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Autore: EleEmerald    22/03/2015    2 recensioni
 Dal decimo capitolo:
"Io vi maledico" disse. "Maledico tutti gli uomini di questo mondo. Tutti gli uomini che si metteranno sulla strada di mia figlia e delle sue nipoti. Quando ingannereto loro, come avete ingannato me, esse vi uccideranno. Sarà l'ultima azione sbagliata che compirete perché le mie figlie vi perseguiteranno, vi inganneranno e saranno la vostra rovina. E poi vedremo, come ci si sente a stare dall'altra parte del manico."
.
Quando Matthew Williams, un tranquillo ragazzo di diciassette anni, incontra Elizabeth, di certo non si aspetta che quella ragazza lo porterà incontro a tanto dolore. Ma, dopo averla ritrovata in un bosco ricoperta di sangue, non rimanere implicato nelle sue faccende è quasi impossibile. Le prove che dovrà affrontare si riveleranno più complicate di come sembrano e, inesorabilmente, si ritroverà a perdere molto di più che la sua semplice normalità. Implicato tra leggende e antiche maledizioni, vivrà, oltre ai momenti più brutti, anche quelli più belli della sua vita.
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 8: Il cane infernale

Mi piaceva la calda sensazione che si prova quando si stringe qualcuno tra le braccia. Mi sembrava sempre che le energie che usavo per abbracciare qualcuno si moltiplicavano nel momento stesso in cui lo facevo e, una volta lontano dalle braccia dell'altro, mi facevano stare meglio e più felice.
Erano passati due giorni da quando avevo trovato mia madre stesa a terra e dopo vari controlli medici, essi avevano concordato con il dire che era stato colpa dello stess. In cambio avrei dovuto occuparmi di più della casa e lasciarle più tranquillità.
Il giorno precedente avevo incontrato Elizabeth in mensa e avevamo mangiato insieme, essendo entrambi da soli.
La persona che però stavo abbracciando non era Elizabeth e nemmeno mia madre. Era Iris e stava piangendo.
- Iris, ora calmati. Cos'è successo? - chiesi allontanandola dal mio abbraccio per farla parlare.
- Mi trasferisco.
Fu come se mi avessero tirato un pugno. - Cosa?
- Hanno offerto una promozione a mio padre, sono molti soldi, però dobbiamo trasferirci a Washington.
- A Washington non viveva la tua migliore amica? - chiesi per prendere tempo prima di rispondere.
- Si e lei mi manca così tanto. Ci sentiamo ogni giorno, ma una chiamata non è come vedersi per davvero, Matt. Io le voglio bene e stare sempre con lei sarebbe un sogno che si avvera. Ma io non voglio andarmene. Sono nata in questa città e non voglio lasciarla, nonostante non sia il massimo. E non voglio lasciare voi due, tu e Thomas.
- Sei davvero certa che te ne andrai?
- I miei genitori ci hanno pensato, sapevamo di questa promozione da un po', nonostante non fosse ufficiale. Mio padre è sempre fuori casa e se ci trasferissimo a Washington lui non sarebbe più costretto a muoversi. I soldi ci servono, soprattutto ora che anche mia sorella ha deciso di continuare l'università. Per mia mamma non è un problema trasferirsi, lei è un medico, chiede il traferimento in un altro ospedale ed è a posto.
- Non voglio che tu te ne vada - mormorai. - Sei la mia migliore amica. - Fu la prima volta in cui lo pensai. Iris era sempre stata più di quello che credevo. Avevo passato diciassette anni della mia vita a fare distinzioni, sempre e comunque, in ogni occasione. Avevo imparato che era opportuno farlo, ogni cosa poteva essere raggruppato in un insieme, diviso dagli altri, messo nella categoria giusta. Non avevo capito che spesso non si può farlo. È orribile classificare le proprie amicizie, rende il tutto così freddo, senza rapporti umani. Avevo sempre messo Iris ad un livello inferiore rispetto a Thomas e ora capivo che entrambi valevano allo stesso modo. Era proprio vero: troppe volte capisci il valore di qualcosa quando devi perderla, ed è troppo tardi.
Lei si coprì gli occhi con le mani.
- Ho paura di dirlo a Thomas. Ho paura della sua reazione. So che sarà negativa e si arrabbierà con me.
- Non dire così, non è colpa tua, se Thomas dovesse arrabbiarsi non si comporterebbe da amico - dissi.
- Conosci il carattere orribile che ha. È lunatico - affermò lei.
Mi ritrovai ad annuire. Il carattere di Thomas era molto "particolare". Sapeva essere allegro, simpatico e capace di fare battute così squallide che facevano ridere soltanto lui. Ma aveva la risata più contagiosa che avessi mai sentito. Tutti dovrebbero avere una risata contagiosa, ridere rende il mondo migliore. Ma sapeva anche essere nervoso e geloso e cambiava umore facilmente, come Iris. Lei però lo faceva in modo positivo, lui no.
- Vedrai che capirà. Quando te ne andrai?

