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Autore: EmmaStarr    20/03/2015    4 recensioni
«A proposito, non è stupendo che Sabo compia gli anni proprio l'ultimo giorno d'inverno?» aggiunse Rufy dopo un attimo di pausa, e scoppiò a ridere.
Ace alzò gli occhi al cielo, sbuffando, ma non disse nulla. Sabo gli scompigliò i capelli con energia, sorridendo. «Sì che lo è» confermò.
* * *
Sabo aveva quattro anni e i suoi genitori non gli volevano bene: fu in quel momento che prese la decisione di scappare di casa.
* * *
«E pensi di fermarti qui?» chiese Ace, avido di informazioni.
Sabo si strinse nelle spalle. «Boh, non so ancora... sai, sto cercando di mettere più distanza possibile da casa mia, capisci» spiegò con ovvietà.
Ace annuì con l'aria di chi ha capito tutto. «Beh, qui siamo abbastanza lontano da tutte le città. Questo posto è un buco, non ci viene mai nessuno. Senti, se deciderai di fermarti qua io conosco un posto perfetto!» aggiunse, gli occhi improvvisamente eccitati.

* * *
{Sabo&Ace&Rufy} {AU paesino americano dell'800} {Fluff, slice of life} {Compleanno di Sabo}
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Monkey D. Rufy, Portuguese D. Ace, Sabo
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Happy Birthday, One Piece!'
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Eclipse





Foosha Hills, Missouri, 20/03/1883

 

L'acqua del fiume scorreva lenta, riflettendo i pigri raggi di quel sole arancione che andava scomparendo all'orizzonte.

Sulla sponda più alta del fiume, le gambe penzoloni si riposavano tre ragazzini: ridevano piano, una spiga di grano in bocca per uno, i vestiti sporchi e impolverati ma gli occhi vivi e luminosi. «Ah, e la faccia del signor Cunningham?»

«Ah, è stato stupendo! Scommetto che avrebbe voluto tirare fuori il suo fucile dalla cantina e...»

«Oh, andiamo, lo sanno tutti che non ce l'ha, un fucile!»

«Ma lui dice di sì!» Il più giovane si alzò di scatto in piedi, arrabbiato. «Vero, Sabo?»

Quello si limitò a ridere, ben consapevole di quanto sarebbe stato poco sicuro immischiarsi in una disputa tra i suoi due fratelli combinaguai, Rufy e Ace.

Non erano fratelli di sangue, insomma, avevano genitori diversi: Sabo a volte sognava ancora i baffi austeri di suo padre e gli zigomi pronunciati di sua madre, o i loro cipigli severi fissarlo con odio. Ma ogni volta, quando si svegliava sudato tra le fresche lenzuola del letto che condivideva con i suoi fratelli, bastava dare un'occhiata al piede di Rufy appoggiato senza tanti complimenti sulla guancia di Ace, o ascoltare il suono dei loro respiri mischiati al suo come se fossero una cosa sola, per tranquillizzarlo completamente.

«Non chiamare sempre Sabo in causa, hai capito? Questa volta ho ragione io, punto e basta!» si inalberò Ace, alzandosi a sua volta e saltando addosso al fratellino.

Quello urlò di terrore e corse a nascondersi dietro la schiena di Sabo, che osservava divertito la scena che si ripeteva quasi ogni giorno, di cui però non riusciva a stancarsi. «Ehi, Ace, così lo butti nel fiume» gli fece notare, ridacchiando.

Ace sbuffò. «Sì, beh, gli starebbe bene» commentò, ma non si avvicinò più di così.

Rufy sospirò di sollievo. «Oh, menomale che ci sei tu, Sabo!» esclamò, melodrammatico. «Se cadevo nel fiume oggi, che è l'ultimo giorno d'inverno, mi sarei sicuramente preso un accidente, l'ha detto anche Dadan!» spiegò con aria saputa. «A proposito, non è stupendo che Sabo compia gli anni proprio l'ultimo giorno d'inverno?» aggiunse dopo un attimo di pausa, e scoppiò a ridere.

