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Autore: Dark_Water    20/03/2015    3 recensioni
AU.
Quando John uscì dalla camera da letto fu accolto da un leggero tintinnio di stoviglie con in sottofondo il chiacchiericcio delicato di due voci allegre e familiari.
“Sono felice che siate qui. Mi siete mancati.”
“Anche tu ci sei mancato. Ci voleva una rimpatriata dopo tutto questo tempo. Manca solo….”
Rory si interruppe forse troppo tardi,lasciandosi sfuggire un pensiero che come un alito gelido di vento si era insinuato tra loro spaccando l’equilibrio che avevano avuto fino a quel momento.
Nei millesimi di secondo immediatamente successivi, Rory si ritrovò un gomito della moglie piantato nel fianco, John invece con la mano ferma a mezz’aria, attraversata da un fremito che si diradò anche attraverso la forchetta che stringeva tra le dita lasciando cadere da essa un piccolo pezzo di bacon sul tavolo.
Amy/Rory - Clara/Doctor...Who?
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Amy Pond, Clara Oswin Oswald, Doctor - 11, Doctor - 12, Rory Williams
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Non Brucia Solo La Pelle'
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Capitolo 2

 

 
Per decidere, cominciare a sistemarsi e concludere alcune faccende col suo vecchio alloggio Clara ci aveva impiegato una settimana e mezza.  Periodo in cui aveva avuto modo di parlare e farsi conoscere anche da John.

In pratica - lo aveva informato – al ritorno dalle vacanze di Natale lei e le sue due coinquiline si erano ritrovate sfrattate dall’appartamento che condividevano, senza alcun preavviso. Non perché non pagassero l’affitto, anzi lei era l’incaricata ai pagamenti ed era sempre puntuale con le scadenze; ma a quanto sembrava il vecchio affittuario era morto e l‘erede aveva deciso di impadronirsi personalmente della casa. Avrebbero potuto sporgere denuncia e cercare di recuperare almeno la caparra… ma come potevano delle semplici studentesse affrontare le grane che ne sarebbero seguite, le spese legali ed allo stesso tempo studiare e trovare un nuovo appartamento?

Clara aveva arrangiato soggiornando in una pensione in periferia, come tentativo di riprendere il controllo della situazione e studiare un piano di riserva. Certo l’edificio in cui si era ritrovata era fatiscente… ma in una cittadella universitaria di quei tempo era difficile trovare un appartamento libero e le altre opzioni erano certamente più terrificanti di un tetto umido e gocciolante.

Ogni volta che si incontravano, John le si era presentato ben vestito e con i capelli ordinati, non seminudo o scompigliato come al loro primo incontro. Anche in quel momento John era sicuro di apparire al meglio, sebbene il breve sguardo di Clara fermo sul farfallino che si era messo per l'occasione lo aveva turbato non poco. Cosa c'era che non andava stavolta? Era il farfallino più bello che avesse nel suo cassetto dei farfallini e si intonava con il completo fango che indossava!

Si rilassò quando lei sorrise e commentò con un semplice:

 "Carino."

John le aprì la porta e la lasciò entrare in casa, aiutandola con i bagagli e chiedendosi se la nota impertinente nella voce della ragazza fosse reale o solo frutto della sua immaginazione. Di solito era bravo a leggere le persone, ma con lei... dolce e impertinente al tempo stesso, non capiva mai quando scherzava o diceva sul serio e si trovava a dover combattere con quella strana sensazione di dejá-vù che la circondava. Una settimana non era bastata a fargliela inquadrare e questo era... destabilizzante! Lo scombussolava!

Mentre Amy accompagnava Clara per un tour veloce della casa, John e Rory portarono le sue valigie nella camera che avevano deciso di darle, tornando poi al piano inferiore.

Rory si sedette sul divano, John mise un tronchetto nel camino per ravvivare un pò il fuoco.

"Allora John,cosa ne pensi? Alla fine Clara non é proprio un'estranea. Amy mi aveva fatto preoccupare inutilmente..."

Rory sorrideva, mentre John lasciava vagare lo sguardo per il soggiorno, un'espressione pensierosa sul viso.

