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Autore: BarbaH GerardaH    08/03/2015    5 recensioni
Sophie vive a Los Angeles dove lavora per un'agenzia che fornisce servizi di "tuttofare" esclusivamente a clientela "vip". Finito l'ultimo incarico, dovrebbe godersi le meritate ferie ma, per una serie di motivi, si ritrova incastrata a prestare servizio a casa di Jared Leto, con tutte le conseguenze del caso: Sophie è testarda, determinata, tiene molto a fare bene il suo lavoro e non ha la minima intenzione a farsi mettere i piedi in testa da Jared; d'altro canto, a Jared non piace essere contraddetto e cercherà in ogni modo di far impazzire la poveretta. Come finirà?
Dal capitolo 10:
"Il manico del frustino si abbatte sul viso di Jared, più precisamente, a metà tra l'occhio sinistro ed il setto nasale. Il cantante prorompe in un urlo disumano e cade all'indietro, tirando una testata al muro.
ODDIO, L'HO AMMAZZATO. SIGNORI, HO APPENA UCCISO JARED LETO."
Genere: Comico, Commedia, Demenziale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Tomo Miličević
Note: Lime | Avvertimenti: Bondage
Capitoli:
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Non facciamo in tempo ad arrivare nel mezzo della radura adiacente la baita, che Shannon ci corre incontro a grandi passi, assumendo un’espressione trafelata.
 
“MUDDAFUGGAZ! COSA DIAVOLO E’ SUCCESSO?! BAM BAM STAI MALE?!”
 
“No Shan, sto bene, davvero.” affermo decisa, cercando di sembrare il più convincente possibile.
 
Non convinto dalle mie parole, il batterista lancia un’occhiataccia al fratello che, nel frattempo, continua a tenermi a cavalluccio come se nulla fosse.
 
“Sei stato tu vero? Che cos’hai combinato stavolta? Certo che sei proprio una testa di rapa bro. E poi… cosa sono quelle bolle in faccia? Non ti sarai mica preso qualcosa?”
 
Sento il corpo di Jared irrigidirsi ed i muscoli della schiena tendersi, sotto la mia presa. Probabilmente, sta valutando almeno quanto me cosa sia il caso di dire e cosa, invece, sia il caso di omettere in maniera gentile ed innocente anche se, visti i suoi modi di fare da prima donna, potrebbe anche avere la tentazione di spifferare ogni cosa e, con ogni cosa, intendo anche QUELLA COSA.
 
“Ehm no, no Shan!” intervengo agitando un braccio al vento, “Jared non ha c’entra nulla stavolta. È stata solo colpa mia… ecco sai, eravamo sulla strada del ritorno e, come al mio solito, mentre camminavo non ho fatto molta attenzione a dove mettevo i piedi” proseguo leggermente agitata, “Di conseguenza, sono inciampata e ho preso una leggera storta alla caviglia. Domani starò sicuramente benissimo e tuo fratello è stato davvero molto gentile a caricarsi il mio peso in spalla per riportarmi qui. Questo è quanto.”
 
BALLE DI FIENO.
BALLE DI FIENO OVUNQUE.
 
Una pesante cappa di silenzio inizia a diffondersi ma, nonostante ciò, sento nettamente il battito cardiaco di Jared accelerare. Non posso vederlo in viso dato che sono ancora aggrappata a lui come un koala al suo ramo di eucalipto, ma percepisco nettamente il fatto di averlo spiazzato. Sicuramente non si sarebbe mai aspettato che io lo difendessi, almeno non con il fratello che, di norma, mi da quasi sempre manforte.
Il fatto è che, entrambi, stiamo giocando sul filo del rasoio e ognuno ha la sua bella dose di responsabilità in tutto quello che ci è successo a partire da Jared, ovviamente. Comunque, direi che questa volta ha guadagnato parecchi punti, ma di certo non il perdono.
 
Inspiro profondamente e, senza volerlo, mi ritrovo ad respirare il suo odore. Il suo buon odore. Sa di pulito, di shampoo e di bosco. Il tutto si mescola ad un leggero sentore di sudore, dovuto probabilmente allo sforzo fisico. Quasi inconsapevolmente, inspiro di nuovo, questa volta più a fondo, cercando di avvicinare il più possibile il mio viso ai suoi capelli e lascio vagare liberamente il mio sguardo sulla sua nuca da cui scende una piccola gocciolina di sudore. Senza volerlo, il mio cuore ha accelerato i battiti.
Perché mi sta assalendo la voglia matta di stringerlo più forte a me?
 
“È davvero andata così mhh? Bro? E che mi dici della faccia?” incalza Shannon sempre più sospettoso, riportandomi alla situazione reale.
 
Trattengo il respiro. È in momenti come questo che vedo passarmi tutta la vita davanti; ora le cose sono essenzialmente due: o, per qualche miracolo divino, Jared conferma la mia versione dei fatti o, per qualche macumba vodoo, Jared sputerà il rospo con tutti gli annessi e connessi, ossia:

 
  • Pubblica gogna per la sottoscritta, che sarà esposta al pubblico ludibrio, come la protagonista della “Lettera Scarlatta”;
  • Perdita di qualsivoglia possibilità con Shannon. Se avessi avuto anche solo una becera speranza, la suddetta andrà a rinchiudersi nell’antro più buio del famoso vaso di Pandora e, a quel punto, non sarà, proverbialmente, l’ultima a morire ma, al contrario, deciderà di non venire proprio al mondo;
  • Ovviamente Shan terrà il muso a Jared. Si ma per quanto? Un paio d’ore? Quindici minuti? Trenta secondi? Comunque non abbastanza, per quello che ha combinato e, cosa più importante, non abbastanza rispetto a quanto lo terrà con me;
  • Sarà praticamente quasi impossibile continuare a lavorare come se nulla fosse, se non altro per il clima di tensione, sessuale e non, che aleggerà nell’aria, per non parlare del fatto che sarò etichettata come la zocc… pardon, l’intrattenitrice della situazione.
 
