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Autore: Billie_Jean    16/12/2008    6 recensioni
Un giorno, Bill trova in soffitta un libro dall'ambigua copertina nera, una storia di vampiri, dice lui. Circa un mese dopo, Tom sente degli strani rumori sul tetto, la stessa notte in cui si era accorto che Bill lo fissava in modo stano, con sguardo quasi famelico. La mattina dopo, sui giornali è la notizia della morte per dissanguamento di una ragazza. Morta nella notte dei rumori, nella notte dello sguardo. Ci sarà un collegamento?
[INTERROTTA]
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo 14

Bill sbatté un paio di volte le palpebre.
Dovettero passare dei secondi prima che la sua mente e capacità di pensiero si ristabilisse e cominciasse a lavorare.
Punto primo: era sdraiato su qualcosa di morbido e verde, che dedusse essere erba.
Secondo: riusciva a muovere le mani e i piedi, come ogni parte del corpo era perfettamente funzionante.
Terzo: per quale motivo doveva rimanere lì come un baccalà a fissare il vuoto?
Una volta che si posto questa domanda, riuscì a giungere alla seguente operazione da compiere: alzarsi in piedi.
Si tirò su di scatto e iniziò a guardarsi attorno.
Il luogo in cui si trovava, aveva un che di inquietante.
La luce era poca, non si riusciva a capire da dove venisse, e davanti a sé il ragazzo vedeva erigersi un’altissima siepe, che lo circondava.
Preferiva non sapere quanto era grande il labirinto, per non farsi prendere dal panico.
Alla sua destra, si diramavano tre differenti strade da percorrere.
Con sollievo, Bill si accorse che una aveva le foglie rosse, una le foglie gialle e l’ultima le foglie verdi.
 -Meno male che sono segnate da colori diversi, sarà più facile seguirle.- si disse.
Pessimo errore.
La sua voce rimbombava tra i cunicoli del labirinto, e l’eco giungeva da lontanissimo, facendo venire la pelle d’oca al poveretto, che decise all’istante che sarebbe rimasto zitto.
Dopo una breve riflessione, decise di imboccare il sentiero verde, che sembrava il più semplice, anche se in cuor suo, avrebbe preferito quello dalle foglie rosse.
La ragione era semplice: se doveva affrontare un vampiro, non era più logico che il colore delle foglie fosse rosso come il sangue?
Scacciò il pensiero, e si avviò lungo la stradina, ma non aveva percorso che pochi passi, che un muro di spine di rosa gli sbarrò la strada, comparso dal nulla, graffiandogli il braccio.
Bill trattenne a stento un urlo di sorpresa, ed indietreggiò all’istante.
Che diavolo era successo?
Poi capì.
Sempre guardando con occhi sbarrati il muro di spine, ricordò l’avvertimento del signor Schein: “Segui solo il tuo cuore”.
Quindi, doveva scegliere con il cuore e non con la mente.
Scuotendo la testa, si affrettò ad imboccare il bivio rosso.
Procedette più lentamente, controllando che non spuntassero all’improvviso altri muri di rose, ma non accadde nulla.
Osservando la siepe man mano che procedeva, Bill si accorse che da rosse le foglie sfumavano, finché non raggiunsero ancora una volta quella tonalità grigio verdastra che le caratterizzava tutte.
Una leggera nebbiolina aleggiava su tutto il labirinto, una nebbiolina gelata che lo faceva rabbrividire, non solo per il freddo, ma anche per il terrore e l’inquietudine che albergavano nel suo cuore.
Inoltre, notò il ragazzo, le siepi erano altissime.
O forse, l’aggettivo altissime era un tantino riduttivo: le siepi erano talmente alte che non si riusciva a vederne la fine.
Semplicemente continuavano a perdita d’occhio, finché non venivano inghiottite dall’oscurità che troneggiava sopra alla nebbia, ricoprendo il labirinto come una grande tenda.
Continuò ad andare avanti per un tempo indefinibile, non riusciva a capire se fossero passate ore, giorni o solo pochi minuti, quando giunse davanti ad un lunghissimo passaggio del labirinto.