Ace alzò gli occhi al cielo, sbuffando, ma non disse nulla. Sabo gli scompigliò i capelli con energia, sorridendo. «Sì che lo è» confermò.

Dopodiché presero a lasciare sassi nel fiume, scherzando come al solito, ma Sabo non riusciva a fare a meno di pensare a quanto fosse diverso quel compleanno da tutti quelli che aveva festeggiato fino a quel momento.

 

* * *

 

Kansas City, Missouri, 20/03/1877

 

Sabo aveva quattro anni, e i suoi genitori lo odiavano. Erano queste le uniche cose a cui riusciva a pensare in quel momento, chiuso nella sua stanza, in punizione il giorno del suo compleanno.

Eppure, lui non credeva di aver fatto niente di sbagliato! I suoi genitori avevano organizzato una festa in suo onore: esagerata come sempre, piena di bambini vestiti in modo strano, cibi elaborati e musica classica.

Aveva persino dovuto indossare l'abito più scomodo del suo guardaroba: era stato sgridato perché non era riuscito ad allacciare nemmeno i bottoni davanti, ma che colpa ne aveva lui se erano così piccoli? Si era dovuto far aiutare da uno schiavo- cioè, da un servo: da quando, nel sessantacinque, era stata abolita la schiavitù, mamma continuava a pronunciare quella nuova parola con aria disgustata, quasi fosse un insulto. «Comunque, per noi, non è cambiato niente» era solita ripetere con le sue amiche, sorridendo con superiorità. «Li trattiamo nello stesso modo di prima. E che vengano pure a lamentarsi, se vogliono! Figurarsi, non sanno nemmeno scrivere...»

Sabo non era sicuro che quello che dicevano fosse giusto: ogni tanto parlava con i figli dei servi di casa sua, e li trovava simpatici. Però non l'aveva mai detto alla mamma, perché aveva paura che si sarebbe arrabbiata.

Eppure, quel giorno, non aveva fatto nulla di terribile: c'era un ragazzino, alla sua festa, che pretendeva di avere per sé i regali che spettavano di diritto a Sabo! Continuava a dire “questo lo prendo io”, “questo è troppo bello per uno come te”, “guarda, questo lo voglio io, è bellissimo!”

Sabo si era arrabbiato e l'aveva spinto all'indietro, strappandogli i suoi regali di mano. Aveva ragione lui, no? Eppure, suo padre gli si era subito scaraventato contro, ululando frasi come “ma che ti salta in testa?” e “come hai potuto?”

Sabo non aveva capito molto bene, ma a quanto pareva il bambino era figlio di un importante socio d'affari di papà, e lui non poteva picchiarlo. Quindi i suoi genitori l'avevano messo in punizione, togliendogli tutti i regali e chiudendolo in camera, non prima di avergliele date di santa ragione.

Sabo aveva quattro anni e i suoi genitori non gli volevano bene: fu in quel momento che prese la decisione di scappare di casa.

 

* * *

 

Kansas City, Missouri, 20/03/1880

 

I suoi compleanni successivi si susseguirono con triste regolarità finché non compì sette anni. Fu in quel giorno che gli si presentò l'occasione giusta: era un sacco di tempo che stava tenendo da parte i soldi e quel giorno, approfittando della consueta frenesia che assaliva casa sua prima di un ricevimento importante, infilò la porta senza che nessuno dei servi notasse nulla.

Quando fu in strada quasi non ci credeva: era fatta, era fuori! Senza riuscire a trattenersi, si mise a correre per le strade. La stazione, doveva andare subito alla stazione: il suo piano prevedeva poi di prendere tanti treni a caso, finché non sarebbe stato troppo distante da casa sua anche solo per poter pensare di tornare indietro. Aveva con sé un piccolo zaino con i soldi, del cibo e il minimo indispensabile per sopravvivere per qualche giorno, dopodiché, beh, si sarebbe arrangiato. Ma non riusciva ad immaginare niente di brutto,ovunque stesse andando, niente di sbagliato. Niente di peggio da come stava prima. Basta con i vestiti scomodi, le lezioni di postura, i ricevimenti noiosi. Aveva finito di dire sempre di sì, aveva smesso di essere costretto a guardare gli altri con superiorità, non avrebbe più dovuto essere visto come un nobile che pensa solo a se stesso.

