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Autore: EmmaDiggory15    31/01/2015    1 recensioni
Augusta, Maine 2010
Jake Dallas sta per affrontare la prova della sua vita, da cui dipenderà il suo futuro e la sopravvivenza della sua comunità, ma non sa ancora cosa lo attende, e i suoi nemici si nascondono nell’ombra pronti ad attaccarlo.
Portland, Maine 2014
Quattro anni dopo Jake conserva ancora il ricordo di quella notte. Una chioma bionda e un vestito rosso sangue sono ancora impressi nella sua memoria, diviso a metà tra il suo dovere e i suoi desideri proibiti.
Nel frattempo, una ragazza cerca vendetta per il male che le è stato inflitto, nessuno scrupolo per chi si metterà in mezzo tra lei e la sua preda.
Nessuno è quello che sembra, dimentica ciò che hai sempre creduto di sapere: il vero nemico potrebbe nascondersi proprio dentro di te.
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Uprising
They will not force us
They will stop degrading us
They will not control us
We will be victorious

 
Portland, Maine; novembre 2014

«Certo che ho compiuto ventuno anni. Vuole vedere un documento?»

Il barista, un uomo dall’espressione burbera e la barba incolta, scrutò la ragazza con aria sospettosa, ma poi scrollò le spalle e tornò a pulire i bicchieri. «D’accordo. Ma se succede qualcosa, non voglio casini, intesi?»

La ragazza sorrise. «Certo.»

Dopo che lo scambio di battute fu terminato e la ragazza si fu seduta al bancone, ogni persona presente al bar quella sera tornò a concentrarsi sul proprio drink e altri, come Jake, ripresero la partita di biliardo che avevano interrotto. Accanto a lui il suo amico e collega Andrew gli colpì la spalla con la stecca per attirare la sua attenzione. Andrew aveva ventisette anni, corti capelli biondo scuro, occhi verdi e la fama di cambiare ragazza ogni due mesi.

«È carina, no?»

Jake annuì. In effetti, era stato parecchio difficile non notarla, quando era entrata all’interno del bar: postura dritta e fiera, lunghi e lisci capelli scuri e occhi del medesimo colore, era vestita completamente di nero con pantaloni attillati e un top dalla generosa scollatura, sul quale spiccava un medaglione d’argento. Infine, portava un paio di stivali alti fino al ginocchio con il tacco lungo e sottile, ma nonostante questo si muoveva con andatura sicura e Jake pensò che fosse difficile credere che fosse solo una ragazzina, ma allo stesso tempo non riusciva a farsi un’idea di quanti anni avesse. Nel frattempo, la ragazza aveva accavallato le gambe e ordinato una birra che stava sorseggiando lentamente. Molti uomini non avevano staccato gli occhi da lei, come se su di loro fosse stato lanciato un incantesimo, e la ragazza aveva tutta l’aria di una che si stava godendo quelle attenzioni, anche se continuava a sorseggiare la sua birra in silenzio, le unghie smaltate che battevano ritmicamente sul boccale di vetro. Jake notò che era molto pallida e istintivamente strinse gli occhi, pronto all’attacco, ma lei era perfettamente calma in un luogo pubblico e forse era il nero a farla sembrare così pallida. Si convinse che non era pericolosa e tornò al suo biliardo.

«Sul serio, amico, dovremmo invitarla a giocare con noi» continuò Andrew colpendo una pallina.

«Sei così ubriaco che non ricordi di avere una ragazza?» Non che Andrew fosse propriamente ubriaco, ma generalmente dopo una caccia gli piaceva alzare il gomito, a modo suo per festeggiare. Quella sera non si sarebbe dovuto trovare nemmeno lì, infatti, Jake sarebbe dovuto andare a caccia con quello che era, o almeno era stato, il suo migliore amico, George, ma quel giorno era l’anniversario o qualcosa del genere suo e di Tyler, così era rimasto con lei ad Augusta, la loro città natale, per festeggiare, mentre Jake e Andrew, dato che entrambi vivevano lì, erano andati a cercare indizi sulla morte di diverse persone che venivano trovate con la gola tagliata: completamente dissanguati, ma senza una goccia di sangue addosso, tipico caso di interesse dei cacciatori. Era stato Jake a dare inizio alle indagini, successivamente era stato raggiunto dagli altri cacciatori.

«Non ho una ragazza, sono uscito con Mandy solo un paio di volte.» Andrew scosse la testa e poi lanciò un’occhiata maliziosa a Jake. «Ma, se proprio la vuoi mettere su questo piano, tu sei completamente single.»

Jake scosse la testa. «Non è il mio tipo.»

«Amico, è per tua figlia? Mi sa che Lexie abbia fatto in fretta a trovarsi un altro uomo.»

«Malcom è suo marito, non lo ha cercato a caso» precisò, «e non è per lei. Davvero, quella ragazza non è il mio tipo.»

«Ma è uno schianto!»

Può anche essere uno schianto, pensò Jake, ma non sarà mai bella quanto lei.

«Poco male, ce ne sarà di più per me. Come ho detto prima: io e Mandy siamo usciti insieme solo un paio di volte.» E si diresse verso il bancone.

Nel frattempo, un uomo si era seduto accanto alla ragazza.

«Come ti chiami, tesoro?» disse, mettendole una mano sulla coscia. Jake roteò gli occhi: il vecchio Tom era di nuovo ubriaco e forse l’intervento di Andrew sarebbe stato più utile che altro. Tom era un uomo che aveva da poco passato la cinquantina, ma i vizi del fumo e dell’alcol lo facevano sembrare molto più vecchio; era divorziato da diversi anni, perfino la moglie si era stancata di lui; ultimamente si vociferava che avesse perso il lavoro e non avesse più modo di pagare l’affitto, e invece di trovarsi un nuovo impiego, passava da un bar all’altro cercando di rimorchiare ragazze sempre più giovani.