Prima di aprire bocca, Jared si schiarisce la voce e, spero, anche le idee a questo punto; dopodiché facendomi scendere dalle sue spalle e sorreggendomi saldamente per la vita, pronuncia la sentenza del disastro.
Il suo tocco mi da i brividi.
 
“Si Shan. È andata come dice lei. Cosa ti aspettavi? Un brutale tentativo di stupro finito in tragedia? O magari volevi sentirti dire che l’ho presa bastonate sulle gambe in modo da avere gioco facile? E per quanto concerne la mia faccia” prosegue pacato, “Me la sono toccata non rendendomi che, chissà quando, avevo toccato delle ortiche; anche le mie mani sono piene di bolle vedi?” conclude mostrando il palmo pieno di bolle al fratello.
 
“No, no bro ma che vai a pensare!” esclama Shan mettendo le mani avanti. “È solo che, conoscendoti e sapendo come vi mal sopportate, ormai sono pronto a tutto. Cavolo mi dispiace per la faccia” afferma costernato, “Credo che in casa dovremmo avere qualcosa da poter utilizzare al riguardo.”
 
“Grazie Shan. E comunque, ti posso garantire che, se la tua previsione fosse stata azzeccata, Sophie sarebbe tornata alla baita sulle proprie gambe; magari con meno vestiti addosso, ma di sicuro si sarebbe retta in piedi da sola, o almeno credo.”
 
“Certo, ti piacerebbe vero? Eh, bro? A chi non piacerebbe? Però, non dovresti vederla in modo così rude: io sono ancora contrario alla violenza sulle donne.”
 
“Beh, quando durante le riprese di Hurricane mi hai fatto ripetere quattro volte la scena in cui sbattevi la biondina al muro e ben sette quella dove gli infilavi la lingua in gola, non mi sembravi così dispiaciuto… aspetta com’è che si chiamava? Anne? Ana?”
 
“Agnes.”
 
“Si, insomma, quella lì.”
 
Credo che un bel giorno raccoglierò quel poco che resta del mio coraggio e domanderò che cos’è questo Hurricane che tutti continuano costantemente a decantare.
 
“Ehm, scusate?” pigolo con non poco imbarazzo, “Io sono ancora qui e sto ascoltando cose che preferirei non sentire nemmeno in un’altra vita. Potreste gentilmente piantarla e, se non vi è di troppo disturbo, potreste anche darmi un mano ad infilarmi nel letto, sul divano, o su qualsiasi altra superficie piana, in modo tale da poter sistemare questa caviglia una volta per tutte? Grazie per l’attenzione.”
 
“Sei sicura di volere affrontare l’argomento infilarsi nel divano/letto/qualsiasi superficie piana con me Sophie?” domanda Jared mimando le virgolette con le dita, per dare maggiore enfasi ai termini divano,  letto e... superficie piana.
 
Mentre sbuffo alzando gli occhi al cielo Shannon, senza nemmeno replicare, si avvicina e, con mia sorpresa mi prende in braccio, avviandosi poi verso la portafinestra in veranda.
 
“Si dolcezza, non preoccuparti, adesso ti accompagno in camera così puoi riposare fino a quando non mangiamo qualcosa.”
 
“Ehi, voi due. Mi sento ignorato. Sono io che l’ho portata qui sana e salva; adesso chi porterà me?” protesta vanamente Jared.
 
Mentre Shannon continua a salire i gradini della veranda ridacchiando di gusto, mi giro viso verso Jared e guardandolo dritto negli occhi, sussurro un impercettibile “grazie”. Ricambiando il mio sguardo, il cantante annuisce sorridendomi in un modo così spontaneo, che porta il mio cuore a perdere un battito e, forse, qualcosa in più.
 
Una volta varcata la soglia, Vicki mi corre incontro bianca come un lenzuolo.
 
“Sophie, stai bene?! Cosa ti è successo?!”
 
“Si, sto bene Vicki. Ho avuto solo un piccolo incidente di percorso, tutto qui. Domani tornerò come nuova.” le dico porgendole il cesto con i funghi che, a quanto pare, mi sono costati la mobilità articolare.
 
“La mia BAM BAM è una tosta! Chi vuoi che la stenda!” sghignazza Shannon continuando a macinare grandi passi in direzione della mia camera da letto.
 
A dire il vero, un’idea della persona che vorrei mi stendesse, l’avrei anche bene in mente, ma decido di restare in silenzio per evitare ulteriori situazioni imbarazzanti e ancor più penosi fraintendimenti.
 
“Vicki pensi tu ai funghi? Mi dispiace moltissimo, ma non credo che potrei esserti molto d’aiuto in questa situazione. Anzi, forse sarei più un impiccio che altro.” mormoro a mezza voce.
 
“Certo tesoro, non preoccuparti, penso io a tutto e poi” aggiunge serafica “non ho sposato un mezzo cuoco per caso.”
 
“MEZZO CUOCO A CHI SCUSA?!”
 