"Quindi la conoscevi già anche tu?"

Rory corrucciò le sopracciglia, studiando John che smuoveva la brace con l'attizzatoio facendo rinascere la fiamma.

"Un paio di volte abbiamo anche pranzato con lei alla mensa universitaria..."

John si voltò verso di lui mostrando un’espressione quasi offesa dicendo:

"E perché io non c'ero? Pranziamo quasi sempre insieme e, casualmente, quando c'era lei io mancavo? Perché mancavo?"

Cos’era, avevano voluto tenergliela nascosta? Si era sempre mostrato socievole e simpatico agli altri loro compagni di corso e con i suoi stessi colleghi universitari che lo adoravano. Perché questo mistero attorno a quella ragazza?

Rory sembrava spaesato,fissando l'amico con gli occhi sbarrati e le labbra socchiuse:

"John... tu c'eri..."

"Cosa? "

"Si... avevi sempre la testa sepolta in un libro di Tecnica delle Costruzioni o chissà quale altra materia ingegneristica che non capisco… ma c'eri! Vi siete visti anche al pub in cui lei lavora il fine settimana." Poi Rory si fermò un attimo a pensare prima di continuare:

"Ora che ci penso però. ..in effetti non vi abbiamo mai presentati ufficialmente. Cavolo... ti é praticamente sempre passata di fianco e non l'hai mai notata?"

Il silenzio scese tra loro mentre John si rendeva conto di quanto sembrasse stupido. Trovando finalmente un senso anche a quella sensazione di dejà-vù che avvertiva quando era con lei.

" Davvero tu non l’avevi notata? Insomma… è carina!"

Rory sembrava scioccato. Sperava che John stesse scherzando, ma l’espressione imbarazzata del suo viso gli chiarì che era serio a riguardo.

John si voltò verso il camino, nascondendo il viso all' amico e fingendo di rimettere l'attizzatoio al suo posto, sussurrando a se stesso:

"...si... ed é impossibile!"

"Cosa hai detto?"

"Niente!"

 

***

 

La camera che le avevano preparato odorava di cuoio e legno pregiato. Non vi erano segni distintivi che dimostrassero la sua appartenenza a qualcuno, non sembrava nemmeno vissuta rispetto al resto della casa. Eppure non odorava di chiuso, per nulla. Sulla mobilia in legno scuro non vi era traccia alcuna di polvere, persino lo scaffale colmo di libri addossato alla parete ad angolo tra il grosso armadio e la porta-finestra era lindo e pinto. Clara vi si avvicinò passando distrattamente le dita sulle costine dei libri, rendendosi conto finalmente che l'odore leggero di cuoio proveniva dalle copertine di alcune edizioni limitate di opere della letteratura classica latina. Lei, che studiava letteratura inglese, si ritrovò a chiedersi cosa ci facessero quei tomi così rari e particolari nella casa di uno studente di Ingegneria.

Troppo concentrata nella sua esplorazione, sobbalzò quando sentì Amy entrare nella stanza con alcune lenzuola pulite.

"Ecco. Così cambiamo il letto e puoi cominciare a sistemare le tue cose."

Clara le sorrise incerta, portandosi al centro della stanza mentre la compagna adagiava le lenzuola pulite sulla sedia accanto alla scrivania. Le lenzuola sul letto matrimoniale in realtà le sembravano già fresche di bucato. Il materasso stesso non mostrava alcun segno di utilizzo, rigido come se fosse stato appena comprato.

"Grazie. Amy... sicura che vada bene?" Chiese titubante.

"Cosa?" Amy la guardò confusa mentre tirava via il copriletto.

"Che io resti...insomma. Credevo si trattasse di condividere un appartamento. Da quanto ho capito questa é praticamente casa vostra."

Amy disfece completamente il letto, scostando col piede le lenzuola con un piede in un angolo della stanza.

"É casa di John. Ma anche io e Rory paghiamo la nostra quota per le spese di casa. Sempre meglio che stare in quella pensione fatiscente in cui ti sei ritrovata. Quindi smettila con le tue manie di controllo e per una volta lasciami fare. Ora zitta e aiutami."

