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Autore: Mary P_Stark    27/03/2015    2 recensioni
Anno 2034. Cameron e Domenic Van Berger, rampolli della famiglia omonima e giovani di brillante talento, si ritrovano loro malgrado nel mezzo di un intrigo internazionale. Sarà Cameron a farne le spese in prima persona, e Domenic tenterà di tirarlo fuori dai guai, utilizzando tutte le sue conoscenze tecniche... e non. Un segreto che, ormai da anni, cammina con lui, si rivelerà determinante per la salvezza del fratello. E della donna che ama. Antiche amicizie si riveleranno solo meri inganni, e questo porterà Domenic e Cameron a confrontarsi con una realtà che non avrebbero mai voluto affrontare. Chi è veramente il nemico, di chi possono fidarsi, i due gemelli? - SEGUITO DI "HONEY" E "RENNY" (riferimenti nelle storie precitate)
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Honey's World'
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V. Misatomachi.
 
 
 
 
Quando Yuki tolse il telo cerato dal cassone, dove Cam aveva viaggiato per più di novanta chilometri, quasi strillò dal panico.

Si coprì la bocca per non urlare, e fu lieta di vedere gli occhi chiari del ragazzo aprirsi e fissarla con aria smarrita.

In fretta, lo afferrò alle mani – ghiacciate – per aiutarlo a scendere, lui intirizzito e rigido come un pezzo di legno.

Concitata, mormorò: «Hai bisogno di un bagno caldo. Subito

«P-poco ma s-sicuro...» balbettò Cameron, seguendola verso una porta a vetri, cercando con tutte le sue forze di non inciampare nei suoi stessi piedi.

Quel viaggio, diretti verso le colline a sud-ovest di Tokyo, era stato a dir poco infernale.

Non solo non aveva smesso un attimo di nevicare, ricoprendo la tela cerata di uno spesso strato di nevischio, ma la temperatura era calata più del sopportabile.

Starsene rannicchiati su un ripiano di metallo gelato quando, il tuo unico riparo dalla neve, era un telo di plastica ghiacciato, non era il sistema migliore per evitare l'assideramento.

La giacca pesante era servita fino a un certo punto. L'immobilità, era stata il vero problema.

Restare inattivo per quasi quattro ore lo aveva praticamente messo al tappeto, e ora camminava come uno zombie.

A stento si tolse le scarpe da ginnastica – i mocassini erano finiti in una stufa, assieme ai suoi abiti e a quelli di Yuki – e, scalzo, avanzò su un pavimento in parquet tirato a lucido.

Tutto l'ambiente appariva vetusto, risalente ad almeno quarant'anni prima, ma era ben tenuto e ripulito da poco.

Evidentemente, qualcuno era deposto al riordino di quell'abitazione.

«D-dove siamo?» domandò Cameron, seguendo stordito la figura di Yuki.

Era sempre stata così tonica, o si era addestrata in un qualche genere di sport, negli ultimi anni?

Con un flash, ricordò i tre ninja morti nella sua stanza, e subito aggrottò la fronte.

Non voleva credere che Yuki si fosse allenata per diventare un'assassina, ma la sua competenza in materia gli diede da pensare.

Il freddo che percepiva in tutto il corpo, però, era troppo forte perché lui pensasse ulteriormente anche a quel problema.

Gliene avrebbe parlato a tempo debito, ma ora voleva solo acqua bollente, e in abbondanza.

Quando la ragazza gli aprì una porta, Cam vi si infilò dentro con passo caracollante e Yuki, premurosa, disse: «Fai pure con comodo. L'acqua calda è già presente, per cui non avrai problemi con la vasca. Io, nel frattempo, preparerò il pranzo.»

Lui si limitò ad annuire, chiudendosi dentro e, dopo essersi spogliato, attese impaziente che la vasca in ceramica si riempisse, dopodiché vi si infilò dentro.

E si addormentò, cullato dal calore dell'acqua.

