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Autore: Aries K    18/03/2015    1 recensioni
Quando la giovane Emily Collins mette piede nel collegio più cupo e spaventoso di Londra non sa che la sua vita sta per cadere in un mondo oscuro fatto di sangue e creature che credeva vivere solo nei suoi incubi. Quando pensa che la sua esistenza non possa cadere più in basso di così incontra William Delacour, figlio della temibile preside Jennifer Delacour. William -così enigmatico e onnipresente in quel convitto esclusivamente femminile- nasconde un segreto che sembra coinvolgere anche la giovane. I due non potranno che avvicinarvi anche se, non molto lontano da loro, qualcuno cova una centenaria vendetta che sembra non volersi compiere...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Angolino Autrice: Buonasera ragazzi! Indovinate un po', tra una cosa e l'altra siam arrivati al PENULTIMO capitolo di questa avventura.
Già. La prossima settimana posterò l'ultimo capitolo e, la settimana dopo ancora, vi sarà L'EPILOGO. Detto ciò, per quanto riguarda il capitolo che leggerete oggi, posso solo dirvi una cosa: preparate i fazzoletti.
Un abbraccio!






Ventesimo Capitolo







Non so quanto tempo impiegai per arrivare nei pressi del collegio, ma so che sarebbe stato almeno il doppio se non avessi rubato la bicicletta gialla canarino che mi era saltata alla vista; questo, naturalmente, dopo essermi accertata che il suo sfortunato possessore stesse impegnato a sbraitare in una cabina telefonica lì vicino.
Così lasciai cadere il mezzo proprio davanti all’enorme portale arrugginito, spalancato come se fosse stato lasciato apposta così per accogliermi.
M’incamminai nel viale di sassi mirando l’imponente istituto che si stagliava nella notte e nel suo irreale silenzio. Un silenzio tale che mi rese più irrequieta di quanto non fossi già; più volte dovetti asciugarmi i palmi delle mani sudati contro i jeans e studiare una presa efficace e sicura attorno al pugnale. Più mi avvinavo e più avevo la netta sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato nel panorama che stavo osservando crescere.
Infatti, due dettagli mi furono improvvisamente chiari: il primo era che ogni singola finestra della facciata era debolmente illuminata, mi diede l’impressione di una luce che faceva fatica a nascere. Il secondo dettaglio era l’enorme sagoma al centro esatto del cortile.
E fu allora che l’irrequietezza cedette il posto al sentimento della paura che era latente in me oramai da giorni. Però scoprii, proprio quella sera, che la paura possedeva infinite sfumature. E che quella che mi stava attanagliando in quel momento non era nemmeno lontanamente paragonabile a quella che provai di fronte a mia nonna, quando mi comunicò della morte dei miei genitori, alla paura di un futuro senza di loro, o alla paura sperimentata all’interno del collegio. No, questa era la paura primordiale della sopravvivenza. Quella che ti spinge a nuotare verso l’altro quando affondi, la stessa tragica paura di cui avevo avuto l’assaggio in chiesa durante quel terremoto improvviso, capace di farti riflettere su tutta la tua vita nell’arco di due secondi e pensare che non sarà tanto la croce ad ucciderti quanto il pensiero della vita che ti attendeva, la stessa che ti stava per lasciare.
Ero arrivata nel cerchio del cortile e ora la sagoma aveva assunto le sembianze di una persona che avevo già disgraziatamente incontrato.
L’impressione che provai fu che quello –l’ultimo vampiro della piccola cricca della Delacour, Tom- fosse l’ultimo ostacolo prima dello scontro finale.
“Ti stavamo aspettando.” Il tono di voce di Tom non poteva essere più gioviale di così. Allargò le braccia e inspirò forte l’aria chiudendo gli occhi. Quando li riaprì, erano rossi e, quando parlò, i suoi canini divennero zanne lunghe e affilate
“Quello è il famoso pugnale”, commentò, non ricercando una vera e propria conferma da me. Cominciò a girarmi in tondo mantenendo una curiosa distanza. Poi, pensai, che anche se si fosse allontanato e io avrei provato a fuggire mi avrebbe comunque recuperata.
“Eravate così sicuri che sarei venuta? Quasi mi compiaccio nel sapere che l’idea che io avessi abbandonato Londra non vi abbia sfiorato.”
