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Autore: Meiko    13/02/2005    4 recensioni
"E ora di raccontare agl'uomini la verità...di come Lucifero sia veramente morto...e di come non esista l'inferno...e nemmeno il Paradiso...ora" il progetto Apocalisse è in atto...
Genere: Dark, Drammatico, Mistero, Romantico, Sovrannaturale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Raffaela era da sempre una persona molto affabile, possedeva un carisma notevole su chiunque, eppure questo carisma era bilanciato con il suo essere anche schiva.
Se non c’era bisogno della sua presenza preferiva starsene da sola in laboratorio, un piano sotto il pianoterra.
Li passava la maggior parte delle sue giornate, intenta a realizzare farmaci o esperimenti, così com’era sempre intenta a fare, a volte si aveva la sensazione che fosse davvero troppo indaffarata.
In quel momento la porta del laboratorio si aprì con un sussurro silenzioso, Raffaela odiava ogni tipo di scricchiolio che potesse distrarla dal suo lavoro, infatti sembrò non accorgersi della presenza che era entrata solo quando questa chiuse la porta con lo stesso silenzio, mentre la ragazza verificava il cambiamento di colore di un liquido in una provetta messa alla luce di un neon.
-Ma quando imparerai a bussare?-
-Scusami, però non volevo farti perdere la concentrazione-
-Sei qui per il farmaco? L’ho quasi completato-
-A dir la verità…volevo tenerti compagnia…-
Raffaela restò sorpresa da quelle parole, voltandosi verso la donna che si era messa seduta su una sedia imbottita con le rotelle, questa sorrideva con fare tranquillo, constatando che se no pavese saputo che lei era Raffaela l’avrebbe confusa con un maschio.
Portava i capelli corti per comodità, eppure aveva il vizio di legarseli in un’inutile codina che la rendeva mascolina.
Poi quei suoi tondi occhiali e il camice da scienziato, la facevano sembrare più robusta, anche se in realtà era magra come un chiodo.
Raffaela con una delicatezza incredibile mise il contenuto della provetta in un’ampolla dove c’era altro liquido, chiudendolo con un piccolo tappo di sughero e scuotendolo un po’.
Quando ebbe finito l’operazione concentrò tutta la sua attenzione sulla donna che sedeva dietro di lei, mettendo una mano come appoggio sul tavolo di lavoro e guardandola attentamente, mettendo i tondi occhiali sulla testa.
La osservò attentamente, mentre questa sorrideva tranquilla, aveva sempre quell’aria pacata. I capelli erano coperti da un velo bianco trattenuto da una fascia con dei medaglioni, ed il castano chiaro appariva sfumato in un dorato.
Vestiva con un’elegante vestito fatto di stoffe colorate per la gonna che formavano due strati, e un corpetto di color avorio.
Di solito, quando era abbellita in quel modo, significava che era uscita.
-Hai avuto da fare oggi?-
-Come sempre…-
Gabrielle mosse leggermente la testa, i medaglioni da un lato tintinnarono, mentre il pendaglio della collana che portava al collo scivolava sulla pelle.
Raffaela sbuffò, prendendo un’altra sedia e poggiando i gomiti sullo schienale.
-Avanti, spara. Che vuoi?-
-…so che Uriel è stato chiamato…insieme a Samael…-
-Si, in questo momento stanno avendo una conversazione non solo con il Coro dei Serafini…ma anche con Lui…-
Gabrielle sussultò, il sorriso era morto, il cuore di colpo era accelerato, mentre in testa aveva in mente solo un’idea di quello che stesse succedendo.
-…che abbia intenzione…di mettere in atto il progetto?-
-Beh, perché non glielo chiedi?-
-Non scherzare Raffaela! La situazione è grave!-
Gabrielle si era alzata di colpo, il viso ancora una volta aveva quella piccolissima ruga sulla fronte mentre gli occhi erano allarmati.
Stavolta tremava anche, era veramente preoccupata.
Una cosa che succedeva da parecchio tempo ormai.
Il che era strano per una come Gabrielle, che non si faceva scalfire nemmeno dalla provocazione più insistente.
Gabrielle intanto si era mossa, ed aveva afferrato delicatamente la boccetta con cui prima aveva armeggiato l’altra ragazza.
-Sono…passati…diciassette anni…-
studiò il liquido con attenzione, sembrava acqua colorata blu e non aveva sedimenti.
Gabrielle strinse nella mano curata la boccetta, un dito dell’altro passò sopra il vetro che si scaldava con il calore della donna, l’unghia rossa sembrava disegnare una linea dritta.
-Diciasette anni…eppure non una ruga…non un capello bianco…siamo rimasti in attesa che il progetto avesse inizio…
…Eppure…se non fosse successo nulla…il progetto non si sarebbe mai realizzato…saremmo ancora…insieme…-
Raffaela guardò seria e tranquilla il viso sofferente dell’amica.
Gabrielle era fatta così, i sentimenti per lei erano così importanti, eppure nel suo lavoro era sempre rigida.
Ma da diciassette anni a questa parte, mentre preparavano il progetto, aveva iniziato a “pensare”…cosa che a Michael non andava giù per niente, e spesso lui si metteva ad alzare la voce contro di lei, sgridandola e ricordandole chi era…e perché lo faceva.

