Anime & Manga > Katekyo Hitman Reborn
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Autore: musa07    05/02/2015    3 recensioni
" Dino ci aveva proprio preso gusto ad insegnare. Ecco perché aveva accettato l’incarico fino a fine anno scolastico. E questo voleva dire che sarebbe partito in gita con la classe della quale era responsabile. Alias quella di Tsuna e company. Non stava più nella pelle!
- Che bello. In gita! – stava proferendo felice per l’ennesima volta da quando si era svegliato quella mattina ed era stato malamente scaricato da Kyoya a casa Sawada, dato che il Disciplinare non era più in grado di reggere i suoi farneticamenti ..." (dal cap.1)
Ciaossu^^ Dopo l'angst, dopo la 3Some PWP, approdo nuovamente al mio habitat naturale: lo slice of life soooooo romantic, oh yes!
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Dino Cavallone, Enma Kozato, Hayato Gokudera, Takeshi Yamamoto, Tsunayoshi Sawada
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciaossu^^
Ed eccoci arrivati all’ultimo chappy anche di questa minilong.
Eh sì: che tristezza! T_T E’ sempre brutto metter la parola Fine, ma vabbè…
A maggior ragione, anche questa volta un doveroso grazie a tutti Voi per la pazienza e l’affetto <3
A tutti Voi dedico questo capitolo.
E come promesso la scorsa volta, giusto per farvi un’idea, ecco come io mi son immaginata Kou …
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Ma non solo. Eh eh! A mano a mano che vi verranno presentati i personaggi, ho creato delle versioni chibi. Anche qui giusto per farvi un’idea.
 
 
 
“ Un buon Inizio ha sempre una buona Fine”
 