Per risposta, la ragazza conficcò la punta di un tacco sul piede sinistro dell’uomo. «Le suggerisco di spostare la mano, prima che chiami la sicurezza.»

Tom gemette di dolore, ma non spostò la mano, anzi, rafforzò la presa. « Andiamo, tesoro, non far tanto la difficile.»

Prima che la ragazza potesse fare qualsiasi cosa, Andrew intervenne. «Non hai sentito? La signorina ha detto no.» E spinse via in malo modo il braccio di Tom.

Tom si alzò in piedi, scocciato. Era talmente ubriaco che si sentiva la puzza di alcol fino al tavolo da biliardo. «Fatti un po’ di affari tuoi, finocchio!»

Andrew, che aveva bevuto un po’ anche lui, strinse i denti dalla rabbia. «Sono un finocchio perché non importuno le ragazze con trent’anni meno di me? Ma levati dalle palle!»

«La finiamo? Non voglio problemi.» Il barista scavalcò il bancone e allontanò Tom, mentre Jake aveva raggiunto Andrew e gli stringeva una spalla.

«È lui che mi rompe i coglioni!»

«Sei tu, Tom, che rompi i coglioni.» Il barista spinse Tom fino alla porta.  «Non ti fare più vedere in giro!» E gliela chiuse in faccia.

«Vaffanculo!» Si sentì urlare dalla strada, ma Tom e il suo piccolo spettacolo furono presto dimenticati.

«Voi altri avete intenzione di dare problemi?» disse il barista, guardandoli male.

«No, stavamo andando via.»

L’uomo annuì in un gesto accennato. «Bene.» Continuò ad osservarli finché non furono tutti e tre fuori.

L’aria notturna li accolse, facendo scompigliare i ciuffi che si erano spostati sulla fronte della ragazza.

Andrew la guardò. «Tutto bene?»

Lei si scostò i capelli dal viso e sorrise leggermente. «Sì, grazie.»

«Io sono Andrew Ventura e lui è Jake Dallas.» Uno per volta le porsero la mano e lei le strinse, Andrew sentì che la sua era fredda a quel contatto, ma qualcosa lo indusse a credere che fosse solo per via del freddo.

«Io sono Morgan Williams.» Morgan incrociò le braccia al petto e rabbrividì. «Ho dimenticato la giacca.»

«Prendi la mia» si offrì Andrew, togliendosi la giacca scura e porgendola a Morgan, che gli sorrise grata e poi si affrettò a coprirsi.

«Allora, sei di qui oppure studi? Lavori?»

«Sono una babysitter, casa mia non è molto lontana.»

«Allora Jake ti può assumere!» scherzò, dando una pacca sulla spalla a Jake.

Morgan si dimostrò curiosa. «Hai una sorella?»

Jake roteò gli occhi. «Non proprio.»

«Comunque, grazie ancora per avermi dato una mano con quel tipo.»

Andrew le sorrise. «Non c’è problema. Tom è un idiota, spero solo che non si faccia più vedere in giro.»

Jake scrollò le spalle. «Probabilmente a quest’ora sarà già passato al bar successivo.»

«Peccato che non ci sia uno come te in ogni bar, allora. Sai, per aiutare le ragazze.» Si spostò una ciocca dietro l’orecchio.

«Questa sera ho dato una mano a te.»

Jake notò che i due avevano cominciato a scambiarsi delle occhiate, ma qualcosa lo induceva a pensare che ci fosse qualcosa di strano nella situazione.
Era un cacciatore, quindi era più che normale che fosse continuamente all’erta, ma questa volta aveva come un presentimento che sarebbe accaduto qualcosa di grosso.

Morgan stava rispondendo ad Andrew, ma Jake la interruppe. «Vuoi un passaggio per tornare a casa?»

La ragazza lo guardò sorpresa. «D’accordo, grazie.»

«Jake, ti posso parlare un secondo?» Andrew non aspettò una sua risposta, gli mise una mano sulla spalla, come aveva fatto lui poco prima, e si allontanarono di qualche passo. «Amico, stavo flirtando, non rovinare tutto.»

«Non lo so, Andrew, c’è qualcosa che non mi torna.»

«Jake, ha bevuto la birra, sentiva freddo. Non possiamo sospettare di tutti» disse, gesticolando vistosamente.

«Non sospetto di tutti, è solo che ho un presentimento» insistette.

Alzò gli occhi al cielo. «Lascia perdere i tuoi presentimenti, ok?»

Tornarono da Morgan, che stava camminando in cerchio, le braccia ancora incrociate sotto il seno. «Allora?» disse, fermandosi.

«È tardi, ti accompagniamo a casa.»

Percorsero i pochi metri che li separavano dell’auto di Andrew in silenzio. Quella sera lui era venuto a prendere Jake a casa per andare a caccia, e Jake fu grato che avessero messo tutto nel cofano per nascondere le armi alla vista, ma allo stesso tempo avrebbe voluto poter avere accesso a qualcosa, anche solo per stringerlo e sentirsi più forte. Negli anni era diventato più sicuro di sé come cacciatore, ma la maggior parte delle volte che si trovava fuori dalla comunità dei cacciatori, si sentiva fuori posto e sotto continua minaccia. Era venuto a vivere a Portland per sua figlia, dato che Lexie si era trasferita lì da anni con il marito, ma cominciava a prendere seriamente in considerazione l’idea di tornare ad Augusta, la distanza da casa sembrava colossale ogni volta che andava a caccia a Portland, da solo. Quasi si sentiva felice all’idea che stesse lavorando di nuovo con i suoi amici ad una serie di uccisione ripetute, anche se comportava la morte di diverse persone.