 
§§§

«Cameron-kun? Daijobu? Tutto bene?»

Una voce lo stava chiamando, flebile, penetrando lo spesso strato di oscurità in cui stava galleggiando.

Avvertì altre voci, suoni concitati, una breve colluttazione.

Poi vide quell'uomo incappucciato,... e lo spiedo conficcato nel suo collo.

Si risvegliò di soprassalto, masticando aria a pieni polmoni come se stesse rischiando di affogare.

Yuki bloccò subito il mulinare delle sue braccia, afferrandolo ai polsi con determinazione e, pacata, mormorò: «Calma... non è successo nulla. Calmati.»

Deglutendo a fatica, il giovane finalmente mise a fuoco il viso turbato di Yuki e, chetandosi, rilassò le braccia perché lei lo lasciasse andare.

La giovane, allora, tornò a sedersi, poggiando la schiena contro il bordo della vasca.

Portate le gambe al petto, Yuki le strinse con le braccia e poggiò il mento sulle ginocchia, un'espressione torva sul viso pallido.

«Che ci fai qui?» le domandò Cam, imitandone la posa.

«Ti ho chiamato, prima, per chiederti se preferivi il pesce o la carne, ma non hai risposto. Così sono entrata per controllare se stavi bene, e ti ho visto addormentato nella vasca.»

Gli sorrise per un attimo da sopra la spalla, poi il suo viso tornò tetro.

«Mi sono messa qui ad aspettare che tu ti risvegliassi. Avevo paura potessi scivolare dentro e affogare.»

Cam sorrise a mezzo, replicando: «Non sono così imbranato, sai?»

«Eri stanco morto... e un pezzo di ghiaccio. Cosa ne sapevo se eri svenuto o meno?» protestò Yuki, brontolando.

«Ragione. Scusa.»

Ristettero in silenzio per un po', nessun rumore ad accompagnare i loro respiri, solo la sensazione ovattata della neve all'esterno.

Quel luogo appariva come sperduto tra le colline, tanto era silenzioso e solitario.

Fu Yuki a spezzare quella sorta di letargo artificiale e, con un tremulo sospiro, mormorò: «Immagino avrai un po' di domande da farmi, a questo punto.»

«Sarebbe più facile dirti quello che non voglio sapere» ironizzò Cam. «Per esempio, non mi interessa sapere il risultato dell’ultima partita di hokey Tokyo Vs. Kyoto.»

Lei ridacchiò, pur senza provare reale desiderio di farlo e, con un gesto abile, si rimise in piedi, lo sguardo fisso sulla porta.

«Vestiti. Ti aspetto in sala da pranzo. Lungo il corridoio, è l'ultima porta a destra.»

Detto ciò, uscì con passo silenzioso, le movenze di un gatto e la sua stessa agilità.

Cameron sospirò, uscì dalla vasca e si asciugò, rimettendosi gli abiti con cui era giunto lì.

A piedi scalzi – la casa aveva il riscaldamento a pavimento – avanzò dunque lungo il corridoio e aprì la porta, trovando una cucina tradizionale e un tavolo con le sedie.

Lì, Yuki aveva sistemato dell'okonomiyaki di verdure e Cam, sorridendo spontaneamente nel vedere quella tipica frittata multicolore, chiosò: «Ti ricordavi dei miei gusti, eh?»

«Ti è sempre piaciuta, e Megumi-san ne faceva sempre una buonissima, quando venivate in visita» assentì Yuki, afferrandone un pezzo con le bacchette.

Cameron si accomodò a sua volta e, di buona lena, si servì una porzione generosa.

Aveva una fame da lupi.

Ristettero così per alcuni minuti, pensando unicamente a sedare la sensazione di vuoto nei loro stomaci.

Fu solo quando si sentirono un po' meglio, che Yuki iniziò a parlare.

«E' nato tutto per colpa di una gazza.»

«Come?» mormorò Cam, fissandola stupito.