Bill impallidì all’istante.
Sarà stato lungo una cinquantina di metri, era perfettamente dritto e piuttosto largo, ma era totalmente esposto e non c’erano possibilità di nascondersi da qualcosa che sicuramente l’avrebbe attaccato.
Infatti, Bill era certo che stava per correre un immenso pericolo, ma di sicuro non si aspettava che cosa l’avrebbe attaccato.
Il ragazzo deglutì terrorizzato.
Si rifiutava completamente di compiere anche un solo passo in quel lunghissimo varco, non ne aveva la minima intenzione.
Indietreggiò, ma subito lanciò un urlo di dolore e si voltò, con il volto contratto in un’espressione sofferente.
Un altro muro di spine si era eretto per impedirgli di fuggire, solo che questa volta erano molto più grosse ed affilate di prima, e si erano conficcate nella schiena di Bill, che ora sanguinava.
Il ragazzo deglutì ancora una volta: ora non aveva scelta, e per di più la schiena gli faceva un male terribile.
Doveva trovare un luogo in cui fermarsi, al più presto, perciò prima attraversava quel maledetto passaggio, meglio sarebbe stato.
Si raddrizzò un poco, per quanto le ferite glielo permettessero, ed avanzò di alcuni passi.
Non aveva percorso che due metri, che delle lame affilate e lunghissime uscirono dalla siepe, mirando alla parte del suo corpo che andava dalla vita al capo.
Terrorizzato, il ragazzo lanciò un grido e si chinò per evitarle, e queste si conficcarono nella siepe dalla parte opposta.
Formavano come una sbarra.
Sempre più terrorizzato, Bill incominciò a strisciare per terra più velocemente che poteva, mentre sopra la testa continuava a sentire il sibilo delle lame che, una ad una si conficcavano nella siepe, agendo d’istinto, senza ragionare.
Si rese conto più tardi di come il panico danneggiasse le capacità intellettive.
Ad un tratto si accorse che non c’erano più lame sopra di lui, così si arrischiò ad alzare la testa.
Pareva che non fosse successo nulla, non fosse stato per gli oggetti lunghi e scintillanti che stavano conficcati nella siepe per almeno dieci metri, e gli impedivano qualsiasi possibilità di tornare indietro.
Bill tentò di regolarizzare la respirazione ed il battito cardiaco, che andavano così veloce da poter coprire in pochi minuti, se misurati in chilometri, la distanza tra la Francia e l’Inghilterra sul canale della manica.
Quando vi riuscì, trasse un lungo respiro, ma non appena tentò di voltarsi verso la fine del passaggio e proseguire, qualcosa gli si allacciò alla caviglia, tirandolo in basso e trascinandolo via a velocità sempre maggiore.
Il ragazzo urlò di dolore: aveva sbattuto con forza il viso contro il terreno duro, ed ora il sangue caldo che usciva dal naso e dalla bocca gli imbrattava tutto il viso.
Intanto la liana che aveva alla caviglia lo stava trascinando verso il luogo da cui veniva, un grosso buco nel terreno dal quale sbucavano, come grossi vermi marroni da una tana, altre liane striscianti.
A quella vista Bill sbarrò gli occhi terrorizzato, e prese a dimenarsi come un pazzo, tentando di liberarsi, si aggrappò ad una radice che sbucava dal terreno per cercare di opporre resistenza e, per un attimo funzionò.
Subito però anche quella rivelò essere viva, e si arrotolò attorno al suo polso, stringendosi ed annodandosi in modo che non fosse possibile liberarsi.
Come per magia, da ogni parte attorno a Bill, radici di ogni misura si liberarono dal terreno e lo legarono stretto ai polsi, alle caviglie, si allacciarono attorno alla sua vita ed alla sua bocca, rendendo impossibile ogni tentativo di fuga, e lo sollevarono.
Così, il ragazzo era sospeso a mezz’aria, sostenuto da funi, con le braccia e le gambe aperte e tese, un po’ come il disegno del corpo umano di Leonardo Da Vinci.