«Bella macchina» disse Morgan, quando furono saliti. Lei si era sistemata nel sedile posteriore in mezzo e aveva piegato la schiena, per poi poggiare i gomiti sui sedili di Jake ed Andrew. Il suo volto era così vicino a quello di Jake che lui poté vedere una fila di denti bianchissimi quando aprì bocca.

«Grazie» rispose Andrew con naturalezza, mentre Jake aveva ancora qualche sospetto sulla ragazza. Lei, però, sembrava trovarsi a suo agio in mezzo a loro e lui sapeva che l’unica cosa che i vampiri sapevano fare era mordere.

Morgan spiegò brevemente ad Andrew dove fosse casa sua. Jake tentò di intavolare una conversazione con lei.

«Sei nata qui o ti ci sei trasferita?» chiese, cercando un argomento.

Morgan poggiò il mento su un palmo. «Trasferita, vivo qui da due anni, quando ho cominciato a fare la babysitter.»

«Posso chiederti quanti anni hai?» fece Andrew con il tono divertito e le mani sul volante, mentre svoltavano una curva.

«Tu quanti anni mi dai?»

Ridacchiò. «Non lo so, non più di ventidue.»

Morgan sorrise. «Hai indovinato.»

«Quindi, vivi qui da quando hai vent’anni?»

La ragazza annuì. «Frequentavo l’università e stavo a casa di una mia zia, ma poi ho mollato, non faceva per me.»

«Perché? Cosa studiavi?»

«Medicina. L’ho fatto più per i miei genitori che per me, si aspettavano una figlia modello, ma non era la vita che desideravo io.»

Jake ruotò la testa per guardarla. Mentre aveva pronunciato quelle parole, aveva abbassato lo sguardo e dal tono sembrava perfettamente sincera.

«È giusto che tu abbia lasciato, devi essere libera di poter fare quello che desideri.» Andrew annuì alle sue stesse parole.

«Giusto, anche se studiare medicina ti può portare ad una grande carriera» disse Jake più rilassato.

Morgan strinse le labbra. «Non ce l’avrei mai fatta, il sangue e tutte quelle cose lì mi disgustano.»

Jake emise un verso stupito ed Andrew gli lanciò un’occhiata eloquente. «Beh, allora è stato meglio così.»

«Sì.»

Guidarono per altri dieci minuti. Durante quell’arco di tempo, Andrew e Morgan chiacchierarono parecchio e ogni tanto Jake si aggiungeva alla conversazione. Aveva capito che l’amico avrebbe desiderato poter essere da solo con la ragazza, quindi tentò di non essere invadente, ma allo stesso tempo non poteva escludersi totalmente dai loro discorsi.

Ogni tanto Andrew faceva una battuta e Morgan rideva, era una risata cristallina, ma diversa da quella di lei, sembrava più matura, in qualche modo più consapevole, ma d’altronde non aveva mai incontrato nessuna ragazza che ridesse come lei, era unica in tutto ciò che facesse.

Alla fine, arrivarono in un plesso di palazzi grigi e Morgan indicò il terzo piano come suo, salutò i due ragazzi e scese dalla macchina. Jake vide che Andrew la osservava e anche Morgan doveva essersene accorta, perché si girò nuovamente verso di loro e rivolse ad entrambi un grosso sorriso, anche se dopo aveva spostato lo sguardo su Andrew. Si tolse la giacca e la porse ad Andrew, ma lui scosse la testa.

«Tienila tu, magari un’altra volta torno a prenderla» disse, alzando un angolo della bocca in un sorriso che accennava malizia. Morgan sorrise e si rimise la giacca, poi si voltò e camminò verso il cancello.

I due ragazzi la osservarono camminare e solo quando fu entrata, Andrew ripartì.

«È simpatica, no?» La sua sembrava una domanda più retorica che altro.

«Sì, sembra anche dolce.»

Andrew alzò un sopracciglio. «Hai visto? Che ti avevo detto?»

Jake si limitò a roteare gli occhi. «A proposito di giacche, ne hai lasciata una a casa mia.»

«Giusto, tornerò a prenderla.»

Sbuffò leggermente, pensando a quante giacche il suo amico avesse lasciato in giro, senza mai preoccuparsi veramente di venirle a riprendere.

Continuarono a parlare del più e del meno, fino a quando non arrivarono anche a casa di Jake, ma in tutto quel tempo lui non aveva fatto altro che pensare a lei. Andrew e Morgan gli avevano fatto ricordare che non la vedeva da quasi due settimane ormai e gli mancava terribilmente. Gli mancavano i suoi occhi, il suo viso, la sua bocca, il suo corpo… Non faceva altro che pensarci. Sapeva che quel rapporto era sbagliato, ma non riusciva mai a staccarsi da lei; più tempo passavano insieme, più gli mancava quando non la vedeva e in quel momento la sua assenza era diventata insopportabile.

Fu per questo che tirò un sospiro di sollievo, quando la vide seduta sul divano a casa sua.
 
***

L’aria fredda della notte fu una liberazione.