Tomo irrompe nella cucina, rivendicando con orgoglio le sue doti di abile chef e dopo essersi assicurato del mio stato di salute, inizia ad aiutare Vicki con la tavola. Intanto, io e Shannon procediamo nella nostra personale crociata, volta al tentativo di arrivare fino al letto.
A causa del poco spazio disponibile, ogni volta che passiamo da una stanza all’altra della baita, Shannon è costretto a ruotare di novanta gradi per far si che le mie gambe, eccessivamente lunghe,  riescano a passare indenni da un punto all’altro. Dopo svariate giravolte ecco che, finalmente, arriviamo a destinazione: Shannon mi adagia amorevolmente sul letto, aiutandomi a togliere gli scarponcini e cercando, inutilmente, di rimboccarmi le coperte.
 
“Shan sei molto dolce, davvero, ma non sono ancora del tutto impossibilitata, credo di farcela da sola okay?” biascico con una punta di imbarazzo nella voce, tenendogli ferme le mani.
 
Il batterista si blocca all’istante, scattando come un soldatino e dopo un primo momento di silenzio, alquanto inquietante, oserei dire, sfodera un sorriso sghembo. Tuttavia, avvicinandosi alla porta nel più religioso silenzio e socchiudendola, Shannon scuote mestamente la testa.
 
“E io che credevo che, oltre agli scarponcini, avrei potuto aiutarti a togliere altro. Vengo a chiamarti non appena è pronto il pranzo.”
 
Senza avere la benché minima forza di replicare a questa affermazione, osservo il batterista darmi le spalle e chiudere la porta, lasciandomi ad annaspare nella confusione più nera.

Perché.
Perché sta succedendo tutto questo?
Ma io mi chiedo: adoro così tanto mettermi nei casini?
Evidentemente si.
Non bastava quel maniaco di Jared a perseguitarmi e, da qualche giorno a questa parte a confondermi, ora ci si mette anche  il fratello per cui, tra l’altro, credo di avere un debole.
 
Ma dai. Ma che sorpresa. Non lo aveva proprio capito nessuno, vero?
È interessante come sia in grado di improvvisare soluzioni assurde nei momenti più tragici e poi non sia in grado di ammettere, nemmeno a me stessa, le più misere ovvietà.
Clap clap. Complimenti per la tua maturità Sophie, davvero.
Che situazione. La cosa sconcertante è che non sto facendo nulla di utile per tirarmene fuori, anzi.
Forse, il problema reale è che non so nemmeno io cosa voglio.
 
Calma, riflettiamo un momento (la mia coscienza mi lascia un piccolo post-it appiccicato ai neuroni: È GRADITA LA SINCERITA’, GRAZIE.):
 
Voglio evitare disastri?
Si, la mia vita è già parecchio movimentata.
Voglio mantenere il mio posto di lavoro?
Ovvio che si. È la mia priorità.  Come penso di poter tirare avanti a L. A senza uno straccio di stipendio?
Voglio portare a termine questo incarico?
Piuttosto che rinunciare e darla vinta a quel beota, mi faccio ammazzare. Quindi, si.
Voglio restare in buoni rapporti con tutti (aka Tomo e Vicki)?
Sono due persone adorabili, direi di si.
Voglio Shannon?
*rullo di ovaie*
HELL YEAH!
Voglio Jared/suo fratello/Satana fatto uomo?
N… n… no…
 
NON LO SO.
NON LO SO?!
COME DIAVOLO FACCIO A NON SAPERLO?!
 
Intanto la mia amata e fedele coscienza, mi attacca alla caviglia la classica palla di piombo da due tonnellate circa, su cui troneggiano, a caratteri cubitali, le parole SINCERITA’ da un lato e CODARDA dall’altro.
 
I miei pensieri sono interrotti dal vocione di Shannon, proveniente dal corridoio, che mi avvisa di venire a tavola.
Morale della storia?
Non ho concluso un bel niente; mi sono solamente incasinata di più i pochi neuroni normali rimasti.
A proposito di pochezza di neuroni. Dove sarà finito Jared?
 
“Ehi, hai sentito mio fratello? È pronto. Vuoi una mano, o anche più di una, per tirarti su Caviglie Deboli?”
 
Parli del diavolo.
 
“No, grazie. Ce la faccio benissimo da sola.” sbuffo, squadrandolo da capo a piedi.
 
“Beh, qual è il problema adesso?” domanda serafico, rendendosi conto del mio sguardo sospetto.
 
Sembra tranquillo, ben disposto. Forse dovrei tenere a bada il mio lato paranoico ed iper controllante, almeno per stavolta. Sapete? Fidarsi delle sensazioni che l’altra persona ti trasmette, proprio com’era accaduto poco prima in veranda con Shannon. Mi ero fidata e avevo lasciato dare a Jared la sua versione dei fatti: era filato tutto liscio come l’olio ed io mi ero sentita davvero bene.
Purtroppo, la mia linguaccia, non è dello stesso avviso del mio cervello.
 
“Nessun problema. Sto solo cercando di tenerti d’occhio” replico facendo spallucce, “Se non altro per evitare che tu vada in giro a combinare disastri con quella tua lingua troppo lunga.”
“Sono lusingato. Da come ne parli, sembra quasi che tu abbia avuto il piacere di provare uno di questi presunti disastri.”
 
Ouch.
Okay, mi rendo conto che avrei dovuto trovare un modo meno ambiguo di formulare il pensiero.
 