“Tu hai il compito di slavare vite innocenti, madri che hanno la gioia di partorire i possibili eredi di un potere indescrivibile!
Questi figli devono avere la possibilità di imparare ad amare fin da subito.
E tu con il tuo compito li aiuti!
Sei importante, sei fondamentale!”


A volte le metteva le mani sulle spalle e le accarezzava la fronte, mentre Raffaela stava in silenzio ad osservare la scena con aria annoiata, anche se in fondo la cosa la lasciava spiazzata.
Da quando Lucifero era morto, Michael aveva dato il via ad una guerra silenziosa contro un nemico invisibile che però lo stava risucchiando delle sue energie.
Ciò che lui chiama diavolo, o demone.
Messo in testa ai mortali, era stata la causa di molte crudeltà.
E loro potevano solo stare a guardare, mentre i mortali invocavano il soccorso di Michael.
Raffaela vide nella sua mente il ricordo di falò, impiccagioni di massa…di giudici corrotti o di pazzi…di fanatici…
Di sangue…tanto sangue…
In diciassette anni…anni?
…il tempo ormai per loro era qualcosa che si poteva fermare, come facevano da tutto quel tempo.
Raffaela lanciò uno sguardo a Gabrielle, che teneva ancora in mano quella boccetta.
Sbuffò, prendendo gli occhiali e pulendoseli con il camice bianco candido.
-Gabrielle, io non ho voglia di consolarti, ma sappi che se tutto questo è accaduto, un motivo c’è-
-Ma come fai ad essere così cinica? Non senti la sua mancanza?-
-Ogni giorno-
Gabrielle guardò lo sguardo serio, dritto e tranquillo della ragazza che aveva la mano sulla maniglia della porta, l’altra nella tasca del camice.
-Ogni giorno sento la sua mancanza, ma ormai sono passati diciassette anni.
Hai ragione, forse se non fosse successo nulla saremmo ancora insieme.
Ma è successo.
E’ per questo che dobbiamo andare avanti-
Raffaela aprì la porta, lasciando entrare un barlume di sole in un angolo della sala, mentre Gabrielle teneva ancora in mano la boccetta, voltandosi verso la ragazza, che si lasciò sciogliere i capelli sistemandoseli, l’elastico stava tirando una ciocca e le faceva male.
Raffaela aveva corti capelli neri, con una ciocca viola acceso che accarezzava una guancia.
Velocemente si sistemò la codina di nuovo, mentre la donna la raggiungeva, sorridendo come al solito.
-Come sempre hai saggezza-
-Più che altro questa è la realtà-
Raffaela fece spallucce, mentre Gabrielle la seguiva salendo gli scalini, la ragazza raggiungeva l’amica fino alla spalla, era davvero piccola e magra, ma nonostante tutto era slanciata.
Raffaela si guardò intorno, la sala grande era sempre così luminosa, era tutta interamente coperta da muri di vetro, che lasciavano entrare la luce, l’elegante arredamento aveva legni chiari pregiati e laccati, moquette rossa morbida e divani morbidi di colore crema.
Le due si avvicinarono ad uno degli ascensori, quando Gabrielle si fermò, optando verso un vetro scorrevole che portava verso un grande giardino, poco lontana coperta dalle fronde di due querce un dojo.