- A giugno.


 

Stavo passaggiando nel corridoio quando Thomas si avvicinò a me e mi sussurrò ciò che era successo.
Corsi nell'aula di fisica e trovai quello che Thomas mi aveva anticipato: Elizabeth era seduta all'ultimo banco, guardava nel vuoto e una lacrima solitaria correva sulla sua guancia.
- Elizabeth - la chiamai.
- Matthew. - Alzò la testa verso di me e si asciugò le lacrime. - Ho litigato con Hannah - disse riferendosi alla sua migliore amica.
- Perché? - chiesi.
- Non mi vuole più vedere.
Un'ora dopo mi ritrovai a litigare con una ragazza che neanche conoscevo, per un motivo sconosciuto, fuori da una classe che non era la mia, davanti all'intero club di fotografia. Hannah aveva i capelli castani chiari con le punte viola. Indossava un'ampia gonna dello stesso colore e una maglietta nera. Difficile ammetterlo ma era molto bella.
- Si? - chiese quando entrai nella classe dove si tenevano le lezioni del club di fotografia. - Nuovo iscritto?
- Sei Hannah? Vorrei parlarti in privato.
Lei uscì dall'aula con me e mi chiese il motivo di quel colloquio.
- Elizabeth.
Lei divenne rossa di rabbia. - Ha mandato qui te? È così codarda da usare un "gufo messaggero"? - Disegnò le virgolette nell'aria. Mi sembrò una strana espressione.
- In realtà non mi ha mandato qui lei. Vorrei sapere perché non la vuoi più vedere.
- Questi sono affari miei! - disse incrociando le braccia al petto. - Tu sei un maschio - osservò poi.
- No! Sono una ballerina travestita!
Lei mi ignorò. - Perché cavolo ti interessa di Elizabeth, se sei un maschio? - Mi guardò di sottecchi.
- Sono un suo amico - risposi.
- Elizabeth non ha amici maschi.
- Se ripeti ancora una volta la parola maschi credo che diventerò davvero una ballerina travestita.
Sbuffò. - Ho litigato con lei per i maschi... - cominciò.
- Ballerina.
- Ragazzi. - Mi lanciò un'occhiata. - Per i ragazzi. È troppo ossessionata dal fatto che qualcuno la possa ferire e passa la sua vita allontanando chiunque possa farlo. Sono tutti così per lei. Io non avrei mai voluto litigare con lei oggi, ma ho fatto un solo errore e lei ha ripreso con quella storia! Non posso più sentirla! Non ce la faccio più!
- E così hai deciso di fare in modo che continui a crederlo - dissi stringendo i denti.
- Io non ho fatto così! - Alzò la voce.
- No? Tu l'hai lasciata sola! Sei la sua unica amica e le dici che non vuoi più vederla! Elizabeth ha paura di essere lasciata sola e il mondo si coalizza per fare in modo che tutto ciò accada.
- Io non...
- Io sto cercando di fare in modo che si possa fidare di tutti, anche dei maschi, ma tu le dimostri quanto le persone siano egoiste.
- Io non sono egoista! Chi credi di essere per dire cosa sono o non sono?
- Giudico in base a quello che so.
- Be', tu non sai niente. - Strinse i denti.
- Assomigli molto ad Elizabeth. Ha detto quasi le stesse parole quando ho litigato con lei - dissi.
- Allora suppongo che ti piace andare in giro a fare la morale alle persone.
- Un po'. - Sorrisi.
- Cercherò di risolvere con Elizabeth se questo può fare in modo che io non ti incontri più.
- Affare fatto. - Le porsi la mano.