Amy prese un lenzuolo pulito e con un rapido gesto lo spiegò cercando di posizionarlo sul materasso. Clara non si sentiva a suo agio con una situazione che sembrava sfuggirle di mano.

"Non sono una maniaca del controllo! É solo che devo...adattarmi!"

La mora incrociò le braccia al petto , cercando inutilmente di rigettare quella sensazione di disagio che non l'aveva abbandonata da quando aveva messo piede in quella casa. Amy si lasciò scappare una risata divertita mentre stendeva con le mani il lenzuolo per sistemarlo adeguatamente sul materasso dal suo lato prima di alzare la schiena e dirle con ironia:

"Quindi...ti faccio io il letto mentre ti adatti?"

Clara sospirò sciogliendo le braccia e portandosi una mano alla testa guardando il disastro che la compagna aveva fatto con un solo lenzuolo: il lato ruvido al rovescio,  gli angoli che non combaciavano con quelli del materasso e troppo lungo sul lato sinistro da toccare il pavimento.

"No. Faccio io."

Amy le fece la linguaccia prima di sorridere e dirle scherzando:

"Ecco. Maniaca del controllo!"

La rossa raccolse le lenzuola dismesse, lasciando il copriletto su richiesta di Clara. Dopotutto era pulito ed il colore grigio scuro non le dispiaceva.

Quando Amy fu fuori, Clara aprì l'armadio a specchio con l'intenzione di studiare il modo migliore di sistemarvi dentro i suoi vestiti. Dall' esterno non l'avrebbe mai detto, ma oltre la spessa struttura antica in legno scuro sembrava esserci uno spazio immenso che probabilmente non avrebbe colmato con tutti i suoi abiti. L'interno profumava di lavanda e muschio, le ricordava la brughiera e le piaceva.

L’armadio era vuoto, meno per una cosa che aveva attirato la sua curiosità e che sembrava farla da padrona in quello spazio sconfinato: un capo d'abbigliamento maschile appeso ad una gruccia sul fondo a sinistra. Era una giacca nera alquanto elegante ma particolare con il risvolto rosso. Per un attimo Clara si chiese se in uno dei cassettoni avrebbe trovato un cilindro con un coniglio. Poi allungò la mano a passarla come una carezza sul tessuto; era morbido e piacevole al tatto. Clara si sporse leggermente in avanti ed allo stesso tempo avvicinò un lembo ella manica al viso, annusando: il profumo che tanto le piaceva e che le solleticava dolcemente le narici veniva proprio da quell’abito. Sorrise, appiattendo la giacca contro il lato interno dell’armadio attenta a non stropicciarla. Aveva deciso di lasciarla lì.

 

*** 

 

Le settimane erano passate velocemente e Clara si era sistemata giusto in tempo per la fine dei corsi ed avere quindi la tranquillità sufficiente ad affrontare gli esami della sessione invernale. L’ultima lezione di approfondimento era finalmente finita, ma quando Amy si voltò verso Clara restò sorpresa a vederla con la testa china e la penna che ancora sfilava sulle pagine del quaderno. La mora sembrava essere immersa in chissà quali pensieri che le avevano tardato la messa in ordine degli appunti.

Amy restò immobile al suo posto, lanciando uno sguardo alla lavagna cosparsa di annotazioni Shakespeariani sconnessi che quella pazza della Professoressa Missy vi aveva tracciato con un gessetto di colore rosso fuoco.

La rossa si chiese per un attimo cosa fosse accaduto se ad uno dei corsi di questa schizzata ci fosse stato un daltonico…

“Ho quasi finito… scusami.”

Amy sospirò, portando le braccia sul banco e poggiandovi la testa sopra rispose con un semplice:

“Tranquilla. Questo era l’ultimo corso da seguire. Adoro il fine settimana!”

Amy non le proponeva di lasciar perdere con la promessa di passarle i suoi appunti non per cattiveria, ma solo perché sapeva che quelli di Clara erano decisamente più completi ed approfonditi dei suoi. A volte si chiedeva come facesse la moretta a ricordare ogni singola parola uscita dalla bocca dei professori ed a tramutarle in adattamenti più coerenti ed ordinati.