La libertà gli dava alla testa. Si chiese distrattamente quanto ci sarebbe voluto ai suoi genitori per accorgersi che al ricevimento mancava l'ospite principale, il festeggiato. Scrollò le spalle, divertito: dopotutto, non aveva mai festeggiato un compleanno meraviglioso come quello.

La libertà era il regalo migliore che avrebbe mai potuto fare a se stesso, ne era sicuro. Raggiunse la stazione camminando a due centimetri da terra, e sembrava che il treno volasse sopra le nuvole, sopra la città, sopra i campi, sopra la paura.

 

* * *

 

Foosha Hills, Missouri, 21/03/1880

 

 

Ovviamente, non aveva detto nulla a Ace del suo compleanno: era già fin troppo felice del fatto di avere un amico, un amico vero, per mettersi a parlare del proprio compleanno. Andiamo, sarebbe stato chiedere troppo.

Quando era arrivato a Foosha Hills, si era fermato solo perché non sarebbero passati più treni per tutta la notte, e lui aveva sonno. Una volta appurato di essere abbastanza lontano da Kansas City era andato a rifugiarsi in un fienile abbandonato, e la mattina dopo si era svegliato con un languorino davvero fastidioso. Allora aveva messo in atto un piano: avrebbe razziato un frutteto lì vicino, avrebbe fatto scorta di cibo e poi avrebbe visitato il paese. Chissà, magari c'era una casetta abbandonata in cui stabilirsi. O forse qualcuno aveva bisogno di un garzone. Chissà, magari avrebbe conosciuto qualcuno di simpatico! Altrimenti, beh, gli erano avanzati abbastanza soldi per un altro biglietto del treno.

Si avvicinò quindi al frutteto più vicino: era quasi stagione di mele, no? Gli occhi presero a luccicargli quando, scavalcando il muretto che delimitava il campo, si trovò davanti un'immensa distesa di meli carichi di frutti. Sorridendo, si apprestò a raccogliere quante più mele possibile, ma mentre stava ancora addentando la prima sentì una voce terrificante: «Eccoti qua, ragazzaccio! Ma questa volta vedrai se non ti prendo, altroché!»

Sabo, terrorizzato, si voltò e fece per fuggire. Oh, andiamo, ma com'era possibile che si fosse già fatto beccare? Non era nemmeno nel campo visivo della cascina, era stato attento! Ma tutto fu immediatamente chiaro quando vide un anziano signore rincorrere con foga un ragazzino che sembrava della sua età, che rideva trascinando con sé un intero sacco pieno zeppo di mele.

Sabo non riuscì a fare a meno di ridere, prima di realizzare che i due stavano correndo proprio nella sua direzione: quando se ne accorse, però, fu troppo tardi, ed entrambi lo videro con chiarezza. Sabo notò gli occhi del proprietario del campo assottigliarsi dalla rabbia, e quelli del ragazzo spalancarsi leggermente. Aveva uno strano sguardo, quel ragazzino: i suoi occhi erano neri, neri, come un infinito pozzo senza luce. Erano così scuri da far paura, così bui.

«Un altro!» gridò il vecchio, sputacchiando davanti a lui. «Spuntano come funghi! Ah, ma se vi prendo, se vi prendo...»

«Ehi, tu!» gli urlò improvvisamente il ragazzino. Sabo drizzò il capo. «Sì?»

«Vai a destra!»
Senza farsi troppe domande, Sabo annuì, si voltò e prese a correre. Con la coda dell'occhio vide che anche l'altro ragazzino stava girando dalla stessa parte. Mentre il vecchio continuava a urlare di fermarsi, Sabo gridò: «Dove stiamo andando?» ma l'altro non gli rispose.

