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Autore: EleEmerald    15/02/2015    1 recensioni
 Dal decimo capitolo:
"Io vi maledico" disse. "Maledico tutti gli uomini di questo mondo. Tutti gli uomini che si metteranno sulla strada di mia figlia e delle sue nipoti. Quando ingannereto loro, come avete ingannato me, esse vi uccideranno. Sarà l'ultima azione sbagliata che compirete perché le mie figlie vi perseguiteranno, vi inganneranno e saranno la vostra rovina. E poi vedremo, come ci si sente a stare dall'altra parte del manico."
.
Quando Matthew Williams, un tranquillo ragazzo di diciassette anni, incontra Elizabeth, di certo non si aspetta che quella ragazza lo porterà incontro a tanto dolore. Ma, dopo averla ritrovata in un bosco ricoperta di sangue, non rimanere implicato nelle sue faccende è quasi impossibile. Le prove che dovrà affrontare si riveleranno più complicate di come sembrano e, inesorabilmente, si ritroverà a perdere molto di più che la sua semplice normalità. Implicato tra leggende e antiche maledizioni, vivrà, oltre ai momenti più brutti, anche quelli più belli della sua vita.
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 6: La leggenda

Una volta, ad Halloween, Thomas mi aveva raccontato una leggenda. Durante il periodo della caccia alle streghe una donna si innamorò di un uomo molto ricco, la donna era la sua serva. L'uomo le fece credere di essere innamorato di lei e la mise incinta, per poi sparire. Quando poco prima del parto lei lo trovò e gli confessò che aspettava un figlio, l'uomo le disse che l'aveva solo usata e la denunciò come strega. La donna riuscì a portorire una bambina prima di essere portata al rogo, dove lanciò una maledizione: le sue discendenti avrebbero perseguitato tutti gli uomini e con l'inganno avrebbero portato via loro tutto, per poi ucciderli. Non sapeva che in questo modo aveva compromesso la felicità delle sue discendenti che erano condannate ad essere lasciate dagli uomini che amavano, che le avrebbero lasciate sole con, misteriosamente, sempre una bambina.


Mi svegliai di soprassalto dopo aver sognato la leggenda e mi chiesi perché mi era ritornata in mente proprio in quel momento.
Mi voltai a guardare l'orologio che segnava la mezzanotte. Avevo dormito così tanto che avevo saltato la cena. Non avevo neanche richiamato Elizabeth.
Presi il cellulare e decisi di lasciarle un messaggio di scuse pensando che l'avrebbe sicuramente visto il giorno dopo. Invece lei rispose subito dicendo di non preoccuparmi.
"Cosa volevi dirmi?" le chiesi.
"Volevo sapere se potevi accompagnarmi fuori domani. Devo fare una commissione" rispose.
"Certo" le scrissi con un sorriso.
"Alle quattro davanti alla scuola" disse.
Spensi il telefono e cercai di dormire.

Il giorno dopo incontrai Thomas al mio armadietto. Aveva uno sguardo cupo e continuava a fissare in direzione del gruppo di Charles.
- Non avevi detto che volevi stargli alla larga? - gli dissi facendolo uscire da quello stato cupo.
- Infatti. Ti stavo aspettando - rispose.
- Se non la smetti di fissarli verranno a prenderti a botte di nuovo.
- Che lo facciano - disse rivolgendogli un sorriso da sbruffone. - Senza Charles sono perduti.
Mi voltai a guardare e notai che Charles non era davvero con loro.
Decisi di prendere Thomas per la maglietta e lo tirai fino in classe dove Iris ci stava aspettando.
La trovammo seduta ad un banco con Charles che le girava intorno e cercava di convincerla a uscire con lui nonostante avesse rotto il naso ad un suo amico. Ogni giorno mi stupivo della stupidità di quel ragazzo.
- Eh, ma che palle! - esplose Thomas.
Ci avvicinammo ad Iris e Charles, quindi Thomas si inserì nella conversazione. - Ma sei proprio testardo. Lei...non...ti...vuole - disse scandendo bene le parole.
- Grazie Thomas ma non ho bisogno del tuo aiuto. - Iris sorrise.
- Ma tu non ti fai mai gli affari tuoi? Non ti è bastato Capodanno? Vuoi altre botte? - disse Charles.
- Credevo avessi imparato la lezione: puoi prendermi a pugni quante volte vuoi ma tanto Iris non sarà mai tua.
Mi ritrovai a ridere, lo aveva zittito, e lo aveva fatto nel modo migliore: con le parole.
Charles lanciò un'imprecazione e uscì dalla classe.
- Grazie - mormorò Iris.
- Thomas il salvatore di donzelle in pericolo! - disse ridendo. - Chiamatemi se avete bisogno di aiuto!
Io e Iris ci guardammo e scoppiammo a ridere all'unisono.