 
CAPITOLO 6
 
DIECI ANNI DOPO
 
- Ittekimasu* - salutò allegramente Kou, dopo essersi infilato le scarpe in entrata.
- Kiotsukete* - fu la risposta all’unisono di Enma e Tsuna, che d’istinto girarono la testa verso la portafinestra della cucina e videro il ragazzo prendere di corsa la strada verso scuola.
Sorrisero, scuotendo la testa.
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Nel frattempo Kou, ignaro di essere oggetto delle battute scherzose dei genitori, non accennava a diminuire la sua corsa.
Non era in ritardo quella mattina – stranamente – ma stranamente avrebbe fatto la strada da solo e non in compagnia dei suoi due più cari amici. Amici che aveva sempre avuto al suo fianco fin da quando ne aveva memoria.
Arima e Watari, infatti, quel giorno erano impegnati con gli allenamenti mattutini dei loro rispettivi club e lui non vedeva l’ora di vederli per mettersi d’accordo per la loro prossima maratona serale della nuova serie televisiva che impazzava in quel periodo. Sì, ok: era vero anche quello, ma non era l’unico motivo per il quale stava correndo con il cuore in gola che batteva a mille. E per quello ben poco ci poteva fare. Doveva accettarlo e basta, come qualsiasi altro adolescente nel pieno di una cotta spaventosa.
Buttò fuori rumorosamente l’aria dopo aver gonfiato le guance, sentendo il confortante peso della custodia del suo violino scaldargli la schiena e di come una delle corde – “ E’ sicuramente quella di LA” pensò sorridendo dolcemente – pizzicasse in seguito ai movimenti della sua corsa.
Portando l’attenzione degli occhi verdi verso il cielo terso e scrutandolo attraverso le ciocche rosse che gli ondeggiavano allegramente sulla punta del naso, voltò l’angolo e lo scontro fu inevitabile. Preoccupandosi per i danni che il suo amato violino avrebbe potuto subire se fosse caduto a terra, la sua velocità di reazione si amplificò d’istinto, come succedeva spesso ultimamente. D’istinto, si portò una mano alla fronte, nel timore che fosse successo …
Nelle ultime settimane era capitano un fatto strano ed inspiegabile, e al contempo inquietante. Era accaduto che, nel momento in cui aveva percepito un pericolo per sé o per gli altri, la sensazione di un grande fuoco era partita da dentro. Gli era scorso nelle vene e, cosa ancora più angosciante, quel fuoco aveva trovato sfogo nella sua fronte.
La prima volta che era successo, pensò di aver avuto un’allucinazione. La seconda pensò di essere andato completamente fuori di testa ma poi, con la curiosità e l’interesse che gli erano propri di natura, aveva cercato di trovare una spiegazione, cercando di capire come controllare quella cosa, sperando così che non si sarebbe più verificata. Solo che alcune volte quella cosa partiva da sola e sfuggiva al suo comando.
Con sollievo, si accorse che non era accaduto.
Non ne aveva fatto parola con nessuno. Né con Arima e Watari, né tantomeno con Enma e Tsuna.
- Sumimasen. – si scusò con lieve inchino, prima di sollevare gli occhi e trovarsene un paio di turchesi che lo fissavano.
- Zio Hayato! – esclamò felice, scusandosi nuovamente.
Hayato, come ogni volta, restò a dir poco affascinato di fronte a quel sorriso che era la somma di quello di quattro persone. Non solo dei suoi due genitori ovviamente, ma anche di quello di Giotto e Cozzato.
Kou, crescendo, aveva fatto proprie nel volto e nel carattere, le caratteristiche di tutti e quattro. In un mix a dir poco adorabile. Se da Giotto e Cozzato aveva preso l’incredibile dono di farsi semplicemente adorare da chi gli stava a fianco e una leadership innata che Kou continuava umilmente a rifuggire, da Tsuna ed Enma aveva preso la stessa squisita timidezza con gli estranei che lo faceva adorare ancora di più. Gli piaceva stare in mezzo alla gente, anche perché le persone si sentivano naturalmente calamitate da lui - dalla sua gentilezza, dalla sua solarità – ma, essendo comunque uno riservato, erano pochi quelli che considerava suoi amici fidati. Quelli con i quali confidarsi ed esser apertamente se stesso, con le sue insicurezze, le sue paure, senza timore. Quelli che sapeva l’avrebbero capito anche con una sola occhiata.
Piegò la testa di lato, Kou, continuando a sorridere ad Hayato, socchiudendo gli occhi verdi.
- I papi sono già svegli. – gli disse, intuendo che stesse andando a casa loro.
- Lo spero bene. – replicò Hayato accigliato, guardandolo mentre riprendeva la sua cacciata e, puntualmente, prendersi un coccolone assurdo nel momento in cui, passando davanti al cancello di una casa, uno yorkshire iniziò ad abbaiare copiosamente al suo passaggio.
Il Guardiano ebbe una specie di deja-vù che gli fece scuotere la testa divertito.
 
 
Mettendo le ali ai piedi, Kou ci mise un attimo ad arrivare alla Namimori School. Nonostante le lezioni mattutine sarebbero cominciate solo da lì a mezzora, il cortile della scuola era già frizzantemente animato dai ragazzi impegnati con gli allenamenti mattutini.
Corse verso l’aula assegnata al Club di Musica, del quale faceva parte, per lasciare il suo prezioso strumento, per poi scappare nuovamente fuori.
Semplicemente, moriva dalla voglia di vederlo. Come mai prima di allora.
- Kou, non si corre per i corridoi! –
Era così immerso in questi suoi pensieri da dokidoki assurdo, che il richiamo gli arrivò ovattato alle orecchie. E lo percepì solo perché era una voce ben nota e conosciuta.
- Gomen zio Dino! – si scusò, senza tuttavia accennare a frenare la sua cacciata e salutandolo con una mano.
- Mattaku! – sospirò il biondo divertito, battendosi il registro di classe su una spalla. Per fortuna, ed incredibilmente!, era riuscito ad evitare la collisione.
- Guarda che se ti vede il Preside son guai, eh! – si divertì a prenderlo in giro e Kou, nonostante fosse accaldato dalla corsa, sentì un brivido ghiacciargli il sangue nelle vene. Lo “zio Kyo” – come continuava ostinatamente a chiamarlo, fuori da scuola ben si intende - era peggio di un boa costrictor in quanto a muoversi velocemente e silenziosamente, attendendo con sadico divertimento le sue prede cadere in fallo.
 