Dopo aver passato ore a intrattenersi con degli umani, per di più cacciatori, la solitudine delle strade buie sembrava un sogno. Certo, non poteva godersi appieno il vento che le sferzava il viso, sentiva solo che era freddo, non le pizzicava piacevolmente le guance come un tempo, ma sapere di poter affrontare qualsiasi cosa senza debolezze come il troppo caldo o il troppo freddo le dava una sensazione di potenza unica.

Non era rientrata a casa, dopo che i due erano andati via, ma aveva preso la direzione opposta ed era ritornata verso il centro della città. Si guardò intorno alla ricerca di un vicolo o di un altro punto buio della strada dove poter agire indisturbata. Probabilmente anche quella notte si sarebbe dovuta accontentare di qualche uomo di mezza età ubriaco, perché non aveva tempo di mettersi a cercare un pasto più appetitoso; la missione in quel momento veniva prima di tutto.

In ogni caso, se la missione avesse sempre previsto il dover passare il tempo con quei due, sarebbe stata una passeggiata: due cacciatori erano stati in compagnia di una vampira per ore e non se n’erano neppure accorti. Che razza di idioti.

Anche se stare tutto quel tempo vicino a sangue umano senza poterne toccare una goccia le aveva fatto fisicamente male, si era divertita parecchio ad osservare i cacciatori che avevano davanti ai loro nasi una delle loro prede e non facevano assolutamente nulla perché non consapevoli; allora, non erano affatto forti e pericolosi come si diceva, se non avevano riconosciuto lei, figuriamoci dare la caccia ad un vampiro. Inoltre, il premio che le offriva il compimento della missione era qualcosa che aspettava con impazienza da decenni e sarebbe valso anche passare giornate intere senza toccare una goccia di sangue. Quella sera, però, era stanca, poteva sentire battiti di cuori umani distanti miglia, così come avvertiva il suono dello scorrimento del sangue ronzarle nelle orecchie…

Basta, non c’era più tempo. Doveva trovare del sangue e in fretta.

Cominciò a camminare rapidamente in cerca di qualcuno, di chiunque. Sentiva soltanto la fame, non mangiava da giorni e nella mente le rimbombava un unico pensiero: sangue, sangue, sangue…

Non dovette camminare molto, prima di trovare qualcuno. Si muoveva per la strada barcollando e mormorava qualcosa di incomprensibile con la voce impastata, la puzza di alcol che emetteva le punse le narici, quando respirò per sentire l’odore dell’aria, ed emise un verso di ribrezzo: l’alcol era disgustoso, non ne avrebbe più toccato un bicchiere, nemmeno per rendere più credibile la recita. L’uomo mosse qualche altro passo in avanti e si voltò verso di lei, e allora lo riconobbe: era l’uomo che nel bar le aveva toccato la coscia. Bene. Un maniaco ubriacone in meno.

L’uomo si mosse verso di lei, visibilmente instabile sulle sue stessa gambe. «Ehi, tesoro, che ci fai qui tutta sola?»

Qualcosa si smosse dentro di lei, facendole dimenticare per un attimo la fame atroce che sentiva e facendole godere quel momento in cui quell’uomo era lì impotente ed ignaro di fronte a lei, grande e grosso, ma in realtà del tutto vulnerabile. Il brivido della caccia.

«Seguimi» sussurrò. Il tipo era talmente ubriaco che non avrebbe fatto alcuna domanda, e lei aveva fretta ed era affamata.

Come previsto, l’uomo la seguì senza battere ciglio, attraverso i vicoli della città, probabilmente troppo occupato a pensare di essere riuscito a conquistare una ragazza come lei, che sospettare qualcosa. Che idiota, come se avesse davvero potuto anche solo avvicinarsi a lei.

Si fermarono in un vicolo poco lontano dal bar dove si erano incrociati quella sera. Lo condusse nella parte più buia del vicolo e poi a riparo dietro un cassonetto verde scuro, anche se non si sarebbe potuto dire verde con il buio che c’era, ma lei, in fondo, non era una persona normale.

«Vieni qui, piccola.» L’uomo lasciò cadere il boccale di birra che teneva in mano ed esso andò in mille pezzi; poteva sentire ciascun frammento infrangersi al suolo. Le mise le mani sui fianchi e la avvicinò a sé, così lei poté vedere ogni singola goccia di sudore attraversargli la fronte, e in quel momento fu grata di non aver bisogno di respirare.

Sentiva le sue mani che risalivano i suoi fianchi, fino ad arrivare a sfiorarle il seno. Quasi rideva al pensiero che quel tizio credesse di avere anche una minima possibilità con lei. Gli avvolse le braccia attorno al collo e sfiorò con le dita i capelli sudati, mente l’uomo la guardava con visibile desiderio.
Quanto amava la caccia. Si alzò in punta di piedi e avvicinò le labbra alle sue, respirando profondamente in modo che il suo fiato si confondesse con quello dell’uomo, che aveva portato una mano alla sua testa e si era sporto per baciarla. Quando amava quel gioco. Non si lasciò baciare, ma chinò la testa verso il collo dell’uomo, continuando a fargli sentire il respiro sulla pelle, poi portò la bocca più vicino al suo collo, fino a sfiorare la gola con le labbra.
Forse il grido dell’uomo sarebbe stato sufficiente per chiamare qualcuno, ma era troppo tardi: l’aveva già morso.

Rafforzò la presa sul corpo dell’uomo con le braccia e fece affondare ancora di più i canini nel suo collo, godendosi la sensazione del corpo immobilizzato dalle sue braccia e della vita che scivolava via dalle sue mani, i gemiti strozzati e il sangue caldo che le inondava la bocca. Aveva un sapore leggermente aspro per via dell’alcol, ma aveva il solito sapore dolce ed allo stesso tempo deciso tipico degli uomini umani, era caldo e denso, e tutto era reso migliore dalla soddisfazione di aver condotto quello stupido umano in una trappola mortale.