 

- Mi togli un dubbio? - chiesi a Thomas una volta che la campanella suonò e Iris si mischiò alla folla del corridoio.
- Si. Cosa riguarda? - decise di rispondere.
- Perché sei sempre così imperprotettivo con lei? Insomma, a volte penso che tu le dia fastidio. Ha già un fratello.
- Una volta, - cominciò lui a raccontare - quando Iris si sedeva di fianco a noi ma non eravamo ancora buoni amici, la vidi uscire dal bagno delle ragazze con gli occhi gonfi di lacrime e le chiesi subito il motivo di quel pianto. Lei mi disse che non dovevo affatto preoccuparmi ma io insistetti e lei si mise a spiegarmi il motivo. Diceva che non ce la faceva a stare lontana dalla sua amica, Alexandra, e che anche sentendosi per telefono, non era la stessa cosa. Che c'era una ragazza che si ostinava a darle il tormento, appena la vedeva da sola la attaccava e la prendeva in giro mentre quando c'era Alex non lo faceva, ma ora che era sola non poteva difendersi. Diceva che era diventata un peso insopportabile, non capiva perché ce l'aveva con lei. E poi si sentiva sola, non aveva amici. Mi ricordo che era scoppiata a piangere e io l'avevo abbracciata. Le ho promesso due cose: la prima che io ero suo amico e che ci sarei stato per sempre e la seconda che nessuno le avrebbe più dato fastidio. Nessuno.
- Sei stato molto sensibile.- Sorrisi. - Non me l'aspettavo da te.
Lui arrossì violentamente. - Zitto - disse e io mi misi a ridere.
- Però non ho mai visto nessuna ragazza che tormentava Iris - ripresi quando riuscii a smettere.
- Ha smesso di farlo appena l'ha vista girare con me. Quella ragazza era una mia vecchia conoscenza, non voleva di certo ritrovarsi davanti a me di nuovo - disse sogghignando.
- Ma se glielo hai promesso perché Iris a volte si lamenta?- domandai.
- Si lamenta quando insisto, come con Charles dopo il ballo. Dice che non fa parte della promessa.
- Devi difenderla ma non troppo? - chiesi di nuovo confuso.
- Ragazze - disse lui alzando le spalle.


 