Kou era diretto verso la parte più distante dell’edificio scolastico. Per arrivarci stava quindi attraversando tutta la struttura, ricambiando gentilmente ogni saluto che gli veniva rivolto, sempre con un sorriso per tutti. Rallentò la sua corsa solo quando qualcosa aveva attirato la sua attenzione.
- Ohayo, Tsukishima-senpai. – salutò allegramente, dopo aver fatto marcia indietro.
Tsukishima sollevò gli occhi dal libro che stava leggendo, seduto sulla panchina più deserta e solitaria della Scuola, limitandosi a replicare con il suo monosillabo preferito, chiedendosi per l’ennesima volta del perché quel petulante ragazzino si fosse fissato con lui.
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Sarebbe inorridito se avesse saputo che Kou, vedendolo sempre da solo, si era incaponito di volerci assolutamente far amicizia, e facendo venire ogni volta il sangue alla testa ad Arima che cercava di farlo desistere da questo proposito suicida.
Kou sapeva benissimo che Tsukishima si aggirava per la scuola come un animale solitario perché gli andava bene così, ma pensava anche che fosse perché molto probabilmente non aveva ancora conosciuto nessuno al quale affezionarsi sinceramente. E quando esponeva questa sua teoria ai suoi due amici d’infanzia, Watari scoppiava a ridere di gusto, trovandosi perfettamente d’accordo con lui e promettendogli il suo aiuto, mentre Arima li fissava sconcertato, incrociando le braccia al petto e inarcando un sopraciglio, mentre li ammoniva dicendo loro di fare come diavolo li pareva ma che non si sognassero di coinvolgerlo a far amicizia con quel sociopatico del loro senpai. Allora Kou sorrideva leggermente, socchiudendo gli occhi e per Arima era la fine. Sì perché, come ogni volta, non sapeva mai dir di no a Kou, soprattutto perché sentiva partirgli da dentro un istintivo bisogno di proteggerlo silenziosamente e nell’ombra.
 
Nel frattempo Kou proseguiva nella sua corsa, passando davanti al campo di baseball dove stazionava ai bordi la solita orda assassina e minacciosa di ragazze, il cui oggetto di attenzioni – al passaggio del ragazzo – agitò la mazza in segno di saluto. Immediatamente ricambiato da Kou, che allargò il sorriso contagiato da quello caldo e solare di Watari.
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Ed infine arrivò al Dojo.
Il club di Tiro con l’Arco in quella soleggiata mattina si stava allenando fuori.
In religioso silenzioso, si avvicinò alla rete di sicurezza, prendendo posto a fianco ad alcune sue compagne di classe, letteralmente in estasi e che manifestavano tale estasi con risolini e piccoli schiamazzi.
- Arima-kun! –
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Cercarono di attirare l’attenzione del ragazzo nel momento in cui questi tese perfettamente il suo arco, concentrato. E in quel momento, col sole che ne dorava ulteriormente i capelli, poteva tranquillamente far invidia direttamente al dio Apollo, il grande arciere delle divinità greche.
Kou, senza accorgersene, trattenne il fiato, incastrando le dita tra le maglie della rete, forse a voler sopperire al desiderio di poterlo fare tra i capelli biondi del suo miglior amico.
Deglutì a vuoto nel momento in cui Arima scoccò la freccia e non gli servì controllare se fosse andata a segno. Neanche gli interessava a dire il vero. Ciò che gli interessava era che quegli occhi smeraldini si posassero su di lui.
In quelle settimane l’animo di Kou aveva avuto di che annoverarsi. Tra quelle strane fiamme che si sviluppavano nei momenti meno opportuni, tra l’aver capito che quando stava con Arima, quando smaniava per vederlo, quando doveva farsi violenza inaudita per non toccarlo più del necessario e del dovuto, molto probabilmente non era da considerarsi più affetto fraterno.
Con Watari non succedeva. Certo, era strafelice di stare anche con l’altro suo miglior amico di sempre, perché l’allegra presenza del giocatore di baseball era una ventata di aria fresca, ma con Watari non sentiva l’impellente desiderio di saltargli addosso.
Sospirò affranto a tali pensieri. Decisamente, tra una cosa e un’altra, c’era qualcosa che non andava in lui, pensò.
La sua attenzione fu risvegliata quando sentì che i gridolini concitati delle sue compagne andarono aumentando di intensità.
- Ohhh, si sta girando da questa parte! – squittirono felici.
Ma l’attenzione di Arima non era rivolta a loro. No, gli occhi di Arima – con ancora l’arco imbracciato – si spostarono fino ad incontrare quelli verdi di Kou. Che sentì il cuore partire al galoppo. E fu solo quando i loro sguardi si incrociarono che Arima permise alle sue labbra di aprirsi in un sorriso, appianando il leggero cipiglio sulla fronte.
- Huuu, Kou! – si lamentarono le ragazze - Quando ci sei tu, ti prendi sempre tutte le attenzioni di Arima-kun! –
- Ah … ehm … scusate … - bofonchiò, seriamente a disagio.
- Ma ti perdoniamo perché sei altrettanto carino. – sghignazzarono malefiche, prima di andarsene.
- E-eh? C-cosa? – biascicò, cercando di riparare il rossore delle guance con una ciocca di capelli, accorgendosi tuttavia che l’altro si stava avvicinando alla rete.
Cercando di calmarsi il più possibile dall’allegro sfarfallio che aveva malignamente iniziato ad agitarsi nello stomaco, la mente di Kou continuava a ripetersi “E’ solo Arima. È sempre e solo Arima. Il solito Arima …” “Appunto!” replicava il cuore in visibilio.
Ma Kou era bravo a eclissare e dissimulare i suoi turbamenti interni e salutò l’amico con tutta la seraficità di cui era possessore.
- Hai finito per questa mattina? – gli domandò, restando tuttavia rapito dalle dita dell’altro che si muovevano tra i capelli per scioglierli dalla piccola coda nella quale li aveva legati per liberare il volto dai soliti ciuffi fuori controllo.
- Sì. – rispose il biondo, ammorbidendo nuovamente le labbra in un sorriso.
“ Wow!” si ritrovò a pensare Kou, sentendo una piccola parte dentro di sé inorgoglirsi, perché non poteva proprio far finta di non vedere che quel sorriso Arima lo dedicava solo a lui.
- Mi cambio e arrivo. – proferì quest’ultimo, non prima di aver appoggiato a sua volta, per un attimo, le dita nella fessura a fianco di quella dove si trovavano quelle di Kou, e le mani dei due si sfiorarono.
Molto presto quelle stesse dita si sarebbero intrecciate per la prima volta per non lasciarsi mai più. Nel momento in cui entrambi avrebbero trovato il coraggio di confessarsi i propri sentimenti l’uno all’altro.
 