Tom sogghignò scuotendo il capo, una pioggerella di ricci selvaggi gli velarono per un attimo gli occhi infuocati che fissavano me. Il suo sguardo bruciava.
“Non è proprio così, giovane cacciatrice. Tutt’altro. Abbiamo il nostro informatore, sapevamo saresti giunta qui oggi.”
“Informatore?”, domandai, sentendomi attraversare da un lungo brivido.
“Ora non conta”, tagliò corto Tom. Poi lanciò un’occhiata alle sue spalle, verso le finestre del quarto piano. Seguii il suo sguardo per un istante e subito tornai a mirare lui e dunque a puntargli l’arma contro. Si voltò, fissò il pugnale e scosse di nuovo il capo.
“La Padrona ti sta aspettando. Sarà davvero sorpresa quando io ti porterò a lei, sanguinante, pesta. Cacciatrice sottomessa al nostro potere, noi, una razza che sterminate ma che vi è superiore.”
“Vuoi ridurmi così perché cerchi il suo consenso, vero?”, parlai per prendere tempo.
“E’ così.”
“Ti ucciderà, comunque. Come ha fatto con Kendrick.”
“E tu cosa ne vuoi sapere?”
Fece uno scatto verso di me.
Ne azzardai uno indietro.
Non potetti nemmeno tentare di abbozzare una risposta che Tom mi si avventò contro. Fu talmente rapido che non capii subito di avere il braccio bloccato dalla sua possente mano e, quando lo capii, fu troppo tardi.
Tom mi mollò un manrovescio tale da farmi franare al suolo a diversi metri lontana da lui. Ostinatamente, il mio pugno stringeva ancora il pugnale.
“Ben non è stato abbastanza bravo. Conficcargli un attizzatoio nel torace per paralizzarlo. Astuta.”
“Ma come fai a saperlo? Chi è l’informatore?”
In risposta arrivò un calcio che mi fece nuovamente atterrare, risvegliando il dolore impartito dal suo precessore. Poi, le sue mani mi agguantarono e come fossi un burattino malandato cercò di mettermi in piedi davanti a lui, ma anziché focalizzare il suo volto io vedevo una foschia nera.
“Dammi soddisfazione. Combatti, non rendermi le cose troppo facili.”
Trovai appena la forza per sputargli in faccia e poi crollai in ginocchio, reggendomi la testa con la mano libera.
Una valanga di imprecazioni irripetibili mi ricoprirono e, afferrata per i capelli, ebbi il tempo di vedere i canini estrusi e affilati come lame balenare nel buio. Dopodiché, questi affondarono spietatamente nel mio collo.
Urlai sgranando gli occhi e dimenandomi come in preda ad una terribile convulsione. Ciò che provai –il dolore che mi attraversò- non era paragonabile a nessuna altra sofferenza fisica da me provata. Quando Tom si staccò bruscamente dal mio collo temetti di poter trovare i resti della mia pelle sulla sua bocca; invece le sue labbra erano tinte del rosso scuro del mio sangue.
Tentò di azzannarmi il braccio in modo da strapparmi di mano il pugnale ma io, accanita, gli colpii l’occhio con il manico. Tom arretrò, ma come una persona può arretrare per una folata di vento più fastidiosa del normale. Allora rigirai l’arma tra la mano, sforzando di mettere a fuoco il nemico; stavo combattendo due battaglie: la prima contro me stessa affinché non svenissi, la seconda contro quel dannato vampiro.
Feci per conficcargli il pugnale nel petto ma, prima che la punta della lama entrasse in contatto con lui, dei marchi sul corpo di Tom – che non avevo colto fino ad allora- s’illuminarono sprigionando una forza invisibile che mi fece balzare, lontana da lui.
I miei piedi abbandonarono violentemente il terreno sassoso e volai in aria lasciando andare il pugnale, tanto fu sconcertante ciò che mi stava accadendo. Sbattei contro il tronco di un albero, dunque atterrai ai piedi di questo, in un groviglio di foglie e cespugli.
Ma cosa è stato?
Fitte di dolore s’irradiarono per tutto il corpo; specialmente lungo il braccio su cui ero precipitata, la mia testa, invece, mi offriva immagini confuse della realtà che mi circondava. Mordendomi le labbra quasi fino a farle sanguinare trovai la forza per rotolare su me stessa e quindi tentai stoicamente di tirarmi su, senza distogliere gli occhi dal vampiro.