Chinò il capo, il dolore che provava era terribile, e non sapeva che il peggio doveva ancora venire.
All’improvviso, dalle siepi ai suoi lati, dei rami si allungarono poi, con grande orrore di Bill, iniziarono a colpirlo.
La forza dei rami era tale che le radici che lo tenevano si spezzarono, ed il ragazzo cade a terra in preda a tremendi spasmi di dolore, mentre la foresta sempre più intricata di rami lo frustava su tutto il corpo, gli strappava i vestiti e gli impediva di vedere altro che non fosse il suo sangue.
Fu in quel momento che Bill comprese che se fosse rimasto immobile, i rami avrebbero continuato a fustigarlo per l’eternità, e per quanto si desse dell’idiota da solo, doveva scappare.
Certo, riusciva a malapena a tenersi in piedi, ma doveva fuggire.
Lottando e piangendo, sputando e vomitando sempre più sangue, il ragazzo riuscì a farsi strada attraverso la giungla terribile finché, con suo sommo stupore, riuscì ad uscirne.
Tremava come una foglia, ed era ridotto in condizioni pietose, ma era fuori, e dietro di lui, i rami continuavano a contorcersi e a colpire qualcosa che però non c’era più.
Ansimando tra gli spasmi di dolore, Bill tentò di alzarsi in piedi e, barcollando, ci riuscì. Ormai mancavano solo una quindicina di metri alla fine del passaggio.
Strinse i denti tra le lacrime ed il sangue.
Ce la posso fare.
Inspirò a fondo, ed avanzò.
Una radice si contorse a pochissimo dai suoi piedi, ma lui la saltò, per poi abbassarsi e schivare una lama argentata.
Prese a correre e strisciare, saltando e schivando vari ostacoli che si frapponevano fra lui e la fine del lungo e travagliato percorso, finché finalmente, non giunse al traguardo.
Prese la rincorsa stringendo i denti, e saltò l’ultima radice.
Troppo tardi si accorse che stava per sbattere contro ad uno strano strato azzurrino, che segnava la fine del vicolo cieco, così, spaventato più che mai, si preparò al doloroso impatto.

Quando Bill riaprì gli occhi, si stupì di ritrovarsi sdraiato su qualcosa di morbido.
Sbatté le palpebre e si guardò intorno: si trovava in una radura in mezzo ad un bosco, i cui alberi erano coperti di neve.
Udiva chiaramente il dolce scorrere di un ruscello, lì vicino, e la notte buia era illuminata dalla luce della luna piena, grande e pallida, che dalla sua altezza sorvegliava tutto e tutti.
Nonostante fosse sdraiato su un cumulo di neve, non sentiva freddo: l’unica cosa che percepiva era il dolore.
Un dolore straziante e terribile ad ogni membra del corpo, un dolore che lo dilaniava e lo distruggeva, un dolore insopportabile.
Non aveva neppure la forza di piangere, non aveva la forza di fare nulla.
Tanto valeva lasciarsi morire così, niente gli importava ormai.
 -Non t’importa neanche di me?- domandò una voce accanto a lui.
Bill si alzò di scatto, ma ricadde subito indietro sulla neve sporca di sangue, con un grido di dolore.
Tom..?
 -Sì Bill, sono io.- rispose la voce del fratello.
Pochi attimi dopo, la sua figura lo sovrastava.
Tuttavia, aveva qualcosa di strano.
Era come sbiadito, troppo pallido, sembrava un fantasma proveniente da un sogno lontano.
 -Cosa… come puoi essere qui?- mormorò Bill con voce flebile, tentando di muovere la mano per stringere la sua, ed il gemello gli venne incontro.
 -Sono parte della tua anima, Bill- disse, con un piccolo sorriso –Lo sai bene.-
Il ragazzo chiuse gli occhi ed annuì debolmente.
 -Tuttavia, sono qui per un altro motivo.- continuò Tom con voce seria, e il fratello lo guardò: aveva un’ espressione severa –Hai detto, insomma, pensato, che non t’importa più niente?-
Bill distolse lo sguardo, vergognandosi.