La ragazza più giovane chiamò l’ascensore, sistemandosi gli occhiali.
-Vai a chiamarlo tu?-
-…si, tu vai-
Raffila annuì, entrando nell’ascensore, mentre Gabrielle scendeva qualche scalino, incontrando una strada di pietre lisce che la portava a quella che sembrava una minuscola casa dalle finestre piccole e interamente fata di legno, con le porti scorrevoli.
Molto spoglia, nemmeno una targa o un cartello.
La donna si avvicinò al dojo, una lieve brezza sollevò la fine del velo che le copriva i capelli corti, i medaglioni tintinnavano al movimento del corpo.
Una bellissima giornata di sole, le poche nuvole erano state spazzate via.
Gabrielle alzò per un istante gli occhi al cielo, lo sguardo castano non riuscì ad incontrare la luce del sole, mentre era sempre più vicina alla meta.
Il dojo era messo in ombra dalle fronde delle due querce, alte e imponenti.
Dietro la piccola casa invece c’era un albero di pesco in fiore, alcuni petali era trasportati dalla brezza e in qualche modo entravano dalle finestre della casa di legno.
Il rumore della porta scorrevole era liscio e forse un po’ forte, il sole non riusciva a passare per quel buco, abbastanza grande da far entrare la donna, che si soffermò, chiudendo dietro di se la porta.
Era sdraiato a terra, con i lunghi capelli sparsi sul pavimento.
Li accanto una spada da samurai, la lama luccicava a quelle macchie di luce che entravano dalle fronde e dalle finestre.
Lui aveva il viso in luce insieme ad un braccio, tutto il resto era coperto dalle ombre.
Gabrielle si avvicinò lentamente, cercando di fare poco rumore.
In questi diciassette anni si era fatto allungare i capelli, in quel momento erano sparsi formando rivoli di un biondo chiarissimo quasi bianco.
Di sicuro si era allenato, aveva addosso i pantaloni di una tuta e una maglietta senza maniche che lasciava vedere il fisico giovane, un braccio sul pavimento e l’altro appoggiato al petto, la mano sul cuore.
Il suo cuore…
Probabilmente si era fermato a pensare, e adesso si era addormentato.
Spesso sia lui che Lucifero avevano questa abitudine.
Ogni volta si davano un sacco di legnate con le spade di legno, aveva molti lividi un po’ dappertutto.
Restavano in piedi fino a stramazzare al suolo dalla fatica, a quel punto Lucifero si metteva appoggiato a Michael ,che gli accarezzava i capelli.
Quei bellissimi e lunghi capelli neri.
Restavano così, fermi, fino a quando non si addormentavano.
A volte Gabrielle li vedeva con le mani unite, e sorrideva.
Sorrideva sempre in modo gentile.
Lucifero era sempre il primo ad alzarsi…poi allungava una mano verso Michael e lo sollevava.
E per qualche istante gli piaceva restare accano a lui assaporando il profumo mischiato al sudore che gli pizzicava il naso.
E mentre Gabrielle si allontanava, lui gli accarezzava il viso pallido, al contrario di Lucifero lui aveva la pelle più ambrata.
Ed ogni volta quella guancia era tiepida e liscia…
…quella guancia…quel volto…quegl’occhi…