Lei annuì, sorridendo a mezzo, e proseguì nel racconto. «Ti ricordi della mia gattina, Michiu? Beh, aveva figliato, e uno dei piccoli era nel giardino quando, di colpo, una gazza lo attaccò.»

Cam assentì, chiedendosi il perché di quella storia. Non impiegò molto a comprenderne i motivi.

«La gazza strappò un occhio al gattino, e io fui testimone della scena. Urlai forte, piansi e corsi a cercare Nobu-san, che in quel momento era in casa. All'epoca, avevo dieci anni, e lui venti. Insomma, se non poteva aiutarmi lui, chi altri?»

Cameron si limitò a un breve cenno di assenso, chiedendosi dove volesse andare a parare.

Yuki allora si fece ironica quanto gelida.

«Oh, lui venne. Estrasse una pistola nichelata dalla giacca, sparò alla gazza, uccidendola e poi, non contento, sparò al gatto. Piansi ancora più forte, chiedendogli perché lo avesse ucciso e lui, con una flemma che mi congelò il sangue, mi disse che i deboli andavano lasciati indietro, perché solo i più forti dovevano sopravvivere. Il gatto era menomato, perciò sarebbe cresciuto debole e inferiore, rischiando di morire prematuramente.»

Rise con il gelo nella voce, e aggiunse: «Mi disse di avergli fatto un favore, uccidendolo subito.»

«Mio Dio» esalò Cam, senza parole.

Aveva sempre ritenuto Nobu un uomo dall'aria ambigua e oscura, ma non avrebbe mai potuto neppure immaginare in lui un simile atteggiamento.

«Negli anni, il suo comportamento non migliorò. Lo vidi punire uno dei suoi sottoposti in maniera piuttosto efferata e, per paura, non lo dissi a nostro padre. Con il senno di poi, probabilmente mi sarei cacciata in guai seri, dicendoglielo.»

Il dolore nella sua voce fu come una lama sulla pelle di Cameron, che digrignò i denti per un attimo, ripensando al suo sensei, al suo maestro.

Era stato Noboru Tashida a insegnargli le basi delle arti marziali, a instradarlo verso il karate, la disciplina che più gli era congeniale e, da ultimo, a indirizzarlo verso i migliori maestri presenti in California.

E ora questo.

Lo scorno più grosso, il tradimento più infame.

«Ti sentisti minacciata? Per questo, imparasti l'arte delle ombre?» le domandò il giovane, già immaginando la risposta.

«Iniziai a praticare il ninjutsu in segreto, all'oscuro della mia famiglia. Naturalmente, proseguii le mie lezioni con papà e con Nobu-san ma, per conto mio, imparai anche l'arte della furtività. Nobu-san mi faceva troppa paura, perché rimanessi inerme. E sai quanto io detesti le armi da fuoco. Non avrei mai imparato a difendermi a quel modo.»

Cameron annuì, chiedendosi quanto, di quel che aveva visto negli anni a Villa Tashida, fosse stato effettivamente reale.

Quanto, delle loro visite, era stato pianificato a tavolino, per imbastire intorno alla famiglia Van Berger un solido teatrino di inganni?

Il solo pensiero che tutti loro fossero stati così platealmente ingannati, lo fece sentire male.

Yuki batté una mano su quella di Cam, che ora era ripiegata a pugno sul tavolo, e mormorò: «Mamma non ne sa nulla, e credo neppure Shunsuke. Su Kaneda ho qualche dubbio, ma forse è inconsapevole anche lui di ciò che papà e Nobu-san hanno pianificato negli anni.»

«Come sta, Ekaterina?» chiese allora Cam, pensando alla bellissima ex moglie russa di Noboru.

L'alta e statuaria siberiana, sposata con Tashida da quando lei aveva solo diciannove anni, era sempre parsa a Cameron come una Valchiria, una delle antiche guerriere dei miti del nord.

Bionda, altissima, con penetranti occhi grigi.