Kou con Arima diventava ancora più ciarliero, soprattutto perché il taciturno compagno si limitava ad ascoltarlo in silenzio, divertendosi ogni tanto ad intervallare il monologo dell’altro con battutine e frecciatine a suo danno, che il rosso accoglieva scoppiando a ridere, perché sapeva che il tutto era fatto con estremo e sincero affetto.
Stava finendo di raccontare del concerto che avrebbe avuto di lì a qualche giorno con l’Orchestra Scolastica della quale faceva parte, quando un “Attenzione” gridato nella loro direzione fece appena in tempo a far presagire ai due un imminente pericolo, e Kou si ritrovò steso a terra da un micidiale Home Run del miglior battitore della Squadra di Baseball.
- Gomen, gomen Kou … - si affrettò a scusarsi Watari, porgendo una mano all’amico per aiutarlo ad alzarsi, dopo esser corso verso i due a veder i danni fatti.
- Watari, razza di scimunito, l’hai steso! – si inalberò Arima, prendendolo per il bavero della divisa sportiva, con intenzioni per niente pacifiche.
- Arima, sto bene, tranquillo. – cercò di riportar la calma il diretto interessato, come sempre, mettendosi a sedere a terra e massaggiandosi la testa dolorante.
- Scusami … - sussurrò mortificato Watari, porgendogli nuovamente la mano e sempre con il suo bel sorriso stampato in faccia.
- Va tutto bene. – lo rassicurò Kou afferrando la sua mano.
- Tch! – fu il commento di Arima – Va a cambiarti, che è quasi ora di lezione. – ammonì il giocatore.
- Sì, mammina. – si divertì a prenderlo in giro quest’ultimo.
- Crepa! – fu l’ovvia risposta che lo fece scoppiare a ridere, prima di scappare a cambiarsi, non prima di aver urlato un allegro “Yamamoto-Sensei, ha visto il mio Home Run?” che sfondò i timpani agli altri due.
 