Mancava mezz'ora all'incontro con Elizabeth, dovevo sbrigarmi. Mentre tornavo a casa da scuola avevo preso la decisione di rimettere a posto il pugnale e di tirarmi fuori da quella faccenda, non avevo voglia di procurarmi guai peggiori di quelli in cui ero già capitato e per quanto ritenessi che l'assassino dell'uomo trovato morto doveva essere preso, temevo di poter fare la sua stessa fine se non avessi fatto come quella donna mi aveva consigliato. Se invece fossi andato dalla polizia e avessi confessato che una donna mi aveva minacciato loro si sarebbero chiesti perché non avevo consegnato il pugnale alla giustizia e mi avrebbero accusato di occultamento di prove. Oltre al fatto che avrebbero sospettato che avessi preso quel pugnale perché ero io l'assassino e volevo nasconderlo o, sempre in quel caso, che avessi inventato quella storia per poter dire che le mie impronte digitali erano su quel pugnale per averlo trovato e non durante l'omicidio. Mi restava solo da sperare che una volta messo a posto il pugnale fosse la polizia a prenderlo per prima.
In tutta fretta avvolsi il pugnale in un panno e lo sfregai, sperando di cancellare le mie impronte e un'ansia mi pervarse in tutto il corpo. E se mi avessero messo in carcere? Stavo facendo la cosa giusta? La mia vita valeva tanto da lasciare impunito un assassino?
- No - mormorai.
Risentii la voce della donna: Matthew Williams hai due giorni per rimettere quello che è mio dove l'hai trovato.
- Forse si - dissi.
Per poco non mi strappai i capelli, stavo parlando da solo! Ero pazzo!
"Sei solo un codardo" dissi a me stesso, questa volta senza pronunciare davvero quelle parole.
Presi il pugnale e lo nascosi nello zaino, diretto al boschetto dove l'avevo trovato.
Fuori pioveva a dirotto, tanto che mi fu difficile vedere la strada e agitato com'ero per poco non feci un incidente.
- Sta' attento! - urlò qualcuno in una delle macchine che mi sfrecciavano a fianco.
Accostai vicino al bosco ed entrai facendomi strada tra i rami. Non appena raggiunsi la roccia mi abbassai lì a fianco, tra la neve quasi sciolta, e tirai fuori il coltello. Il mio piccolo ombrello mi copriva solo per metà.
"Codardo." Ero vero, ero uno schifoso codardo. Lasciare qualcuno impunito perché avevo paura. Tanto non ci avrei guadagnato nulla comunque perché, se quella donna mi aveva minacciato per riavere il pugnale, aveva per forza a che fare con il morto e non avrebbe esitato ad uccidermi in modo che non andassi a spifferare nulla.
Mi alzai in piedi, pervarso da uno sconosciuto coraggio, e corsi con la macchina verso il commissariato, il quale si trovata sulla stessa strada della scuola, cosa che comportò Elizabeth ferma davanti all'entrata che cercava di farsi vedere da me, che per la pioggia per poco non la lasciai lì.
Accostai guardando l'orologio della macchina: 4.04. Non mi ero accorto di nulla, il tempo era volato.
Nascosi il pugnale mentre lei saliva in macchina, mettendo via il suo ombrello e ricordandomi improvvisamente che anche lei poteva c'entrare con quel crimine.
- Non pensavo venissi in macchina! - disse contenta. - Posso guidare?
- Certo - dissi d'impulso. - Basta che non me la righi.
Lei si lasciò sfuggire un gridolino. - È la prima volta che guido senza l'istruttore.
- Aspetta, cosa? Oh è vero, tu non hai ancora la patente. Mi dispiace Elizabeth, non posso fartelo fare - dissi siccome tenevo alla mia incolumità.
- Maledizione! Perché l'ho detto? - si rimproverò.
- Appena avrai la patente te lo farò fare - dissi rassicurandola.
Le brillarono gli occhi di felicità e annuì vigorosamente ringraziandomi.


 

