Qual è il suo nome?» domandò Sophie.
«Lady Audrey di Midhurst» rispose Ariberto con una punta di orgoglio.
Charlotte rifletté un attimo.
«Questo sarebbe il suo nome da sposata» lo corresse.
«No, non lo è» la contraddisse Ariberto.
Il silenzio che lo avvolse lo costrinse a dare spiegazioni che avrebbe preferito omettere.
«Sono io a non avere un titolo,» affermò riluttante «ma data la certezza del matrimonio e la brevità del tempo che resta prima della sua celebrazione, la famiglia della mia Lady mi ha concesso di utilizzarlo anche prima delle nozze».
«Quindi voi…» iniziò la Marchesa.
«Borghesia milanese» rispose sbrigativo Ariberto.
La Marchesa si limitò ad annuire.
Dopo qualche istante di silenzio, Thierry si infilò una mano nella giacca.
«Quasi dimenticavo» disse estraendo una busta. «Sophie…»
La sorella prese la lettera. Era da parte di Philippe.
«Come mai l’avevate voi?»
«La stava per spedire, ma mi sono offerto di consegnarvela, dato che stavo per tornare».
«Eravate imbarcati insieme?» chiese stupita.
Il fratello annuì.
«Nessuno mi dice mai niente!» si lamentò la fanciulla.
Fece per aprire la missiva, quando si accorse che tutti la stavano fissando. Decise perciò di rimandare la lettura ad un momento in cui sarebbe stata sola, con grande delusione della madre.
Thierry colse Ariberto mentre si massaggiava una tempia con la mano.
«Le nostre stanze sono pronte?» domandò alla madre. «Il mio amico è un po’ stanco per il lungo viaggio».
«Certamente!» rispose Bernadette. Chiamò subito una serva con un campanello.
«Accompagna il nostro ospite nella sua camera».
«Subito, Madame». La serva si rivolse al giovane. «Prego, vogliate seguirmi».
Ariberto si alzò e si incamminò dietro di lei, scomparendo oltre la soglia.
Quando se ne fu andato, Bernadette riprese la conversazione.
«Allora… avete conosciuto qualche fanciulla interessante in Italia?» azzardò.
Thierry piegò la testa di lato e fissò la madre con uno sguardo a metà tra il rimprovero e la noia. La Marchesa sollevò le mani.
«D’accordo, come non detto…»
Lambert e Sophie sorrisero, mentre Éléonore e Charlotte si guardarono, sentendosi entrambe di troppo in quel quadretto famigliare appena riunito. Aline se ne accorse, per cui fece un cenno alla Marchesa che intese subito. Dopo qualche minuto, la padrona di casa fornì alle ragazze l’occasione di congedarsi mandando Sophie a chiedere al nuovo ospite se andasse tutto bene e proponendo alle fanciulle di andare con lei. Quelle accettarono di buon grado e tutte insieme uscirono.
La stanza di Ariberto era in fondo al corridoio.
Sophie bussò.
«Avanti».
Le tre fanciulle si affacciarono restando sulla soglia. Ariberto era in piedi accanto al letto, da cui probabilmente si era appena alzato, dato che le coperte erano sgualcite in più punti.
«State bene?» domandò Sophie.
«Ho un po’ di mal di capo. Chiedo perdono per quella che può passare per asocialità, ma l’ultima cosa di cui ho bisogno in questo momento è il ronzio delle chiacchiere da salotto nelle orecchie.»
«Non preoccupatevi, siete ampiamente giustificato» lo rassicurò Sophie scuotendo la testa.
Fece per chiudere la porta e concedere al Lord la dovuta tranquillità, ma questi, dopo un attimo di esitazione, domandò: «Avete una biblioteca?»
Sophie esitò un attimo prima di rispondere.
«Ecco, vedete, qui abbiamo una sala piuttosto modesta contenente numerosi libri, ma non merita il titolo di biblioteca. Tutti i volumi più preziosi e importanti che abbiamo si trovano in un’enorme salone nella residenza estiva. Mio padre ha fatto costruire là una stanza adibita allo scopo per la grande disponibilità di spazio. Voleva che i libri stessero tutti insieme, piuttosto che divisi tra una stanza e l’altra. Ma, se volete seguirmi, anche qui potrete trovare qualcosa.»
Ariberto si incamminò dietro Sophie e le altre due fanciulle li seguirono.
Mentre percorrevano il corridoio, Éléonore disse: «Perdonate la mia impertinenza ma, se vi duole il capo, come può giovarvi la lettura?»
Ariberto sorrise.
«In verità, è l’unica attività che mi permette di rilassarmi. I libri sono molto meno rumorosi delle persone.»
Mademoiselle de Vernon li condusse in una sala spaziosa con un tavolino al centro e le pareti nascoste da scaffali stracolmi di volumi. Éléonore si chiese quanti fossero in tutto i volumi nella biblioteca vera e propria e non vide l’ora di poterla visitare.
Charlotte si guardava intorno come se sugli scaffali fossero riposti semplici fogli di carta rilegati insieme.
«Graziosa» commentò Ariberto.
«Già,» rispose Sophie, che non aveva notato la sfumatura ironica nel tono del Lord «ma quella che vedrete domani è tutt’altra cosa!»
In quel momento una serva entrò e le disse che la madre la stava attendendo al piano di sotto.
