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Autore: Artemide12    20/03/2015    2 recensioni
Sono passati venticinque anni da quando alieni e MewMew combattevano sulla Terra.
Ora su Arret – il pianeta alieno riportato alla vita grazie all'acqua-cristallo – dominano forze oscure che hanno interrotto qualsiasi contatto con il resto dell'Universo e costringono l'intera popolazione a vivere nell'ombra, schiava dei suoi padroni.
Nel disperato tentativo di ribaltare le sorti del pianeta, i cugini Ikisatashi e gli altri Connect fuggono e atterrano sulla lontana e ormai dimenticata Terra.
Ma quanto può essere sicuro un pianeta lontano anni luce se nasconde il proprio passato?
Genere: Avventura, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciò che resta

 

«Tiriamo a sorte.» propose lei, ormai euforica come non succedeva da tanto «Pari e dispari.»
Lui sorrise e aprì subito un file per appuntarsi tutto.
«Okay, cosa più importante, il sesso. Maschio dispari, femmina pari.» cominciò.
«Ci sto.»
Uscì pari.
«Femmina, a questo punto, cara futura-mamma devi scegliere un nome.»
«Hope.» disse dopo un po'. «È un nome terrestre, di dove è suo padre ora.»
«Speranza?»
«Di un futuro migliore.»