-Michael?-
Gabrielle si sporse, allungando una mano verso il volto ambrato del giovane uomo.
Lui si alzò di scatto, mettendosi seduto, intimando così a Gabrielle di non avvicinarsi troppo.
Lei si rialzò dalla posizione inginocchiata.
-Ti aspetto fuori?-
-…no…-
Michael avvertì il volto rigato di lacrime.
Lacrime di dolore, di rabbia, di furia.
Era furioso con lui, ogni volta anche ricordava qualcosa diventava triste…e la sua tristezza diventava furia.
Perché lo aveva tradito.
Michael non asciugò le lacrime, voltandosi verso Gabrielle, che si avvicinò, e con un lembo dell’abito gli asciugò il viso da sudore e lacrime.
-E’ meglio che ti rinfreschi e ti cambi, io intanto raggiungo Raffaela…-
-No…ho detto che tu resti-
la donna lo osservò, gli occhi di Michael erano color ambra, un arancio rossiccio che ora sembrava fuoco.
Lei poté solo annuire, mentre Michael si allontanava solo per prendere la sua sacca, recuperare la spada e seguirla verso il giardino, i capelli se li era legati in una coda morbida, ed ora apparivano ancora più chiari di quanto non lo fossero.
Insieme erano diretti verso l’appartamento dentro il grande edificio, restando in silenzio per tutto il tempo.
La stanza che dovevano raggiungere era verso gli ultimi piani, anche questa completamente coperta da delle vetrate, ma più scure, in modo che l’atmosfera fosse più pacata e invogliasse al silenzio.
Raffaela avvertì il leggero ronzio dell’ascensore che le fece girare il capo verso le porte scure d’acciaio che rivelarono la presenza di Gabrielle che le si avvicinò, e di Michael, che fece qualche passo, guardandosi attorno.
Indossava una lunga giacca, sotto portava una camicia bianca con un cravattino che teneva alzato il colletto, i pantaloni eleganti, il tutto in colori ambrati che risaltavano la pelle scura.
Si guardò intorno, avvicinandosi poi alle finestra, mentre Gabrielle di metteva comoda su una delle poltrone, Raffaela seguì con lo sguardo il giovane uomo che si affacciava a guardare la città.
…aveva saltato ancora il giorno…
-Mich, devi smetterla di saltare i giorni…da adesso in poi devo farti anche la guardia perché tu prenda la medicina?-
Raffaela era sbottata in quell’ironica domanda che fece sorridere amaramente il ventenne mentre Gabrielle sbiancava leggermente, spaventata che Michael avesse saltato ancora un giorno.
Era già la terza volta…
Non poté unirsi alle lamentele di Raffaela, che una porta scorrevole del muro della sala si aprì, rivelando due figure che entravano.
Il primo a farsi avanti fu un tredicenne, Uriel in effetti era il più giovane assieme alla Samael, che in quel momento lo seguiva dietro.
Erano identici, soprattutto nei tratti del viso come gli occhi, che erano dal taglio a mandorla, con una colorazione argentata.
Gabrielle si alzò di scatto, si era innervosita nel vederli, d’altronde erano loro che davano gli ordini ricevuti da Lui.
Soprattutto Samael, che in quel momento si mise seduta sul divano, con affianco Uriel, Michael non li guardava in faccia, ma attraverso il riflesso nel vetro della finestra vedeva le due sagome.
Samael era leggermente più piccola del fratello, con i capelli candidi legati in una pesante treccia che cadeva sulla schiena.
Uriel al contrario li portava corti, entrambi vestiti con una giacca a collo alto e stivali, come due piccoli nobili di epoca seicentesca.
Restarono in silenzio per qualche minuto, Uriel aveva anche un leggero mal di testa per la discussione che aveva avuto con alcuni Serafini del Coro.
Raffaela intanto si era messa comoda, mentre Gabrielle aveva iniziato a camminare per la stanza scaricando la tensione che aveva fin nella punta delle dita,i medaglioni sul capo procurarono un tintinnio.
Michael prese la parola, con le mani dietro la schiena.
-Allora?-
Samael lo fissò con attenzione, mentre Uriel prendeva fiato e sbuffava stancamente.
-…hanno deciso di dare il via all’apokalipsis-
-Ma prima…abbiamo ricevuto un compito ben preciso…che interessa soprattutto te, Michael- Samael era rimasta seduta, mentre il fratello le teneva gentilmente la mano.
La tredicenne continuò, ricordando a memoria ciò che aveva sentito.
-…dobbiamo trovare la bestia…-
la bestia…
Raffaela fu l’unica ad annuire, alzandosi in piedi dal divano, mentre Michael sembrava soddisfatto dell’ordine che aveva ricevuto.
Gabrielle invece era ancora tesa.
-Ma…come faremo a trovarla?-
-Non vi preoccupate…ho gia mandato io qualcuno…-
Michael si voltò verso i presenti, Samael si limitò ad annuire.
Raffaela si allontanò per prima, tornando in laboratorio, seguita poi da Michael, mentre Gabrielle si metteva seduta sul divano, le mani unite in un gesto di preghiera, mentre Samael e Uriel restavano in silenzio.
“E così…Yestind deve morire…”