“Sei il solito deviato.” rispondo cercando di non scompormi. “Mi sto semplicemente riferendo al fatto che possa esistere una remota possibilità che tu tenga la bocca ben chiusa con tutti, soprattutto con tuo fratello.”
 
Anche se solo per un impercettibile istante, Jared sembra irrigidirsi, quasi come se si aspettasse un altro tipo di risposta ma, probabilmente, è solamente una mia sensazione.
 
“Ah, davvero? E riguardo a cosa precisamente?” chiede avvicinandosi al mio letto e chinandosi fino a guardarmi dritto negli occhi.
 
“Lo sai benissimo.” replico fulminandolo con lo sguardo.
 
“Mmh, tu dici? Improvvisamente credo di essere diventato davvero sbadato, perché proprio non mi viene in mente. Forse dovrei chiedere a qualcuno… SHANNON! SHAN, POTRESTI VENIRE QUI UN MIN…”
 
“Shh! Sta zitto, ma che ti prende?!” sibilo sbilanciandomi dal letto, perdendo l’equilibrio nel tentativo di zittire Jared che, prontamente, mi afferra per le braccia evitando di farmi finire faccia a terra.
 
E, ahimè, restiamo così; aggrappati l’uno all’altra per qualche istante, in silenzio. Un silenzio che mi sta letteralmente facendo evaporare. Jared dal canto suo, non è per niente d’aiuto dato che invece di darmi una mano, continua a guardarmi negli occhi, stringendo ulteriormente la presa su di me.
Qui finisce male, di nuovo.
Facendo leva sul petto di Jared mi rialzo velocemente, sedendomi sul letto, mentre il cantante si appoggia all’anta dell’armadio, incrociando le braccia come se nulla fosse.
 
“Ma sei impazzito o cosa?! Lo sai benissimo di cosa parlo!” esclamo puntandogli un dito contro, cercando di riavviare velocemente la conversazione. “Di quello che è accaduto nel bosco.”
 
“E cosa sarebbe accaduto?”
 
“Ma ci fai o ci sei?” ribatto sconcertata.
 
“Nessuna delle due. Voglio solo che tu lo dica; ad alta voce.”
 
Twilight The Revenge, a quanto odono le mie orecchie.
Quest’individuo possiede una quota di sadismo non indifferente che, unita al suo ego spropositato, lo rendono un soggetto altamente irritante.
 
“Cosa dovrei dire di preciso? Che hai tentato, come al solito, di approfittare della situazione per tormentarmi? Che volevi infilarti il MIO TELEFONO nelle TUE MUTANDE? Che per legittima difesa ti ho spinto in un cespuglio di ortiche?”
 
Si, lo so. Ci sto girando intorno e non ne vado fiera.
 
“Oh Sophie, puoi fare meglio di così, non sforzarti di essere stupida quando non lo sei affatto. Non ti riesce granché bene.”
 
“E va bene, lo dico!” sbotto esasperata. “Vuoi sentirti dire che mi hai baciato?! Eccoti servito depravato, sei contento ora?!”
 
“Tecnicamente, ci siamo baciati. Per far si che questo gesto riesca, servono due persone e, più tecnicamente, due bocche e due lingue consenzienti. Diciamo pure che apprezzo il tuo sforzo, ma non è abbastanza cara la mia maniaca del controllo.”
 
Avvampo iniziando ad elargire una lunga serie di imprecazioni silenziose, cercando tuttavia di mantenere un minimo di lucidità mentale, mentre Jared ridacchia divertito.
È un demonio. Un demonio oscuro che trae le sue forze e la sua energia dalle mie disgrazie e dalle mie sofferenze.
 
“Comunque, se ti preoccupa così tanto il fatto che possa sfuggirmi qualcosa” afferma compiaciuto, “Ora sei a conoscenza di un metodo collaudato ed estremamente efficace per farmi stare zitto, anche se non credo tu abbia bisogno di altre spiegazioni al riguardo.”
 
“Ma cos..”
 
Senza farmi finire la frase, Jared mi afferra per il fianco sinistro, aiutandomi a rimettermi in piedi.
 
“E ora andiamo di là, prima che qualcuno possa domandarsi il perché della nostra assenza.”
 
Il pranzo, grazie ad un qualche non specificato miracolo divino trascorre, in totale tranquillità: mangiamo, beviamo e scherziamo tutti insieme, come persone normali. Non c’è spazio per frecciatine velenose, squallidi doppi sensi o silenzi imbarazzanti. Posso affermare con certezza, che questa è una delle poche volte da quando ho iniziato a lavorare per Jared e, ormai, sono passati diversi mesi, in cui mi sento finalmente serena. Aleggia, infatti, un’atmosfera totalmente diversa da quella presente fino a qualche ora prima. Che possa essere l’inizio di un cambiamento? Shannon e Tomo sembrano parecchio soddisfatti e anche Jared pare essersi dato una calmata. Tuttavia, mentre sono in procinto di fare il bis di risotto ai funghi, un pensiero indesiderato e morboso si fa strada a forza  tra i miei neuroni: e se questa fosse la quiete prima della tempesta?

Pensaci un attimo Sophie. Sono tutti troppo calmi, sono tutti felici. Jared non ti tormenta da almeno quaranta minuti, il che è decisamente definibile come un primato olimpionico; Shannon e Tomo non minacciano di lasciare la band, licenziarmi o, peggio, drogare di nuovo me e quello spiantato e, per quanto mi riguarda, respiro ancora.
Non male, davvero.
 