Se nei colori somigliava molto alla madre, lo sguardo però era sempre stato ben lontano dalla dolcezza innata di Hannah.

Certo, anche mamma sapeva essere gelida e contegnosa, ma Cameron aveva sempre visto in Ekaterina qualcosa di freddo, di profondamente duro in lei.

Aver saputo da Yuki del passato della madre, gli aveva fatto comprendere il perché di quell'apparente comportamento inattaccabile alle emozioni.

Vivere con un padre padrone, in una piccola casa di campagna, unica femmina in una moltitudine di fratelli, e con una madre stanca e provata, poteva minare chiunque.

Forse per questo, Ekaterina aveva creato attorno a sé un'isola protettiva, dove nessuno poteva turbarla. E su quell'isola lei aveva posto i suoi figli.

Anni dopo il matrimonio con Tashida, con Yuki ormai adolescente, Ekaterina aveva chiesto il divorzio, ottenendolo senza troppi drammi.

Noboru, in fin dei conti, aveva ottenuto quello che desiderava. Una prole forte, bella e intelligente.

A Ekaterina era spettato un appannaggio più che rispettabile, e la possibilità di vedere i figli ogni volta che voleva.

Ma aveva perso ogni diritto sulla Tashida Group, cosa che comunque aveva reso soddisfatte entrambe le parti.

«Ora è nell'Hokkaido per la stagione invernale. Se non erro, accompagnata dal suo attuale uomo» mormorò Yuki, servendo dell'acqua fresca per entrambi.

«Non sapevo avesse un compagno. Come ti sembra?»

La ragazza guardò Cameron, gli sorrise e disse: «Non c'è bisogno che tenti di intavolare una discussione normale, Cameron-kun. Non riuscirei a dimenticare la situazione neppure se mi sedassi.»

Il giovane allora scrollò le spalle, vistosi scoperto, e replicò: «Se io mi sento male al solo pensiero, non immagino neppure lontanamente come possa sentirti tu.»

«Ricontrollai i dati non meno di venti volte, per essere sicura di aver compreso correttamente il messaggio che avevo intercettato. Naturalmente, era cifrato, perciò impiegai tempo e fatica, ma non mi sbagliai. Risultò essere tutto maledettamente corretto.»

Sospirò, si passò una mano sui capelli, che ora erano rilasciati sulle spalle, e le giungevano a metà schiena.

Cam li osservò ammirato.

Erano sempre stati di un nero intenso, simili alle ali di un corvo e, al sole, avevano riflessi blu, tanto il colore era scuro e puro.

L’unico vezzo che il giovane notò furono le punte dei capelli, sapientemente tinte di un allegro color amaranto.

«Hai idea di chi abbia avuto...beh, l’idea di base?»

Non era sicuro di volerlo sapere, ma qualcosa dentro di lui spingeva perché la verità venisse a galla.

Per quanto tremenda fosse.

Yuki però scosse il capo, replicando: «Non ho avuto il tempo di scavare così a fondo, ma ho lasciato una traccia da cui ripartire con le indagini. E' labile, ma so come riconoscerla.»

Cameron sorrise benevolo e, nel sorseggiare un po' di acqua fresca, mormorò pensoso: «Se potessimo far avere questa informazione a Dom, tirerebbe fuori tutto dalla rete in men che non si dica.»

La giovane lo fissò vagamente sorpresa e sì, curiosa, e all'amico non restò che parlare.

«Forse non dovrei dirtelo, visto che sono affari di Dom, ma data la situazione in cui ci troviamo...» iniziò col dire Cam, scrollando le spalle. «...non penso faccia molta differenza, saperlo o meno. Domenic non è solo un genio come programmatore. Ci sa fare anche come hacker, anche se i nostri genitori non lo sanno.»