Il vialetto in cui si trovavano proseguì fino a un cancello abbastanza basso, chiuso da un pesante lucchetto. Sabo e il ragazzino arrivarono qualche secondo prima del vecchio. «Lancia!» ordinò quello, e senza aspettare una risposta gettò il proprio sacco dall'altro lato del cancello. Dopodiché lo scavalcò con gesto esperto, e si voltò a guardare Sabo con aria interrogativa. «Che fai? Se ti becca quello, ti fa secco! Guarda che questo è l'unico punto in cui si riesce a scavalcare con un sacco di mele in mano!»

Sabo a quel punto si riscosse e saltò con agilità oltre il cancello, tenendo bene in alto lo zaino con le mele. Solo allora l'altro ragazzino si rimise a correre: Sabo lo seguì finché non furono abbastanza lontani. Allora si fermarono, ansanti, appoggiandosi alle assi sconnesse che formavano il muro di una casa malandata. «Ehi, è stato forte!» ridacchiò Sabo dopo un po'. «Fai spesso cose come queste?»

L'altro sollevò un sopracciglio, accennando un sorrisetto ironico. «Scherzi? Se non compaio almeno una volta alla settimana, a quel vecchio gli vengono i complessi» affermò, sicuro. «Comunque sei stato bravo a entrare: non ho mai visto nessuno correre così veloce. Sei bravo quasi quanto me» ghignò. Poi gli porse la mano. «Io sono Ace. Sei nuovo, qui?»

Sabo gliela strinse con un sorriso. «Piacere, Sabo. Sì, sono arrivato ieri sera» spiegò.

Ace annuì. «Stai dalla signora McCullen?» chiese con fare pratico. «Aspettava il nipote solo la settimana prossima...»

«No, no!» si affrettò a spiegare Sabo. «Sono scappato di casa» rivelò con un certo orgoglio. Ed effettivamente, gli occhi di Ace si sgranarono considerevolmente.

«Dici sul serio?» sussurrò, incredulo.

Sabo non lo faceva per vantarsi, ma si sentiva decisamente soddisfatto. «Esattamente!»

«E pensi di fermarti qui?» chiese Ace, avido di informazioni.

Sabo si strinse nelle spalle. «Boh, non so ancora... sai, sto cercando di mettere più distanza possibile da casa mia, capisci» spiegò con ovvietà.

Ace annuì con l'aria di chi ha capito tutto. «Beh, qui siamo abbastanza lontano da tutte le città. Questo posto è un buco, non ci viene mai nessuno. Senti, se deciderai di fermarti qua io conosco un posto perfetto!» aggiunse, gli occhi improvvisamente eccitati.

Sabo non provò nemmeno a nascondere l'emozione. «Davvero?» esclamò.

Ace annuì con importanza. «Sai, era da tempo che cercavo un socio per le mie incursioni nei campi dei vicini. Fare tutto da solo è una faticaccia... e tu oggi ti sei comportato bene» concesse. «Che dici, ti andrebbe di lavorare con me?»

Sabo non se lo fece ripetere due volte: andiamo, conosceva quell'Ace da meno di un quarto d'ora, eppure era già l'amico migliore che avesse mai avuto. Vedeva ancora qualcosa di strano, nei suoi occhi, come una specie di fiamma nera pronta a distruggere ogni cosa, ma cercò di non darci peso: Ace era suo amico, gli avrebbe trovato addirittura un posto dove stare, l'avrebbe portato con lui a rubare cibo agli agricoltori e poi, magari, una volta diventati grandi se ne sarebbero andati via insieme, chissà dove.

Per l'ennesima volta, Sabo trovò che fosse fin troppo perfetto: niente da fare, amava troppo essere libero.

«Ci sto!»

 

* * *

 

 

Foosha Hills, Missouri, 20/03/1981

 

«Allora è uno stronzo figlio di papà, punto».

«Ace! Non dire queste cose, dai!»

«Ma andiamo, i regali erano tuoi!»

«Lo so, ma...»