Se vi dicessi quanta distanza vi era stata creata tra noi dopo quell’impatto, non mi credereste mai: da dove mi trovavo Tom era di nuovo una sagoma. Una sagoma incandescente, però.
Ogni parte visibile della sua epidermide era marchiata da disparati simboli che la Delacour doveva avergli concesso. Era chiaro che i poteri che Jennifer possedeva potevano essere trasmessi sugli altri attraverso quei marchi tracciati con il proprio sangue, accompagnati da chissà quale incredibile incantesimo. E ora, pensai amaramente, a quanto pareva esisteva un marchio capace di rendere invulnerabili i vampiri dall’unica arma capace di incenerirli all’istante.
“Dovresti vedere cosa sta creando tua madre, William…”, sussurrai al vento, mentre, ancora avvolta su me stessa, tentavo di procedere in avanti. Tom era rimasto dov’era; aveva solo allargato di nuovo le braccia, come a suggerirmi che nient’altro potevo fare se non accettare il suo invito a farmi pestare per poi lasciarmi trascinare fino a lei… o, almeno, questo fin quando non vidi, oltre le sue spalle, materializzarsi un’ombra indefinita correre rapidamente verso di lui.
Un’ennesima scarica di adrenalina m’invase facendomi piegare le ginocchia, offuscando, però, i dolori che m’invadevano. L’ombra agguantò Tom per il collo brandendo in aria un oggetto a tre punte che non identificai ma che vidi sbattere ripetutamente addosso alla gola del vampiro. Quest’ultimo piroettò su stesso con l’individuo ancora ben saldo sulle spalle; gridò, Tom –non seppi se per la sofferenza impartita da quei colpi o per l’insofferenza di quel colpo di scena- ed io pensai che l’essere che lo stava sfidando era riuscito a colpirlo giusto perché, dalla sua parte, aveva avuto il vantaggio della sorpresa. Infatti, il vampiro riuscì a scagliarlo a terra proprio come aveva fatto con me… fu a quel punto che gridai con quanto più fiato possedessi in corpo. Quell’urlo mi prosciugò coraggio e mi ficcò una disperazione nera che improvvisamente mi fece vedere tutto più nitido, questo perché l’ombra non era nient’altri che Nicole Lamberg.
“Nicole! Nicole!”
Lottando contro i miei arti tremanti e indolenziti partii di corsa per raggiungere la mia amica accasciata a terra.
Prima ancora di affiancarla, Nic si era rialzata ripescando da terra una specie di paletto a forma di croce, le tre punte sapientemente limate per essere conficcate nella carne del vampiro. Con quell’arma improvvisata puntata contro, Tom scoppiò in una risata gutturale e profonda.
Afferrai Nicole per la vita trascinandola indietro.
“Cosa hai intenzione di fare? Vattene, scappa!”, le strillai, ora mettendomi tra lei e Tom.
Dove era finito il mio pugnale? Dove?!
Con gli occhi lo cercai vertiginosamente ma sembrava scomparso nel nulla.
Nic non mi rispose, continuava a fissare con occhi sgranati il nemico dietro di me, puntandogli con ridicola esagerazione la croce davanti agli occhi.
“Non sono i vampiri dei romanzi che legge Jamie, Nicole! Quella croce non gli fa’ niente!”
“Tutto questo inizia a seccarmi, ragazzine.”
Mi voltai verso Tom cogliendolo nel fissarmi intensamente, mentre, dalla sua bocca quasi immobile, delle parole arcaiche e sconosciute prendevano forma.
“Non guardarlo!”, tuonò Nicole, prendendomi per le braccia. Ma le mie braccia erano diventate improvvisamente insensibili e caddi a terra, paralizzata, scivolando dalla sua presa.
Non riuscivo più a muovermi. Ogni comando inviato dal mio cervello andava a vuoto, solo calde lacrime mi solcarono il viso, perdendosi, poi, nel terreno sul quale ero schiacciata. Qualsiasi incantesimo Tom stava esercitando su di me era molto più che efficace. Quell’impotenza io l’avevo già sperimentata, solo, non ricordavo quando. Ebbi la straordinaria sensazione di avere lungo il corpo un reticolo invisibile che azzerava ogni mia capacità motoria.