Alla ragazza sfuggì un risolino, come tranquillizzata dalle parole dell’amico e, vagamente scettica, replicò: «Io ricordo tuo fratello come un posato, morigerato studente del MIT che, a soli diciotto anni, ha preso la sua prima laurea con tanto di Summa con laude. Non ce lo vedo a evadere bellamente la legge.»

«Oh, lo fa con gran classe... ma lo fa» ridacchiò suo malgrado Cam. Pensare al fratello lo faceva star bene.

Chissà cosa stava passando, in quel momento?

Percepiva, almeno in parte, l'ansia che stava provando?

A volte, tra loro, era successo. Lo ricordava bene.

Quando si era perso durante la sua solitaria in Colorado, tra gli arroyo dei canyon, era stato Dom a guidarli nella giusta direzione.

Si era dovuto infuriare non poco con gli uomini addetti al recupero e salvataggio, perché non avevano voluto credere subito alle sue parole.

Ma alla fine l'aveva avuta vinta.

Quando, però, gli avevano chiesto spiegazioni in merito, lui non aveva saputo spiegare i motivi delle sue intuizioni.

Aveva solo sentito che era lì.

E Cam sperò ardentemente che ora lui sentisse che era sano e salvo. Almeno per il momento.

«Cosa fa, di preciso?» si interessò allora Yuki, poggiando il mento sui palmi sollevati delle mani.

Ghignando, il giovane chiosò: «Curiosa, eh?»

«Lo ammetto, sì. Non mi aspettavo che Domenic-kun avesse anche un lato oscuro» lo disse sorridendo, come a sottolineare che il suo non era un biasimo, quanto un plauso.

Ridendo, Cameron si perse, però, il lampo di sordo interesse negli occhi di Yuki che, attenti, lo stavano studiando fin da quando aveva iniziato a parlare del fratello.

«Per la verità, non so esattamente cosa combina con i suoi computer, quando si rifugia nella sua Bat-caverna.»

Nel dirlo, ridacchiò, e così pure Yuki. «Di sicuro, so che i sistemi di difesa dell'Esa, l'Ente Spaziale Europeo, sono migliorati molto, negli ultimi sei anni, grazie a lui. I nostri cugini Aaron e Christoffer lavorano lì e, quando hanno saputo delle, diciamo…, particolari attitudini di Dom, gli hanno chiesto di testare il sistema. Ovviamente, questo è crollato dopo dieci minuti di accurato lavoro, e così...»

«Dieci … minuti?! Ha fatto crollare i firewall dell'Esa in così poco tempo?!» esalò la giovane, sgranando gli occhi di colomba.

Cameron annuì, sentendosi in uno strano qual modo orgoglioso nel vedere, negli occhi di Yuki, una simile sorpresa. E sì, anche un pizzico di reverenziale timore e ammirazione.

Era sempre felice quando qualcuno riconosceva la bravura del gemello.

Lui era sempre stato in prima linea, grazie al suo carattere naturalmente più espansivo e ciarliero, mentre Dom era sempre stato la sua ombra fedele.

A volte, si era chiesto se questa condizione lo avesse infastidito, ma Domenic si era sempre messo a ridere, di fronte alle sue paure.

Dom non aveva mai amato i riflettori, la notorietà, i giornalisti sempre a caccia di scoop, mentre lui vi aveva navigato nel mezzo come un lupo di mare in una tempesta.

Svicolava sulle domande indisponenti con la stessa agilità di un trapezista durante un'esibizione, e questo aveva sempre fatto sorridere e divertire Hannah.

Il pensiero della madre lo intristì subito e Yuki, avvedendosene, gli domandò: «Un brutto pensiero?»

«Ho pensato a mamma, e mi sono chiesto come potesse stare ora.»

«Immagino che dentro di sé starà urlando di rabbia, ma fuori sarà incrollabile» asserì Yuki, con un sorriso sicuro. «Ho sempre visto Hannah come una donna forte e coraggiosa, e non dubito che specialmente ora tirerà fuori gli artigli.»