Ma a cosa cavolo sto pensando?! Sto diventando paranoica. No, veramente lo sono già.
Potrebbe davvero andare tutto per il meglio d’ora in poi, devo soltanto avere un po’ di fiducia e speranza in più.
 
Scrollo energicamente le spalle, cercando di tornare alla realtà. A questo punto, spero soltanto che queste mie idee malsane non dipendano dal fatto che i funghi siano allucinogeni.
Dopo aver aiutato Tomo e Vicki a rassettare, controllo l’ora, rendendomi conto che sono quasi le otto di sera. Abbiamo finito tardissimo.
Beh, credo proprio che mi ritirerò nel mondo dei sogni almeno per le prossime dieci ore, anche perché sono esausta.
 
Dopo aver salutato i coniugi Milicevic, migro lentamente verso la mia stanza, non senza qualche difficoltà, ma devo dire che la caviglia va decisamente meglio. Mentre sono intenta ad infilarmi il pigiama, mi domando cosa stiano facendo i due fratelli; Tomo mi aveva accennato il fatto che i due avessero deciso di fare una passeggiata nei dintorni per prendere un po’ d’aria fresca. Con i ritmi frenetici che seguono, mi aveva spiegato, hanno poco tempo da dedicare a queste cose e volevano approfittarne. Sorrido tra me e me: è davvero una bella cosa trovare del tempo da dedicare l’uno all’altro, anche quando gli impegni te lo rendono impossibile. A dire il vero, invidio un po’ il loro rapporto: sono qui da sola e, molto più spesso di quanto vorrei, sento la mancanza della mia famiglia. Quindi, vedere quei due così uniti, è una cosa davvero speciale per me.
 
A conclusione di queste sdolcinate riflessioni, chiudo la luce e mi infilo sotto le coperte; tuttavia fatico a prendere sonno. Mi giro e mi rigiro, sprimaccio il cuscino, conto le pecore. Niente. Del mio sonno arretrato, non c’è nemmeno l’ombra. Mentendo a me stessa, provo spudoratamente ad ignorare la strana sensazione che sta prendendo piede, ma la verità è che la mia parte paranoica sta nuovamente prendendo il sopravvento.
E se quei due, da soli nel bosco, avessero iniziato a parlare e, per sbaglio, uno dei due si fosse fatto scappare qualcosa?
Immagino già la bella scenetta:
 
COME BACIARE IL TUO CAPO E SUO FRATELLO IN CAMPEGGIO, NEL GIRO DI 12H.

 
(Tratto da una tristissima storia vera)
Regia: Sophie Z.
 
 
ATTO PRIMO
 
I due fratelli passeggiano al chiaro di luna:
 
Shannon: “Ehi bro, ho bisogno di un consiglio.”
Jared: “Ammanettale alla testata del letto, funziona sempre.”
Shannon: “No, non quel genere di consiglio. Si tratta di Sophie.”
Jared: “Mmh. Credo comunque che il BDSM le piaccia, quindi le manette andranno bene.”
Shannon: “Guarda che sono serio.”
Jared: “Davvero?”
Shannon: “Davvero.”
Jared: “Beh, non puoi esserlo. Le ho già infilato la lingua in gola. Troppo tardi.”
Shannon: “MA CHE CAVOLO DICI?! MUDDAFUGGAZ! BRO…  ANCHE IO! BECCATI QUESTA!”
Jared: “E QUANDO SAREBBE SUCCESSO?! Scommetto prima di pranzo eh? Beh, in ogni caso, sono stato il primo, questa mattina, rassegnati.”
Shannon: “Veramente, ieri notte, in camera sua. Ho vinto.”
Jared: “E con tutte queste circostanze favorevoli non hai combinato nient’altro? E ti vanti ti portare il cognome Leto? Dilettante.”
Shannon: “Ehm… ecco io… QUESTO E’ PERCHE’ TU SEI RIMASTO CHIUSO IN QUELLA MALEDETTA BRANDA! E’ SOLO COLPA TUA SE NON HO CONCLUSO UN BEL NIENTE!”
Jared: “Non è una giustificazione. E inolt… no, aspetta. Aspetta un secondo. Tra ieri notte e stamattina non saranno passate nemmeno otto ore. E se le nostre salive fossero ancora in circolo nella sua bocca?! Questo può voler dire una sola cosa…”
Shannon: “Si, che sei un’idiota e stai dicendo cose senza senso.”
Jared: “NO! CHE BACIANDO LEI E’ COME SE AVESSI BACIATO ANCHE TE, ATTRAVERSO TUTTO IL PROCESSAMENTO DEI FLUIDI CORPOREI E TUTTO IL RESTO! MADRE DI DIO, HO BACIATO MIO FRATELLO. QUESTO E’ INCESTO!”
 
ATTO SECONDO
 
Jared, convinto di aver baciato il suo stesso fratello, accecato dalla disperazione decide di gettarsi  in un burrone, morendo in preda ad atroci sofferenze. Shannon, invece, ancora sano di mente, decide di fare ritorno a casa, ammettendo così, sia a se stesso che al resto del mondo, di avere avuto un fratello demente e finisce per sposare la bella Sophie.
E vissero tutti felici e contenti.
 
Fine del mio personale teatrino mentale.
 