 

Quando tornai dalla scuola e finalmente entrai in casa, trovai mio padre seduto sullo sgabello in cucina, quello su cui si sedeva sempre. Fu strano vederlo lì dopo anni. Da quando era andato via, mia mamma non lo aveva fatto più entrare.
Fortunatamente non si accorse della mia presenza, così decisi di ascoltare la loro conversazione, che era fatta di silenzi e di poche parole.
Sporgendomi, riuscii a vedere l'espressione sul viso di mia madre. Era ferita. La rabbia iniziò a crescermi dentro. Se era venuto per farle ancora del male...
- È una bella notizia - disse poi.
- Mi dispiace Lisa. - Ogni volta che parlava con mia madre, in rare occasioni, le diceva sempre le stesse parole.
- Non capisco perché sei venuto a dirlo a me.
- Volevo dirlo a Matt. E sapevo che te lo sarebbe venuto a riferire quindi ho preferito raccontartelo io.
"Sapevo che te lo sarebbe venuto a riferire". Quelle parole mi ferirono perché ero io che avevo raccontato a mia madre che la tradiva. Le avevo detto tutto ciò che sapevo e, anche se in quel momento mio padre non si riferiva a quello, per me quelle parole riconducevano solo a ciò che avevo fatto.
Decisi di inserirmi nella conversazione. - Cosa volevi dirmi? - chiesi entrando in cucina come se fossi appena arrivato.
Mio padre mi salutò e poi prese un grande respiro. - Charlotte è incinta.
Fu un brutto colpo. Davvero brutto. Avrei avuto un fratellastro. A 17 anni avrei avuto un fratellastro da un padre che odiavo e dalla donna con cui aveva tradito mia madre.
- Congratulazioni - dissi. E corsi in camera sbattendomi la porta alle spalle.
Non so perché lo feci. Ma l'idea di avere un fratello così non mi piaceva. Non era giusto. Quel bambino non aveva il diritto di passare la sua vita con mio padre, ricevendo l'amore che era stato negato a me.
Charlotte non si meritava di provare tanta gioia dopo che ne aveva negata così tanta a mia madre.
Era tutto così tremendamente sbagliato.
Presi a pugni il mio cuscino per rabbia e frustrazione.
- Ti odio, papà, ti odio.
Alcuni passi mi interruppero e dopo poco la porta si aprì facendo entrare mia madre. Senza che avessi bisogno di dire una parola, lei si sedette sul mio letto.
- So esattamente come ti senti: ferito, geloso, arrabbiato, tradito. Mi sento anch'io così. Quando mi hai raccontato quello che avevi visto, sette anni fa, mi sono sentita come se mi avessero sparato. Ho provato la stessa cosa cinque minuti fa, e anche più dolore, perché per quanto io provi a nasconderlo voglio ancora bene a tuo padre. Non voglio che lui abbia un bambino che lo unisca a Charlotte, tanto quanto tu lo unisci a me. È egoistico come pensiero, ma è così.
- Credevo lo odiassi - dissi soltanto.
- E io lo odio. Ma gli voglio anche bene.
- Non capisco. - Mi passai una mano tra i capelli.
Si alzò senza rispondere.
- Papà è ancora giù? -
- È andato via - disse.
Il mio telefono cominciò a squillare. La chiamata era da parte di Elizabeth, così chiesi a mia madre di uscire.
- Pronto?
- Non pensavo che saresti andato a parlare con Hannah! - disse la ragazza ridendo all'altro capo del telefono.
- Volevo rendermi utile.
Sentii un rumore di passi e una voce che si rivolse ad Elizabeth. Non riuscii a capirne le parole ma sembrava agitata.
- Aspetta un secondo - disse Elizabeth, probabilmente appoggiando il cellulare.
L'errore che fece fu non attaccare perché sentii metà conversazione.
- Dove vai? - chiese.
La risposta arrivò confusa.
- No, ti prego. Lascialo in pace!
Un brusio di voci confuso.
- No! È con me che devi prendertela, non con lui! - Iniziò a gridare e le sue parole mi giunsero come se le avesse dette direttamente a me.
- Matthew? - disse poi rivolgendosi davvero a me. - Ti richiamo dopo.