«Hai fatto mille volte meglio ad andartene, guarda. E sul serio i tuoi genitori hanno punito te

Sabo annuì, grave. Erano sdraiati in un campo di grano a non fare niente: Ace aveva deciso di provare a mettersi delle spighe di grano in bocca, e Sabo aveva dovuto ammettere che non era poi così male. Sapeva di terra e sole, ed era una bellissima sensazione.

Quel giorno era l'anniversario del suo arrivo a Foosha Hills, e Ace gli aveva imposto una sorta di festeggiamento commemorativo. Aveva addirittura rubato delle mele in più apposta per lui. « In effetti, è stato quel giorno che ho deciso che sarei scappato di casa» mormorò Sabo. «Cioè, andiamo, non...»

Ci era voluto del tempo, prima che decidesse di fidarsi abbastanza di Ace da potergli confidare il suo segreto. In realtà, avrebbe dovuto farlo molto tempo prima: lui, la storia del passato di Ace, la conosceva già. Non c'era stato bisogno nemmeno di chiedere troppo in giro: Dadan, la vecchia locandiera che si... prendeva cura di Ace era stata felicissima di raccontarglielo, sussurrando tutta la storia nell'orecchio di un Sabo paralizzato dallo stupore e intimorito dalla puzza di alcol dell'alito della donna. Il figlio di Gol D. Roger. Ovviamente, tutti sapevano chi fosse. Era stato un bandito, un fuorilegge, e aveva ucciso delle persone. Un sacco di gente lo odiava, ne aveva paura, anche ora che era morto già da anni. Però Sabo sapeva anche che era stato dei maggiori sostenitori dell'abolizione della schiavitù, e come bandito non derubava mai i poveri, ma solo i ricchi. Sinceramente, non ci trovava nulla di male nel fatto che Ace fosse figlio di un uomo così, ma per lui... oh, per lui la faccenda era diversa. Sin dalla nascita Ace si era sentito dire che non sarebbe mai dovuto nascere, e Sabo temeva che lo pensasse tuttora.

Ecco anche la spiegazione di quel buio, di quella mancanza di luce negli occhi dell'amico: Sabo lo sapeva, era quello che soffocava la vita e la luce negli occhi di Ace, come un incendio nero che non lasciava scampo. Ace viveva alla giornata, senza preoccuparsi del domani, senza godersi appieno la vita. Come se non meritasse di essere felice.

Ecco perché, quel giorno, gli aveva raccontato della sua vita. Non tanto perché Ace era stato così gentile da ricordarsi dell'anniversario del suo arrivo, ma perché voleva che si sentisse più vicino a lui, che capisse di essere importante per qualcuno.

«A proposito, buon compleanno» commentò Ace senza alzare lo sguardo, sputando la spiga di grano e prendendone un'altra.

Sabo sbiancò. «C-come fai a saperlo?» balbettò.

Ace ghignò. «Ma tu non ti ascolti proprio mai, quando parli! Il mese scorso, quando volevamo fare irruzione nella villa della signora Jackson, ti ho chiesto come eri sfuggito alla servitù mentre scappavi di casa, e tu mi hai risposto che hai approfittato dei festeggiamenti del tuo compleanno! Visto che sei arrivato qui il ventuno di Marzo, vuol dire che compi gli anni il venti. Quindi, buon compleanno» concluse, quasi sfidandolo a contraddirlo. «Come regalo bastano le mele di prima, vero?»

Sabo annuì, incapace di spiccicare parola, e gli venne in mente un pensiero strano. Ultimamente non si guardava più allo specchio, visto che viveva in una villa abbandonata al limitare del villaggio, ma quando si specchiava nell'acqua del fiume vedeva tutta un'altra persona rispetto a quello che era un anno prima: più magro, più alto, con i capelli appena un po' più lunghi. Ma il cambiamento più evidente era negli occhi: Sabo non li aveva mai avuti così... così vivi, così pieni. Sentiva che venire a Foosha Hills era stata la decisione migliore che avrebbe mai potuto prendere: era come se prima avesse avuto gli occhi colmi di nuvole, che non permettevano al sole di uscire. Ma una volta allontanatosi dai suoi genitori le nuvole si erano diradate, e la luce entrava e usciva ribelle e giocosa dagli occhi di Sabo.