Quando le porte del negozio di pittura in cui mi aveva condotto Elizabeth si aprirono, il cambiamento tra interno ed esterno fu tra i più violenti, il freddo fu sostutuito dal caldo del riscaldamento, il buio cupo dalla luce calda e abbagliente del negozio, le parete bianche e fredde dell'esterno da mille colori.
Di fianco a me Elizabeth fece nascere un enorme sorriso sul suo viso.
- È il negozio più bello sulla faccia della terra - disse. Non facevo fatica a crederle perché quel posto era fantastico.
Le pareti erano ricoperte di pittura colorata: da un lato c'erano le impronte di moltissime mani di tutti i clienti che avesse mai ospitato quel negozio e dall'altro mille macchie, fatte sicuramente lanciando la vernice sul muro. Anche gli scaffali erano di mille colori.
Elizabeth sparì in un corridoio tra due di essi e quando ne riemerse aveva in mano un album da disegno e due matite.
- Non sapevo ti piacesse disegnare - dissi.
- Sai poco di me - annuì lei.
- Elizabeth! - La proprietaria del negozio, una donna non troppo alta, lontano dall'essere definita magra e con i capelli neri, uscì dal corridoio tra due scaffali lì a fianco.
Elizabeth corse ad abbracciarla.
- Lui è Matthew - mi presentò
- Sono la proprietaria, Melanie - disse la donna stringendomi la mano.
Elizabeth disse che andava a prendere una matita e mi lasciò solo con Melanie..
- Devi essere importante per lei - mormorò.
- Cosa? No, no. Ci conosciamo appena, non so neanche se posso definirmi suo amico - dissi io scuotendo la testa.
- Allora devi aver fatto qualcosa che l'ha colpita.
Io mi limitai a guardarla negli occhi, non capendo perché dovessi aver fatto una cosa simile.
Notando la mia confusione, la proprietaria riprese a parlare: - Conosco Elizabeth da quando aveva otto anni. Prima veniva qui circa due volte al mese, accompagnata da sua madre, ma posso assicurarti che da quando ha l'età per poter uscire senza qualche adulto, viene qui una volta a settimana e non porta nessuno con sé. - Fece un sorriso gentile e continuò - Una volta le ho chiesto perché venisse da sola e lei mi ha risposto che non aveva ancora incontrato qualcuno di così importante da portare nel suo posto speciale.
- Ma non so cosa potrei aver fatto per farmi considerare importante da lei. - Davvero, non lo sapevo.

Quando Elizabeth tornò, convinse Melanie a farmi lasciare l'impronta sul muro dei clienti.
- Di solito lo facciamo fare solo ai clienti che vengono per più di tre volte - spiegò Elizabeth strappandomi un sorriso perchè, con uella frase, aveva dimostrato che non si considerava una di essi. - Ma Zia Mel dice che puoi farlo comunque se per me è importante.
- Non ce n'è bisogno - dissi.
- Si invece! - insistette lei, per poi mostrarmi quattro diversi barattoli di vernice. - Scegli.
Ne indicai uno a destra che scoprii conteneva vernice verde. Dopo un momento di indecisione immersi la mano nel colore. La vernice era liquida e ricoprì la mia mano con una lieve sensazione di freddo.
- Scegli un punto del muro dove può starci la mano - disse Elizabeth continuando a darmi indicazioni.
Feci viaggiare i miei occhi sulla superficie della parete finché non trovai un piccolo vuoto, grande abbastanza per la mia mano e poco più, vicino al centro della parete.
- È un po' in alto.

Una scaletta grigia e un po' traballante non tardò ad arrivare e issandomici arrivai all'altezza giusta per imprimere la mia mano sul muro.
Lasciai aderire le dita alle parete e rimasi così per qualche secondo finché, sicuro di aver lasciato bene il segno, mi allontanai.
Non appena mi voltai verso le due donne che erano sotto la scala mi accorsi che Elizabeth stava facendo di tutto per trattenere un sorriso mentre Melanie lo sfoggiava ridendo.
- Perché ridete? - chiesi.
- Leggi il nome sulla mano di fianco alla tua- disse Melanie.
- Quella al centro esatto - annuì Elizabeth.
Mi voltai di nuovo a guardare. Di fianco alla mia ce n'era una arancione sulla quale, con un pennarello nero indelebile a punta media, c'era la firma della proprietaria della mano: Elizabeth Lane. Non serviva molto ingegno per capire che quell'Elizabeth era la stessa che mi aspettava in fondo alla scala, anche perché aveva lo stesso cognome di Thomas.
- Anch'io voglio scrivere il mio nome - dissi soltanto, avvicinando la mia mano sull'impronta di Elizabeth senza però sporcarla di verde. Era più piccola della mia di una falange. Era comprensibile visto che la ragazza era molto minuta e di altezza mi arrivava al mento.
- Quando sarà asciutto - spiegò Melanie.