La classe era ormai vuota quando Clara aveva finito; Amy digitava qualcosa sul cellulare.

“E’ Rory? Dovevate incontrarvi?”

La moretta pose il suo quaderno per gli appunti nella cartella assieme alla penna, parlando con un tono quasi di scuse per averla fatta tardare ad un eventuale appuntamento con il fidanzato alla fine delle lezioni.

“Si.” Rispose Amy. “ Torna tardi perché deve seguire un seminario di approfondimento sull’infermieristica infantile.”

Si alzarono dal posto per dirigersi verso la porta ed uscire quindi dalla classe.

“Stasera lavori?”

Clara annuì con la testa, continuando:

“Passate al locale, se Rory non è troppo stanco. E dì a John di non mettersi quel fez in testa… è sufficiente il farfallino a farlo sembrare strano.”

Amy scoppiò a ridere, mentre camminavano nel corridoio in cui si attardavano solo gli ultimi studenti in viaggio verso casa.

“Per il fez posso provvedere, ma per il farfallino non prometto niente.”

“Se riesci a convincerlo anche solo per il Fez puoi prendere i miei appunti.”

Clara le sorrise. Amy finse un saluto militare. Entrambe sapevano che John era imprevedibile e che la mora era troppo buona: gli appunti glieli avrebbe passati comunque.

 

Quando Rory tornò a casa erano le nove di sera ed era stanchissimo. Addosso aveva l’odore pungente di antibiotico e disinfettante, ne era quasi nauseato. Gli avevano detto che si sarebbe abituato, ma dopo tre anni di studio e tirocini di fine corso cominciava a dubitare che sarebbe mai accaduto. Almeno faceva ciò che gli piaceva.

Posò la giacca sull’appendiabiti e si fece strada in soggiorno. Amy era sul divano seduta con le gambe incrociate, un libro sulla letteratura vittoriana in grembo ed un saggio sull’influenza della censura letteraria sulle opere del tempo tra le mani. Un incarico apparentemente facile che le dava una discreta libertà di stesura, ma altrettanto facilmente poteva spingerla fuori tema.

Non si era accorta di Rory, concentrata a cancellare forsennatamente un pezzo di tre righe che non la convinceva. Lanciò poi la penna e parte del saggio sul tavolino di fronte a lei ed appallottolò il foglio di carta con la correzione prima di lanciarselo alle spalle.

“Hei! Potevi uccidermi!”

Amy si voltò verso di lui poggiandosi col corpo contro lo schienale; sporse il labbro inferiore in avanti, con le sopracciglia corrucciate. Sembrava una bambina, ma Rory sorrise avvicinandosi e, prendendole il viso tra le mani, le diede un bacio. Le labbra della ragazza si rilassarono immediatamente e si dischiusero per permettere al ragazzo un accesso più profondo. Subito dopo, le mani di Rory erano sulla sua schiena e le braccia di Amy attorno al collo di lui a tirarlo con se sul divano. Le mani della rossa salirono lungo la nuca dell’uomo ad intrecciare le dita tra i capelli biondi, spingendo la testa con una certa urgenza più vicino a lei quando le labbra di Rory le percorsero la mascella e si fermarono sul collo.

“Puzzi di ospedale…”

Rory girò la testa quel tanto che bastava per guardarle il viso.

“Tirocinio. Vado a farmi una doccia.”

Fece per alzarsi, ma Amy lo fermò stringendo la presa su di lui ed allargò le gambe in modo da accogliere i fianchi di Rory contro i suoi.

“Fermo dove sei.” Le mani della rossa si spinsero lungo i fianchi di lui tirandogli via la camicia dai pantaloni, le dita si insinuarono sotto la stoffa sfiorandogli i fianchi e provocando un suono gutturale nella gola dell’uomo prima di raggiungere i bottoni della camicia e aprire i primi due.

“Amy…”

Rory provò a protestare, ma i fianchi di Amy si spinsero maliziosamente contro di lui provocandone una reazione imbarazzante alla quale bisognava porre rimedio il prima possibile.

“Amy… chi c’è in casa?”