Guardo il display del telefono: segna quasi le undici. Questo significa che per tutto questo tempo il mio cervello non ha fatto altro che processare incessantemente questi pensieri lugubri e disturbanti.
Credo che questa gita fuori porta stia compromettendo più del necessario il mio già labile equilibrio psichico. Quando torneremo a casa, credo che dovrò cercare un buon ipnoterapista, affinché resetti una volta per tutte queste idee abominevoli.
Trascorrono ancora una ventina di minuti prima che il sonno inizi ad arrivare ma, poco prima di addormentarmi, sento distintamente una porta sbattere: Jared e Shannon devono essere rientrati. Tuttavia, sono talmente stanca e determinata a guadagnarmi le mie sette ore di oblio quotidiane, che cerco in ogni modo di non far caso al trambusto provocato dai loro sghignazzi e mormorii soffocati.
 
*clic*
 
La porta della mia stanza si socchiude leggermente. D’istinto, chiudo gli occhi e faccio finta di dormire; non ho proprio nessuna voglia di attaccare discorso con qualcuno, chiunque esso sia. Mentre cerco di emettere un respiro regolare e, al contempo, di muovermi il meno possibile, sento uno strascicare di passi in direzione del mio letto. Uno dei due dev’essersi fermato a pochi centimetri da me, dato che lo sento respirare.
 
“Ehi bro, credo che stia dormendo. Credi sia il caso di svegliarla?”
 
È Shannon.
 
“No, lasciala dormire. Credo abbia bisogno di recuperare le forze e, inoltre” aggiunge Jared talmente piano che a malapena riesco a capirlo, “Penso sia meglio parlarle domani mattina, quando sarà lucida. Visto quello di cui dobbiamo discutere, conoscendola, ora come ora, potrebbe anche avere una crisi isterica. Aspettiamo domani.”
 
“Mmh, forse hai ragione” ribatte Shannon con tono serio. “Andiamo a dormire, sarà meglio per tutti.”
 
Dopo qualche secondo di silenzio, sento il cigolio ed il clic secco della porta che si chiude.
Sono di nuovo sola. Sola e terrorizzata da quello che ho appena sentito.
Mi domando se, nel lasso di tempo in cui i Leto erano qui, abbia per caso smesso di respirare, dato che sento la testa completamente vuota, il cuore battere all’impazzata e una pressione fortissima al torace. In ogni caso, non devo sicuramente avere una bella cera.
Di cosa diavolo dovranno parlarmi domani mattina di così importante da fargli dire frasi del genere?!
Mi viene in mente una sola cosa:
 
LORO SANNO CHE IO SO CHE LORO SANNO PERCHE’ SANNO CHE LO ABBIAMO FATTO.
 
Stop. Questa cosa non ha senso. Quello che intendevo dire è che:
LORO SANNO COSA HO FATTO.

O, meglio, cosa abbiamo fatto. Tutti e tre. Si, ci siamo tutti dentro. Effettivamente, questa volta non credo ci sia un capro espiatorio ben definito. A dire il vero, io ne avrei comunque in mente uno ma, vista la situazione, non sarebbe del tutto corretto e, soprattutto, prudente tirarlo in ballo.
Dev’essere di sicuro questo. Di cos’altro avrebbero dovuto parlarmi altrimenti?
Lo sapevo. Lo sapevo che, prima o poi, sarebbe successo. Stavolta sono davvero nei casini.
E adesso come ne esco? Cosa dirò a Shannon per giustificarmi? Scusami, ha iniziato tuo fratello, ma ho pensato bene di restagli avvinghiata come una piovra? E, soprattutto, cosa dirò a Rachel per giustificare il mio licenziamento (perché tanto succederà)? Scusami Rachel, ma ho pensato bene di farmi dare una controllata al cavo orale da entrambi i fratelli, giusto per avere un parere in più dato che non posso ancora permettermi una buona assicurazione sanitaria?

Sono fregata.
Con questa consapevolezza, mi preparo a passare l’ennesima notte in bianco da quando ho deciso di accettare questo lavoro.
 
*Is this the real life? Is this just fantasy? Caught in a landslide, No escape from reality*
 
Cos’è questa voce?
Da quello che mi sta dicendo non può essere nientemeno che la voce di Dio, venuto a punirmi per le mie malefatte. Tuttavia, mi pare alquanto bizzarro, anche per Nostro Signore in persona, portarsi dietro un coro, nonché una base musicale, per annunciare la mia disfatta imminente.

Socchiudo gli occhi e rivolgo lo sguardo in direzione del punto da cui provengono tali profetiche parole.
Ah, ecco. Adesso è tutto più chiaro. È solo la sveglia, aka la voce del buon vecchio Freddie Mercury in Bohemian Rhapsody, che mi avvisa di essere giunta all’inizio dell’ultimo giorno della mia vita. Leggo l’orario sul display: le otto del mattino. Come se non lo sapessi poi, dato che ho trascorso l’intera nottata con gli occhi sbarrati, almeno fino alle prime luci dell’alba momento in cui, guardando l’ora per l’ultima volta, credo di aver perso i sensi. Per lo shock, suppongo.
Mi tiro le coperte fin sopra la testa; non ho nessuna intenzione di alzarmi dal letto. Mi sento come un prigioniero nel braccio della morte all’alba dell’esecuzione e, inoltre, non avrò nemmeno il tanto sospirato ultimo pasto.

Mentre sono avvolta nel mio bozzolo protettivo in puro cotone, realizzo che in casa regna un silenzio irreale.
Possibile che dormano ancora tutti?
Potrei approfittare di questo colpo di fortuna, se così si può chiamare, per scappare nei boschi e terminare i miei giorni come un eremita solitario, vivendo di bacche e facendo i miei bisogni tra i cespugli secchi. Nonostante questa brillante idea abbia il suo deviato fascino, decido di abbandonarla in favore di una doccia e di una sistemata generale al mio aspetto: magari riuscirò a lavare via anche i sensi di colpa e andrò al patibolo emanando un gradevole aroma di lavanda.

