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Autore: R e d_V a m p i r e     09/02/2015    1 recensioni
Mello e Matt non sono morti quel ventisei Gennaio. Eppure per Mihael sarebbe stato meglio se la sua vita fosse terminata quel giorno, piuttosto che dover passare i mesi seguenti con la sola compagnia di un angoscioso senso di colpa. E ritrovarsi a dover fare forzatamente i conti con i suoi sentimenti.
Perché Mail non è morto, è vero, ma è come se lo fosse. E dal coma, del resto, è difficile risvegliarsi. Così come lo è continuare a sperare.
«Perché non muovi quel pigro culo da drogato di videogames e ti svegli? Hai dormito abbastanza e siamo qui da quasi un mese...»
«... svegliati, Mail... voglio tornare a casa...»
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri personaggi, Matt, Mello | Coppie: Matt/Mello
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Allora seppi che avrei dedicato ogni minuto che ci restava da passare insieme a renderla felice, a riparare al male che le avevo fatto e a restituirle ciò che non avevo mai saputo darle.
[Il gioco dell'angelo - C.R.Z]




L'uomo uccide sempre ciò che più ama
{Ma anche il purgatorio può ambire al paradiso}




Se Halle Lidner provasse a sbirciare adesso dalla porta della stanza che piantona da quella che le sembra più di un’ora – del resto quando si ci annoia il tempo scorre in modo davvero bislacco – probabilmente si chiederebbe per l’ennesima volta cosa passi per la testa piena di riccioli candidi del ragazzino che è il suo capo.
L’ambiente completamente immerso nel buio impedisce, in ogni caso, di riuscire a scorgere nulla più che gli indistinti profili dei macchinari e della scarsa mobilia quando non le figure di chi al suo interno si trova.
I beep lenti e regolari sono l’unico suono costante da così tanto tempo, lì dentro, che all’improvviso sentire il fruscio delle lenzuola sembra quasi una nota stonata alle orecchie di Near; gli occhi grandi e scuri rimangono fissi su ciò che riesce a scorgere, ormai abituato all’assenza di luce, oltre le coperte immacolate che ricadono troppo lunghe al lato sinistro del letto creando disarmonia nel complesso dell’immagine.
Rimane in silenzio anche quando vede una mano pallida emergere dal buio, sollevarsi a mezz’aria  e rimanere lì esitante, le lunghe dita a tremare leggermente e ripiegarsi in brevi scatti muovendosi sgraziate e senza un’apparente meta fino a che non incontrano la plastica grigio-azzurra della mascherina per l’ossigeno resa opaca dal respiro che, finalmente, torna ad essere naturale.
Il verso che segue dopo è un rantolo rauco, sembra più quello di un animale che di un uomo e Nate, rannicchiato sulla sedia al lato opposto della stanza, quasi sorride nel percepirci un insulto. Forse se l’è solo immaginato, ma sarebbe decisamente da lui tornare alla vita con un ‘’cazzo’’ fra le labbra.
Passano lenti i secondi, le dita bianchissime stringono quel pezzo di plastica debolmente eppure con disperazione; non accenna ad allontanarlo da sé, ne ad abbassarlo fra le coperte. Il lungo tubo trasparente a cui è unito è l’unico collegamento con il macchinario che l’ha tenuto in vita fino ad ora, un cordone ombelicale di plastica e acciaio che è arrivato il momento di tagliare.
La gabbia toracica si espande appena, sotto la camicia ospedaliera azzurrina, e poi torna
a restringersi ed il petto abbassarsi. Ma questo basta a concedere un sospiro di sollievo al ragazzo dai capelli albini, che si rende conto solo in quel momento di aver trattenuto il suo di respiro in attesa di vedere con i suoi occhi se il miracolo sia avvenuto o meno.
Miracolo, che termine inesatto poi. Ma l’altro lo definirebbe senza dubbio in quel modo e quindi non può che farlo a sua volta, anche se solo nella sua testa.
«Non ne hai più bisogno. E’ un buon segno» commenta, a voce bassa, spezzando l’innaturale silenzio che è familiare abitudine nei loro incontri.
I giorni subito dopo il suo risveglio ha parlato tanto, più di quanto sia mai stato abituato a fare, per entrambi. Ma il suo interlocutore non ha mai detto una singola parola, malgrado fosse visibilmente sveglio e vigile.
Passando i giorni ha iniziato a parlare sempre meno e rimanere sempre più in silenzio, limitandosi alla compagnia data dalla propria presenza.
L’ex numero uno della Wammy’s House sa perfettamente che non è certo questo di cui il suo ospite ha bisogno o desidera, non è certo sciocco al punto da credere che sia la sua presenza ad essere voluta lì dentro.
Del resto l’unica volta in cui ha sentito la voce del redivivo hacker, nelle due settimane precedenti, è stata quando ha udito un sussurro affaticato molto simile ad un ‘’dov’è?’’ che si è infranto contro la plastica della mascherina ed è stato quasi inghiottito dal rumore dei macchinari.
Ha subito compreso cosa intendesse, ma è rimasto ugualmente in silenzio per tutta la mezz’ora successiva. E quando alla fine si è alzato per andarsene, fermo sulla porta e consapevole che il ragazzo sul letto non stesse affatto dormendo malgrado così ad un occhio poco attento potesse sembrare, ha semplicemente mormorato un laconico ‘’è vivo’’ abbandonando poi la stanza e lasciando il suo abitante a rimuginare su quelle parole prive di qualsiasi sfumatura a cui aggrapparsi.
Del resto, nei giorni che sono seguiti, il numero tre non ha più fatto alcuna domanda ed è tornato al suo mutismo e la sua lotta contro il respiratore artificiale – contro il suo stesso corpo.
Ed oggi, finalmente, ha vinto.