 

Due ore dopo, nelle quali mia madre uscì per andare in ufficio a finire il progetto, un enorme temporale si abbatté sulla nostra città facendo cadere a tutti la corrente.
Ero in camera mia a studiare e scese un buio improvviso. All'inizio credetti di aver spento la luce, essendo il tasto molto vicino al punto della scrivania in cui appoggiavo i libri. La luce che filtrava dalla finestra era poca, ma permetteva di muoversi. Utilizzando la torcia del mio telefono, scesi dalle scale e attraversai la casa diretto al garage, dove tenevo il contatore.
All'interno della stanza era molto buio e mi sembrò strano perché non ricordavo di aver chiuso la cler.
Un'ombra si mosse. Alzai la torcia, ma non vidi nulla, solo un striscia di tessuto per terra. Era dello stesso colore del cappuccio della mia perseguitatrice.
Quando riaccesi la luce, anche il garage si illuminò e io mi trovai davanti due occhi rossi.
Un cane si trovava sopra alla mia macchina. Era molto più grande del normale, aveva i denti scoperti, uno sguardo assassino e le unghie che graffiavano il tettuccio metallico. Il pelo era nero e la coda continuava a muoversi in preda alla furia.
Cercò di saltare.
- Buono! - dissi indietreggiando.
Lui ringhiò e si gettò su di me.
Un attimo prima che mi mordesse caddi a terra e me lo ritrovai addosso. Sentii un dolore bruciante alla guancia, causato dalle unghie del cane, e un rivolo di sangue che colava fino al mio collo. Non era normale che un cane avesse delle unghie così taglienti.
Lo afferrai e lo allontanai da me. Sembrava indemoniato, aveva una forza enorme. Lui riuscii a divincolarsi e cadde a terra, riprendendo subito a mordermi la caviglia. Mi lasciai sfuggire un gemito di dolore.
Indietreggiai, ancora una volta, finché non mi trovai con le spalle al muro.
Cercando con un gesto disperato qualcosa che lo allontanasse, presi la chiave inglese che si trovava sul ripiano in alto dello scaffale di fianco a me e la gettai contro il cane.
Lui gridò e si dissolse in una nuvola di fumo.
Senza avere il tempo di capire ciò che avevo fatto, scappai via dal garage dirigendomi in bagno.
Chiusi la porta a chiave e osservai il mio volto. I graffi che fino a un secondo prima avevo sulla guancia si erano rimarginati, senza lasciare una sola traccia di sangue ma solo una minuscola cicatrice appena visibile. Alzai la gamba dei miei pantaloni e osservai la caviglia, che aveva solo un piccolo segno di denti.
Quello che mi aveva attaccato non era normale. Era un mostro. I cani non si dissolvevano come fumo, non avevano gli occhi rossi e non attaccavano una persona in modo così violento, senza che egli gli avesse fatto niente.
Insprirai. Lo avevo anche toccato e sembrava essere reale, ma evidentemente non lo era.
Bussarono alla porta e io scesi ad aprire.
- Stai bene? - chiese Elizabeth. Aveva i capelli biondi bagnati e teneva in mano un ombrello inzuppato d'acqua.
- Cosa ci fai qui?
- Stai bene? - domandò di nuovo con una certa insistenza.
- Si, grazie.
Sospirò.
- Perché me lo chiedi? - Era come se sapesse del cane.