Tom finì di sussurrare l’incantesimo e poi mi guardò come se stesse mirando l’unica cosa buona che avesse mai fatto in vita sua. Probabilmente, era così.
“Saremmo inarrestabili e tutta la tua razza di cacciatori sarà eliminata. Gli umani, miseri schiavi.”
Come in risposta Nicole si mise a gridare imprecazioni della quale non la ritenevo capace, e si avventò nuovamente contro il vampiro, scavalcandomi con le lunghe gambe proprio come fossi un ostacolo.
Con una serie di gesti impossibili da percepire ad occhio nudo, Tom riuscì senza il benché minimo sforzo a disarmare Nicole e a farla rigirare di schiena contro il suo ampio torace, bloccata in un abbraccio fatale.
LASCIALA MALEDETTO LASCIALA!
Cercai di dimenarmi ma non c’era niente da fare; vidi Nicole digrignare i denti e tentare di calciare le gambe contro quel lurido maledetto sicché questo, facendomi mozzare il respiro, estrasse da dietro la cinta dei pantaloni il mio pugnale.
L’aveva recuperato da terra ed io non l’avevo nemmeno visto.
Tutto, infine, accadde in una manciata di secondi.
Fece piroettare la mia amica come se la stesse accompagnando in una danza, e, quando lei fu barcollante di fronte a lui allungò il braccio per trafiggerla. Eppure, Nicole, con estrema solerzia scansò il colpo e riprese il paletto che si era trafitto a terra, nello stesso momento i due si scambiarono un fendente impacciato, ma dalle conseguenze imprevedibili.
Una delle tre punte dell’arma amatoriale di Nic raschiò un marchio sul collo di Tom, questo colpo fortunato permise alle mie membra di riacquistare la loro sensibilità, ai miei arti i movimenti.
Facendo leva sul terreno mi rimisi in piedi e corsi da Nicole… che crollò tra le mie braccia.
Fui costretta a piegarmi sotto il suo peso, afferrandola per riflesso sotto le ascelle.
“Nicole? Nic?”
“Emily”, mi rispose con tono stranamente neutro, rannicchiandosi ancora di più su se stessa.
DANNAZIONE!” L’ululato di Tom mi strappò una serie di brividi, non meno di quelli che provai nel vedere che i marchi che aveva segnati sul corpo tornarono alla loro naturale consistenza. Sangue scarlatto colava via disfacendo così i simboli e il loro potere. Il vampiro abbassò lo sguardo agitato sul proprio pugno stretto intorno all’arma, la sua bocca si deformò in una O oblunga da cui uscì un sibilare di pura sofferenza. Un istante dopo la sua stretta venne meno e il pugnale si liberò dalla presa; nell’intervallo tra l’essere sospeso e il posarsi a terra, questo venne avvolto da un lampo lucente e dorato “NO, MALEDETTI CACCIATORI! NO!”
Capii cosa stesse accadendo solo quando mi resi conto che il palmo di Tom era bruciato, nello stesso modo in cui avrebbe potuto fare se avesse tenuto nella mano un tizzone incandescente.
Ma a giudicare dal modo in cui si era avvolto su se stesso, gravando a terra, doveva trattarsi di un dolore più prolungato e insopportabile di quello di una fugace bruciatura. Ad ogni modo, non persi tempo: mi gettai in avanti, tornai nuovamente in possesso dell’arma che mi spettava di diritto e senza indugio allungai il braccio per far sì che la lama affondasse nel collo di Tom, il quale con un ultimo grido, iniziò istantaneamente ad incenerirsi.
Feci un balzo all’indietro non riuscendo a distaccare gli occhi da quell’inverosimile spettacolo che mi si stava parando di fronte. In una sorta di autocombustione, il vampiro esplose in un turbine di cenere nera che m’investì costringendomi a pararmi il volto con gli avambracci. La folata si disperse nell’aria tornata improvvisamente immobile, con una strana carica di elettricità aleggiare tutt’attorno, come fosse la testimonianza invisibile di ciò che era appena accaduto. Mi pervase una tale sensazione di potere, di eccitazione e di non so cos’altro che quasi non feci caso ai flebili colpi di tosse alle mie spalle.
Nicole!
