Capitolo 2.
la prima volta che ti ho vista... è
stato nel momento del bisogno.
«C’è qualcuno? Vi
prego, aiutatemi, sono intrappolata!»
Già... in una stupida bolla.
Io, una grande archeologa, intrappolata
nel mio piccolo mondo costruito intorno alle macerie di un impero perduto e affascinante,
lasciando il resto chiuso fuori.
Il perché?
Allora davo solo cibo alla mia fame di
conoscenza, ma in realtà, ora che ci penso, io avevo solo paura.
Paura d'esser giudicata, di essere vista non
per com’ero, ma per come apparivo: una giovane Dama che pretende di fare la
saccente, figlia di una potente Matriarca.
In quel momento chiesi aiuto, per la
prima volta, a qualcuno. Volevo uscire da lì e tu, Shepard, senza indugio, mi
hai liberata.
E io non ti ho mai ringraziato
abbastanza, per questo. Mi hai salvato dalla vita chiusa e monotona che io stessa
stavo costruendo intorno a me, per evitare gli altri.
«Lei è con me.»
Con quella frase tu, Shepard, mi hai sorpresa
per la seconda volta. Non ho mai visto qualcuno combattere per me, per
difendermi. E i miei occhi, in quel momento, erano solo per te.
«Volevo sapere di
più su di te. Per capire cosa ha trasformato te nella donna che sei ora. C’è
qualcosa di interessante su di te, Shepard.».
«Sei interessata a
me, o solo alle visioni dei Prothean?» disse, alzando
un ciglio.
«È iniziato da
quello, lo ammetto. Ma poi è andato oltre...».
Silenzio, e i tuoi
occhi mi riempiono di emozioni che non so tradurre. Non è un linguaggio che
conosco.
«Tu mi intrighi,
Shepard.».
I miei ricordi sono vividi, colorati,
forti e carichi di tutti i dettagli che la mia mente conserva con avidità.
I tuoi occhi, i tuoi capelli, le tue
visioni, tutto è dentro la mia mente come se fosse successo solo ieri.
E invece... è passato così tanto tempo
Shepard...
Il brutto di essere una Asari è la memoria
fotografica e laterale.
Va oltre la pura vista, olfatto, udito,
gusto e tatto.
Scava i sentimenti e li imprime nei
ricordi, come una filigrana che non puoi rimuovere, né evitare.
E Dea... vorrei solo non annegarvi in
essi così tanto da dimenticarmi di respirare.
«Liara...ci sei?».
l'ombra sfocata della dottoressa Chakwas
si pone davanti
alla vista dell'Asari.
“Cosa vuoi?” pensa “Lasciami beare nei ricordi ancora per un
poco... per favore...”.
«Come ti senti?»
La sua voce nelle sue orecchie rimbomba. Si sente stordita.
Porta una mano alla testa, e sente il braccio pizzicare, come se non si
muovesse da tempo.
«Mmm...».
Mugugna, sente la mancanza di qualcosa. Qualcosa di importante.
«Shepard!» urla, d’un tratto, tirandosi su in modo brusco,
la mano sul ventre, scoprendolo stranamente piano. Un immediato giramento di
testa la riporta sul cuscino del letto dove giaceva.
«Il mio bambino! Dov'è?!» parla forsennata l’Asari, guarda
la dottoressa cercando una risposta nel suo volto coperto di qualche ruga
prematura. Lo sguardo si illumina per qualche secondo.
«È nata prematura, Liara, ma sta bene...» risponde, cercando
di calmare la sua paziente. E vide il petto passare da uno stato di completa
agitazione a uno rilassato.
«Solo...» aggiunse, e lo sguardo deviò dai suoi occhi.
«Solo cosa?» domandò Liara, preoccupata. Era ammalata, non
sarebbe sopravvissuta?
No, Dea, non farmi questo. Non
togliermela.
Dea... ti prego.
«È strana. Non mi è mai successo un caso simile prima
d’ora.» disse l’umana, corrugando la fronte. Liara lo tradusse come segno di
dubbio, di problema.
«Cos’ha che non va?» la mano della neo madre prende con
forza quello della dottoressa, e lei le sorride, cercando di calmarla.
«È in perfetta salute, Liara. Non ha niente che non va.
Solo...».
«Voglio vederla. Subito!» la richiesta era lampante, e la
dottoressa parve rifletterci, per qualche minuto, alla richiesta. Ma forse
avrebbe fatto peggio a non assecondare la donna, che mostrava qualche bagliore
dei poteri biotici.
«Arrivo subito.» e si alzò. Sparì dietro la porta bianca, e
solo in quel momento Liara si accorse che non era più nell’infermeria della
Normandy. Era in una stanza d’ospedale, da sola. Il letto, molto grande,
l’avvolgeva con delicatezza, vari tubi collegati a lei che filtravano il
nutrimento e le scorie del suo corpo. Dev’essere
stata priva di sensi per parecchie ore – oppure giorni – per sentirsi così
vuota. Si passò la mano sul ventre piatto. Sentì una leggera fitta. Sollevò il
lenzuolo e scorse un medicamento. Le avevano fatto un “cesareo”, se non
ricordava male. Una procedura di emergenza, per far partorire il bambino in
tutta sicurezza.
Le sarebbe rimasta la cicatrice, ma per ora non le
importava.
«Eccoci qui...» la voce, resa angelica dalla donna, guardava
il fagottino che mormorava senza senso. Liara sorrise, si sentì sollevata, e il
cuore più leggero. Eccola lì, a pochi passi dal lei, il nuovo motivo di gioia
della sua vita. Il suo cuore, separato dal suo corpo, che respirava da sola. Che
si muoveva da sola.
