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Autore: sabrambr    27/02/2015    0 recensioni
Gli ospedali mi hanno sempre messo soggezione, vi regna il silenzio e forse per questo non voglio urlare. Non ancora.
Genere: Drammatico, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Ambra. Solitamente questo nome ricorda qualcosa di mistico, di divino e attraente: il nettare degli dei. Invece è soltanto il mio nome. E se per alta, bruna, goffa, insicura, sgraziata e fuori posto s’intende divina, allora sono perfetta.

Ho sempre avuto l’impressione di deludere le aspettative degli altri, di mostrarmi diversa da come loro credono che sia, e in verità alcune volte mi piace da morire. Perché bisogna essere come gli altri si aspettano? Perché guardare un film strappalacrime per poi piangere davvero? O un film comico e ridere per tutto? Contrariamente le pellicole drammatiche mi fanno divertire parecchio, con tutti i loro cliché e quelle coincidenze che manco a programmarle accadono sul serio. Magari sì, potrei sorprendermi a commuovermi davanti ad un film realistico, uno di quei film che li vedi e pensi “pensa se accadesse a me.”

Forse questo è proprio ciò che vuole la gente: niente sorprese. Accettare le cose così come loro vogliono che vadano.

 

Oggi è lunedì e la sensazione di avere un bombardamento in atto nella mia testa non è svanita ancora, nonostante sia stata tranquillamente a casa per tutto il fine settimana. Sola, ma tranquilla. Stranamente mi hanno evitato tutti, a partire da Fran che mi scrive un post-it sulla scrivania: “Non ci riesco a stare a casa, sapere che non posso far nulla mi distrugge e mamma resta lì in ospedale…non si sa mai. Io vado da Lucy per due giorni, abbi cura della casa.”

 

Flash improvvisi, nel sonno. Teo urla ed io ho paura, cerco di aprire la portiera ma le lacrime non mi fanno vedere nulla e c’è un suono orribile che sta per avvicinarsi. Lui mi guarda, io lo imploro con gli occhi. “Ti prego, non lo fare. Non farmi del male”. Un’ombra si avvicina, io sono bloccata, Teo impietrito. Scuro. Mi alzo di soprassalto e la camera si fa indisturbatamente tre giri completi intorno a me che sembro essere il suo asse di riferimento, poi si ferma ed io capisco. Ennesima discussione, ennesimo litigio, ennesima nottata. Se avessi avuto il cellulare, avrei mandato un messaggio pieno di rabbia e decisione, ma stranamente non l’ho ancora trovato. Meglio così Ambra, sparisci dalla circolazione! Come sarebbe bello diventare invisibile per alcune persone, sarebbe stupendo decidere della mia vita senza alcuna pressione. Sarebbe bello restare da sola.

“Ho detto basta! Non ti voglio, devi andartene.” Occhi che si dilatano, i suoi. “Dimmi che è la verità, poi me ne vado.” “Si, è la verità. Non ce la faccio, punto. Capolinea. Da qui in poi ci penso io a me. E’ stato bello, ma adesso è finita.” Mi correggo dunque. Teo era il mio ragazzo.

Sette e un quarto, sola in casa. Ancora. Solito orario, solita routine, solita strada, ma il liceo è ancora chiuso e hanno affisso un altro manifesto, simile al precedente strappato: “Lunedì 18 febbraio 2013 – Ambra Rossano TIENI DURO.” Aspetta un attimo…cosa? Sto sognando, lo so. Mi pizzico un braccio e subito mi rendo conto di quanto sia un gesto stupido. Certo che sono viva, non sono la protagonista di quelle serie TV viste e riviste, in cui mi è successo qualcosa di brutto ed io ancora non lo so. Ma che fantasie hai, Ambra?               Non lo sai ancora…