Near socchiude gli occhi, infastidito dall’improvvisa luce che filtra tra le tapparelle e che lo ferisce al pari di una lama arroventata; li sente bruciare e lacrimare, ma non combatte la reazione naturale e si limita a calare le palpebre e strofinarvi contro il dorso di una mano, portando via le lacrime intrappolate fra le ciglia e che non hanno avuto il tempo di rotolare lungo le guance.
Fuori dalla finestra il leggero vento porta via qualche petalo rosa dall’imponente Sakura che è diventato nido per le rondini. Quando finalmente riesce a riaprire gli occhi senza vedere più chiazze colorate fa in tempo a cogliere il volteggiare di uno degli uccelli neri attorno ad un ramo, guardandolo poi schizzare aggraziato su nel cielo azzurro punteggiato di nuvole bianche. Attende solo qualche istante ancora, prima di voltarsi e dare le spalle alla finestra che si è deciso a spalancare. C’è bisogno di cambiare aria, lì dentro.
Non si stupisce nell’accorgersi che nessuno dei suoi movimenti ha prodotto alcuna reazione nel ragazzo seduto nel letto, che rimane ancora abbandonato ai cuscini bianchi poggiati contro lo schienale con le mani riverse in grembo, sopra le coperte leggere che coprono le lunghe gambe.
La brezza che spira da fuori, e gonfia le tende ai lati della figura minuta del nuovo Elle, gli accarezza gentilmente il viso e le braccia nude fino al gomito increspando leggermente quella pelle troppo pallida e scompigliando affettuosamente i capelli di un rosso cupo, spento, che ricadono ormai sulle spalle e incorniciano un viso emanciato. Non ha mai avuto chissà quale peso importante, se si toglie il periodo dell’infanzia che lo ha visto come un bambino ciccione con un assurdo taglio a scodella, ma adesso è ancora più magro. La malattia ne ha modellato i tratti, rendendoli affilati e gli zigomi sporgenti, ma non ha cancellato la bellezza. C’è ancora, come un’ombra sul viso, ma è delicata e in un certo qual modo commovente.
Tiene gli occhi chiusi, le ciglia scure fremono appena e così la pelle sottilissima delle palpebre, sono cerchiati da un’ombra scura che piano piano scomparirà. O così Nate si augura.
Non c’è alcun segno sulla sua pelle, niente cicatrici evidenti a deturparla – quelle sono nascoste sotto la camicia, si trovano sul petto e sulle spalle, sono piccole e circolari e non andranno mai via.
Ispira fragilità ed è sempre stata una nota stonata quando si parla di lui.
Il più piccolo di quello che non è mai stato, veramente, un trio attende.
Attende qualsiasi cosa, non sa nemmeno lui cosa aspettarsi, ma sa di doverlo fare. Lo sente, in qualche modo.
E quando finalmente il ragazzo sul letto apre gli occhi, fissando dritto davanti a sé, con il vento a scompigliargli i capelli e la luce a bagnare la sua figura rendendolo tutto un gioco di chiaro scuri, si permette un sorriso.
«Com’è… la giornata, oggi? »
Poco importa che sia piccolo e triste. E che senta il bisogno di distogliere lo sguardo da lui, voltandosi di nuovo a guardare fuori dalla finestra, socchiudendo gli occhi. Anche se questa volta non può dare la colpa alla luce, per il bruciore che avverte.
«Oggi è uscito finalmente il sole, Mail»



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Angolino di Red: so di essere un mostro per ben più di un motivo. Ma non nascondo che, per quanto le idee ci fossero, sia stata la voglia a mancare. Semplicemente non riuscivo a buttare giù il capitolo, perché sentivo che non sarebbe venuto come avrei desiderato.
E questo è un capitolo delicato e corto (ma così doveva essere), oltre che quello che suppongo molti di voi si aspettavano. Oltre al fatto che sia Near che Matt potrebbero risultare un po’ OOC, e me ne scuso in anticipo ma... mi sa che sarebbe stato impossibile altrimenti dato il contesto.
Probabilmente non lo avreste immaginato così, vero?
Lo so, lo so. E mi dispiace, vi assicuro, perché Matt è uno dei miei personaggi preferiti in generale non solo per quanto riguarda il fandom.
Che fine ha fatto Mello in tutto questo? Mandiamolo a Chi lo Ha Visto (?). No, ok, no.
Lo scopriremo, ve l’assicuro.
Intanto piangete con me per il povero Matt, il cui primo pensiero da appena sveglio va subito a lui. Avevo bisogno di MattMello per i miei feels, comprendetemi.
So, ho deciso di dedicarmi a questa storia. Nessun progetto a lungo termine fino a che non l’avrò terminata. Al limite OS occasionali (le drabble, ahimé, non fanno per me e nelle flash finisco sempre per sforare). Ecchevifregaavoi? Avete ragione.
Quindi la chiudo qui, ringrazio chi ha letto e chi vorrà continuare a seguirmi anche dopo aver perso la speranza. Se volete farmi domande, correzioni, insultarmi (?), o anche solo darmi il vostro parere sarò ben contenta di leggere.
Ci si ribecca alle note finali del prossimo capitolo.

See ya!

   
 
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