 -Non t’importa di te stesso? Non t’importa di me e di tutti i poveretti che diverranno vittime del vampiro se non ti ribellerai? Ti rendi conto anche solo minimamente di quello che puoi fare TU, e ripeto, tu soltanto, per il bene di ogni uomo sulla terra?- proseguì Tom con voce sempre più alta, ed una nota nella voce che non poteva essere altro che furia.
Bill la notò, e tornò a cercare lo sguardo del gemello timidamente, quasi avesse paura di lui.
Sapeva che aveva ragione, e sapeva anche che ascoltarlo era la cosa giusta da fare, in quel momento.
Tom rappresentava la parte della sua anima e della sua coscienza che sapeva che non doveva arrendersi, quella parte che o spronava e lo confortava, che in fondo sapeva qual’era la via da seguire.
Negli occhi del gemello-fantasma, Bill poté leggere tantissimi sentimenti, come se questi non fossero altro che un libro aperto.
Il più facile, era la rabbia.
Rabbia, perché non doveva lasciarsi andare, doveva continuare a combattere e salvare se stesso e il fratello dal vampiro che li minacciava.
Preoccupazione.
Preoccupazione per Bill, che stava lì, disteso sulla neve, incapace di qualsiasi movimento, coperto di sangue e di ferite brucianti, quasi morente e demoralizzato.
Determinazione.
Non voleva che si lasciasse morire, doveva vincere, vincere, lottare, combattere, sopravvivere, e Tom era lì proprio per ricordarglielo.
Non aveva intenzione di lasciar perdere.
Paura.
E non solo paura, terrore.
Temeva che Bill non ce la facesse, che permettesse al vampiro di sopraffarlo, che la sua anima potesse scomparire.
Ma, soprattutto, negli occhi di Tom, Bill leggeva l’amore.
L’amore incommensurabile che il fratello provava per lui, l’origine di tutti gli altri sentimenti, quello che lo spingeva a stringergli la mano e incitarlo e confortarlo anche quando tutto sembrava finito.
Bill non doveva lasciarsi andare, lo sapeva anche lui, aveva solo bisogno di qualcuno che glielo ricordasse, e Tom era lì per quello.
 -Mi dispiace…- bisbigliò il ragazzo con un filo di voce.
Il fratello rimase a guardarlo negli occhi per qualche secondo, poi scosse il capo.
 -Stai tranquillo Bill.- mormorò in risposta –Capisco perfettamente come ti devi sentire tu ora.-
Bill cercò di sorridere, ma non gli uscì altro che una smorfia.
 -Lo so. Sei parte di me, e bla, bla, bla… tutto il resto.- disse.
Tom sorrise in risposta, poi sospirò.
 -Bill- fece, guardando il fratello fisso negli occhi –Giurami che andrai avanti, giuralo. Prometti che farai tutto ciò che è in tuo potere per fermare il vampiro.-
Il ragazzo ricambiò lo sguardo, e grosse lacrime gli scivolarono lungo le tempie, per morire sulla neve con estrema delicatezza.
 -Io… io non so se ce la faccio…- bisbigliò, spaventato dal peso che gravava sulle sue spalle.
Tom scosse subito la testa.
 -Tu ce la farai, e lo sai bene. Devi solo impegnarti e credere che puoi farlo. Allora sarà tutto più facile. Allora, me lo giuri?-
Bill era indeciso, e aveva paura, tantissima paura, di sbagliare, di deludere Tom, di scomparire e di vederlo scomparire… ma sapeva che c’era solo una cosa che poteva fare.
 -Sì.- sussurrò –Te lo giuro.-
A quelle parole Tom s’illuminò di un gran sorriso.
 -Sapevo che ci saresti riuscito!- esultò.
Bill tentò, debolmente, di ricambiare il sorriso.
Non riusciva ad ignorare il dolore che straziava ogni membra del suo corpo.
Il viso di Tom si fece premuroso.