«Già» assentì Cam, pur tremando dentro di sé. Sperò soltanto che quest'evento non fosse troppo, per la sua famiglia.

 
§§§

I lunghi passi cadenzati di Berenike falciarono l'aria mentre il marito, Todd, sorseggiava del buon vino, il viso rivolto verso il giardino di Villa Van Berger.

«Strangolerò quel ragazzo non appena tornerà a casa! Perché non chiama?!» sbottò a un certo punto Berenike, bloccando i suoi passi in corrispondenza del marito.

Lui la fissò serafico, ben conoscendo da anni gli improvvisi scoppi di rabbia della moglie – spesso dovuti alle marachelle di Bryce – e, pacato, asserì: «Ha quasi venticinque anni, Berry, non due mesi. E' in missione semi-segreta, e pensi davvero che il suo primo pensiero sia chiamare te

«Sono sua madre! Certo, che dovrebbe chiamarmi!» brontolò la donna, pur calmandosi un poco.

Hannah le sorrise indulgente, e aggiunse: «Se può consolarti, nemmeno Brandon o Phie hanno richiamato, dacché sono arrivati all’ambasciata.»

«Insensibili. Tutti quanti» borbottò Berenike, lasciandosi cadere sul divano, al fianco dell'amica di sempre. «Sy mi ha detto che, non appena Logan si sentirà meglio, si fionderà qui.»

Hannah scosse il capo, pensando all’amica – sposata con il loro cugino Aaron da ormai dodici anni – e replicò: «Se solo prova a mettere piede su un aereo, la faccio malmenare da… beh, da Cecille.»

Berry le sorrise indulgente, prendendole una mano per poi portaserla al cuore. «E’ tua amica, Hannah… pensi davvero che se ne rimarrebbe ad Amsterdam mentre tu sei qui, preoccupata da morire, perché sei in pena per Cam?»

«Non importa. Suo figlio ha la precedenza e, visto che è in ospedale, non deve neppure pensare di allontanarsi.»

Todd sorrise indulgente, ribattendo: «Ne avranno solo per altri due, tre giorni, poi Logan verrà dimesso. In fondo, se l’è cavata meglio di quanto tutti quanti noi avessimo temuto all’inizio.»

L’incidente che aveva visto coinvolto il piccolo Logan aveva preoccupato tutti ma, prima ancora di poter partire per Amsterdam, era piombata sulle loro teste la scomparsa di Cam.

Impossibilitata a muoversi, la famiglia Van Berger aveva quindi contattato i parenti in Europa e, da quel momento, Sy si era fatta sentire tramite Skype o videotelefono.

Hannah sospirò, lasciando perdere la sua arringa e, nel lanciare un’occhiata all’amica, ammise: «Starà bene presto. Lo so.»

Nick entrò in quel momento a passo di carica, notò immediatamente la faccia scura di Berry e il sospiro di rassegnazione della moglie e, con un mezzo sorriso, dichiarò: «Su con il morale, donne. Ci sono novità.»

L'attenzione dei presenti si focalizzò immediatamente su di lui che, andando a depositare un bacio sui capelli di Hannah, disse subito dopo: «Le analisi della scena del delitto hanno messo in evidenza due particolari. Primo, non ci sono tracce di sangue di Cameron, nella stanza, quindi lui non è stato ferito durante la colluttazione. Secondo, ci sono le sue cellule epiteliali nella botola dell'ascensore, e portano dritte sul tetto.»

Il sollievo fu generale e Todd, curioso, gli domandò: «Ma come diavolo sei riuscito ad avere queste informazioni?»

Nickolas, allora, si volse a mezzo e, orgoglioso, puntò lo sguardo verso il figlio, fermo sulla soglia del salotto.

Appariva piuttosto sbattuto, con una coperta sulle spalle, un accenno di barba sul viso e i capelli scompigliati.

