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Autore: myavengedsevenfoldxx    13/03/2015    1 recensioni
il suicidio non è mai la soluzione giusta, anche nei peggiori dei casi, la vita va avanti, non fermarti al primo ostacolo davvero difficile, vivi la vita, cogli ogni attimo perché ne vale la pena e non avere paura, sii forte, sii te stesso, sempre e comunque.
Genere: Generale, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Synyster Gates, The Rev, Un po' tutti, Zacky Vengeance
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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III

As your nightmare come to life
You should have known
The price of evil



 


 Aprile 2005


 


Avere 18 anni non è facile, specialmente se hai una vita come la mia.
Quella notte non l’avrei di certo dimenticata, ogni anno il giorno del mio compleanno facevo sempre il solito incubo: mio padre che mi stuprava, lui che uccideva mia madre con la cintura  e il suo corpo che si afflosciava a terra privo di vita, una scena che non augurerei nemmeno al mio peggior nemico; poi lo sparo e dopo alcuni minuti il suono delle sirene della polizia. Il vento si era placato e le nuvole diradate, il cielo era sgombro e si intravedeva la luna dietro i tetti delle case.

Prima sentii il suono delle sirene della polizia, poi le luci blu e una serie di voci che accorrevano attorno alla villetta in fondo alla via, una villetta semplice con un piccolo giardino e una macchina blu nel viale. Era di colore azzurrino e i fiori sulle balconate, aveva due piani: sotto la cucina, il soggiorno e un ripostiglio, sopra le due camere da letto, un bagno e uno studio. Quella villetta era sempre stata oggetto della curiosità dei vicini, ci abitava un uomo che faceva il camionista, una donna che lavorava al fast food all’angolo e una bimba di 11 anni di nome Hannah che aveva uno sguardo perso e vuoto come se fosse cieca. Quella bimba giocava dietro casa, stava sempre nel posto più nascosto e le piaceva catturare gli insetti e ucciderli, voleva vedere cosa gli succedeva e come si contorcevano, era una cosa che la affascinava moltissimo.

Quella bimba ero io e i vicini mi conosceva col nome “quella della villetta blu”, non so perché mi chiamassero così, ma di una cosa ero certa: avevano paura di mio padre, quell’uomo che ogni volta che usciva tornava a casa ubriaco fradicio e mi violentava, ma io nonostante questo avevo uno sguardo fiero nei suoi confronti, non mi sarei mai opposta o scappata, vivevo la vita a testa alta anche se voleva dire vivere una vita di merda senza felicità, chissà se l’avrei mai trovata.
Dopo un paio di minuti sentii la porta dell’entrata cedere sotto i continui calci dello sceriffo, una serie di passi frettolosi si svilupparono per la casa, alcuni si fermarono in soggiorno, altri salirono le scale e la porta della mia camera venne aperta di botto. Io ancora in lacrime col peluche stretto in mano mi aggrappai all’uomo che mi prese in braccio e mi portò abbasso, mi avvolse in una coperta e mi asciugò le lacrime sul mio volto.
-è tutto okay piccola- mi rassicurò. Io tirai su col naso e fissai la stanza, mi aveva portato in cucina e c’erano delle voci che giungevano dal luogo dove papà si era sparato. L’uomo che mi aveva raccolta era alto, robusto con i capelli un po’ rasati, la divisa della polizia e le occhiaie, mi rivolse uno sguardo pieno di pietà e mi sorrise per rassicurarmi.
-piccola, io sono lo sceriffo Zackary Beich, ma puoi chiamarmi Zack- disse stringendomi la piccola mano. Io non prestai molta attenzione, ma gli risposi dicendo il mio nome e provando, inutilmente, a sorridere.

Zackary se ne andò nell’altra stanza, io nel frattempo mi ero calmata bevendo da un termos il tè caldo che qualche sconosciuto aveva portato.
Tutti erano riuniti in soggiorno che parlavano, quasi tutti erano con la divisa, erano della polizia e discutevano con termini a me incomprensibili, scesi dal tavolo appoggiandomi alla sedia e stringendo l’orsetto rattoppato al petto mi avviai verso il soggiorno. Essendo piccola e minuta e la stanza nella semi oscurità, nessuno mi notò entrare e vidi la scena che mi sarebbe rimasta impressa per sempre davanti agli occhi.
Mio padre seduto sulla poltrona con un foro all’altezza dell’orecchio e la testa leggermente piegata di lato, teneva mia madre per la mano mentre lei stava distesa sulle ginocchia come se fosse una bimba dei film vecchi dove il nonno per far divertire il nipote, lo metteva sulle ginocchia e gli raccontava una storia dei vecchi tempi. Lei era nell’esatta posizione di quel bambino dei film, solamente che aveva dei segni rossi attorno al collo e mio padre recava in mano la pistola con cui si era tolto la vita.