Smise di bere solo quando sentì che i battiti del cuore dell’uomo stavano pericolosamente rallentando, allora tirò fuori i canini dalla sua carne e li passò su tutto il collo dell’uomo, per creare una ferita che ricordasse quella di un coltello, tanto gli umani non erano capaci di distinguere un morso da una gola tagliata con un’arma.

Non si fece molti problemi a lasciare lì il corpo, ma si passò entrambe le mani sulla bocca e poi sulla camicia a quadri dell’uomo per pulirsi. Immerse le mani nelle tasche dell’uomo, alla ricerca di qualcosa che potesse esserle in qualche modo utile. Sorrise quando vide che nel portafogli marrone era rimasto qualcosa di soldi in contanti, velocemente controllò quanti fossero e in fretta se li mese in tasca, poi si sistemò i capelli e tornò sui suoi passi.
Morgan sorrise. Quanto amava il sangue.
***

«Ciao, Jake» disse con tono suadente. Era seduta sul divano beige del suo appartamento, le gambe accavallate, con un gomito poggiato sulla spalliera e il mento poggiato sul palmo.

«Sei qui.» Lasciò cadere la sacca che aveva ripreso dalla macchina di Andrew per terra e mosse qualche passo verso di lei.

Spostò il braccio dalla spalliera e picchiettò con la mano sul posto libero accanto a lei. «Siediti.»

Jake obbedì e si sedette di fianco a lei, senza mai distogliere lo sguardo dalla sua figura, facendo scivolare lo sguardo sul suo corpo fasciato da una camicetta di seta rossa e un’aderente gonna nera. I capelli biondi erano sciolti e le incorniciavano il viso pallido, le labbra rosee curvate in un sorriso.
«Cosa hai fatto oggi?» gli chiese, anche se non sembrava essere interessata alla risposta, ma cominciò ad accarezzargli una guancia con i polpastrelli.
Jake si rilassò sotto le sue dita, ogni volta che lo toccava, si sentiva tremare e senza forze. «Sono andato a caccia e poi sono uscito con Andrew. Ha incontrato una ragazza che gli piace.»

Non smise di accarezzarlo. «E com’è questa ragazza?» Il tono era neutro, ma Jake sapeva che c’era altro sotto, che si sarebbe arrabbiata molto, se avesse anche solo guardato un’altra, poteva vedere nei suoi occhi un accenno di rabbia ben celata.

«Non è il mio tipo.»

Fece scorrere la mano sulla sua mascella e poi si fermò all’altezza della bocca, accarezzandogli lievemente il labbro con il pollice. «E chi sarebbe il tuo tipo?» sussurrò.

«Tu. Solo tu.»

Sorrise soddisfatta. «Bene, lo sai quanto io possa diventare gelosa

Deglutì. L’aveva vista arrabbiata una volta, e quella sera avrebbe davvero potuto uccidere qualcuno, se non l’avesse fermata. Però, non capiva perché si preoccupasse tanto: non lo sapeva che per lui al mondo non esisteva nessun’altra? Da quando l’aveva conosciuta, non aveva più neanche considerato l’idea di avere una ragazza, c’era solo lei e basta.

«Lo sai che voglio soltanto te.» Provò a ricambiare la sua carezza, ma lei non glielo lasciò fare, gli prese la mano che aveva sollevato e la intrecciò con la sua, per poi portarle sul suo grembo.

«Non mi piace quando parli con le altre ragazze. Come si chiamava?» Jake si accigliò, ma lei agitò la mano libera come a voler scacciare una mosca. «Non le farò nulla, finché ti starà lontana. Come si chiama?»

Forse sarebbe stato più saggio non rivelarle il nome della ragazza, ma a Jake bastò incrociare per un secondo il suo sguardo per cambiare idea. «Morgan Williams, credo.»

Fu solo per un secondo, ma a Jake sembrò di vedere una scintilla negli occhi di lei, come se in quell’istante si fosse ricordata di qualcosa di molto importante, come un ricordo assopito che lui aveva risvegliato.

«La conosci?» chiese, confuso.

Scrollò le spalle, facendo agitare la chioma bionda, e la scintilla era sparita. «Certo che no.»

Era strano, gli era sembrato che nascondesse qualcosa, ma cambiò presto idea. Lei aveva alzato il mento e aveva preso a guardarlo con intensità, gli occhi puntati sui suoi che lo attiravano come calamite.

«Voglio che tu le stia alla larga, capito?» Non lo disse come una minaccia, il suo tono era sempre lento e basso.

«Perché? Lei piace ad Andrew, non a me» insistette.

Strinse i denti. «Tu fa’ come ti dico.»

C’era una parte del cervello di Jake che continuava a suggerirgli che ci fosse qualcosa che non andava in quella conversazione; un’altra, invece, sussurrava che sarebbe dovuto scappare lontano, che era tutto sbagliato, che quella relazione era immorale e contro i suoi principi, che stava tradendo la sua stessa famiglia, i suoi amici, la sua comunità. C’erano dei momenti, a tarda notte, dove lui si svegliava, la fronte imperlata di sudore e i battiti del cuore accelerati, allora, pensava che doveva finirla, che la prossima volta che lei si sarebbe presentata a casa sua, l’avrebbe cacciata via, che avrebbe raccontato tutto ai suoi amici e che si sarebbe fatto aiutare ad eliminarla, ma poi arrivava il giorno e il ricordo dei suoi occhi azzurri riaffiorava nella sua mente e si ricordava che non c’era nulla di sbagliato, che era giusto che lei venisse lì da lui e prendesse ciò che volesse.

