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Autore: AthenaSkorpion    01/03/2015    0 recensioni
Orfeo ed Euridice, una delle coppie più belle della mitologia greca e della letteratura mondiale. Tenterò di interpretare a modo mio la loro storia, dall'incontro alla tragica separazione alle porte dell'Ade.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le onde dormivano davanti a Orfeo. Le monete potevano comprare il diritto ad un viaggio su quella piccola nave passeggeri, ma non poteva corrompere la natura e il vento era muto sulle vele sgonfie. Sotto al tiepido carro di Apollo i marinai avevano iniziato, lentamente, a remare sui loro seggi mentre i passeggeri mormoravano tra loro allietandosi con il vino o i dadi.
Orfeo guardava all'orizzonte piatto e percepiva la costa ancora troppo vicina, ancora troppo vicina. Gli altri viaggiatori avevano tentato di integrarlo ai loro intrattenimenti, ma lui si era gentilmente scostato dopo pochi sorrisi di convenienza e con una certa ansia si era avvicinato in silenzio al parapetto. In quel momento di riflessioni, poteva quasi vedere davanti a sé Medea insanguinare il mare con le membra del fratello e il re piangere suo figlio e gridare al sole le sue maledizioni. Dopo quell'orrenda visione, lasciare gli Argonauti gli era sembrata una lieta pensione.
Anche ora si lasciava del sangue alle spalle. Avrebbe dovuto essere furioso con Aristeo in quel momento, ma semplicemente riteneva inutile ormai cercare vendetta sul satiro. Meglio vagliare soluzioni costruttive.
Troppo lenta la nave, troppo lontana la Sibilla.
Dopo due ore vedeva ancora la costa a occhio nudo e si sentiva nervosamente vicino alle lacrime. Quella lentezza lo stava uccidendo. Le chiacchiere della gente lo innervosivano e iniziava a disperare di poter completare la propria missione.
Carezzò il dorso della propria cetra. Le sue dita, rapide e piene di energia repressa, accennarono una danza delirante che prese un ritmo stabile dopo pochi istanti. Tutti smisero di parlare e si voltarono di scatto verso il discreto viaggiatore. Gli uomini ai remi trovarono nuova forza e le onde iniziarono a correre. Prima che qualcuno potesse accorgersene, uomini, donne e bambini stavano già ballando e l'Apeliote era accorso per festeggiare quell'improvvisata Dionisia. Le vele sembrarono esplodere di vita e con uno strattone la nave iniziò, ondeggiando, a tagliare il mare sempre più a ovest.


Le dita rosate dell'Aurora iniziavano a tingere le terre di Cuma. Una donna, immobile,  gli occhi rovesciati all'indietro, attendeva Orfeo. Il musicista scese dalla nave con gli applausi di tutti i presenti e con svariati doni nel suo sacco da viaggio. Presto si accorse della gelida figura che si ergeva sul molo. I brividi percorsero il suo corpo quando la guardò in viso. Delle pitture rosse e nere alteravano la percezione che lui aveva dei suoi lineamenti e quegli occhi bianchi lo inquietavano. Osservandola meglio, capì che non erano rovesciati all'indietro, ma che le sue iridi erano bianche come le nubi. Orfeo, con rispetto e reverenza, le si avvicinò e, inchinandosi, le baciò la lunga veste rossa. Lei, presa da un fremito, iniziò a piangere e con la mano fredda gli accarezzò dolcemente il volto. Orfeo non osò alzarsi, ma contemplò la sua bellezza: era una donna giovanissima, con qualche tratto ancora infantile ma dalle forme armoniose. Degli anelli di curiosa fattura le ornavano le esili dita e i suoi lunghi capelli cadevano fino ai polpacci in ricci d'ebano splendente.
La Sibilla si abbassò con solenne lentezza e baciò la fronte del citaredo, che sentì il proprio cuore sciogliersi di fronte a quell'inaspettata dimostrazione di vicinanza. 
- La tua storia sarà narrata finché gli uomini solleticheranno questa polvere con i loro piedi-sussurrò al suo orecchio con un sorriso tra le lacrime.
Orfeo chiese:- Sarà una bella storia, messaggera degli Dei?
La Sibilla lo sollevò da terra con delicatezza mentre alcuni curiosi osservavano.
- Chi sono io per giudicare? La vita ha i colori di un diamante, mio caro Orfeo, e non tutti possono piacerti. Puoi solo arrenderti all'idea che senza i brutti colori, non saresti commosso davanti ai più belli.
Orfeo rabbrividì, il cuore stretto in una tenaglia. Non riusciva a capire dove la ragazza volesse condurlo con il suo discorso, ma non osò domandare oltre. La Sibilla iniziò a camminare, quasi potesse vedere dove stava andando. Il citaredo fu tentato di aiutarla a scendere dal molo, ma con un inatteso balzò lei lo superò.
Continuarono a camminare per un'ora, immersi nel verde paesaggio che circondava il porto, finché sulla sinistra Orfeo non vide il lago Averno che pungeva le sue narici con un odore di morte.
La Sibilla si fermò all'improvviso e si voltò verso il musico. Con la punta dell'indice sfiorò la sua fronte e il mondo scomparve dai suoi occhi, sostituito da una visione soprannaturale. 
Le bolle d'aria uscivano dalle sue labbra schiuse, la cetra affondava nel buio profondo di un'acqua gelida che lo stava lentamente annegando. 
Uno schiaffo improvviso. La Sibilla l'aveva violentemente riportato alla realtà.
- Aggiungi dei sassi al tuo sacco da viaggio, parla-musica. Dovrai toccare il fondo.
Il cuore del viaggiatore iniziò a tremare come quello di un colibrì, ma non dubitò della benevolenza della Sibilla.
La donna gli sorrise. Si avvicinò alla selva che circondava il lago spettrale e gli donò una corona di mirto.
- Non hai potuto officiare le nozze, ma hai la benedizione degli Dei. Quando scoprirai il tuo futuro, ricorda che Euridice è ora tua moglie.
Orfeo sentì un groppo in gola mentre la donna gli posava sul capo la leggera corona e gli indicava con lo sguardo vacuo il lago Averno.
Il citaredo si specchiò nelle acque mefitiche. Perfino senza vento la sua immagine tremava. Ma forse era lui a tremare.
Dopo aver appesantito con i sassi la sua sacca, riempì il petto d'aria prima di fare il suo primo passo verso quel freddo vetro oscuro.
Una volta dentro, abbandonò le paure e, quasi rassegnato si immerse fino alla testa  camminando finché non riuscì più a sentire la terra sotto di sé. La sua schiena, gravata dal peso, affondava prima del resto del corpo e poteva vedere la luce del mattino ondeggiare sopra di lui attraverso le bolle d'aria che liberava dalla bocca. Gli sfuggì di mano la cetra, ma a quel punto non gli importava più nulla. La sacca toccò terra e nel buio più opprimente i suoi polmoni iniziarono a contrarsi in cerca di aria nel gelido carcere che preannunciava l'imminente inverno. Quale inverno? Io non vedrò più altro inverno all'infuori dell'inverno della mia vita. Un colpo di tosse, acqua nei polmoni. Un colpo di tosse, la vita fuori dai polmoni, le membra sciolte e contratte, sciolte e contratte.
Nella sua straziante agonia, sentì la voce di Euridice prima di chiudere gli occhi.
   
 
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