Amy sorrise maliziosa:

“Clara lavora. John è in camera sua, credo dorma.”

Rory non aveva bisogno di sentire altro, prima di alzare appena il busto e sfilarle, se non proprio strapparle di dosso, maglia e i pantaloni. Le sfiorò i seni con le dita mentre si adagiava nuovamente tra le sue gambe, spingendo volontariamente i fianchi contro quelli di lei e provocandole un gemito incontrollato. C’era ancora la biancheria a tenerli divisi.

Tra baci, carezze poco caste ed i successivi sospiri, non si accorsero del rumore appena percettibile della porta d’ingresso che veniva chiusa dall’esterno; ma almeno ebbero il buon senso di finire tra le lenzuola del loro letto ciò che avevano cominciato.

 

*** 

 

Non c’era molto lavoro al Clever Boy quella sera, ma buona parte dei clienti erano studenti universitari che in periodo d’esami erano rintanati nelle loro case a studiare come matti.

Dietro al banco bar Clara stava colmando un boccale di birra scura il cui aroma di caffè le pungeva le narici.

“Beamish… quella all’aroma di caffè. Ma se deve essere scura, io preferisco una Chimay. Forte, ma il retrogusto di caramello la… addolcisce!”

Clara fermò il rubinetto evitando che la schiuma fuoriuscisse dal boccale giusto in tempo, voltandosi sorpresa verso il suo nuovo interlocutore. Non lo aveva visto arrivare, ma la sorpresa svanì dal suo volto lasciandolo rilassare in un’espressione tranquilla.

“John!” Lei sorrise, sporgendosi vero di lui, lui si lasciò contagiare e le baciò una guancia.

Clara consegnò il boccale al cliente al banco, tre sgabelli più in là di John prima di tornare da lui.

“La Chimay è buona. Ma è belga. Ti facevo più il tipo da birra Svedese.”

John fece una smorfia, raddrizzandosi sullo sgabello:

“Naaa, per favore! Sono per lo più bionde e a me piacciono le brune. Anche le rosse, ma le brune sono più decise!”

Clara restò in silenzio pesando le parole di John prima di poggiarsi con i gomiti sul bancone e sporgersi appena verso di lui per sistemargli il farfallino:

“Stiamo parlando ancora di birre o di ragazze? Ci stai provando con me per caso, dicendomi in modo velato che ti piaccio in modo diverso da Amy?”

John si pietrificò, sentendosi infiammare le guance: un calore improvviso che gli colorò di rosso il viso fino alla punta delle orecchie mentre scattava sul posto e cercava di giustificarsi:

“Cos.... no… cioè… voglio dire… non intendevo… Oh! Clara!”

La ragazza scoppiò a ridere mentre lui si sistemava imbarazzato e confuso il colletto della giacca. L’espressione imbronciata sebbene sapesse che Clara lo stava soltanto prendendo un po’ in giro, come al solito.

“Va bene campione, questa birra te la offro io.” La ragazza si diresse alla spillatrice e riempì un boccale di una qualche birra scozzese bruna e la offrì all’uomo in segno di pace:

“Carino il farfallino. Nuovo?”

Le parole giuste al momento giusto fecero sorridere John, trasformando la sua espressione imbronciata in quella di un bambino felice di mostrare il suo giocattolo nuovo.

“Si! Amore a prima vista, non ho resistito!”

“Amy e Rory?” Chiese la ragazza vagando con lo sguardo ai tavoli all’interno del locale.

“Sono a casa, erano stanchi. Io invece avevo voglia di uscire.”

Clara lo guardò non convinta.

“Stavano pomiciando sul divano e sei scappato.”
“Esatto.”

Entrambi scoppiarono a ridere, con lo sguardo complice e la stessa immagine sdolcinata ed a tratti anche inquietante che per un attimo attraversò la mente di entrambi.

 

Nei trentacinque minuti successivi, Clara aveva avuto il suo da fare con lo spillare le birre per i clienti nuovi e lavare boccali, così che John ebbe tutto il tempo di ordinare patatine, finire la sua birra ed ordinarne una seconda. Quando Clara tornò da lui il locale si era un po’ svuotato e si era meritata una pausa, accompagnando John ad un tavolo in disparte adattato per lo staff e sedendosi con lui.