Alzò la mano del fratello vicino al proprio viso, e la baciò con dolcezza.
Subito, un tiepido calore lo pervase, a partire dalla punta delle dita fino al polso, e quando Tom gliela mostrò, la mano non era più ferita, né dolorante.
Bill sgranò gli occhi per lo stupore, ma il fratello sorrise e gli baciò anche la fronte, che subito guarì.
 -Ora dormi, Bill.- mormorò piano –Dormi e non preoccuparti più di nulla.-
Gli posò le dita sulle palpebre, chiudendole dolcemente.
 -Aspetta- biascicò Bill, già mezzo addormentato, tentando di combattere contro il non voluto sonno –resterai?- chiese.
Udì Tom ridere, ma la sua risata era echeggiante, come proveniente da un sogno –Certo che resterò. Io sono parte di te, ricordi?-
Disse anche qualcos’altro, ma a quel punto Bill dormiva, e non lo sentì.

Tempo dopo, forse ore, minuti, o parecchi giorni, Bill riaprì gli occhi.
Nella radura splendeva il sole, e il suo riflesso produceva sulla neve meravigliosi luccichii.
Il ragazzo, lievemente stordito, si alzò a sedere, e si guardò attorno.
La foresta in cui si trovava era immobile e silenziosa, non fosse stato per il dolce rumore di un ruscello che sentiva scorrere lì vicino.
Memore dell’avventura trascorsa, si stiracchiò le membra, e constatò che era tutto a posto, non provava dolore ed anche i vestiti, prima ridotti a brandelli, ora erano perfetti come prima di attraversare il labirinto.
Ricordò anche dell’apparizione e del discorso avuto con il suo gemello, e dell’ultima cosa che gli aveva detto.
 “Sono parte di te!” pensò Bill scocciato “Gran bella risposta!”
Si riscosse da questi pensieri, concentrandosi sul suo prossimo compito, e si guardò intorno perplesso.
Si trovava in una radura, ma nel bel mezzo del nulla.
Non aveva idea del perché si trovasse lì, né di dove sarebbe dovuto andare.
Cercò di tenere a mente che doveva seguire il proprio cuore.
Perciò, il signor cuore, cosa diceva ora?
Bill chiuse gli occhi, decidendo di muoversi alla cieca e non pensare.
Mosse qualche passo barcollante in una direzione a caso, e decise che quella avrebbe seguito.
Riaprì gli occhi ed iniziò spedito a camminare nel folto degli alberi.
La sua marcia continuò per molto tempo, e ciononostante, la vegetazione subiva minuscoli cambiamenti.
Non si vedevano in giro animali, ed il silenzio era tale che, se solo si fosse fermato un attimo, avrebbe potuto udire gli alberi che crescevano.
Tuttavia non si fermò, finché all’improvviso non udì un vociare, dapprima flebile, poi più forte man mano che proseguiva.
Motivato, accelerò il passo e, dopo poco tempo, si ritrovò davanti ad una scena che lo sorprese moltissimo.
Davanti a lui si estendeva un enorme spiazzo innevato e pieno di persone.
Verso sud-est, stava una grande baita, mentre più a nord si trovava lì impianto di partenza di una funivia.
Era in una stazione sciistica.
Mentre tentava di capire cosa ci faceva lì, lo attirò una voce, e subito tutto divenne chiaro.
 -Mamma!- strillò un bambino –Tom mi ha tirato della neve addosso!-
Bill ricordava quel periodo.
Erano le vacanze di Natale del 1995, le ultime che avevano passato tutti insieme, prima che i genitori si separassero, ed erano andati a sciare.
Per i bambini era la prima volta, e ricordavano quelle vacanze come un periodo molto speciale.
Ad ogni modo, Bill vide, nascosto dietro ad un albero a poca distanza, un bambino biondo, che si rese conto essere lui da piccolo, correre verso la madre, strillando nella sua tuta da neve arancione.
 -Non è vero!- protestò un altro bambino, identico in tutto e per tutto, tranne che per la tuta viola –Lui è caduto da solo, io non ho fatto nulla!- ed anche Tom raggiunse la madre e il fratellino.