Diversi anni dopo

Raylene si svegliò stiracchiandosi. Era stesa a pancia in giù nel letto. Sbatté la palpebre finché non riuscì a mettere a fuoco. Guardò verso il comodino.
Diavolo, era tardissimo!
Dei colpi sulla porta, qualcuno che stava bussando. Capì cosa l'aveva svegliata, fosse stato per lei, avrebbe dormito volentieri qualche altra ora. Si puntellò sui gomiti e inarcò la schiena per sollevare il busto.
«Chi è?» abbozzò.
«Sono Silver.» rispose la voce del fratello «Sto uscendo. Papà è già andato, mamma è ancora qui. Lei e Psiche stanno ancora organizzando per stasera. La tua colazione è sul tavolo da un'ora, da quando sei così dormigliona?»
Raylene spostò lo sguardo sul ragazzo biondo che dormiva ancora beatamente accanto a lei. Da quando Oro mi tiene sveglia fino a tardi. Pensò, ma si guardò bene dal dirlo. Nessuno sapeva della presenza del ragazzo nella casa, tanto meno nella sua stanza, tanto meno nel suo letto. Avrebbero sicuramente fatto le peggiori supposizioni. E a ragione.
Sorrise. «Sono stata sveglia fino a tardi.» si limitò a dire, optando per la quasi-verità «Avevo da fare.»
Sentì il fratello sospirare e per un attimo si chiese se non sapesse più di quanto lei credesse. Sperò di no. E l'attimo dopo di sì.
Poco importava.
«Ci si vede dopo allora.» lo salutò, stendendosi di nuovo e girandosi pancia in su. Tirò su il lenzuolo per assicurarsi di rimanere coperta.
«Ci si vede.» concordò Silver, dall'altra parte della porta.
Si allontanò e tornò nell'ingresso, dove una bambina lo aspettava impaziente. «Pronto?» chiese appena lo vide.
«Pronto.» confermò raggiungendola.
Hope gli riservò uno dei suoi sorrisi raggianti e gli prese la mano. Doveva essere un gesto dolce, che significasse che si fidava di lui, che era lui l'adulto, ma non era così. Era un incitamento, un chiaro “seguimi”. Era di Abigal.
Così come lo erano i suoi occhi blu. Identici a quelli di Silver. Identici come solo uno stesso patrimonio genetico può renderne.
Il sorriso, però, era quello di Dalton. Così come i capelli castani raccolti in una coda di cavallo.
Tutta Hope era così. I caratteri dei genitori si alternavano del suo corpo in crescita con l'estrema armonia che solo la casualità può creare. A differenza loro, però, non aveva nessun DNA animale nel sangue. Era una bambina ibrida normalissima.
Uscirono di casa e si avviarono lungo la strada. Avrebbero potuto teletrasportarsi, ma non ne valeva la pena. Era una bella giornata, il posto era vicino e sicuramente avrebbero incontrato qualcuno di conosciuto.
Hope trotterellava accanto a Silver allegra, facendo ondeggiare i capelli dietro la testa e canticchiando a labbra chiuse. Un'abitudine di Dalton nell'espressione di Abigal. Non era proprio facile abituarsi.
Passarono accanto alla casa di Ethan e Riley. Era una costruzione a due piani. Loro abitavano il primo e il sottotetto. Il pianoterra comprensivo di giardino circostante era occupato da Fosfor ed Electra. Loro erano fuori e Hope corse fino alla staccionata bianca per salutarli allegramente.
«Ciao birba.» ricambiò Fosfor avvicinandosi. «È da un po' che non ci si vede.»
«Sono stata da Pit e Opter.» spiegò lei salendo sulle punte dei piedi e poi dondolandosi sui talloni.
Silver intercettò lo sguardo di Electra che era rimasta seduta su un divanetto da esterni in stile terrestre. Andava molto in quel periodo. «Coma va?» le chiese.
«Alla grande!» rispose lei portando entrambe le mani sull'enorme pancia rotonda «Non la smettono di dare calci, ma è piacevole. Stanno bene.»
«Già, resta solo da scoprire quali porcherie avranno nel sangue.» commentò Fosfor.
Già, i loro figli erano stati concepiti naturalmente, quindi era inevitabile che i geni animali dei genitori si mescolassero. Era già successo.
«Sono sicuro che il siero risolverà qualsiasi problema.» disse Silver tranquillamente.
Il siero che Ryan aveva brevettato per i figli – e per il loro DNA in parte di neo-focena e in parte di gatto – si era dimostrato efficace anche per i figli di Catron e Kathleen quindi sicuramente avrebbe funzionato anche sui loro.
«Zio Ethan e zio Riley?» domandò Hope. Chiamava tutti loro zii e tutte le MewMew nonne. Silver, invece, era solo Silver.
Fosfor sollevò le spalle. «Credo che non si siano ancora svegliati.»
Riley non si era mai ripreso. Il colpo aveva danneggiato permanentemente le sue capacità mentali. Ogni tanto aveva degli spaventosi vuoti di memoria e faticava a riconoscere chi non fosse Ethan, ma per il resto se la cavava bene.
«Quando li vedi salutameli.» si assicurò Hope «Ora noi dobbiamo andare.» riprese a camminare portandosi dietro Silver, si voltò a salutare con la mano prima che girassero l'angolo.
Oltrepassarono quella che per qualche assurdo motivo era diventata “casa Ikisatashi” – assurdo perché non era certo l'unica ad ospitare qualcuno con quel cognome, specialmente in un quartiere intero che portava il nome “Ikisatashi”. Era pensata per due famiglie come quella di Fosfor, Electra, Ethan e Riley, ma di fatto era stata allargata e ce ne vivevano tre: il piano più in alto era abitato dalla sorella di Ghish, Sheila, il marito, Felix, e dai due corpi del figlio, Always e Nevery; il pianoterra allargato da Ghish e Strawberry, Aprilynne e, da quando avevano messo su famiglia, da Catron e Kathleen. Al momento, comunque, “casa Ikisatashi”, sembrava vuota.
Cento metri più avanti, c'era il parco costruito pochi anni prima.
Appena entrarono videro sfrecciare davanti a loro le biciclette di Always e New. Era impressionante quanto entrambi fossero cresciuti. Una volta erano loro i bambini. Ora si trattava dell'ennesima coppia felice che si era creata tra di loro. Erano perfetti, e non solo caratterialmente: l'organismo di New, grazie al DNA di chimero, non aveva bisogno di dormire, mentre ad Always dalle otto di sera bastava cambiare corpo e diventare Nevery. Erano sempre in giro.
Seduta dietro di New, le braccia strette attorno alla sua vita come se fossero in moto, c'era Eve. O meglio, Evelyn Junior. Era stata una strana richiesta da parte di New, ma Silver l'aveva accontentata, aveva ricreato Evelyn, la ragazza ragno, o almeno un'ibrida identica a lei, stesso aspetto, stesso nome, stesso DNA animale. New non l'aveva voluta come una sorta di figlia, ma come una sorellina. E per tutti, ormai, New ed Eve erano le sorelle.