Con Ace però non sarebbe stato così semplice: più che delle semplici nubi, i suoi occhi sembravano oscurati da una vera e propria eclissi. La lontananza non bastava, non ci sarebbe stato luogo in cui Ace si sarebbe potuto riparare dai fantasmi del suo passato che tanto lo ossessionavano.

Eppure, Ace era suo amico. Sabo sentiva di doverlo aiutare: non aveva mai sentito nulla così chiaramente. Promise a se stesso che in un modo o nell'altro avrebbe permesso a quell'eclissi di andarsene, lasciando i suoi occhi liberi di vedere la luce del sole in tutto il suo splendore.

«Ehi, Ace?»

«Che c'è?»

«Grazie

Fu un istante, ma Sabo fu sicuro di aver intravisto un piccolo spiraglio di sole, oltre le sue iridi scure.

 

* * *

 

Foosha Hills, Missouri, 20/03/1882

 

«Ehi, ce l'hai fatta?»

«Ah, ma perché a me? Sì, non è riuscito a venirmi dietro, dovrebbe essere ancora là nel frutteto a cercare come un disperato la strada di casa» confermò Ace con uno sbuffo desolato.

Da quando quel Rufy era arrivato nel villaggio non aveva avuto un attimo di pace, e Sabo lo sapeva bene: ogni giorno l'amico era costretto a fare interminabili giri per depistare il ragazzino. Saliva e scendeva il fiume infinite volte, si addentrava nei frutteti del signor Cunningham e in quelli del signor Thompson, poi correva a perdifiato nei sentieri più nascosti, ma il bambino non demordeva. A sentire il tono stizzito di Ace, ogni mattina la piccola peste usciva di casa col chiaro intento di seguirlo e di... cos'era? Diventare suo amico. Sabo non sapeva se sentirsi geloso o divertito: dopotutto, Ace era l'unico vero amico che aveva: condividerlo con un bambino petulante non rientrava proprio nei suoi piani. D'altronde, magari era simpatico. Certo era che, per inseguire Ace tutto quel tempo -ormai quant'erano, tre mesi?- ne doveva avere, di carattere.

E oltretutto, c'era un'altra cosa che dava molto da pensare a Sabo: quando parlava di lui, Ace si accendeva. Lui giurava e spergiurava di detestarlo con tutte le sue forze, ma Sabo lo conosceva troppo bene per farsi ingannare: in qualche modo, a Ace quel ragazzino interessava sul serio. Forse era semplicemente per la sua testa dura (qualità che anche Ace possedeva in larga misura), o semplicemente perché sentirsi così importante per qualcuno era bello persino per lui. Lui, che tutti disprezzavano e odiavano. Lui, che a sentire certe persone non sarebbe nemmeno mai dovuto nascere. Ed ecco che, dal nulla, spunta fuori un bambino dal sorriso più grande della faccia che inizia a corrergli dietro come un animaletto da compagnia.
Sabo l'aveva addirittura visto da lontano, una volta: somigliava un po' a Ace, con quei capelli scuri e quella faccia rotonda che si ritrovava. Ma i suoi occhi, beh, non una singola nuvola oscurava quella luce abbagliante che ne usciva. Era quasi fastidioso per quanto fosse seriamente luminoso.

Sinceramente? Sabo non aveva fatto poi tanti progressi nel suo intento di accendere anche gli occhi di Ace: certo, dalla prima volta che l'aveva incontrato era abbastanza fiero di poter affermare che dei miglioramenti erano avvenuti. Ace sorrideva più spesso, ora, e ogni tanto qualche tiepido raggio di sole sbucava dai bui meandri delle sue pupille, ma niente di più. Se con le nuvole la faccenda è relativamente semplice, come si fa a spazzare via la luna stessa?

«Quindi, scusa se ho fatto tardi» sospirò Ace, sedendosi accanto a lui sul ramo del melo su cui si trovavano. «E buon compleanno» ghignò, allungandogli un rude pacchetto fatto con la carta di un giornale.