Come aveva fatto tante altre volte, lei gli prese il viso con entrambe le mani e lo guardò intensamente. Jake si lasciò perdere nei suoi occhi, lasciando che l’azzurro intenso cancellasse tutto quello che c’era attorno a loro: la sua casa, il suo lavoro, perfino il suo nome diventavano cose esterne, superficiali. In quel momento, esisteva solo lei, tutto il mondo girava intorno a lei, nient’altro aveva importanza.

Lo baciò. Avvicinò il suo viso a quello di Jake e poggiò le labbra sulle sue. Ogni volta, Jake si stupiva di quanto quelle di lei potessero essere così fredde e morbide allo stesso tempo, erano lisce e perfette, e l’assenza di calore non gli portava via nessuna sensazione, anzi, aggiungeva un fascino particolare a quel contatto, come se stesse baciando una rarità perfetta che si era conservata nel tempo. Sentì il suo cuore accelerare, allora, la strinse a sé, avvolgendo le braccia sulla sua vita, mentre lei faceva scendere le mani dal suo viso, per poi intrecciarle dietro il suo collo. Strinse i suoi fianchi e poi la sollevò, fino a farla sedere a cavalcioni su di lui.

Si staccò da lui e riprese ad accarezzargli delicatamente il viso; il suo tocco era freddo, ma a Jake sembrava di sentirlo bruciare lo stesso. Lentamente, fece scorrere le mani sulla sua pelle, scendendo fino al suo collo, per poi premere delicatamente sul lato di esso con la punta del pollice.
Non gli disse nulla e non chiese il permesso. Abbassò il viso e lo morse.

Il dolore passò in fretta, era così abituato al fastidio dei canini che si aprivano un varco nella carne, che quasi non ci faceva più caso. Dopo quella sensazione, c’era solo l’oblio. Puro piacere che creava oblio. Era quello il momento in cui Jake si sentiva più perso, quasi si dimenticava di esistere, concentrato com’era sul piacere che le labbra di lei gli procuravano. La loro freddezza faceva da anestetico alla ferita procurata dai denti, e poi si muovevano succhiando dal suo collo, mentre lei stringeva i suoi capelli fra le dita. Aveva la testa inclinata di lato, per permetterle più accesso, e in qualche modo il sapere di essere totalmente arreso a lei lo rilassava, gli faceva dimenticare tutto e aumentava solo il piacere. Lei continuava a succhiare e a succhiare, e Jake sapeva che questo la rendeva felice, perché era certo che lei sarebbe venuta sempre e solo da lui, che tutto era in funzione di quel momento, che anche lei provava le stesse sensazioni, gli stessi sentimenti…

Si staccò troppo presto.

L’unica cosa che consolava Jake dalla fine del contatto era il vedere la soddisfazione nei suoi occhi, il sapere che era stato lui a procurargliela.

«Ti amo» sussurrò.

Lei sorrise. «Sì.»
***

Qualche giorno dopo, i cacciatori più giovani erano tutti riuniti a casa di Jake, nessuno avrebbe mai indovinato cos’era successo qualche sera prima.
La casa di Jake non era molto grande, era un piccolo appartamento con l’ingresso che dava direttamente sul salotto e sulla cucina, aveva un bagno e due camere da letto, una per lui e una per sua figlia. Non aveva mai riflettuto molto su come doverla arredare, quindi la maggior parte dei mobili era stata scelta da sua madre. 

Si trovavano nel salotto, ma alcuni erano più nello spazio riservato alla cucina, con i gomiti poggiati sul bancone, altri erano seduti sul divano, altri ancora in piedi. Quel pomeriggio si trovavano a casa di Jake parecchi suoi vecchi amici, e la cosa lo faceva sentire a casa, come se non avesse mai lasciato la sua città natale. C’era Andrew, che dalla sera dell’ultima caccia non aveva più lasciato la città; c’era George, quello che un tempo era il suo migliore amico, anche se si erano allontanati negli ultimi anni per via del trasferimento di Jake; poi erano anche presenti Tyler e Sarah, la prima era la fidanzata storica di George, la seconda la sorella minore di Tyler, entrambe giovani, ma, da quel che aveva sentito Jake, ottime cacciatrici, degne eredi del padre; era anche venuta la scorbutica Janelle, orgogliosa ragazza di venticinque anni, che evitava di dimostrarsi acida soltanto con Christine, la sua ragazza, che al contrario di lei era una ragazza molto dolce; Thomas, che era un uomo poco più grande di Andrew, ma con un gran senso del dovere, li aveva raggiunti all'ultimo minuto; infine, la più giovane di tutti, Lydia, era la sorella minore di George e a soli vent’anni aveva già ucciso tre vampiri giovani, diventando molto famosa fra tutti i cacciatori, da quello che ne sapeva Jake, la cosa infastidiva George, che era finito con l’essere messo in ombra dalla sorella, che si supponeva dovesse prendere esempio da lui. Era strano pensare a come fossero cambiate le cose, da quando Jake era piccolo: adesso, nel loro gruppo di nove, c’erano più donne che uomini.

Thomas, in piedi a fissare l’elenco delle vittime poggiato sul tavolino da caffè rettangolare, scosse la testa. «Si era fermato per un paio di giorni e poi ha riattaccato, ha fatto un’altra vittima il giorno successivo e ora è di nuovo fermo. Non è un comportamento normale: sempre nella stessa città, sotto gli occhi di tutti…»

«Corrono il rischio che la polizia inizi ad indagare.»