- Hai un graffio - disse accarezzandomi la guancia e poi ritraendo velocemente la mano.
- Sono caduto dalle scale - mi giustificai.
Lei storse il naso. - Non è vero.
La feci entrare in casa.
Passammo davanti alla porta che conduceva al garage e io guardai dentro, poi la condussi in camera.
- Perché sei qui?
Sembrò avere un attimo di panico e dopo avermi guardato con gli occhi spalancati, biascicò quella che era sicuramente una scusa: - Ho pensato che era meglio venire a ringraziarti per quello che hai fatto oggi.
- Non è stato niente di importante - dissi. - Hai visto un cane uscire dal mio garage?
- No. - Scosse la testa.
Quando arrivammo in camera la tempesta sembrò aumentare, battendo con violenza contro la mia finestra. Un fulmine squarciò il cielo.
- Uno, due, tre, quattro...
- Cosa stai facendo? - chiesi.
- Cinque. - Il rimbombo del tuono scosse la casa.
Un'altro fulmine. Elizabeth non ebbe nemmeno il tempo di mettersi a contare perché il tuono arrivò nello stesso momento.
Il rumore ci impedì di sentire il ringhio del cane, che si era materializzato in casa.
Elizabeth sobbalzò sentendoselo passare vicino mentre lui non la degnò di uno sguardo e si diresse verso di me, iniziando ad abbaiare e a mostrare i canini.
La ragazza di fianco a me mise le mani davanti e cercò di calmarlo.
- Fuffy, buono!
- Fuffy? - Deglutii.
- Tutti i cani apparentemente cattivi si chiamano Fuffy - spiegò lei.
- Apparentemente? - gridai mentre il cane mi mordeva il braccio.
Elizabeth si mise davanti a me di scatto e il cane la morse senza volerlo. Per un attimo vidi sparire la rabbia del cane, che quasi si nascose dalla vergogna, come se avesse fatto qualcosa di sbagliato. Lei mormorò qualcosa che non capii e pensai che il mostro sarebbe tornato ad attaccarmi. Mi sbagliavo, perché come aveva fatto prima, il cane si dissolse.
- Hai visto anche tu? Si è smaterializzato! - esclamai.
- Si - disse Elizabeth.
Mi guardò e disse che forse era meglio controllare le ferite.
- Si cicatrizzano da sole. Prima, io... è successo che...
Lei mi fissò.
- Tutto questo è impossibile. - Mi misi le mani tra i capelli. - Non sei stupita?
- Si! Certo! - Ma non lo dimostrava.
- Quello che è successo in questa stanza è impossibile! È stato come se la magia... - Mi bloccai e sgranai gli occhi. - Oddio. La magia esiste!
Elizabeth inspirò. - Ora calmo.
- Ma l'hai visto anche tu! È soprannaturale!
Lei cercò di farmi calmare.
- Non hai detto di no! Anche tu credi che quel cane sia frutto della magia! Non sono pazzo Elizabeth.
- No Matthew non lo sei. Quel cane si è smaterializzato.
- Ho sempre creduto che la magia fosse una cosa inventata, che derivasse da leggende!
Elizabeth si lasciò andare in una risata nervosa.
- Non raccontare a nessuno niente di tutto questo - disse soltanto.
Ci sedemmo entrambi e rimanemmo in silenzio. Pensai a quello che era successo e a ciò che mi aveva detto finché il silenzio non divenne imbarazzante.
- Mrs O'Leary - dissi.
- Cosa? - chiese lei.
- Non è vero che tutti i cani apparentemente cattivi si chiamano Fuffy. C'è anche Mrs O'Leary.
Si mise a ridere.