“Emily, aiutami”, mormorò contraendo il volto in una smorfia, semi sdraiata e rannicchiata a terra. Nell’avvicinarmi registrai due piccole pozze di sangue dilatarsi tra i sassolini e il terriccio che, a giudicare dagli angoli rossastri della sua bocca, dovevano essere fiottati proprio da lì. Presi la sua testa tra le mani e fu in quel momento che lei ruotò con il corpo per posizionarsi meglio tra le mie braccia, dunque quel movimento appena abbozzato mi permise di vedere cosa Tom gli aveva lasciato prima di andarsene.
Un profondo, lungo e raccapricciante squarcio. Si estendeva dal seno destro fino al fianco sinistro, intravedendosi tra gli indumenti ridotti a brandelli; un’immagine di cui non mi sarebbero bastate mille vite per cancellarla.
“Ho paura... Emily perché mi guardi così?”
Furono quelle parole a strapparmi dalla mia catalessi.
Tentai di rincuorarla per dirle che tutto sarebbe andato bene, di tenere duro, stringere i denti seppure ero consapevole di mentire ad entrambe. Non sarebbe andato tutto bene, per niente. Le falsità mi si impigliarono in gola, e un magone rafforzò il dolore sordo che improvvisamente mi aveva irrigidito il collo.
Nicole cercò di abbassare la testa per constatare il danno, però un eccesso di tosse e sangue mandò in fumo le sue intenzioni. La sostenni per la schiena con mani tremanti e il respiro corto, al che si riabbandonò tra le mie braccia.
“Emily, che succede? Non voglio morire.”
Iniziò a piangere, disperatamente. Le sue mani insanguinate pregarono il mio viso rivolto in alto di abbassarsi per stabilire un contatto visivo, ma non ci riuscivo, era finita: lei avrebbe visto le mie lacrime e capito che...
“EMILY!”, urlò e un altro fiotto di sangue la sconquassò,-“aiutami, ti prego Emily ti prego non voglio morire Emily aiutami che cosa mi sta succedendo Emily per favore!”
-“Amica mia”, articolai a fatica, chinandomi verso di lei dominando il tremito,-“non devi… non devi avere paura.”
Una lacrima lasciò il mio viso per unirsi alle sue, di lacrime, che scorrevano leggere dai suoi occhi a mezz’asta, attraversando quel viso così innaturalmente pallido. Con la coda dell’occhio percepii la sua mano cercare nell’aria la mia e così le nostre mani si schiaffeggiarono, scansarono e rincorsero prima di trovare l’unione stabile che cercavano, tanto eravamo sconvolte.
“Non…io non vogli…”
“Shhh, shhh.”
La cullai tra le mie braccia baciandole la nuca, mentre la sua stretta si faceva sempre più debole e il suo respiro affaticato cedeva il posto ad un rantolo terrificante.
Strizzai gli occhi ingoiando non solo saliva e grida ma anche il cocente senso di colpa che non arrivò a tardare, e che io combattei quasi come se stessi rifiutando un conato di vomito.
“Mi dispiace, Nicole. Non doveva andare così, perdonam…”
Improvvisamente lei mi strinse la mano con foga, poi risucchiò aria come se si fosse trovata di fronte ad un qualcosa di inspiegabile e oscuro ed infine, dopo un brevissimo e forse immaginario ultimo sguardo, chiuse gli occhi.
Rimasi per una manciata di secondi a fissare il suo volto, profondamente incapace di riscuotermi.
Il mondo mi precipitò con tutta la sua crudeltà sulle spalle, lasciandomi cadere sul suo corpo inerme, annientata da un’emozione di doloroso smarrimento che avevo già sperimentato.

Vieni da me.

Alzai il capo di colpo, mozzando il respiro. Mi guardai turbinosamente intorno senza lasciare andare il corpo esamine della mia amica; tutto ciò che mi circondava erano le ombre del collegio che la luna allungava verso il centro pallido del cortile.
E poi, eccola di nuovo, un’invasione quasi elettrica nel cranio.

Da me. Vieni. Da me.

Questa volta seppi dove guardare: le ante dell’ufficio della Delacour erano spalancate, il quadrato della finestra occupato in pieno dalla sua imponente stazza. Mi fu impossibile incatenare il mio sguardo al suo perché, da quello che potevo constatare, la sua stanza era l’unica ad non essere stata invasa da una flebile luce che ancora mi domandavo da dove proveniva; e quella della luna non era abbastanza forte per rischiarare fin lassù.