 

Fu quando il pomeriggio finì e ci mettemmo sulla strada del ritorno che accadde. Pioveva a dirotto e non riuscivo a vedere a un palmo dal mio naso quando, improvvisamente, vidi una donna a una decina di metri da me in mezzo alla strada. Suonai più volte il clacson ma la donna non si mosse, era immobile. Cercai di fermare la macchina, di frenare, ma non ci riuscì, c'era qualcosa che bloccava me, la macchina e i freni. Ero a pochi centimetri dalla donna quando Elizabeth urlò e la mia auto inchiodò senza che io avessi mosso un solo dito.
Ci fermammo entrambi a respirare, troppo spaventati per fare qualsiasi movimento.
- Cos'è successo? - chiesi.
- Non lo so - disse lei mentre il suo viso cominciava a bagnarsi di lacrime.
La donna era ancora lì, completamente impassibile a tutto quello che era successo, immobile, riparata dalla pioggia con una semplice mantella nera impermeabile. Girò soltanto il volto verso di me e aprì le labbra, sussurrando qualcosa sotto la pioggia.
Era lei. Era la donna che mi aveva minacciato due notti prima.
Aveva dei lunghi capelli biondi, occhi verdi e un volto bianchissimo.
- Cosa vuoi? - le urlai una volta uscito dalla mia vettura, riparandomi con un semplice ombrello.
- Lo sai. - La sua voce era molto dura.
- Mi hai quasi ammazzato!
Non sembrava interessata.
- Non ti riporterò quel dannato pugnale! Non lo farò! - dissi con enfasi.
- Ti do un solo consiglio: non metterti contro di noi - disse per poi guardare nella mia macchina.
"Noi" pensai, non era sola.
- Stai lontano da lei. - Vidi che stava indicando Elizabeth.
- Cos'hai a che fare con lei? Chi sei? - chiesi.
Ma la donna non rispose, decise invece di andarsene.
Elizabeth era ancora in macchina e si stava asciungando le lacrime.
- Stai bene? - domandai.
- Si...è solo che mi sono spaventata, è comparsa all'improvviso e io ho pensato che...
- ...L'avremmo uccisa - finì per lei. - Anch'io. Per fortuna non è successo. Non abbiamo ucciso nessuno.
- Io...- cercò di dire, per poi scoppiare di nuovo in lacrime e portarsi le mani al viso.
- Elizabeth? - Avrei voluto chiederle cosa aveva a che fare con la donna ma mi trattenni, lei si fidava di me e io non potevo rovinare tutto.
- Portami a casa - disse lei dopo qualche minuto di silenzio.
La macchina riprese ad andare senza problemi, come se il freno non avesse mai smesso di funzionare.
Dopo qualche metro mi accorsi di non sapere dove abitava così glielo chiesi.
- Puoi lasciarmi davanti a scuola - disse lei.
- Non c'è problema, ti porto a casa - dissi svoltando l'angolo.
- No, no. - Scosse il capo - Preferisco che mi lasci a scuola. Se mia madre mi vedesse scendere da una macchina...
- Ti lascio all'inizio della tua via.
Lei annuì e mi diede l'indirizzo.
Quando però arrivai all'inizio della strada lei sembrò accorgersi di non voler scendere.
- Scusa, scusa, scusa - continuava a ripetere. - Non posso andare a casa. Io non ho le chiavi e...e non posso...
- Vuoi venire da me? - chiesi non potendo fare a meno di pensare che quella ragazza fosse molto, molto strana.