Parlarono del più e del meno, di come procedesse lo studio, di quanto fossero difficili i calcoli strutturali per il prossimo esame di John, della loro vita prima dell’università. La cosa che li accomunava, però, era la più improbabile ma anche la più triste: entrambi orfani di madre.

“Quindi… tuo padre si è risposato tre anni dopo la morte di tua madre e a diciotto anni sei andata a vivere da sola. La sua nuova moglie non deve affatto piacerti.”

“Oh… la odiavo! Non riuscivo a capire come mio padre potesse essersene innamorato. Era l’esatto opposto di mia madre. Lei era meravigliosa. Dolce, premurosa, mi spingeva a conoscere il mondo ad ogni passo insegnandomi però che ogni cosa andava affrontata con il dovuto rispetto e precauzioni.” L’espressione di Clara mentre parlava di sua madre era di pura adorazione. “Adesso però… Linda mi è indifferente. Quando a Natale torno a casa non faccio più caso alle sue battutine pungenti sulla mia prolungata crisi adolescenziale oppure ai suoi commenti su quanto sia inadeguata la mia voglia di indipendenza e quanto inutile sia studiare letteratura perché ci sono corsi di studio migliori e più redditizi per il futuro.

“Ma tuo padre con lei sembra felice ed è per questo che ingoi il rospo e vai avanti evitando gli scontri. Nel frattempo stai esplorando il mondo; non come vorresti, ma come tua madre ti ha insegnato. La tua impertinenza è solo una forma di autodifesa.”

Le parole di John la colpirono, costringendola a stare zitta e sospirare. Infine iniziavano a capirsi.

Le labbra di Clara si piegarono in un leggero sorriso mentre il suo sguardo era malinconico.

Incrociò le braccia sul bancone e vi poggiò sopra la testa, guardando distrattamente la schiuma densa sulla parte alta della sua bionda irlandese.

“Tu invece… come mai vivi da solo?”

“Ci sono Amy e Rory con me. Ora anche tu.”

Rispose John evitando il suo sguardo ed immergendo le labbra nel secondo boccale ormai mezzo vuoto.

“Sai cosa intendo. Ma se non vuoi parlarne…” Rispose semplicemente Clara.

John fissò lo sguardo su di lei, poggiando il boccale sul tavolo. Sospirò e si passò la mano sul volto, tirando indietro il ciuffo che gli copriva metà fronte.

“Ecco… quando mia madre morì avevo dodici anni. Non è stato facile affrontare la cosa per me, tantomeno per mio padre. Non mi faceva mancare nulla, si è sempre occupato dei miei bisogni ed era presente nei momenti critici, mi ha cresciuto praticamente da solo. Ma col passare del tempo restava sempre più spesso al lavoro e trascurava tutto il resto. Un giorno, avevo quindici anni, decise che dovevamo trasferirci, che la casa in cui vivevamo per lui era un tormento. Avrei potuto ribellarmi, ma lo capivo. In quella casa c’era ancora il profumo di mia madre, la sua presenza, la sua voce ed il suo viso. Mio padre doveva averla amata tantissimo per non riuscire a superare il trauma della sua morte.” John si prese una pausa, portando la mano destra al mento, il gomito puntellato sul  tavolo, poggiandovi sopra il peso della testa. Clara gli prese l’altra mano stringendola appena tra le sue in un tentativo di confortarlo. Gli diede il coraggio di andare avanti.

“Trovammo questa nuova casa, in una nuova città, in una posizione strategica che mi permettesse di raggiungere facilmente la scuola. Mio padre pensò anche al mio futuro universitario. Le cose però per lui non cambiarono. A volte avrei voluto che la sua vita prendesse una svolta, che incontrasse una donna che avrebbe potuto renderlo un po’ meno triste. Non è mai successo. Cioè… una svolta nella nostra vita c’è stata; ma non come avrei voluto per lui, comunque. Decise di partire come ufficiale medico per non ricordo quale territorio di guerra. Lo sento di tanto in tanto ma… non torna mai a casa. Sono anni che ci incontriamo di sfuggita prima che riparta per chissà dove.”

