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Autore: WandererS    07/02/2015    2 recensioni
"Se fosse venuto a prendermi, l'avrei seguito: tanto peggio per lui. Non andrò al suo funerale." Grantaire - I Miserabili, Victor Hugo
E se Grantaire si fosse svegliato tardi?
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Enjolras, Grantaire
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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3 - Ebbrezza




 
Era ubriaco ormai da giorni.
Aveva sempre con sé una bottiglia di rosso, e vi si attaccava con voracità, come se ne dipendesse la sua vita. Il vino gli dava una meravigliosa sensazione di intorpidimento, alleviando il suo dolore. Non gli concedeva il tanto agognato oblio – quello no, mai l'aveva fatto, maledetto! - ma almeno avvolgeva tutto in una vaga foschia: ricordi, sensazioni, pensieri, presente e passato...
Lo stordimento non era sempre totale, ma evitava accuratamente il rischio di tornare sobrio, anche solo per qualche minuto. Poteva quasi vedere la massa incombente del suo dolore minacciare di sopraffarlo, tenuta a bada da una fragile parete ricurva di vetro scuro, dietro cui si rifugiava, grato.
Se la sobrietà era sorprendentemente semplice da evitare, era un altro il pericolo da cui più faticosamente rifuggiva: il sonno.
Ne era terrorizzato.
Ogni qual volta le palpebre calavano e faceva per scivolare nell'incoscienza, gli sembrava di rivivere quell'orribile notte: sentire gli occhi chiudersi contro la sua volontà, addormentarsi con i pensieri impastati dall'alcool... Svegliarsi in quella sala, in quel silenzio di morte. No! Un tuffo al cuore, il battito accelerato, il panico strisciante nelle vene: mai più, giurava. Mai più...
Erano tre giorni che beveva e non dormiva, o forse più. Aveva perso il conto, o forse non l'aveva mai tenuto.
I giorni cominciavano a confondersi, le ore di luce e di buio non avevano più alcun senso per lui.
Si rinchiudeva nel suo misero appartamento o vagava per le vie di Parigi, si buttava di malagrazia agli angoli delle strade, o nelle taverne, non faceva differenza. Marciapiedi, panche o sedie mezze sfondate: cosa cambiava, finché aveva una bottiglia stretta in mano?
Nei momenti di maggiore lucidità afferrava fogli sgualciti e carboncino e disegnava.
Una volta lo aiutava a distrarsi, a calmarsi. Ora non più.
Tratti decisi, rabbiosi, imperfetti ma così giusti... La sua mente intorpidita lo implorava di dimenticare, ma i suoi occhi si ritrovavano a fissare il passato. Visi amici, impressi su carta, con pochi tratti imprecisi: la mascella squadrata di Feuilly, la pelata di Bossuet, le costellazioni di lentiggini di Jehan... Eppure, quel volto di cui tanto spesso aveva riprodotto ogni più insignificante particolare si rifiutava di prendere forma. Non come prima, quando sembrava che la sua mente neppure guidasse la sua mano, tanto veloci e precise erano le sue dita. Ora sembravano ingessate, esitanti, incerte. Contro il suo volere, si muovevano con rabbia sulla carta, ma dopo qualche istante si bloccavano, incapaci di proseguire. Non sapeva se gli faceva più male vedere quei volti abbozzati fissarlo da un passato ormai così lontano, o non vedere tra loro lui, il suo Enjolras: qualche ricciolo, il naso appena abbozzato... ma non appena provava a continuare, compariva uno sguardo piatto, morto. Morto. E lui vi passava sopra un pollice, con rabbia, con terrore, per non vedere più quello sguardo. L'unica sfumatura nei suoi disegni, ormai, era quella sbavatura sul viso di Enjolras.
Si attaccava al collo della bottiglia come ne succhiasse la vita stessa, spezzava il carboncino fra le dita e buttava a terra tutti i fogli, spiegazzandoli, accartocciandoli... per poi recuperarli ore dopo, incapace di lasciar andare quegli ultimi ricordi, che aveva cercato di sradicare dalla mente e aveva impresso su carta, fragili ma indelebili.
Gli sembrava fosse passato un secolo da quel passato.
Nel giro di una notte era cambiato tutto. E non era cambiato niente.
I suoi amici erano morti. Il re era vivo.
I suoi amici avevano combattuto per la libertà della Francia. E il popolo era ancora schiavo.
Per che cosa si erano sacrificati?
Non lo sapeva. Non lo capiva.
Come si poteva scegliere di morire pur consapevoli dell'inutilità del proprio sacrificio?
Lui non credeva in niente, forse per questo non capiva.
Un bagliore dorato.
Con la coda dell'occhio colse un riflesso color dell'oro. Volse lo sguardo e vide due giovani camminare affiancati, parlottando tra loro. La fibbia della cintura del più vicino rifletteva di quando in quando la luce di un lampione.
Era seduto per terra sull'uscio di una casa, appoggiato con la schiena ad una porta che sembrava non essere stata aperta da tempo, a giudicare dalle ragnatele, una bottiglia in una mano e un'altra appoggiata a qualche palmo di distanza.