«Scusatemi un istante». La fanciulla tornò verso le scale.
«Vengo con voi» disse Charlotte seguendola.
‘I libri la spaventano fino a questo punto?’ pensò sarcastica Éléonore, restando stupita dal fatto che la Duchessina non cogliesse l’occasione per studiare la nuova preda. Poi le venne in mente che al piano di sotto si trovava Thierry e rammentò anche la sfrontata ambizione di Charlotte.
Si lasciò sfuggire un sospiro frustrato, poi si rivolse ad Ariberto.
«Penso che dobbiate accontentarvi della mia compagnia, sempre che la desideriate».
«Nessun problema» la rassicurò il Lord sorridendo.
Quando i passi delle altre fanciulle sulle scale non si udirono più, Ariberto si mosse per la stanza.
«È ben misera» commentò.
Éléonore fu stupita dalla sfrontatezza del Lord. Dal momento che però condivideva la sua opinione, non lo biasimò più di tanto.
«Mademoiselle Sophie l’ha ammesso sin dall’inizio. Domani i vostri occhi potranno ammirare di meglio.»
«Lo spero. Non riuscirei a soggiornare in un’abitazione sprovvista di beni di prima necessità come loro.» disse accarezzando il dorso di uno dei volumi. «Voi amate la lettura, Contessa?»
«Moltissimo» rispose quella. «È una caratteristica di famiglia».
Lui sorrise.
«È positivo. Sappiate che vi trovate in compagnia di un eletto di Calliope.»
«Che volete dire?» domandò Éléonore cercando di sorvolare sulla superbia dell’affermazione.
«Non sapete chi sia?» le chiese lui con finta sorpresa.
«La musa degli aedi» ribatté lei.
«Brava. In effetti, ho pubblicato diverse raccolte di poesie e letto un numero non indifferente di libri.»
Éléonore lo guardò ammirata.
«Dite davvero? È meraviglioso! Finalmente, incontro una persona con cui poter parlare di ciò che mi piace senza risultare noiosa!» esclamò.
L’affermazione suscitò la risata del Lord.
«Ma chère, col tempo imparerete che gli unici validi interlocutori sono i libri stessi».
«Non sono d’accordo. Con essi non è possibile avere uno scambio di opinioni.»
«No, c’è semplicemente un arricchimento personale».
«Ma un uomo che accumula sapere per poi non condividerlo è come un avaro che accumula denaro senza utilizzarlo…»
«Vi do ragione, Contessa, ma dovete sapere che la maggior parte della gente è ignorante e la sua ignoranza non deriva dal non sapere, ma dal non voler sapere più dell’indispensabile. In effetti, quel poco che ho sentito da voi non mi lascia indifferente».
Éléonore arrossì lievemente. Ariberto restò un attimo ad osservare la sua interlocutrice.
«La mia Audrey rientra nel numero di queste perle rare, ovviamente. Voi me la ricordate molto.»
Riprese a sondare il dorso dei volumi con lo sguardo.
«Cercate qualcosa in particolare?»
«No, voglio solo capire quali generi prediligono i padroni di casa. In realtà, è inutile giudicare le persone in base ai libri che possiedono, dato che spesso li acquistano solo per riempire scaffali vuoti.»
Un sorriso di scherno gli comparve sul volto.
«Perché tutta questa diffidenza verso il prossimo?» chiese Éléonore incuriosita.
«Non è diffidenza infondata, è ciò che l’esperienza mi ha insegnato».
 La Contessina non ribatté.
«Qual è il vostro genere preferito?»
«Amo i trattati di filosofia e la letteratura inglese. In realtà, però, leggo di tutto.»
«E le vostre poesie? Di cosa parlano?»
«Dell’Uomo, dell’Amore, della mia Lady,… dipende dall’ispirazione. Se volete ve ne farò leggere qualcuna. Le porto sempre con me.»
«Ne sarei onorata».
Osservarono insieme il contenuto della sala, commentando titoli e autori man mano che ne incontravano.
«E di lì che cosa c’è?» domandò ad un certo punto Ariberto indicando una porta che Éléonore non aveva ancora notato.
«Non ne ho idea» rispose la fanciulla.
Ariberto sbirciò il corridoio oltre la porta dello studio.
«Non c’è nessuno. Penso che potremmo dare una piccola occhiata…» allungò la mano sulla maniglia.
«Aspettate,» lo fermò Éléonore «forse la Marchesa non vuole».
Lui sorrise. «Non lo verrà mai a sapere». Abbassò la maniglia, ma la porta era chiusa a chiave.
«Peccato» commentò.
«Torniamo di sotto» propose Éléonore.
Il Lord rise. «Vi ho messo fretta?»
La Contessina si indignò. «No, ma mi sembra che il mal di capo vi sia passato».
«Sarà l’ambiente. Comunque sono certo che se tornassi di sotto mi verrebbe di nuovo. È meglio che mi riposi. Voi scendete pure, se volete.»
Éléonore annuì, poiché si rendeva conto che non era educato non ripresentarsi nel salotto, soprattutto sapendo quanto la Marchesa tenesse ad accogliere bene il figlio. Percorsero insieme il tratto di corridoio fino alla stanza del Lord, poi lui vi entrò, mentre la Contessina ridiscese le scale.
   
 
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