Eve aveva la stessa età di Hope ed andavano molto d'accordo.
Si salutarono di sfuggita prima che le biciclette si allontanassero nel parco fino a scomparire.
«Forza.» la incitò Silver, cogliendo l'occasione per ristabilire i concetti di adulto-bambino. Non che servisse a molto.
Ripresero a camminare finché non in ritrovarono in un grosso spazio pianeggiante e sgombro di alberi. Al centro svettava un'enorme costruzione fatta di corda su cui ci si poteva arrampicare. Inutile dire che tutti loro ne andassero pazzi.
Hope vi corse subito e in un attimo si trovava a due metri da terra.
Silver fece in giro della struttura.
Arlene era seduta su una panchina affianco a Strawberry mentre Mark aiutava il Cavaliere a montare un enorme telescopio. Faceva parte dei programmi di quella sera: enorme pic-nic tutti insieme e poi nottata a guardare le stelle. Anche se parlare di stelle era inesatto. Pai aveva previsto che quella notte sarebbe stata visibile la Terra. Nessuno su Arret voleva perdersela, loro avevano solo deciso di stare tutti insieme.
Ghish si trovava alla base della costruzione di corda e dava a tutti indicazioni su come muoversi. Peccato che la sua intenzione fosse quella di far rimanere tutti incastrati.
Quando Hope arrivò su una delle piattaforme, raggiungendo gli altri, le voci dei bambini cominciarono a farsi più forti e più euforiche. Se ne distinguevano chiaramente tutti i proprietari.
«Gara a chi arriva per primo in cima?»
«No! Non vale tu sei già più in alto.»
«Ha ragione.»
«Tanto vinco lo stesso.»
«Scommessa che invece stavolta le tue previsioni sbagliano?»
«Non sbaglio mai.»
«Questo è vero.»
«Me ne infischio! Arrivo prima io se partiamo tutti alla pari.»
«Io sono già arrivata, vale?»
«No! Hai barato, ora le prendi!»
Dopo qualche altro schiamazzo, un ragazzo dai capelli biondo platino e gli occhi viola cadde fino a terra, dove atterrò in piedi, estremamente arrabbiato.
«Tu!» urlò indicando verso l'alto «Brutta...»
«Ehi, frena, io sono bellissima.» lo interruppe una ragazza dagli occhi azzurri e i lunghi capelli biondi materializzandosi davanti a lui, le braccia incrociate e lo sguardo sicuro e leggermente presuntuoso.
Nonostante passassero quasi tutti il tempo a litigare a darsele di santa ragione, Azzurra e Blu erano migliori amici. Rappresentavano la prova vivente che gli opposti si attraggono. Una era l'acqua-cristallo, l'altro la pietra-fumo. Una era benevolmente potente ma irrimediabilmente arrogante, l'altro potenzialmente distruttivo ma il più delle volte gentile.
Se si escludeva questo preciso istante, in cui si stavano rotolando per terra prendendosi a pungi. Entrambi non facevano in tempo a rompersi il naso a vicenda, che ogni minimo graffio guariva all'istante.
Il fatto che Blu avesse ereditato i capelli chiarissimi del padre e non quelli neri della madre e gli occhi viola piuttosto che quelli azzurri, era un sollievo per tutti. Se fosse assomigliato a Profondo Blu, sarebbe stato etichettato a vita.
Gli altri tre ragazzi, intanto, erano tornati nella parte più bassa della struttura.
Hope scese di nuovo a terra, i due fratelli rimasero in alto.
Silver rimase un momento a fissarli. Dalton, il più grande, aveva i capelli arancioni della madre e gli occhi rossi del padre; Abigal, al contrario, i capelli rossi e gli occhi color miele. Erano i nipoti più belli che Ghish e Strawberry potessero desiderare.
«Botte! Botte!» incitava Dalton agitando un pugno.
«noo» articolò invece Abigal mettendosi seduta su una corda, le braccia stese in alto per tenersi a quella di sopra e i piedini che si agitavano «si fanno male» era così piccola, così dolce e così graziosa che era impossibile non innamorarsi subito di lei.
«Abigal!» protestò contrariato Ghish nello stesso istante in cui Strawberry ringhiò «Dalton!»
era evidente che i due la pensavano in modo molto diverso riguardo alla zuffa.
Una nuvola coprì il cielo mentre quel momento di quotidiana tanto agognata “tranquillità” trascorreva senza interruzioni.
Silver si guardò intorno.
Anche altre persone si aggiravano per il parco in cerca del punto migliore dove sistemare il proprio telescopio, arrettiani, terrestri e ibridi affollavano il parco come se avessero vissuto insieme da sempre. Tutti di origine terrestre, tutti attualmente arrettiani.
Tutti umani.
La Fratellanza aveva decretato che la Terra non era più un pianeta abitabile – come se fosse chissà quale scoperta – e tutti i terrestri, non senza sorpresa, erano stati trasferiti su Arret. C'era del paradossale se si pensava che l'intento iniziale dei tre fratelli Ikisatashi era stato quello di far tornare tutti sulla Terra. Allo stesso tempo, sembrava essere destino: se non avessero mai avuto quell'intenzione, non sarebbero mai arrivati sulla Terra, e in quel momento gli umani sarebbero stati estinti.
Silver si rese conto che le persone lo fissavano a propria volta, ma con molta più intensità. Sorridevano, sussurravano ai loro figli, qualcuno accennava persino dei saluti. Altri si limitavano a continuare a fissare nella sua direzione.
«Cos'hanno da guardare tanto?» non poté fare a meno di sbottare.
«Come cos'hanno?» esclamò Hope, accanto a lui «Siamo i Connect! Gli ibridi che hanno salvato il pianeta.» l'uso del “siamo” e non del “siete” o dell'ancora più corretto “sei”, infastidì particolarmente Silver.
Fissò Hope intensamente. Fissò i suoi occhi blu dal taglio rotondo, da cerbiatto, in un viso i cui tratti, nella sua mente, erano ancora troppo legati a persone differenti.
Pensò ai figli di Catron e Kathleen, i nuovi Dalton e Abigal, così diversi dalla persone di cui portavano il nome e che non avrebbero mai saputo niente di loro.
A Eve, Evelyn Junior, così identica alla sua predecessora.
«No, non è vero.» disse.
Hope aggrottò le sopracciglia. «Come no? Cosa siete allora?» questa volta disse “siete”.
Silver sospirò.
«Noi siamo...»
Già, cosa erano? E la risposta venne, da sola, forse perché da qualche parte c'era sempre stata.
«ciò che resta.»

  
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