La giornata proseguì nel migliore dei modi, come sempre.
Le ore mattutine di lezione scivolarono via pigramente e sonnacchiosamente. Durante quelle pomeridiane ci fu un piacevole diverso dato dall’ora buca di Economia Domestica, dato che Dino e Takeshi – avendo un’ora libera da lezioni a loro volta – avevano deciso di sfidare i loro alunni in una gara di cucina.
Gara di cucina che si tramutò ben presto in una cosa goliardica quanto casinista, tanto da spingere il Preside dell’Istituto – alias Hibari Kyoya – ad indagare, facendo serpeggiare il panico, in particolar modo nel suo compagno, che sapeva avrebbe fatto una brutta fine di lì a poco vedendo il guizzo malefico passare negli occhi grigi dell’altro.
“ Sono un uomo morto!” aveva pensato Dino con un brivido, pur tuttavia continuando a sorridere imperterrito.
Stavano quindi rientrando a casa, Kou, Arima e Watari, ridendo e chiacchierando del più e del meno, spensierati, tanto che il primo quasi si dimenticò delle sue preoccupazioni.
Con il sole che tramontava davanti a loro, Watari si portò una mano a schermarsi gli occhi marroni.
- Oh! – esclamò divertito, scorgendo la figura di spalle di Tsukishima camminare solo qualche metro davanti a loro.
- Bene, vado a fraternizzare con il nemico. – proferì, facendo il segno di vittoria con le dita e strizzando l’occhio agli altri due, che rimasero basiti con il loro gelato a mezz’aria.
Arima e Kou si scambiarono un’occhiata perplessa, mentre osservavano l’amico raggiungere l’altro con una veloce corsetta.
Tsukishima si limitò ad alzare gli occhi dal libro e lanciargli una chiara occhiata infastidita, ma Watari non si fece gelare da quello sguardo turchese, anzi: pensò bene di fargli un buffetto tra i capelli castani – e lì Kou e Arima temettero seriamente per la sua vita – per poi passare quella stessa mano tra i suoi ciuffi biondi ribelli in una sorta di coccola, cercando di placare l’ira funesta dell’altro.
A quel gesto, i due indietro si rinnovarono l’occhiata, ma stavolta non era un’occhiata interrogativa, ma eloquente e sghignazzarono ammiccanti.
 