Quando arrivammo a casa incontrammo Heidi sul vialetto di ingresso. Parcheggiai l'auto nel mio garage e tornai dalla bambina, la quale sembrava attendere che qualcuno le aprisse la porta d'ingresso.
- Piccola - le dissi. - Cosa fai qui? Piove a dirotto, dovresti tornare a casa.
Lei si voltò, con gli occhi grondanti di lacrime. - La mamma è al lavoro e ha chiesto a Lisa... - disse riferendosi a mia madre, - ...se potevo restare, ma sta lavorando e...mi sono chiusa fuori e lei non mi sente! - Poi si voltò verso Elizabeth e dimenticandosi della lacrime le chiese chi era.
- Un'amica di Matthew - rispose lei guardandola con amore.
- Mi prendi in braccio?
Per poco non scoppiai a ridere. Era così tenera quella bimba e Elizabeth non se lo fece ripetere due volte. Aprii la porta di casa e la condussi dentro per poi avvisare mia madre di quello che aveva fatto. Lei iniziò a scusarsi con la bambina che credeva in camera mia a giocare, e solo dopo averla presa dalle braccia di Elizabeth e averla messa giù, decise di presentarsi.
- Sono la mamma di Matt - disse agitata di vedere per casa una ragazza con non fosse Iris.
- Mi chiamo Elizabeth. Sono la cugina di Thomas - si presentò lei.
Mentre mia mamma iniziava a parlare io dissi che andavo un attimo in bagno e corsi in camera mia a nascondere il pugnale nel solito cassetto per poi chiuderlo con diversi giri di chiave in modo che né Elizabeth, né mia madre, né la bambina avessero potuto trovarlo, nascondendo la chiave tra i miei libri scolastici, sicuro che nessuno li avrebbe toccati.
Heidi non tardò ad arrivare e a gettarsi sul mio letto, per poi saltarci sopra più volte.
- Vieni - le dissi, - andiamo a togliere Elizabeth dalle grinfie di mia madre.
Lei si fermò a guardarmi per poi gettarsi su di me, abbracciandomi.
In cucina mia madre stava riempendo Elizabeth di domande e lei sembrava piuttosta imbarazzanta così, dopo che lei mi ebbe spiegato che Heidi sarebbe rimasta con noi per cena perché suo padre era via e sua madre sostituiva fino a tardi una collega, portai Elizabeth in camera mia.
- Che carina - disse osservando la scrivania e la carta da pareti blu.

Passammo il pomeriggio a parlare come due buoni amici, lei seduta sulla sedia girevole azzurra della mia scrivania e io sul mio letto. Ogni tanto Heidi correva da noi e si fermava sulle ginocchia di Elizabeth, si faceva abbracciare e prendere in braccio, ormai aveva deciso che era sua sorella.
Capivo quanto volesse quella bambina che io ed Elizabeth fossimo davvero suoi fratelli perché anch'io desideravo ogni giorno di non essere figlio unico. Ero consapevole che avere un fratello era "una gran rottuta" diceva Iris, che aveva una sorella e un fratello più grandi, eppure mi sentivo così solo, avrei preferito litigare mille volte con mio fratello invece di stare da solo.
Elizabeth andò via prima di cena lasciandomi con mille domande da parte di mia madre. Fu difficile superarle ma grazie all'aiuto tempestino di Heidi, che decise di far cadere l'acqua per terra, riuscì a sfuggirle.
Non pensai alla donna incappucciata e al pugnale per tutta la giornata.



Angolino dell'autrice: Eccomi con un nuovo capitolo! Finalmente ho messo la leggenda di cui parlavo nella presentazione...chissà cosa c'entra con l'uomo morto. Rencensite e ditemi se ho fatto errori. Vorrei ringraziare Ciciolla26 per l'enorme sostegno e per riempirmi sempre di domande a scuola! Forse non riuscirò a pubblicare settimana prossima, scusatemi tanto. Ci proverò, promesso! Alla prossima
  
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