«Lo sta già facendo, Lydia. Quello che non capisco è perché non si sposti.» Thomas inarcò le sopracciglia.

«Ma non sospettano qualcosa?» intervenne Christine, scuotendo i ricci rossi.  «Non si vede dall’autopsia che la ferita è stata inflitta post mortem
«Sì, ma così si chiederanno come hanno fatto i corpi a dissanguarsi, se la gola delle vittime è stata tagliata successivamente, e non troveranno risposta» disse Janelle.

«Lasciate perdere la polizia, non ammetteranno mai di non avere alcuna soluzione.» Sarah incrociò le braccia. «Dobbiamo pensare che sia qualcuno di molto forte.»

«Un Superiore? Probabile.»

«Allora, dovremmo prepararci a combatterlo.» Dalla cucina giunse la voce di George. Jake non aveva bisogno di guardarlo, per sapere che aveva stretto i denti. Un tempo, lo conosceva benissimo, ma negli ultimi anni si erano allontanati così tanto, che a volte gli sembrava fosse un estraneo.

Andrew agitò una mano. «Calmiamoci un momento, vi ricordo che i Superiori sono estremamente rari.»

«E chi pensi abbia fatto questo?»

Scrollò le spalle. «Non lo so.»

Tyler si scostò la treccia bionda da una spalla. «Andrew, ha ragione: un vampiro comune non avrebbe fatto una cosa così. Quello che dovremmo capire è perché, solo così potremmo avvicinarci alla sua identità.»

«Ah sì? Non mi risulta che tu abbia un fascicolo su ogni vampiro esistente» disse Janelle sarcastica.

«Non intendevo dire questo.»

«Ragazze, smettetela.» Thomas riprese il controllo della situazione. «Tyler, il tuo modo di vedere la situazione è giusto, ma non conosciamo ogni singolo vampiro.»

«Ma il perché potrebbe aiutarci, no?»

«E da quando i vampiri hanno bisogno di un perché?» George guardò Jake con un sopracciglio alzato, come se avesse detto qualcosa di assurdo. Le volte che si rivedevano, Jake pensava a quanto fosse cambiato in quegli anni: era diventato identico al padre, abbandonando i modi rilassati che lo avevano sempre caratterizzato. «Tutti noi sappiamo che sono dei crudeli assassini, che uccidono per piacere.»

«E se ci sbagliassimo?»

Tutti gli sguardi si puntarono su di lui. Poteva vedere ogni suo singolo amico fissarlo sbigottito, anche se non era più certo che quelli fossero i suoi amici. Christine e Sarah avevano la bocca semi aperta, come se avesse detto qualcosa di impossibile e di assurdo; Janelle lo guardava sospettosa, e Jake ebbe l’impressione che fosse indietreggiata leggermente; George aveva stretto gli occhi, in un’espressione identica a quella della sorella; Tyler aveva strabuzzato gli occhi; Andrew era visibilmente confuso. L’unico che non sembrava stranito era Thomas.

«Che cosa intendi dire con questo, Jake?» gli chiese con calma. Thomas non era un tipo che saltava a conclusioni affrettate, anche quando sembravano ovvie.

Sbatté rapidamente le palpebre. «Ecco, intendo che forse c’è una ragione per cui è rimasto qui, non deve essere una cosa casuale dovuta alla fame.»
Tutti si rilassarono, soddisfatti della sua spiegazione, tranne George, che rimase accigliato. Jake si sentì ferito da quello sguardo, gli mancava il suo migliore amico, e in quell’occasione era stato il primo ad accusarlo. Avrebbe voluto che le cose fossero come prima.

«Dobbiamo presumere che abbia uno scopo, quindi.»

«A questo punto, potremmo anche supporre che si tratti di più vampiri.»

«No, le gole erano tagliate tutte allo stesso modo.»

«Ma perché questa città? C’è qualcosa che trattiene qui il vampiro?»

C’è qualcosa che trattiene qui il vampiro?

Quelle parole risuonarono nella testa di Jake. Poteva essere stata lei?

«Forse dovremmo concentrarci sulle vittime» suggerì Sarah.

Andrew strinse le labbra. «Tredici. Sette donne e sei uomini, tutti di età differenti, dai trenta ai sessanta, anche se ci sono state un paio di vittime più giovani.»

«Sono troppe.»

Tredici vittime. Non era mai capitato che ce ne fossero così tante in un solo periodo. In quella situazione tutti loro erano spaesati, non erano abituati a quel genere di situazioni, in genere, si risolveva tutto con un’unica uccisione, ma quella volta era diverso. Non avevano mai dovuto dare la caccia ad un vampiro che uccidesse così tante persone, di solito, il vampiro faceva due o tre vittime e poi loro iniziavano a dargli la caccia. Negli ultimi due mesi, avevano provato ad andare a caccia, ma senza alcun risultato, ogni volta che arrivavano in un posto, il vampiro era già passato al successivo.

Si erano riuniti altre volte, avevano elaborato strategie su strategie, si erano detti che non era diverso da un qualsiasi altro vampiro che avessero mai affrontato, che non c’era motivo di preoccuparsi, che l’avrebbero risolto in fretta. Ma la verità era che non avevano la minima idea di cosa fare.

«Chi è l’ultima vittima?» chiese Janelle.

«Si chiamava Tom Carter, è stato trovato in un vicolo.» Jake lanciò un’occhiata ad Andrew, ma quello non gli diede retta.