Zackary si girò a fissare i due cadaveri e il suo volto sbiancò quando mi vide, bestemmiò e mi portò via, io scalciai e mi dimenai, battendo i pugnetti contro il suo petto, ma invano, ero piccola e fradice così l’unica cosa che feci fu scoppiare a piangere.
-ehi Hannah- disse una voce familiare, così familiare da rimanere colpita, smisi di piangere e mi voltai sempre in braccio al poliziotto. Davanti a me apparve un uomo sui 50 anni, con l barba e qualche capello bianco, accanto a lui c’era una donna minuta con i capelli raccolti in uno chignon e un sorriso materno.
-NONNO- gridai dimenandomi, Zackary mi appoggiò a terra non riuscendomi a trattenere e io corsi incontro ai nonni con le lacrime agli occhi.
 

***


Vissi con i nonni fino a quando una sera non successe il finimondo. Ero andata a sentire una band suonare in un bar e avevo lasciato i nonni a casa, assicurandomi che avessero tutto. Quel mese avevo ottenuto un aumento per gli straordinari fatti e così decisi di regalarmi una sera per me, inoltre era la sera del mio compleanno e volevo starmene un po’ per conto mio.  Così presi il bus che mi  portò fino al locale, avrebbe suonato un gruppo del paese, una band cover degli ac dc che non erano male e avevano anche composto qualche loro pezzo. Presi posto in un tavolo accanto al palco, sempre lontano dai riflettori, ma in un modo che vedessi bene. La band iniziò a suonare verso le 9 e mezza e non erano nemmeno male, sapevano tenere il ritmo e il batterista era bravo. Erano in 4, un cantante di nome Alex, il bassista di nome Jordan, il chitarrista di nome Sebastian e il batterista di nome Jack, il palco era tutto loro e ogni tanto il bassista e il chitarrista si mettevano schiena contro schiena per divertirsi un po’.
Il cantante si chiamava Alex, aveva 20 anni e l’avevo visto di tanto in tanto in paese, ma non ci avevo mai parlato, ci fu un momento durante la serata che mi guardò per alcuni istanti e mi fece l’occhiolino prima di riprendere il controllo del palco, io sorrisi  e sorseggiai la birra.

Smisero di suonare verso le undici e mezza e feci per andarmene, ma qualcuno mi prese per un braccio e mi fermò.
-ciao- disse una voce soave e bassa. Mi voltai e Alex era davanti di me
- ciao- dissi, mettendo a posto la giacca e fissandolo negli occhi.
- posso offrirti da bere?- lo guardai con aria complice e annuii.

Non l’avrei mai dovuto fare.

Sarei dovuta tornare a casa immediatamente, non per causa del ragazzo, che era anche bello e attraente, ma per quanto successe a casa dei miei nonni.
Fu la seconda scena che non avrei mai scordato in vita mia.
- Alex - si presentò lui portandomi la birra al tavolo.
- Hannah - dissi brindando, parlammo per un ora del più e del meno e lui aveva un bel sorriso, mi diede il suo numero di telefono e gli promisi che l’avrei chiamato.
Io non mantengo mai le promesse.
Alex ok era un bel tipo, attraente, ma non mi interessava molto, così fece finta di stare al gioco e tornai a casa col suo numero scritto su un tovagliolo di carta.

Girai l’angolo e trovai l’inferno.
La casa dei nonni era una piccola villetta circondata da alberi con un grande giardino, c’era il capanno degli attrezzi del giardinaggio di legno e accanto una struttura sotto la quale c’era la macchina, anche quella in legno.
Girai l’angolo, già da un paio di metri avevo sentito odore di fumo, ma pensavo che ragazzacci avessero bruciato qualche cosa, e invece mi sbagliai.
Voltai l’angolo e trovai un cumulo di macerie, le assi del soffitto l’una sull’altra, le macchine della polizia e i camion dei pompieri che spegnevano le fiamme.
Accanto ad un auto della polizia c’era l’ambulanza, mi spaventai e vidi due barelle con sopra dei corpi.
Erano i nonni, erano salvi. Mi avvicinai, ma mentre la distanza si accorciava le figure si facevano più distinte e i due corpi erano distesi sotto un lenzuolo bianco, rimasi paralizzata quando, dopo aver risalito il corpo di quello che doveva essere mio nonno, arrivai al capo, scoperto dal lenzuolo.
Era annerito e indistinguibile.
Erano stati carbonizzati.
Morii dentro per la prima volta in vita mia.




nota dell'autrice: buongiorno a voi miei cari lettori, ecco il terzo capitolo. spero che stiate capendo la vita della ragazza e che cosa prova, spero di non essere noiosa o quant'altro. tra poco questi flashback termineranno per lasciare spazio alla storia vera e propria. posso chiedervi un favore? lasciate una rencesione? *occhi dolci dolci* tanto per farmi sapere che ne pensate, sapete sarebbe un tale onore leggere i vostri commenti e magari darmi qualche dritta.
adios e alla prossima!
*fugge a ripassare filosofia dato che domani ha il compito*

 

   
 
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