Prendo al volo tutto il necessario e, in punta di piedi, sgattaiolo fuori dalla mia stanza sperando di non incrociare nessuno; specialmente quel coso dai ritmi sonno-veglia del tutto sballati, di nome Jared.
Per una volta, sono decisamente fortunata e riesco ad arrivare alle docce senza incontrare nessuno.
Una ventina di minuti dopo, mi avvio nuovamente verso la baita ma, rientrando, incrocio Vicki in cucina.
 
MA PORCA DI QUELLA…
 
“Buongiorno Sophie, come ti senti? Mi sembri un po’ pallida. Sei riuscita a riposare?”
 
Noto che sta parlando a voce bassissima; magari sono davvero fortunata e dormono ancora tutti. Devo riuscire a tornare in camera e pensare a qualcosa prima che si alzino.
 
“Ciao Vicki, veramente non ho dormito molto ma sto molto meglio. Vedi” dico indicando la caviglia, ora completamente sgonfia, “Cammino senza problemi e anche il dolore è passato. Devo solo fare attenzione a non caricarci sopra troppo peso.”
 
Vicki mi sorride sollevata.
 
“Sono davvero contenta, menomale! Hai fame? Sto preparando i pancakes. I ragazzi stanno ancora dormendo. Se ti va, facciamo colazione insieme.”
 
Oh, Vicki. Sei così cara.
Non posso piantarla in asso così, poverina. E poi, accidenti, per una volta Sophie, sii coraggiosa. Aspettarli in cucina, per giunta con la pancia piena, sarà una scelta migliore del rintanarsi in camera a dondolarsi come una pazza, nel tentavo di trovare una soluzione.
Sospiro, un po’ rassegnata.
 
“Certo, mi fermo volentieri.”
 
Dopo due tazze di caffè e svariati pancakes, mi sento molto meglio. Chissà, forse questa mia forte ansia e questo senso di vuoto e terrore, non erano altro che un calo di zuccheri.
Si, sono pronta a gestire questa situazione.
 
“TOMO MUOVITI, MI SA CHE QUALCUNO HA FATTO I PANCAKES! E, DALL’ODORE, CI DEV’ESSERE ANCHE DEL CAFFE’ IN GIRO DA QUALCHE PARTE!”
 
Il vocione di Shannon mi fa sobbalzare.
Oddio. Shannon e Tomo sono svegli e stanno per entrare in cucina.
Cosa faccio?
 
“Ehi, voi due. Avete tutta questa voglia di distruggervi lo stomaco di prima mattina? Spero solo che qualcuno si sia ricordato di portare il latte di soia.”
 
La voce gelida di Jared, d’altro canto, mi fornisce una soluzione immediata al problema: in meno di un nano secondo, scendo dallo sgabello sul quale ero appollaiata e mi scapicollo in direzione della mia stanza, piantando in asso Vicki che fissa la mia performance con sguardo sorpreso.
 
Alla faccia del gestire in modo maturo la situazione.
 
Sfreccio davanti all’intera band, che si trova in fila indiana nel corridoio, senza emettere il minimo suono, né tantomeno provare ad alzare lo sguardo, ma camminando talmente veloce che nessuno del trio riesce a voltarsi dalla mia parte. Entro in camera come una furia sbattendo la porta e, dopo aver piantato la sedia contro il pomello della porta, comincio a camminare avanti e indietro come una matta.
Intanto, dalla cucina, sento provenire un miscuglio di voci non ben definite di coloro che, credo, siano intenti a comprendere l’assurdità del mio comportamento.
 
“Vicki, ma quella macchia colorata che sfrecciava alla velocità della luce per il corridoio era Sophie?” chiede Shannon allarmato.
 
“E’ per caso successo qualcosa? Si sente male?” domanda Tomo.
 
“Si era lei. Mah, non saprei, davvero. Avevamo appena finito di mangiare. Forse le ha fatto male qualcosa…” suppone Vicki attonita.
 
“Pff. Bazzecole. Si sarà ingozzata come al solito anche perché, da quello che vedo, la pila di pancakes è stata decimata e sicuramente adesso si chiuderà nel cesso per le prossime tre ore.”
 
Ah. Buongiorno anche a te, Jared.
 
“Beh, in ogni caso abbiamo bisogno di parlarle. Lo sai bro, è importante.” sentenzia con tono grave Shannon.
 
“Di certo non sarò quello che l’andrà a recuperare esanime dalla tazza del water.”
 
MALEDUCATO, CAFONE, BURINO, COATTO.
Voglio dire, non può semplicemente star zitto e basta?
 
*toc toc*
 
Smetto di respirare e resto in ascolto. Qualcuno bussa nuovamente alla porta.
 
“Si?” pigolo con la voce in fondo ai piedi.
 
“Tesoro sono Vicki. Stai bene? Hai bisogno di qualcosa?”
 
Pensa Sophie, pensa.
 
“No, Vicki grazie. Sto bene, ho solo dimenticato che dovevo fare una telefonata importante e, per via del fuso orario, questo è l’unico momento utile, sempre sperando che ci sia abbastanza segnale. Tra una decina di minuti sono da voi okay? Finite pure di fare colazione con calma!”
 