«Non facciamo progressi!» sbottò. «Non ci abbiamo messo mai più di tre settimane e sono quasi passati due mesi e la gente continua a morire e non stiamo facendo bene il nostro dovere!»

Thomas gli mise una mano sulla spalla. «Calmati, troveremo un modo per risolvere la faccenda.»

Un dubbio si insinuò dentro Jake.

«Datti una calmata, Andrew, impazzire di certo non ci aiuterà.» Christine si alzò in piedi. «Qui siamo tutti stressati, ma dobbiamo riflettere e usare la testa. Cerchiamo di capire dove colpirà la prossima volta.»

«Dovremmo dividerci e pattugliare la città, aspettare che colpisca» suggerì Lydia. «Non attacchiamo subito, aspettiamo di vedere chi è il vampiro. Una volta fatto questo, organizzeremo un attacco.»

Thomas annuì d’accordo. «Buona idea.»

«I nostri paletti basteranno? Forse ci vuole qualcos’altro.»

«Non credo, se riusciamo a circondarlo…» Janelle passò con naturalezza una mano tra i capelli rossi di Christine. L’unico gesto d’affetto che si concedeva in pubblico.

«Dobbiamo essere pronti, potrebbe riattaccare in qualsiasi momento.» George si spostò al fianco della sorella.

«Giusto, cominciamo da subito.» Tyler si alzò in piedi. «Organizziamo le postazioni.»

«Ci siamo tutti per stasera, giusto?»

La domanda posta da Thomas era retorica, tutti lo sapevano. Quando si trattava di fare cose come dividersi in giro per la città, ognuno dava la propria disponibilità, senza pensarci due volte. Nessuno si sarebbe aspettato che qualcuno si fosse assentato, semplicemente bisognava andare e basta.

«In realtà, io avrei un impegno.»

Come poco prima con Jake, tutti si voltarono verso Andrew.

«Che cosa dovresti fare?»

«Porto fuori una ragazza.» Normalmente, avrebbe scoccato un’occhiata maliziosa, ma si trattenne.

«Una ragazza? La gente sta morendo, Andrew.» Sarah lo guardò con severità.

«Beh, nessuno qui si è lamentato, quando George e Tyler hanno preferito uscire a cena, piuttosto che andare a caccia.»

«È una cosa diversa,» intervenne il ragazzo, «era solo una caccia, non una cosa del genere.»

Andrew si rabbuiò. «Che ne sai che non avevo un altro impegno e ho dovuto disdire per colpa tua?»

«Ma chiudi la bocca! Non pensi ad altro che a scopare!»

Dovettero trattenerli prima che scoppiasse una rissa.

Jake afferrò le spalle di Andrew. «Basta, adesso.»

Thomas trattenne George. «Non siete più dei ragazzini, comportatevi in modo maturo.»

«Controllerò io per Andrew, tanto saremmo andati a coppie, giusto?» si offrì Jake, nella speranza che si raggiungesse un accordo.

«Bene, allora!» sbottò Andrew, mentre George non disse nulla, limitandosi a stringere i pugni.

Non erano mai andati molto d’accordo, ma negli ultimi due mesi si ritrovavano a litigare spesso. Jake pensò che avrebbe fatto solo bene a coprire Andrew, così entrambi sarebbero stati accontentati e avrebbero evitato di seminare ulteriore zizzania. Probabilmente, anche gli altri non erano molto d’accordo che lui andasse in giro, ma Jake sapeva che sarebbe rimasto scorbutico per tutta la durata dell’osservazione, quindi era meglio che si presentasse a quell’appuntamento, e magari dopo gli sarebbe passata. In fondo, lui non poteva giudicare.

La situazione si calmò, tra i borbottii scontenti di Lydia, gli sbuffi di Janelle e Thomas che guardava di soppiatto Andrew.

Jake pensò che forse c’era qualcosa sotto. Forse la ragazza, Morgan, era collegata agli omicidi, forse era lei la chiave di tutto. In quel caso, avrebbe dovuto avvertire Andrew, sarebbe stato pericoloso trovarsi fuori con lei di sera, senza alcuna arma per difendersi. Inoltre, anche lei sembrava aver pensato qualcosa, quando le aveva rivelato il suo nome.

Scosse la testa. Quella lì era solo una coincidenza, Morgan era una normalissima ragazza, aveva bevuto, sentito freddo e non aveva provato alcun desiderio di sangue umano, pur rimanendo con loro per un po’. Avrebbe dovuto smettere di sospettare di chiunque, lui, che era il primo che tradiva la sua stessa razza.

«Bene, allora, che la caccia abbia inizio.»

Tyler lo disse per alleggerire la tensione creata probabilmente, ma Jake sapeva che era lì il vero inizio.
 
 
 
 
 
 


Angolo autrice:
Beh, salve.
Intanto: la canzone all’inizio è Uprising dei Muse, da cui è tratto anche il titolo, chiaramente.
Come potete vedere, qui ho introdotto un altro po’ di personaggi e diciamo che questi saranno i veri protagonisti.
In realtà, quella che mi preoccupa di più è Morgan, ci tengo tantissimo a lei, spero proprio che, magari con il tempo, vi piacerà.
E nel caso vi interessasse, il presta volto di Andrew è Jensen Ackles, eheh.
Un’altra cosa. Dopo questo ho altri tre capitoli scritti, quindi non sono sicura dopo con quanta frequenza riuscirò ad aggiornare. Mi sembrava giusto dirlo.
Detto questo, vado.
Addio.
  
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