Clara poggio la testa contro la spalla di John, stringendogli il braccio tra le sue.

“Certo che siamo un disastro, io e te.”

John sorrise, poggiando la guancia contro la sua tempia.

“Naaa. Siamo dei bravi ragazzi. Non facciamo male a nessuno, non ci droghiamo, non ci ubriachiamo…”

Clara si staccò appena per guardarlo e rispondere ironicamente.

“Sull’ultima questione permettimi di dissentire.” Ed indicò i due boccali di birra davanti a lui “Inoltre…  io sono praticamente scappata di casa...”

John sorrise, scuotendo la testa.

“Non sei scappata. Sei diventata indipendente. È diverso.” Clara non rispose. Il suo silenzio improvviso sorprese John, ma la sua espressione rilassata gli faceva capire che in qualche modo lo ringraziava.

“A che ora stacchi?” Alla fine le chiese.

Clara sospirò, portandosi la mano al viso e poggiando il gomito sul tavolo.

“Giorno di paga. Aspetto la chiusura.” Sospirò, scostando la sedia e facendo per alzarsi: “E devo tornare al banco bar.”

“Allora aspetto con te e rientriamo insieme.” Rispose John, scostando anche lui la sedia e facendo cenno di alzarsi con lei in un gesto galante.

“Non è necessario. Ti annoierai se non ti addormenti prima sul tavolo: si farà tardi!”

“A maggior ragione, insisto.”

Clara sospirò, ma si arrese. Amava la sua indipendenza, ma tornare a casa da soli a notte inoltrata un po’ meno e la compagnia di John non le dispiaceva.

“Perfetto. Avremo modo di parlare dell’affitto durante il rientro, allora.”

John la guardò confuso. Aveva pattuito con lei che avrebbero diviso le spese di casa come già faceva con Rory ed Amy, ma la ragazza a quanto pare non ne era ancora del tutto convinta. Diceva che si sarebbe sentita un ‘ospite’ e non una coinquilina e non le piaceva approfittare della situazione.

“Clara…” John sospirò.

“John…”

Quella ragazza era impossibile!

“Devi sempre avere l’ultima parola, vero?”

Clara si strinse nelle spalle mostrando un sorriso innocente. John scosse la testa lasciando cadere le spalle:

“Undici”

“Cosa?”

“Undici”

Clara lo osservò disorientata prima di continuare:

“Si. Ho capito… ma undici cosa?”

“Sterline. Non voglio l’affitto, dividiamo le spese e mi basta. Se però proprio insisti a volermi pagare questo benedetto mensile, allora facciamo così: undici sterline l’undici di ogni mese. Per restare in tema, alle undici precise! Se tardi o anticipi non prendo nulla!”

Clara pesò le parole di John, mutando la sua espressione da turbata a sollevata dedicandogli un sorriso sereno. John era incontrollabile quasi il più delle occasioni, ma stavolta lei sembrava averla avuta vinta.

“ Va bene. Undici sterline l’undici di ogni mese. Alle undici del mattino o di sera?”

“E’ indifferente. Sei tu il capo!”

Da quel particolare della loro vita Clara aveva coniato il soprannome giusto per John. L’undici di ogni mese, alle ore undici (indipendentemente dal fatto che fosse giorno o sera e sempre in base agli impegni della giornata)  consegnava a John una busta con dentro le sterline pattuite ed un bigliettino con su scritto ‘Eleven’.

A volte Clara semplicemente gli saltava alle spalle abbracciandolo e dandogli un bacio sulla guancia mentre ripeteva allegra quella parola. Entrambi erano tranquilli e contenti della complicità che un’unica parola gli aveva fatto conquistare. E non poco contribuiva anche il fatto che, con quelle undici sterline, John riusciva sempre a trovare un regalo adatto da portarle il giorno dopo. Il primo, indimenticabile regalo, fu una targhetta da affiggere alla porta della camera di Clara che riportava la scritta: Ragazza Impossibile.

Clara pensava di avere il controllo, ma forse era l’imprevedibile John ad averlo.

 

 

   
 
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