Sabo sorrise, imbarazzato. «Ma Ace, non dovevi...» mormorò, scartandolo in fretta.

«Non so quanto ti possa servire, ma insomma, era ora che ne avessi una pure tu» commentò Ace, portandosi le mani dietro la testa.

Sabo era senza parole, ammirando la bellissima fionda che Ace gli aveva regalato. «Ma dai, Ace, grazie! Quanto ci hai messo per prepararla?»

«Una vita!» sbuffò l'altro. «Ma almeno così quando dobbiamo mirare agli uccelli nel boschetto dietro la villa della signora Jackson non dovremo fare a turno» spiegò, pratico.

Sabo sorrise. «Ace, io...»

Ma Ace lo interruppe. «Shh!» esclamò, mettendogli una mano davanti alla bocca.

Sabo strabuzzò gli occhi, ma poi se ne accorse anche lui: poco lontano da lì, si sentiva una voce piuttosto petulante... «Ace! Ehi, Ace! Dove sei?»

Gli occhi di Ace fiammeggiavano di odio puro. «Ma perché, perché...» sibilò, rabbioso.

«Dai, portami con te, per una volta! Sono bravo, sai? So fare un sacco di cose! So intagliare il legno, e pescare, e... e so anche arrampicarmi, sì! Dai, Ace, diventiamo amici!»

Il bambino era proprio sotto di loro, in quell'istante. I due ragazzi rimasero immobili finché Rufy non si allontanò abbastanza.

«Fa così ogni. Singolo. Giorno» gemette Ace, massaggiandosi la fronte.

Sabo sospirò, solidale. «Dagli tempo, si stuferà...» provò a consolarlo, ma non ci credeva tanto nemmeno lui. Eppure, non era proprio una cosa di cui si dispiaceva troppo. «Ma perché non gli dai una possibilità, invece?» propose all'improvviso.

Ace lo guardò come se fosse pazzo. «Prego?»

«Massì, dico... fallo venire con noi. Una volta. Così la smette di rompere» provò a spiegarsi Sabo, azzardandosi solo in quell'istante a sbirciare gli occhi furiosi di Ace.

«Solo perché è il tuo compleanno eviterò di ucciderti» lo avvertì con fare minaccioso. «Non lo voglio, quel moccioso. È solo un ragazzino dalla testa più dura della roccia» affermò. «Non si arrende mai! Dico io, sono passati tre mesi...»
Sabo annuì. «Va bene, va bene, come ti pare. A me non dispiace» aggiunse però, come ripensandoci. Ancora non sapevano che, il giorno seguente, Rufy sarebbe entrato nelle loro vite in un modo tutto particolare.

 

* * *

 

Foosha Hills, Missouri, 1883

 

 

 

«Comunque non è giusto».

«Cosa, Rufy?»

Stava calando la sera, ma nessuno dei tre ragazzi era intenzionato a tornare indietro tanto presto. Sabo aveva ricordato tutti i suoi compleanni passati, ma nessuno era paragonabile a quello: ormai era quasi un anno che la luce era tornata a splendere negli occhi di Ace, e lui ancora quasi non ci credeva. Rufy, quello stesso Rufy che Ace professava di detestare, aveva compiuto il miracolo spazzando via l'eclissi che si era stanziata troppo a lungo negli occhi di Ace.
Era stato un cambiamento graduale, certo, ma continuo: e ora Sabo lo vedeva, ne era sicuro: Ace era felice, era in pace. Il fatto che, poi, Rufy avesse accettato la faccenda “Gol D. Roger” con un gridolino di eccitazione e l'assurdo proposito di “diventare proprio come il papà di Ace quando sarò grande”... beh, anche questo aveva aiutato.

E poi era successo. Era successo giusto l'estate prima, dopo tre mesi in cui avevano vissuto tutti e tre insieme. Beh, dopo l'incidente di Polchemy Sabo aveva dovuto per forza di cose andare a vivere con i due, ma da quel giorno erano diventati davvero inseparabili.