«Sono una noia le lezioni di Blondeau. E lui è così intransigente... Ieri ha minacciato di cacciare me e un'altra mezza dozzina di studenti, e solo perché un paio di giovanotti lì vicino stavano scambiando due parole. Robe da matti! Sembra che oltre ad un enorme naso adunco abbia anche delle grandi orecchie.»
«E di che parlavano quei due, di tanto importante da rischiare le minacce di Blondeau?»
«Di uno degli assenti. Pare che oggi sia stato il suo terzo appello mancato, quindi Blondeau l'ha cancellato, con sua somma soddisfazione. Dicevano che è morto sulle barricate. Secondo te è vero?»
«Possibile. Si dice che fossero quasi tutti studenti...»
«Beh, devono essere stati coraggiosi, così giovani, ad affrontare i fucili e i cannoni della guardia nazionale...»
«Coraggiosi? Direi piuttosto folli! Folli e pazzi e sconsiderati, a pensare di potersi opporre alle forze del re, loro soltanto.»
Grantaire, nell'ombra, sogghignò, portandosi la bottiglia alle labbra.
I due studenti lo videro solo in quel momento, e, turbati, allungarono il passo.
Grantaire osservò il vetro scuro, scrutando per una volta non nelle sue profondità, dove agognava annegare il suo dolore, ma in superficie, e scorse il proprio riflesso.
Era sempre stato brutto, era diventato orribile.
Un sorriso amaro animava il suo volto, più un ghigno animalesco che un'espressione umana. Quella parvenza di vita contrastava con il resto: pareva un teschio. La pelle pallida si tendeva sulla ossa, la barba ispida gli dava un'aria selvaggia e cupa, le occhiaie bluastre circondavano gli occhi infossati. Una scintilla ferina, folle, animava il suo sguardo, pur mitigata dalla nebbia dell'alcool.
Si scolò l'altra metà della bottiglia in un sorso e la lanciò sul selciato, facendo schizzare schegge di vetro in tutte le direzioni. Una lo ferì al piede; non se ne accorse neppure.
I suoi giorni e le sue notti proseguirono così, sempre uguali. Beveva, camminava, beveva, crollava, beveva, beveva, si accasciava su una sedia, beveva, camminava, beveva, si lasciava cadere a terra, per strada...
Fu cacciato dall'appartamento perché non pagava più l'affitto.
Prese con sé i suoi disegni e riuscì a venderne qualcuno per comprarsi il vino.
Vagò per le strade, dormì nelle bettole e sotto i ponti.
Rubò e mendicò, ma non se la cavava troppo bene.
Soffrì la fame e il freddo.
Vendette la giacca.
Bevve.
Seduto scompostamente contro il muro di cinta di un giardino, una pietra sporgente conficcata nella schiena, beveva a lunghi sorsi dall'ultima bottiglia che era riuscito a comprare con i pochi franchi ricavati dalla quella sua vecchia giacca.
Stringendosi le braccia intorno al corpo, tentò invano di riscaldarsi. Inutile: meglio concentrarsi sul vino. Allungando una mano verso la bottiglia, notò qualcosa di strano, cercò di mettere a fuoco, a fatica: un filo rosso pendeva dal polsino della camicia, avvolto intorno al bottone. Confuso, la mente annebbiata, si sforzò di ricordare. Gli pareva che il mondo fosse diventato grigio, dopo quel giorno...
Non voluta, non cercata, apparve davanti a lui l'immagine che temeva, che lo tormentava.
Enjolras, la giacca rossa splendente sul suo corpo snello, era davanti a lui.
I suoi riccioli biondi rilucevano come oro fuso, la sue pelle era bianca come il marmo, ma le sue labbra erano rosse e vive e i suoi occhi... oh! Erano luminosi, splendenti! Gli sorrideva, sereno, nessuna accusa nel suo sguardo. Gli tendeva la mano.
Grantaire sorrise e protese una mano per prendere quella di Enjolras. Forse non era più arrabbiato con lui, forse ora aveva finalmente la possibilità di riparare al torto che gli aveva fatto...
“Ne sono capace”
La mano gli ricadde pesantemente in grembo.
Una prostituta dai capelli biondi arruffati e sporchi gli si avvicinò.
Vide due occhi azzurri sbarrati e spenti, un vago sorriso aleggiare sulle labbra di quel giovane che pareva già uno scheletro.

 


































 

Nota dell'autore: così finisce questa mini-long. Sono triste e commossa perchè mi sono immedesimata parecchio, c'è anche un po' di me in questo Grantaire, e lasciarlo andare mi costa fatica. Ma è nell'ordine delle cose, purtroppo!
Spero di non essermi fatta odiare ancora di più con questo finale, non ho idea di cosa vi aspettavate ma ho voluto ricercare l'equilibrio perso con il "What if?", anche se non sono sicura che così abbia senso... in ogni caso, questa era la mia idea e sono felice che abbia preso forma, tanto più che è meno peggio di quel che mi aspettavo. Ovviamente non sono soddisfatta al 100%, ma se volete darmi una sgonfiata o anche dirmi semplicemente cosa ne pensate, ne sarò molto felice! Intanto, voglio ringraziare Flatwhat e WhiteWitch per aver recensito i primi capitoli, sperando che si facciano di nuovo vive, se non le ho fatte fuggire a gambe levate! Scusate, cerco di sdrammatizzare perchè sono commossa (e pure parecchio stanca, vista l'ora), e non voglio pensare che domani devo studiare... merda.
Ok, ora basta sul serio, devo lasciar andare questa fanfiction, davvero.
Arrivederci (spero) lettori!
S.
   
 
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