Quando la campanella segnava la fine delle lezioni, lui era gia pronto per andarsene.
Volontariamente uscì dalla scaletta di servizio dietro la classe, evitando così tutta la folla che usciva dalla porta principale, mentre si passava una mano tra i capelli sfatti.
Reggeva lo zaino con una sola spalla, mentre si ficcava una mano in tasca guardandosi intorno e avviandosi verso il traffico di macchine che uscivano dal centro.
I pantaloni bassi mostravano un pezzo dei boxer neri che indossava, la cintura verde sporco serviva a poco, mentre le mani tiravano su le maniche della pesante felpa grigia sporca in alcuni punti di nero e decisamente da buttare da lavare, sotto non portava altro che una canottiera, o meglio la “maglia della salute”, come Yubaba insisteva nel chiamarla e nel fargliela mettere.
La mano coperta dai guanti senza dita di quello che sembrava tessuto non rifinito passò tra i boccoli castani e incasinati dei capelli, mentre attraversava la strada prendendo la rincorsa, superando un incrocio e raggiungendo una vecchia stazione dei pompieri abbandonata, sui gradoni ad attenderlo un ragazzo dai capelli neri con la giacca in jeans che fumava in santa pace una sigaretta un po’ rovinata.
Il ragazzo che fumava notò la sua presenza, alzandosi in piedi e afferrandogli la mano che porgeva.
-Non c’è un cazzo da fare oggi Juses?-
-A quanto pare…tu invece? Hai qualche giocattolo nuovo da farmi vedere?-
il ragazzo dalla barbetta scura sul mento sorrise, scoprendo un paio di denti ingialliti, buttando lo zaino a terra e tirandone fuori qualche cd che passò al compagno.
-Me li ha fatti uno della mia classe, un finocchio che però ha musica interessante!-
-Si…spacca…-
-Ehi, non mi sembri molto convinto-
il ragazzo dai capelli neri scosse la testa, mentre riguardava più volte i cd.
-Pensavo che li avresti fatti tu questi-
-Magari, ma ho un casino da fare!! Che cazzo, quello stronzo del professore quando spiega non ci si capisce un cazzo e mi tocca riguardare la lezione…-
-Non mi dire che vai ancora a scuola Joe?-
Juses guardò ancora il compagno, che fece spallucce.
-Se non fosse per Yubaba io me ne sarei gia andato da quella merda! Pensa che si è allagata una classe a causa di un termosifone!-
Joe aveva…una erre moscia che stava cercando di nascondere, solo che in quel momento gli era scappata, e comunque erano inutili i suoi tentativi di nasconderla.
Juses guardò ancora i cd, prima di ripassarli al compagno, che si mise lo zaino in spalla sbuffando, le maniche avevano di nuovo coperto le braccia.
-Che c’hai una sigaretta?-
-Come al solito…-
il ragazzo porse una sigaretta al compagno con l’accendino, per poi guardarsi intorno.
C’erano un sacco di ragazzi della loro età che stavano cercando un bar o un fast food dove perdere tempo, altri s’infilavano nelle sale di videogiochi.
Juses e Joe cominciarono ad avviarsi, avevano qualche soldo per un panino, ed optarono per una rosticceria ancora vuota, il profumo del pane li stordiva e faceva venire ancora più fame al ragazzo moro, mentre alcune ragazze entravano dentro, compreso un uomo con gl’occhiali da sole.
Juses si voltò a guardarlo, i capelli biondi corti, il viso ovale e il fisico imponente, lui doveva essere la metà di quell’uomo.
Lo guardò ancora, i suoi occhi rossi focalizzarono la sua immagine, mentre lo sconosciuto ordinava, infilandosi una mano nella tasca dei pantaloni, portava una lunga giacca chiusa da delle cinghie, aperta sui pantaloni e le scarpe scure.
Juses e Joe uscirono con due panini ben gonfi, anche se il ragazzo dai capelli neri sapeva che tra cinque minuti il compagno avrebbe finito il panino e avrebbe proclamato che aveva ancora fame.
Si misero comodi a mangiare su una panchina, Juses era seduto sullo schienale in modo da avere una visuale più ampia di quello che gli era intorno.
La giornata non si prospettava calda nonostante il sole brillante, mentre Juses addentava il panino, osservando l’uomo con la lunga giacca che era uscito dal locale, tra le mani teneva un sacchetto, ed ora si guardava intorno.
Lo stava cercando…
-Joe, forse è meglio tornare da Yubaba…-
-…va bene, anche perché ho finito i liquidi ed ho ancora fame-
i due si avviarono, mentre l’uomo li teneva sotto d’occhio, il ragazzo dai capelli neri si era accorto che li seguiva ed ora si stava allontanando.
Cominciò a seguirli da lontano, mischiato dalla gente che a quell’ora si stava riversando verso su quella strada a traffico limitato per tornare a casa o fermarsi da qualche parte.
Intanto il compare del ragazzo dai capelli stava chiacchierando con quella strana erre fumandosi una sigaretta, una delle ultime del pacchetto di Juses.
L’uomo li seguì per tutti il tempo, sorridendo divertito dallo sguardo di Juses che gli lanciava delle occhiate.
Era la prima volta che vedeva un ragazzo con quel colore di iride.
Si stava divertendo molto in questo pedinamento.
Lo aveva notato gironzolare per la città, per poi soffermarsi quando era entrato nel sottopassaggio.
Il ragazzo furbamente aveva preso la metropolitana distanziandolo.
Per fortuna l’aveva ritrovato che entrava in quella rosticceria.
Avvertì il peso come di un sasso sul petto, all’altezza del cuore.
Sorrise ancora, mentre si risistemava gli occhiali da sole sottili dalla montatura leggera.
In quel momento passò una leggera brezza che scompigliò i capelli sottili della sua preda, che si voltò ancora a guardarlo.
Occhi rossi, capelli neri, visino pallido.
…niente male…per essere una bestia…un animale…
Juses si guardò intorno, lo stava ancora inseguendo, ma non poteva fare nulla in mezzo a questa gente…non poteva nemmeno distanziarlo…