Sbadigliò, gli occhi di tutti puntati su di lui e, quando Hannah si levò per abbracciarlo, biascicò: «Per ora, ho estrapolato questo. Ma non c'era molto altro, negli archivi che ho spulciato.»

La madre lo strinse in un rapido abbraccio e, dopo avergli passato un dito sulla guancia ispida, entrò subito in modalità generale di brigata.

«Sistemati un po', ragazzo. Non ti serve a niente sembrare un rifugiato in zona di guerra.»

«Signorsì, mamma» assentì lui, deponendole un bacio sulla guancia. «Che ti avevo detto? E' vivo.»

Lei annuì e, pur con gli occhi lucidi di lacrime, non pianse.

Sospinse il figlio verso il corridoio e, perentoria, disse: «Non ti rivoglio qui, se prima non ti sistemi un po', è chiaro?»

«Sei una donna dispotica e senza cuore, ma ti amo lo stesso» ironizzò Domenic, andandosene dopo averle lanciato un bacio con lo schiocco da sopra la spalla.

Hannah rimase a guardarlo finché non scomparve dietro l'angolo del corridoio e, a quel punto, si volse verso il marito e dichiarò: «Non mi arrabbierò più, sapendolo attaccato a quei computer. Lo giuro.»

«Immaginavo l'avresti detto» ironizzò Nickolas.

«La domanda, ora, sorge spontanea. Che ci è andato a fare, sul tetto?» intervenne Todd, pensieroso.

«Non ci sono scale di sicurezza che portano al pianterreno, quindi è da escludere a priori questo sistema di fuga» aggiunse Berenike, torva in viso.

Hannah si avvicinò al marito e, nel poggiare una mano sulla sua spalla, domandò: «E' possibile che sia stato aiutato? Dopotutto, due degli aggressori di Cam erano morti, stesi accanto a Leon e Sebastian, mentre uno era in camera da letto.»

Dirlo, le fece male al cuore.

Aveva parlato personalmente con le famiglie delle due guardie del corpo che, pur provate dal dolore, non avevano espresso alcun tipo di risentimento.

Sapevano che, con un mestiere simile, i rischi erano a portata di mano.

Saperlo, però, non rincuorò Hannah.

Niente di tutto ciò avrebbe mai dovuto succedere.

«E' plausibile, sì. Altrimenti, non si spiegano gli spiedi ninja trovati sui corpi degli assassini. Non erano tra la dotazione che gli hanno trovato addosso» assentì Nickolas.

«Quindi, qualcun altro sa» sentenziò lapidaria Berenike.

«Già... ma sarà amico, o nemico?»

 
§§§

Nobu non mostrò la ben che minima stizza, quando lesse il rapporto preliminare della scientifica, che aveva analizzato palmo a palmo l'intero piano dell'albergo.

Ricontrollò tre volte l'intero scritto, giusto per non lasciare indietro nulla, dopodiché si inserì nella rete meteorologica nazionale e richiese una stratimetria dei venti del giorno precedente.

Mentre i grafici si caricavano sul computer, accese la sigaretta elettronica, si alzò dalla poltrona in pelle di canguro e si avviò verso le finestre per osservare Tokyo.

«Hai scoperto qualcosa?» mormorò una voce alle sue spalle, bassa, profonda, roca.

Senza voltarsi, Nobu sorrise.

Avrebbe riconosciuto quella voce tra mille.

Due mani forti, vagamente ruvide, sfiorarono i suoi fianchi snelli e discesero lente, sinuose come serpenti, verso il pube.

Lui lo lasciò fare. Gli piaceva l'intraprendenza di Byron.

Sua guardia del corpo da sette anni, da cinque era diventato anche il suo amante segreto, tra le altre cose.

Non era una cosa che avrebbe sbandierato ai quattro venti, e la segretezza stava bene a entrambi.

Li eccitava.

Classica bellezza nordeuropea, Byron Lodge era un ex militare britannico trasferitosi in Giappone in cerca di avventura.