Stava finendo l'estate, e Ace era riuscito a sgraffignare una bottiglia di whisky dalla cantina di Dadan senza farsi scoprire. Solo a ripensarci Sabo si sentiva esplodere di gioia: i ragazzi che stavano di fianco a lui non erano più solo suoi amici, erano suoi fratelli. Era stato quello, a ben pensarci, l'attimo in cui la luce si era completamente sprigionata dagli occhi di Ace, l'ultimo residuo dell'eclissi spazzato via.

«Stavo pensando che voi due vi conoscete da più tempo di me» si lamentò Rufy. «Questo è solo il primo anno che festeggio con Sabo il suo compleanno, e ne sta compiendo dieci!» spiegò, rotolandosi sull'erba. «Volevo conoscervi prima, ecco!»

Ace sbuffò, acchiappandolo per una gamba. «E sta' un po' fermo! Oh, senti. Se può consolarti, questo è stato il migliore compleanno di Sabo a cui io abbia mai assistito» sbottò alla fine. «No, Sabo?»

«Assolutamente» confermò l'altro.

Gli occhi di Rufy si illuminarono. «Meglio di tutti gli altri? Il più bello in assoluto?» chiese per essere sicuro.

Sabo annuì, scompigliandogli i capelli. «Certo!»

Rufy scoppiò a ridere. «Bene! Allora vedrai che il prossimo anno sarà ancora meglio di questo, finché ti dimenticherai di tutti quelli che ci sono stati fino ad ora» assicurò. «E ricorderai solo quelli belli!»

Ace ghignò. «Su questo ci puoi scommettere!»

Sabo sorrise. Ne erano successe, di cose, dal suo compleanno di sei anni prima. Aveva assaggiato la libertà, l'amicizia, poi anche la fratellanza. Si riteneva davvero un ragazzo fortunato, e aveva solo dieci anni! Chissà quanti altri ricordi emozionanti lo aspettavano... e dopotutto aveva Ace, gli occhi finalmente limpidi e luminosi; e aveva Rufy, una cascata di energia e affetto incondizionato. All'inizio aveva temuto che avrebbe preferito Ace a lui lasciandolo in disparte, ma presto aveva capito che Rufy era incapace di fare preferenze di ogni sorta: era così puro e ingenuo che Sabo non sapeva mai se piangere o ridere, quando se ne usciva con certe frasi.

Con due fratelli così, cosa poteva andare storto?

 

























Angolo autrice:
Ed eccomi qua! Ora, voi probabilmente nemmeno ve ne accorgete, ma ogni benedetto compleanno io finisco per pubblicare la storia a mezzanotte meno due. È che mi perdo sempre in millemila cose da fare e mi riduco sempre all'ultimo! Lo so, lo so, sono un caso perso. Comunque! Per scrivere questa AU mi sono ispirata un po' a "Tom Sawyer", un po' a "Il buio oltre la siepe", un po' a vari libri/film sconosciuti ambientati in quell'epoca: è per rendere l'idea dell'ambientazione. Perché ci pensavo da troppo tempo, insomma, non è un mondo incredibile? Ora, io ho sfruttato poco le potenzialità di quest'AU (anche perché è già venuta una storia di sette pagine così, figuriamoci se mi mettevo ad aggiungere cose). Intanto, ho cercato di concentrarmi solo sui compleanni di Sabo senza perdermi troppo a parlare di altro (tranne, okay, il primo incontro con Ace. Ma lì ho sgarrato di un giorno solo, vero che mi volete bene lo stesso?). Per questo trovate più tralasciati certi pezzi (che poi, vedere per l'ennesima volta Rufy che, beh, in qualche modo non tradisce Ace e Sabo e di conseguenza viene accettato suona sempre uguale in qualunque AU la si ponga). E niente, spero davvero che questa storia vi sia piaciuta! Ci tenevo molto a scrivere qualcosa di carino per il nostro Sabo, soprattutto vista la quantità di successo che sta avendo ultimamente!
Quindi... grazie per essere arrivati fin qui, un abbraccio a tutti!
Emma ^^
  
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