-Joe, mi sono appena ricordato che ho una commissione da fare per Yubaba. Tu vai intanto-
il compagno annuì, salutandolo, mentre Jesus tornava indietro sui suoi passi, incrociando l’uomo, che lo vide correre dalla sua parte…e superarlo, andando verso il fondo della strada.
Sorrise divertito…non era così scemo…
Si voltò, mentre la folla era calata di numero, trovando poi una testa nera che entrava in un vicolo in mezzo a due edifici.
Il vicolo all’inizio era una piccola strada a senso unico, poi si ramificava in stradine sempre più strette, in alcuni punti c’erano dei bivi, fino a raggiungere a due vicoli ciechi.
L’uomo si fermò, era in mezzo ad un bivio, sotto di lui un tombino, poi due vicoli ciechi, dietro la stradina da dove era arrivato.
Sopra di lui le case della gente più povera, con i panni stesi in comunità su lunghi fili, c’erano anche delle reti che separavano quel vicolo da altre stradine più piccole.
C’era uno strano odore di spazzatura, in un angolo c’era della frutta che stava marcendo.
Le scarpe eleganti scricchiolavano leggermente sull’asfalto, segno che erano nuove, mentre la giacca seguiva i movimenti del corpo, ondeggiando leggermente.
Sentì di nuovo quel peso come un sasso all’altezza del cuore, mentre si guardava intorno. -E’ inutile che ti nascondi…-
-Io non mi sto nascondendo…-
si voltò indietro velocemente, quando si sentì venir afferrato da un braccio, una figurina lo sollevò da terra e con un movimento unico di tutto il corpo lo scaraventò per terra, facendogli battere la schiena a terra, procurandogli un forte dolore.
-Porcaputtana…-
alzò lo sguardo, davanti a lui Juses lo osservava con fare incuriosito e attento, studiando ogni mossa dell’inseguitore.
-Perché mi segui?-
l’uomo sorrise, mentre osservava quel ragazzo, sotto la giacca aveva una maglietta bianca. Però gli piacevano molto quegl’occhi rossi.