 

La strada davanti a me era piena di pozzanghere causate dal temporale che era finito poche ore prima.
Sfregai le mani per produrre calore e continuai a percorrere il marciapiede in silenzio. Quel giorno Chuck non era venuto al corso di nuoto e io avevo preferito farmi una passeggiata.
Davanti a me era buio. L'unica luce erano i lampioni che costeggiavano la strada.
Una magra figura camminava in fretta dalla direzione della piscina. Passò di fianco a me e la riconobbi.
- Marghe! - esclamai.
Lei fece un salto e si portò una mano al petto. - Matt, mi hai spaventato.
Mi spiegò che correva per paura della strada buia e deserta.
- Sono felice di averti incontrato, almeno non sono sola.
Non parlammo molto.
Dopo quanche metro ripensai al primo giorno in cui avevo capito di essere innamorato di lei.
Eravamo in piscina e lei mi aveva sorriso. Un sorriso piccolo che neanche si era accorta di aver fatto, ma mi aveva scaldato il cuore. In quel momento non capii di essermi innamorato di lei. Era stato Chuck a dirmelo, dopo che gli avevo confessato come mi ero sentito bene e come avessi desiderato vedere un'altro suo sorriso. "Amico mio, ti sei innamorato della secchiona" aveva detto. Aveva ragione. Da quel momento Margareth era sempre stata molto di più per me.
Dopo essere stato innamorato di lei per due anni, più di quanto lo fossi mai stato per qualsiasi ragazza nella via vita, lei si era fidanzata. Ricordo che il giorno in cui avevo lo appreso mi ero sentito male perché non volevo che qualcuno potesse avere il suo sorriso. Ero geloso.
"Non lamentarti se è di qualcun'altro, avresti dovuto agire e non aspettare che lei corresse tra le tue braccia perché nessuno lo fa mai, Matt." Dopo aver passato quei due anni a fare commenti idioti e allusivi su di noi, Chuck aveva tirato fuori il più vero dei pensieri.
Dopo qualche mese me ne ero fatto una ragione ed avevo iniziato ad apprezzare la storia di Margareth e il suo ragazzo.
Eppure quando si erano lasciati non avevo neanche pensato minimamente di avere qualche possibilità, lei ormai era solo Margareth, la mia amica. Chuck aveva preferito ritornare ai suoi commenti.
- Matt? - chiese lei risvegliandomi dai ricordi. - Sono arrivata.
- Oh, si. Ci vediamo domani.
- A domani - mi salutò.
Per scarsa voglia di tornare a casa e forse anche per paura di incontrare il cane, decisi di deviare verso il boschetto.
Al suo interno sembrava piovere ancora perché, ogni volta che toccavo un ramo, questo faceva cadere le goccie di pioggia che si erano depositate su di esso. Il terreno era pieno di fango che mi sporcava le scarpe.
Mi sedetti sulla roccia della radura e chiusi gli occhi.
Pensai a quello che era successo lì la seconda volta che avevo visto Elizabeth. I suoi occhi che invocavano aiuto. Mi ricordai del pugnale che avevo trovato e delle parole tra la donna incappucciata e sua madre. Capii il collegamento che c'era tra le due cose.
Elizabeth avrebbe dovuto uccidere quell'uomo. Lei era spaventata per quello.
Ripensai al cane, che avevo deciso di soprannominare infernale e a quello che avevo visto, alla faccia della ragazza quando avevo parlato di magia e alla sua reazione poco verosimile. Così, nella mia testa iniziarono a connettersi i fili. Pezzo dopo pezzo riuscii a formare la prima metà di puzzle.






Angolino dell'autrice: Eccomi qui! Okay ammetto di essermi divertita molto a scrivere questo capitolo, probilmente quando ho scritto la cosa della ballerina avevo mangiato qualcosa che mi aveva fatto male ma era troppo divertente. C'è un riferimento a due libri che spero capirete. Recensite e fatemi sapere cosa ne pensate, tengo molto a questo capitolo perchè succedono molte cose importanti. Vi aspetto *-*


 

 

  
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