 -Bambini, quando la smetterete di litigare?- li rimproverò la mamma, mentre spolverava Bill dalla neve, ed il suo omonimo più grande osservava di nascosto la scena.
Tom sbuffò.
 -Dai Bill, scusa, non volevo tirarti la neve, mi dispiace.- disse schiettamente –Ora vieni a giocare.-
Il fratellino lo guardò un attimo, indeciso se tenergli o no il broncio, poi sorrise e si avviò con lui verso il pupazzo di neve che stavano facendo prima.
Nel frattempo, la versione large di Bill si guardava intorno, pensierosa, cercando di capire da dove potesse venire il pericolo che da un momento all’altro avrebbe minacciato il se stesso di nove anni prima.
Solo quando i due piccoli commentarono che il pupazzo avesse bisogno di rami per le braccia, e vide il piccolo sé dirigersi verso il bosco, dalla sua parte, comprese.
Pochi metri dopo il limitare degli alberi, si ergeva un fusto diverso dagli altri.
Era nero, lucido e bellissimo. Le sue foglie invece erano rosse… di un colore che ricordava terribilmente il sangue.
Il ragazzo osservò orripilato per un attimo il bambino, che si avvicinava sempre di più all’albero magico, come ne fosse ipnotizzato, prima di riscuotersi.
Bill non poteva avvicinarsi a quell’albero, o sarebbe stata la fine.
Si guardò intorno, disperato, alla ricerca di una soluzione che non riusciva a trovare.
Non poteva farsi vedere dal piccolo, da sua madre, suo fratello o suo padre.
Doveva trovare un altro modo.
Il bambino si avvicinava sempre di più, voglioso di toccare quella liscia corteccia nera, ed ormai gli mancavano pochi metri.
Il cuore del ragazzo invece batteva sempre più veloce, ad ogni passo che il suo passato faceva.
Un passo del suo passato verso il suo futuro.
Un futuro che avrebbe potuto cessare all’istante di esistere, se lui non avesse cambiato il passato.
Il bambino era a soli due metri dalla fine della sua vita, e Bill era disperato.
Per un attimo prese in seria considerazione l’idea di lanciarsi addosso a lui, ma la respinse con violenza.
Poi, la soluzione giunse, chiara e semplice.
Il ragazzo, ben nascosto tra gli alberi, lanciò un urlo, forte, a pieni polmoni.
Per un attimo il silenzio calò sulla zona circostante, poi si udì un’altra voce.
 -Bill! Che fai lì?- gridò Simone, accorrendo incontro al figlio -che succede, tesoro?-
 -Niente mamma.- rispose lui, corrucciato –Non sono stato io a urlare.-
Simone scrutò tra gli alberi, in direzione opposta a quella dove si trovava il ragazzo, poi scosse la testa.
 -Non importa. Vieni via, su.- disse.
Il bambino si lasciò trascinare dalla mamma, del tutto indifferente a ciò che era successo.
Il suo omonimo, invece, tirò un enorme sospiro di sollievo.
 “Ce l’ho fatta…” pensò.
E, mentre si lasciva scivolare lungo la corteccia dell’albero contro cui poggiava la schiena, venne investito da un abbagliante raggio di luce bianca.

†††•••†††

Buon pomeriggio, gente!
Eccomi qui, come promesso, con un nuovo capitolo di questa fan fiction.
È molto più movimentato dei precedenti, spero che la cosa non vi dispiaccia.
Mi scuso molto con voi, perché è passato troppo tempo dall’ultimo post, ma d’altronde, la scuola e i vari impegni mi prendono molto, perciò… non vi farò promesse che non sono sicura di mantenere!
Questo è il mio regalo di Natale per voi, perché non penso ci sentiremo prima.
Un grosso bacio, e soprattutto, mille ringraziamenti a chi recensisce, a chi mi sostiene e a chiunque abbia letto la mia fan fiction!
Auguri di buone feste,
†ArY_EnGeL†

   
 
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