Kou, finita la cena, finiti i compiti, finito di dare una mano a sistemare in cucina, si trovava nel bagno al piano inferiore, di fronte allo specchio.
Ormai non poteva più negarlo.
Da quando si era rinchiuso in bagno aveva provato a controllare la fiamma e, dopo vari tentativi, si sentiva più sicuro in merito al padroneggiarla ma questo non voleva dire che la cosa non lo angustiasse.
Sospirò rumorosamente, con le mani appoggiate al lavandino, chinando il capo per poi riportare gli occhi alla sua immagine riflessa.
C’era una sola cosa da fare …
- Papi? – li richiamò con voce tremula, entrando in salotto dove si trovavano Tsuna ed Enma. I due si voltarono sorridenti verso il figlio sulla soglia, ma quando videro la Fiamma sprigionare dalla sua fronte, ritornarono seri, fissandosi.
Com’era stato per Tsuna, anche la Fiamma di Kou era stata sigillata fino a quando le condizioni non fossero state pronte, e questo significava che Kou era pronto.
Enma e Tsuna, di nuovo e come sempre, si parlarono con gli occhi, prima di assentire leggermente con il capo e nel momento in cui riportarono l’attenzione al figlio, sprigionarono a loro volta le loro Fiamme pure.
Kou spalancò gli occhi verdi, ammaliato, prima di sospirare di sollievo, portandosi una mano all’altezza del cuore.
- Allora è tutto a posto. Non ho niente che non vada. È una cosa che ho ereditato da voi. – proferì al limite della commozione data dal sollievo arrecato, facendo sorridere teneramente gli altri due.
Chissà da quanto si teneva questo cruccio dentro, pensarono, sentendosi in pena per lui.
- Kou, vieni, siediti. – lo invitò Enma, facendogli segno di raggiungerli sul divano.
- Non è finita qui, eh? – ci provò Kou, grattandosi la punta del naso.
- No, non è finita qui, no … - sussurrò Tsuna, facendogli segno a sua volta di raggiungerli, dopo che aveva tirato fuori dal fondo di un cassetto un vecchio album di fotografie.
Kou inarcò un sopraciglio perplesso. Primo, non l’aveva mai visto prima d’ora; secondo, chi esisteva ancora al giorno d’oggi che sviluppava e stampava foto?, si chiese interdetto, mettendosi a sedere in mezzo ai suoi genitori.
- Adesso ti raccontiamo la storia di questa Fiamma e da dove e da chi ha avuto origine. – gli spiegò dolcemente il Juudaime, posandogli l’album in grembo, invitandolo con un cenno del capo ad aprirlo.
Kou li fissò dubbioso entrambi, prima di concentrarsi sulla copertina. Sapeva che nel momento in cui l’avesse aperto, non si sarebbe più potuti tornare indietro.
Intuendo già la portata della cosa, sospirando greve, aprì l’album.
- Pà! – bisbigliò basito, sollevando di scatto gli occhi verso quelli di Tsuna, che gli sorrise dolcemente. Certo, lui Giotto la prima volta che l’aveva visto se l’era trovato davanti in carne ed ossa, ma capiva comunque perfettamente lo sbigottimento del figlio anche a vederlo ritratto in una vecchia foto.
- Questo … questo non è il nonno da giovane … - mormorò Kou, sentendogli la testa girare.
- Indubbiamente no. – sorrise incoraggiante Tsuna.
- E allora perché questo ragazzo ti somiglia così tanto? – chiese, deglutendo a fatica.
Non era pronto. Qualsiasi cosa fosse, non era pronto; continuava a martellarsi in testa.
- Kou, va avanti. – si limitò ad invitarlo, sempre dolcemente. E Kou, girando pagina, obbedì. E un nuovo choc lo attese.
Se Tsuna, crescendo, era diventato sempre più somigliante a Giotto, Enma era da sempre la fotocopia vivente di Cozzato.
D’istinto, il ragazzo ritrasse di scatto la mano dall’immagine del primo boss Simon, per appoggiarla sopra quella di Enma, senza rendersene conto, per poi portarla davanti agli occhi.
- Ok … - bisbigliò – Ok … - ripeté, portando lo sguardo ora all’uno ora all’altro.
- Voi due, quanti anni avete in realtà? – chiese, incredibilmente serio.
Era rimasto colpito da una delle ultime letture fatte sui vampiri, e del fatto che, essendo più o meno immortali, soverchiavano il valore del tempo, susseguendosi nelle varie ere.
Ora, vedendo che i due ragazzi nella foto erano così sorprendentemente uguali ai suoi due genitori e che i vestiti che indossavano appartenevano indubbiamente ad un’altra epoca, il dubbio gli era venuto legittimo.
Enma e Tsuna scoppiarono a ridere di gusto, avendo perfettamente intuito quali pensieri fossero, comprensibilmente, sorti nella mente del figlio.
- No, tranquillo: non siamo sopravvissuti a tutte queste ere. Questi son semplicemente i nostri antenati. – spiegarono e Kou accolse la risposta annuendo con il capo, per poi riportare l’attenzione verso la foto e solo allora rendersi conto di quei capelli rossi … Erano come i suoi …
Quei due ragazzi ritratti erano anche suoi predecessori …
Lasciò vagare lo sguardo, fino a quando la voce di Enma non lo richiamò alla realtà.
- Vuoi conoscere tutta la storia? – gli chiese e lui, sempre con lo sguardo perso, annuì.
E Tsuna ed Enma iniziarono a raccontare …
 