La Delacour sparì lentamente nell’ombra, attendendomi. Proprio come aveva fatto da tutta una vita.
Accompagnai la nuca di Nicole a terra senza riuscire a trovare il coraggio per baciarla un’ultima volta in fronte, mi limitai a recitare una preghiera silenziosa, alzandomi in piedi e asciugandomi il volto impiastricciato di lacrime e sangue… fin quando avvertii l’indiscutibile rumore dello spezzarsi di un ramo sotto il peso di qualcuno.
Brandii immediatamente il pugnale –ora sporco del sangue d’innocente e di un mostro- gridando:
“CHI ALTRO C’E’? AFFRONTAMI!”
Chiunque fosse, mi avrebbe trovata pronta. Non c’era solo il dolore a bruciare dentro di me, bensì una rabbia cieca, una sete di vendetta sfibrante e un senso di responsabilità verso quel fato che mi aveva condotta lì. Non potevo credere che il mio cognome potesse costarmi così caro, tanto da essere bandiera di una guerra che ha visto luce prima di quanto abbia fatto io. Per un attimo immaginai il corpo senza vita dei miei genitori, non troppo differenti da quello che giaceva a pochi metri da me, e provai quasi terrore per l’emozione violenta che m’invase nell’immaginare di vendicarli. Vendicarli tutti.
“HO DETTO: AFFRONTAMI!”, continuai a gridare, satura di un potere che sapevo di poter esercitare. Aumentai, quindi, la presa sul pugnale dove, nemmeno farlo apposta, il nome della mia famiglia sembrava spiccare con maggior enfasi su tutto quel rosso.
“E-E-Emily.”
Ci misi un po’ a capire che quello non era un miagolio ma una voce umana ed estremamente debole, animata da un soffio d’alito.
Mi fiondai dove iniziava la vegetazione aggirando un enorme albero trovando, accucciata tra rovi e cespugli imbiancati, Jamie.
“Jamie…”, sussurrai, toccando terra con le ginocchia, ora alla sua altezza.
Aveva la bocca aperta in un’espressione grottesca, gli occhi appiccicaticci e le guance scavate sporche di terriccio e lacrime. I suoi capelli, stretti in una coda alta, erano sul capo tutti scomposti e, dedussi, doveva averci passato le mani più e più volte. Forse per la disperazione di quello cui aveva assistito.
“Non è successo, non è vero”, continuò a singhiozzare convulsamente,-“perché?”
Strinsi i denti per evitare di gridare, un rivolo di sudore freddo mi scivolò tra le scapole.
“Devi andartene di qui”, le ordinai perentoriamente, afferrandola per le spalle,-“in questo posto dovevo tornarci solo io, non voi.”
Ricominciai a piangere per poi premermi le nocche sugli occhi; dunque tornai a focalizzare Jamie, che adesso si era alzata, mostrandomi di essere incredibilmente instabile.
La seguii e si lasciò andare tra le mie braccia.
“No, Jamie. Devi starmi a sentire: vattene di qui.”
“Vieni con me.”

Vieni da me.

Strizzai gli occhi cercando di placare l’ennesima e potente invasione nella mia testa. Come un riflesso incondizionato mi concentrai sul niente, isolandomi dal dolore e dalle altre miriadi di emozioni che invadevano il mio corpo; quella tattica improvvisata, verificai, equivaleva ad erigere una barriera contro il sopravvento dei poteri mentali che la Delacour stava esercitando su di me.
“Scappa lontano da qui.” Tornai a ripetere con maggior enfasi aprendo gradualmente gli occhi, trovando, sull’espressione di Jamie, una sottile incertezza. Era chiaro che fosse terrorizzata a tal punto da scappare, ma che il sentimento che la legava a me le faceva sorgere qualche scrupolo. Per non parlare del fatto che entrambe avremmo dovuto lasciare il corpo straziato di Nicole…
Non avevo comunque tempo per assistere ad una sua scelta, così le diedi le spalle e, senza rimanere troppo a scrutare quel viso che mi era stato subito amico, corsi verso l’entrata principale del collegio.
   
 
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