“Nessuno sa cosa significa
essere l’uomo cattivo…essere l’uomo triste…
Dietro occhi blu…”


L’uomo si rialzò, sistemandosi la giacca, mentre il ragazzo restava fermo ad osservarlo, poi gli ripeté la domanda.
-Perché mi segui?-
-…perché ti cercavo…perché ti devo uccidere-
il ragazzo non sembrava essere spaventato o impressionato dalle parole dell’uomo, che raccolse gli occhiali, controllando che non si fossero rotti.
Azzurri…aveva gli occhi azzurri…
E lo stava seguendo perché voleva ucciderlo…
Non gli chiese il perché volesse ucciderlo, semplicemente lo superò, ignorando la sua presenza e tornando verso il centro, mettendosi le mani in tasca.
L’uomo lo guardò, e aprì la giacca, tirandone fuori una pistola.
La caricò, per poi prendere la mira.
E sparò un colpo contro Juses, che avvertì il colpo e pochi secondi dopo un dolore atroce che partiva dalla spalla ed espandersi verso il corpo.
Il dolore fu tale che lo fece barcollare, mentre si toccava la spalla, il sangue aveva gia iniziato a scorrere, macchiando la maglietta e la giacca in jeans.
“Ed ora…scappa…”
il ragazzo si voltò verso l’uomo, osservandolo, la mano ancora sulla spalla colpita.
Gli occhi rossi osservarono quelli azzurri dell’uomo, che sorridendo teneva ancora la pistola fumante in mano, caricando un secondo colpo, per poi sparare di nuovo, il botto riecheggiò in quel silenzioso vicolo, c’era solo un gatto che stava passando che però scappo allarmato dal rumore improvviso e secco.
Il secondo proiettile ferì il fianco del ragazzo, che sentì il bruciore della pelle e il graffio che pulsava dal dolore.
L’uomo era pronto a caricare un terzo proiettile, quando qualcuno si sporse da una delle finestra, imponendogli di nascondere l’arma, mentre il ragazzo lo fissava ancora, per poi mettersi un dito al cuore.
-Qui…la prossima volta…se mi vuoi uccidere…-
poi si allontanò di corsa, saltando sulla rete metallica, e allontanandosi tra i vicoli di quel quartiere, mentre l’uomo si metteva gli occhiali da sole, e si allontanava dalla strada.



…a dire la verità non so che dire! Questo è il secondo capitolo, e la seconda parte è cominciata a mio parere male per poi diventare qualcosa che definisco assurdo!-_-;

Kannuki: sono contenta che hai commentato e che ti piaccia!

Diandraflu: eccoti qui subito il secondo capitolo! Si, di solito io sono molto confusa, sia nello scrivere che nella mia vita privata, quindi non saprei che dirti! ^^;

Noesis: grazie per il benvenuto, devo ammettere che questo mondo mi è tutto nuovo! In effetti da quando hai parlato degl’arcangeli in una Science Fiction sono diventati di casa! Ma gia da tempo pensavo di fare una cosa del genere, anche prima che tu scrivessi la tua bellissima storia.
Riguardo a Juses…resto muta! ^^ Scherzo è per non rovinarti niente.
In effetti le malboro rosse è un dettaglio che ho aggiunto per renderlo un po’ fighetto, ma per il resto…beh, lo vedrai tu!

CIAO!
Meiko
  
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