I due, nel racconto, si erano avvalsi delle chiavi che, vent’anni prima, i Vindice avevano lasciato loro. E avevano raccontato tutta la storia dall’inizio e Kou aveva rivissuto tutto con loro. Ogni cosa.
Del primo incontro di Giotto e Cozzato, della creazione della Famiglia Vongola e Simon, del loro nobile scopo, dei Guardiani di Prima Generazione (Kou ebbe quasi un coccolone quando, attraverso le chiavi, vide G. e Alaude, perché fisicamente gli ricordavano indubbiamente due persone di sua conoscenza. Anzi: quattro a dirla tutta! E come si era già affezionato un sacco a tutti loro! Aveva sentito qualcosa, un affetto viscerale montargli dentro, come se li avesse conosciuti da sempre. Per non parlare del magone assurdo che l’aveva colto quando aveva visto i suoi adorati papi l’uno contro l’altro, per poi salvarsi a vicenda, come nelle migliori storie) e di come, Dieci Generazioni dopo, quegli Anelli fossero arrivati nelle mani di Enma e Tsuna e tutto quello che ne era conseguito.
Ora se ne stava seduto fuori, nel giardino di casa, con una coperta gettata sulle spalle, mentre cercava di assimilare ogni cosa.
Era tutto così assurdo! Ok, aveva sempre avuto sentore che Uri e Natsu non fossero propriamente due animali come gli altri, ma avendoli sempre visti fin da bambino aveva dato per scontato che fossero normali così, punto e fine. La mente dei bambini non si ferma ad interrogarsi più di tanto sull’ovvietà dei fatti presentati. E ok che i vari zii che orbitavano nella sua vita erano particolari. E poi i suoi due adorati papi …
Come capperi aveva fatto a non capire la verità per tutto quel tempo? Lui sapeva che lavoravano tutti insieme in una sorta di corpo di Difesa che aveva a che fare con organi esterni, e ok: era effettivamente così. Sì, prendendola alla larga. Molto alla larga!
Forte del fatto che l’unione di due Famiglie come Vongola e Simon - supportate dai Cavallone e dai quei pazzi scatenati dei Varia - aveva permesso anni e anni di tranquillità, nessuno dei Guardiani, né tantomeno Tsuna ed Enma, si erano mai dovuto assentare più di tanto da casa, a parte per le solite riunioni formali, e la vita quotidiana era proseguita senza particolari intoppi.
Ed ora … ed ora la vita di Kou era stata gettata in una sorta di centrifuga. Non poteva sottrarsi al suo Destino. Certo, ne dovevano passare di anni, e di acqua sotto ai ponti, ma restava pur sempre l’Undicesimo Boss di entrambe le Famiglie …
Sospirò, ed era così immerso in quei pensieri frastornarti che non si accorse che qualcuno gli si era avvicinato.
 
Da dentro casa, Tsuna ed Enma, l’avevano sorvegliato e tenuto d’occhio. Potevano perfettamente sapere come si sentisse. C’erano passati entrambi e, conoscendo il loro figlio, sapevano che adesso necessitava di restare solo per raccogliere le fila dei suoi pensieri.
 