Corro, corro tantissimo. Che cosa strana però, io non riesco a correre, non ho resistenza, lo sanno tutti. L’ultima volta che ci ho provato mi sono ritrovata a terra con le gambe alzate, polsi caviglie e nuca bagnati con acqua fredda e l’allenatore che schiaffeggiandomi urla “svegliati! Svegliati!” Arrivo alla fermata del tram, posto in fondo, strade lunghe e bagnate, ospedale, ascensore inquietante, stanza 402. Ecco zia Lilith, che dorme. Mia madre non c’è, ma dov’è? Deve essere qui in ospedale per lei, ma non c’è ed io ho bisogno di parlare con lei, ho bisogno di una carezza, di un contatto, di due occhi che mi guardano. Bussano, mi giro ed entra un uomo stupendo con degli occhi verdi che spiccano da un viso tenebroso. E’ zio Alan e sta guardando me, grazie al cielo. Sorrido e gli butto le braccia al collo. “Ehi, come stai?” mi accarezza la testa. “Credo bene. Hai saputo i risultati delle analisi, lei come sta? Si riprende?” “I dottori dicono che tra una settimana può tornare a casa, adesso è solo sotto osservazione. Sta guarendo.” Sta guarendo! Torna a casa! E allora perché sono tutti in ansia? “Alan, ma è meraviglioso! Allora perché hai quella faccia? Dovresti essere più entusiasta, è tutto finito!” Lui esita. Guarda Lilith distesa su quel letto, si addolcisce e poi rivolge verso di me quei due smeraldi che comunemente noi chiamiamo iridi. “Ambra, ti va di prendere un caffè?”

Io sapevo che fosse un tipo strano, ma adesso non riesco proprio a decifrare le sue intenzioni. Sembra debba dirmi qualcosa di molto importante, ma cosa può succedere di peggio? Lilith sta bene, guarisce e fra un  po’ ritorna a casa. Di solito è un buon segno…oppure no? Sta peggiorando e non possono fare più nulla? Vuole il calore di casa mentre va spegnendosi giorno dopo giorno? Vuole consumarsi in un letto, alla portata di tutti? E poi i medici non possono mandare le persone a morire nelle proprie case, hanno fatto un giuramento, devono salvarla. Devo fare qualcosa. “Alan, dimmi cosa sta succedendo. Sto impazzendo, nessuno mi parla, nessuno mi degna di uno sguardo! I miei amici hanno iniziato a prendersi gioco di me in pubblico, la mamma non è qui ed io non so cosa stia facendo…” “Ehi, bloccati un secondo. Ti dirò tutto, ma per prima cosa devi calmarti. Hai visto quanto ha piovuto questo week end? Pazzesco…” Che cosa? Io sono qui, che pendo dalle sue labbra, e mi parla del tempo? Mi alzo, me ne voglio andare. “Senti, è stato uno sbaglio. Tu sei uguale a tutti gli altri qui dentro, ed io non ho tempo da perdere, devo cercare mia madre, devo parlare con i medici. Me ne occupo da sola.” Lo lascio lì, sul divanetto della sala d’attesa ancora con entrambi i caffè davanti. Al diavolo zio Alan e la sua voce calma. Al diavolo la calma. “Vai al terzo piano, Ambra. Stanza 394.” Giro la testa di scatto per urlargli in faccia un sano “sta zitto!”, ma Alan non c’è più.

Okay, stanza 394. Un cartellino nero fuori, appeso alla maniglia, e una targhetta sul muro con scritto “ROSSANO”. Decisa a scoprire cosa cavolo succede apro la porta e resto pietrificata. Ecco, il tipico momento in cui avrei voluto solo strofinarmi energicamente gli occhi per spazzare via una brutta immagine. Ci sono io sul letto, con aghi, flebo, fasce e macchinari vari, scolorita tanto da sembrare trasparente, inanimata…senza speranze. Osservo il mio corpo e lo scopro notevolmente diverso da come credevo di conoscerlo. Sì, okay, le punte dei piedi sbucano dal letto, e questo è normale, ma le mie gambe sempre massicce e piene adesso sono magre, raggrinzite. Stesso discorso per la pancia, i fianchi, anche le braccia e le mani. Il mio viso è irriconoscibile, le labbra tendono al violetto invece che al rosa ed è strano dato che dubito abbia del rossetto. C’è anche mia madre, addormentata sulla poltrona in una posizione strana e a prima vista scomodissima, con l’aria stanca e sconfitta di chi sta subendo troppo. Ai piedi del letto, poi, ci sono una scatola di Rocher e una rosa blu. Papà è stato qui. Sento una mano sulla spalla, è Alan. “Allora tesoro, adesso ho la tua attenzione?”

  
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