Che razza di assurda balla cosmica è mai questa?! Non potevi proprio fare di meglio, vero signorina?!
Peggio di così non poteva andare. A questo punto attendo in silenzio che Vicki inizi a rotolarsi a terra da ridere.
 
“Oh, va bene! Pensavo ti fossi sentita male o qualcosa di simile. Fai pure con comodo, noi siamo di là!”
 
OH, OH, OH. WE HAVE A BADASS HERE.

No, evita per piacere. Sono riuscita a prendere in giro una delle persone più gentili che io conosca. Non c’è molto di cui andare fieri.

SHAME ON ME.
 
In ogni caso, credo sia davvero giunto il momento di fare una telefonata. Devo assolutamente chiamare la sola persona che possa darmi una consiglio valido per uscire viva da questa situazione.
Devo chiamare Jen.

Afferro il cellulare e, dalla rubrica, seleziono la voce “Miss Lawrence”, premendo convulsamente il tasto di invio chiamata.
Avvicino il telefono all’orecchio, pregando che ci sia abbastanza segnale e, dopo qualche interminabile istante di silenzio, sento il primo squillo.
Coraggio Jen, rispondi. Non essendo nemmeno le nove del mattino, è probabile che stia ronfando alla grande: quando lavoravo da lei ero sempre io a darle la sveglia, non appena iniziavo il mio turno.
Sono quasi prossima a riattaccare quando, dall’altro capo del telefono, sento provenire un sonoro grugnito.
 
“Chi cavolo rompe a quest’ora del mattino?!” mormora Jen con voce impastata dal sonno.
 
“Pronto?! Jen, ci sei?! Sono io, Sophie!”
 
“Sophie chi?” domanda con tono un po’ confuso.
 
“Pizza, Pasta, Patate, Parmigiana.” ribatto sghignazzando.
 
Per svariati secondi sento solo silenzio, tanto da iniziare a pensare che Jen abbia riattaccato ma poi, all’improvviso, un urlo disumano mi stura letteralmente il timpano sinistro.
 
“LE QUATTRO P DELL’APOCALISSE! SOOOOOOOOOOPHIEEEEEEE, SEI DAVVERO TU?! LA MIA SOPH?! NON CI POSSO CREDERE, MI SEI MANCATA DA MORIRE!”
 
Sto per piangere dalla gioia, è proprio la mia Jen, non è cambiata affatto.
 
“Si Jen sono io. Mi sei mancata anche tu, tantissimo.”
 
“Soph, perché quella voce? Stai bene? Dove sei? Cosa fai? Dai mi vesto, ti passo a prendere e andiamo a mangiare qualcosa!”
 
Mi sale il magone. Avrei dovuto seguirla sul set del suo ultimo film, sarei dovuta restare con lei, mi sarei risparmiata tutto questo.
 
“Jen aspetta, frena un secondo. Sono ad Aspen, non so per quanto mi fermerò qui. Ho un nuo…”
 
Prima di farmi finire, Jen inizia a gridare di nuovo.
 
“ASPEN? COSA DIAVOLO FAI SPERDUTA TRA LE MONTAGNE?! NON DIRMI CHE TI SEI MESSA CON UNO DI QUEGLI SCIMMIONI RICCHI CHE HANNO I CENTRI BENESSERE IN MEZZO AI BOSCHI!”
 
Sarebbe stato meglio. Credo.
 
“No! Senti fammi finire di parlare, non ho molto tempo. Dicevo. Ho un nuovo incarico, sempre a L. A ma è una situazione intricata, ho bisogno di vederti quando torno… è solo… che…”
 
Solo che niente. Inizio a piagnucolare senza terminare la frase.
Davvero poco dignitoso, già.
 
“E’ solo che ho combinato un casino” proseguo a mezza voce, “E non come uscirne. Ho bisogno del tuo aiuto.”
 
“Okay, stai calma. Ora spiegami tutto e vediamo che si può fare.”
 
La voce di Jen è totalmente cambiata. Adesso è seria, concentrata.
 
“Va bene, mettiti comoda, ci vorrà un po’.”
 
Venti minuti dopo, termino la chiamata con Jen. Ci siamo lasciate con la promessa di vederci non appena sarò rientrata a L. A.
Ora so cosa devo fare. Con questa consapevolezza, esco dalla mia stanza e mi dirigo in cucina, pronta ad affrontare il mio destino.
 
 
 
 
Eccoci qui. Come al solito sono in ritardo ma credo che, ormai, molti di voi ci avranno fatto il callo, così come credo che, moltissimi di voi mi detestino dal profondo del cuore e, nell’attesa tra un aggiornamento e l’altro, abbiano fabbricato bambole vodoo provando ad immaginare le mie fattezze.
Chiedo perdono in tutte le lingue del mondo.
Spero vivamente che il capitolo vi piaccia (a proposito: cosa ne pensate degli ultimi sviluppi e dell’evoluzione dei personaggi e della piega che gli eventi stanno prendendo?) e che non sia pesante da leggere dato che è sempre un filino più lungo rispetto agli standard normali e che, soprattutto, tenga vivo il vostro interesse. Come al solito, se avete gradito o, al contrario, avete odiato l’ammasso di corbellerie scritte dalla sottoscritta, fatemelo sapere con un parere di cui, come sempre, vi sono grata.
Sperando di aggiornare as SOON as possible, SOON che ormai sta diventando come quello della GerardaH, ringrazio dal profondo del cuore tutti coloro che, pazientemente, attendono il seguito di questa storia e le dedicano il loro tempo.
Alla prossima,
BarbaH GerardaH
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
  
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