La dottoressa diede con cautela il fagotto all’Asari,
osservandone con cura le reazioni. Pronta a domande, collassi, o addirittura a
una sfuriata. E invece niente. Vide solo i suoi occhi brillare – finalmente –
dopo tanto tempo passati nell’oscurità. Le mani che reggono, come se lo facesse
da tempo, in maniera delicata e dolce il piccolo essere tra le sue mani. Sorrideva,
alla sua bambina, le parlava.
«Ciao, amore della mamma.» disse Liara, e iniziò a piangere.
Le lacrime scendevano copiose dal volto di lei e, come per rincuorarla, la
bambina vi pose una manina sul volto, riconoscendo la voce della madre.
Una mano rosa e grassoccia.
La dottoressa Chakwas
aspettò qualche minuto, in silenzio. E poi fece finalmente la domanda che le
premeva da quando prese quel piccolo fagotto in mano.
«Liara. Tu sai che è
Umana, questa bambina...vero?» chiese.
«Lo so dove vuoi
andare a parare, dottoressa.» inspirò l’Asari, e si asciugò le lacrime
velocemente con una mano. Iniziando inconsciamente a coccolare la fanciulla che
portava in braccio. «Ci sono certi segreti che è ora che vengano alla luce.» lo
sguardo risoluto. Ora non aveva più paura, era piena di forza di volontà.
«Quindi se una Dama
decide di rimanere incinta...» la dottoressa cammina, cercando di seguire le
parole dell’Asari e allo stesso tempo ricordando tutte le sue nozioni sulla
fisionomia Asari – poca, a dir la verità «È impossibilitata a partorire
un’Asari, ma bensì solo a partorire un bambino della razza dell’altro genitore.»
incalzò Liara, mentre allattava la figlia al seno. Sorrideva, mentre guardava
la bambina succhiare il latte, affamata. Gli occhi vispi, verdi azzurri.
Piccoli ciuffi rossi sul capo, le mani che non smettono di muoversi.
È
proprio come te, Shepard. L’unica cosa che ha preso da me, nostra figlia... sì,
nostra figlia... sono alcune pagliuzze del colore dei miei occhi. E niente più.
La dottoressa Chakwas
rimase come intontita. Non riusciva a capire...perché?
Liara rispose come
leggendole nel pensiero.
«Una Dama è il primo
ciclo di vita della razza Asari. Comparato agli umani, un adolescente. Un
ragazzo può mettere alla luce un bambino comunque, ma non è conveniente sia
socialmente che fisicamente parlando, perché è un individuo che non ha
raggiunto lo stato di vita adulto e non sa ancora cosa significa mettere al
mondo un neonato, con tutti i costi e le attenzioni che richiede.».
«Sì, ma il bambino se
seguito con le dovute cure, nasce comunque.» ribadì la donna, ascoltando l’Asari.
«Con noi è diverso.
Ancora non sappiamo come funziona il nostro corpo in campo riproduttivo. Il
problema è dovuto alla trasmissione dei geni al nascituro. Essendo
“adolescenti” non sappiamo comandare il nostro corpo, e in questo caso noi
prendiamo troppi geni dal “padre”, ricreando – delle volte – una perfetta copia
dello stesso. Inconsciamente le Dame non incrociano i propri geni con quello
del partner, evitando così di rimanere incinte.» Liara parla come se fosse
ovvio. In realtà per l’umana era come una rivelazione shockante.
«Devi capire che le
Asari si vergognano di questa loro “incapacità”, e quindi evitano accuratamente
che si venga a sapere. E io sono la perfetta incarnazione delle loro paure. Se
si venisse a sapere che le Dame – se decidono di rimanere incinte – replicano
il gene del padre, che ripercussioni avremmo? Immagina cosa potevano fare i
Krogan, prima della cura della genofagia.» Liara
aggrottò la fronte. Nella mente il futuro più brutto per le sue coetanee,
ricercate e usate come carne per la riproduzione «Non potevano permetterlo.».
«Ma adesso i Krogan
non sono più un problema.» ribadì la dottoressa Chakwas, guardando Liara «Non
capisco perché comunque si siano opposte con fermezza a te.».
«Hanno paura che io
mostri alla galassia intera il nostro difetto. Di smontare la perfezione che
aleggia intorno a noi. Eppure guardami, dottoressa.» e la donna alzò gli occhi,
e si guardarono per un momento.
«Non ho saputo
salvare mia madre da Saren. Non ho saputo credere nella rinascita di Shepard. Non
ho potuto seguirla nella distruzione dei Collettori. Non ho potuto salvarla
nemmeno dopo la sconfitta dei Razziatori. Non sono perfetta. Non siamo
perfette. Ed è ora che la galassia se ne renda conto.» le lacrime scendono
ancora per il suo volto, e la bambina come sentendola iniziò a urlare a
squarciagola.
«Sh,
piccola, calma...Sono qui...» e iniziò a mugugnare una canzoncina, calmandola
immediatamente.
Sentì un fazzoletto
asciugarle il volto. La dottoressa le sorrise, poggiandole una mano sulla
guancia.
«Non sarai perfetta,
Liara, ma guarda che bambina hai dato alla luce.» e uscì, lasciando la neo
madre alle prese con il pisolino della figlia.
«Sì...» mormorò,
ripensando al volto di Shepard «Almeno tu, Victoria... sei perfetta.» e le
baciò con delicatezza la fronte.