- Kou? –
- Onii-chan! – sorrise lui di rimando, facendogli spazio per farlo sedere sul dondolo.
Lambo in quei giorni si trovava ospite a casa loro, in uno dei suoi viaggi in Giappone, ed era rientrato in quel momento.
Il fatto che avessero solo dieci anni di differenza, lo faceva sentire a Kou estremamente vicino. Come una specie di fratello maggiore.
Lambo si accorse immediatamente di come l’altro si rigirasse tra le mani i due Anelli. L’Anello dei Cielo e l’Anello della Terra.
Sospirò, portandosi in appoggio sulle mani e sollevando gli occhi alla volta stellata.
- Te l’hanno detto, eh? – domandò, spiando la reazione dell’altro di sottecchi.
- Hmn … - biascicò Kou, stringendosi maggiormente nella coperta. E Lambo attese. Attese che fosse Kou a parlare o chiedere, se ne sentiva la necessità.
Non era rimasta pressoché nessuna traccia della mocciosità della Scemucca di vent’anni prima.
- Tu avevi solo cinque anni quando tutto questo casino è iniziato … - farfugliò Kou e Lambo rise, scompigliandogli ulteriormente i capelli rossi, per poi passargli un braccio intorno alle spalle e stringerlo a sé.
- Sì, avevo solo cinque anni, sì … - ricordò, sorridendo teneramente al ricordo. Nella sua sconsideratezza di bambino, aveva trovato ogni cosa estremamente divertente. Sia che fossero questi i battibecchi con Hayato, piuttosto che gli scontri nel Futuro.
Kou lo spiò di sottecchi, sperando che continuasse a rievocare. Ne aveva un disperato bisogno.
E Lambo proseguì a parlare.
- Tra i ricordi del mio passato ci sono cose che non potrei cancellare nemmeno volendo … per me sono stati i giorni più felici e non vedevo l’ora di entrare nel loro mondo (KHR Vol. 33 Ch.312) –
Kou sospirò, sollevando gli occhi da terra e portandoli a sua volta al cielo stellato.
- Non sarai solo Kou – proseguì Lambo, dandogli un’incoraggiante pacca sulla gamba – Non sarai mai solo, così come non lo sono mai stati neanche Tsuna ed Enma. Ci sarà sempre tanta gente intorno a te e a vegliare su di te. – concluse mormorando, primi di stiracchiarsi e sbadigliare rumorosamente.
- Toh! La Stupidiera. – rise il Guardiano guardando verso il cancello, facendo uscire una piccola risatina gutturale dalla gola.
- Tch! Taci Scemucca! – lo ammonì Hayato stizzito, incrociando le braccia al petto, dopo aver scoccato un’occhiata di fuoco anche al suo compagno, reo di esser scoppiato a ridere.
Nonostante fossero entrambi adulti, nonostante fossero passati anni, quella loro maniera di punzecchiarsi era rimasta, affettuosamente, inalteratata.
Kou si alzò sorridendo a sua volta, suo malgrado. Pensò che anche per Takeshi e Hayato, vent’anni prima, tutta quella cosa non doveva aver avuto un peso indifferente nei loro pensieri e nelle loro vite, ma aveva ragione Lambo: nessuno era mai rimasto solo. Nessuno era mai stato lasciato indietro.
Andò ad aprire il cancello ai due nel momento in cui, dal fondo della strada, sentì echeggiare una risata calda e avvolgente. Stavano arrivando anche Dino e Kyoya.
Casa sua era indubbiamente un porto di mare, pensò divertito mentre rientrava per annunciare ai genitori degli allegri arrivi.
Enma e Tsuna si girarono all’unisono, scrutando attentamente nel suo volto e lui si limitò a sorridere dolcemente, piegando la testa di lato, socchiudendo gli occhi mentre due adorabili fossette gli ornavano le guance, in quella posa che non aveva indubbiamente ereditato da loro due, ma da qualcun altro.
E con quale consapevolezza differente adesso Kou guardò quella reunion di vecchi amici.
E visto che il Destino ci mette sempre lo zampino quando vuol darci conferma che la strada che abbiamo deciso di intraprendere è quella giusta, il campanello suonò nuovamente.
Kou andò ad aprire. Sorrise vedendo due ben conosciute zazzere dorate.
Il sorriso di Arima e Watari si aprì al sincrono, così come quello di Kou. Ma le labbra si trovarono costrette a spalancarsi quando si accorse che i due non erano soli.
Scoprendo solo in seguito cosa e come - ma un sospetto ce l’aveva e portava di sicuro il nome di Watari e gli sguardi che i due si lanciavano da qualche giorno quando capitava che i loro occhi si incrociassero – l’avesse condotto lì, Kou salutò calorosamente anche Tsukishima.
“ È vero! Anch’io non sarò mai solo. ”
Kou, quando sarebbe stato il suo turno, avrebbe portato avanti con orgoglio e contentezza l’eredità di Vongola e Simon.
 
FINE^^
 

E mentre ascolto la OST di Tokyo Ghoul son qui a darvi i saluti finali. Ma siccome mi fanno sempre una tristezza incommensurabile, vi lascio dicendo che, se mi gira, farò anche un’appendice, sempre con questa ambientazione temporale.
Io mi son divertita tanto a creare i 4 ragazzuoli, e le somiglianze di carattere e/o fisiche con i ragazzi di Prima e Decima che li hanno preceduti è voluta.
Così come mi son divertita tantissimo e creare le loro versioni chibi^^ Non sono adorabili?
Speriamo di vederci presto.
Ja ne
 
 

 
 
 Ittekimasu*: Corrisponde al nostro “Vado” quando si esce da casa
Itterasshai*: Fa attenzione, in risposta a qui sopra
 
   
 
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