Si era unito alla sua folta schiera di guardie del corpo quando, per puro caso, Byron lo aveva salvato da un'aggressione della yakuza, sette anni prima.

L'ingaggio era venuto per diretta conseguenza.

La loro storia, invece, era stata ben più travagliata.

Sulle prime, Byron aveva rifiutato strenuamente l'idea di poter nutrire degli interessi per un altro uomo ma, con lenta e metodica testardaggine, Nobu lo aveva portato a più miti consigli.

Il loro viaggio in Hokkaido, in una stazione termale di prim'ordine, lo aveva fatto capitolare.

Sospirò, quando l'erezione si lasciò plasmare dalle mani forti di Byron e, reclinando all'indietro il capo per poggiarlo contro la spalla robusta dell'europeo, mormorò: «Se continui così, non riuscirò a dirti nulla.»

«Me ne parlerai più tardi. Ora, ho voglia di altro.»

Lo obbligò a voltarsi, spingendolo a forza contro la finestra. Calò sulla sua bocca per un bacio rude, che piacque a entrambi.

Si sarebbero spinti anche oltre, se il bip del computer non li avesse obbligati a volgersi, incuriositi.

Le stratimetrie erano state completate.

Scusandosi con Byron con un bacio, che lo seguì alla scrivania, Nobu sorrise sardonico e asserì: «E brava Yuki-chan. E così hai usato le tute alari, eh?»

«Tua sorella è coinvolta?» esalò sorpresa la guardia del corpo, scrutando l'amante con espressione turbata.

Annuendo, Nobu perse del tutto la voglia di fare dell'ironia.

«Mi stavo chiedendo dove diavolo fosse finito Van Berger, una volta giunto sul tetto, così ho iniziato a pensare agli unici modi che avrebbe potuto usare per andarsene. Utilizzare un elicottero, avrebbe previsto un piano di volo – nessuno può volare su Tokyo senza permesso, neppure io – perciò l'ho scartato subito. Quindi, cos'altro rimaneva, a Van Berger, se non lanciarsi?»

«Di certo, non con un paracadute. Troppe interferenze date da cavi, antenne e balconate» gli fece notare Byron.
Nobu annuì.

«No, infatti. Così, ho controllato gli spostamenti di Yuki degli ultimi giorni e... guarda un po' dov'è andata?»

Tashida cliccò sul fondo dello schermo per aprire una seconda schermata e, fatto partire il video, mise in mostra la sorella mentre usciva da un negozio sportivo.

«Ho fatto controllare gli scontrini. Indovina cos'ha comprato?»

Byron lanciò un'occhiata alle stratimetrie, alle correnti ascensionali e discensionali e, accigliandosi un poco, mormorò: «Due tute alari?»

«Complimenti, mio caro. Esattamente.»

Nobu indicò con la sigaretta elettronica un percorso in particolare e, aggrottando la fronte, asserì: «Questa corrente ascensionale porta direttamente verso la baia, lontano dagli scanner ottici. Un posto ideale dove atterrare. E perfettamente in linea con le possibilità offerte da una tuta alare.»

«Dovevano avere almeno un complice che li recuperasse» si sentì in obbligo di dire Byron, non credendo affatto che la ragazza potesse aver fatto tutto da sola.

Annuendo, Nobu dichiarò: «Quasi sicuramente, uno dei tanti barcaioli che scorrazzano lungo l'Edogawa. Lei è sempre impegnata in quelle sue campagne per la riqualificazione della zona. Sai com'è... cuore gentile...»

«Vuoi che mi occupi di stanare chi li ha aiutati?»

«Perderemmo solo del tempo, e non mi va di avere in giro altri cadaveri. Già quelli nella stanza di Van Berger, col tempo, potrebbero crearci dei guai. No, nessuno spargimento di sangue, né sparizioni misteriose. Inoltre, possediamo altre fonti a cui attingere, e potrebbero essere più interessanti di qualche barcaiolo ignorante.»
Byron annuì, continuando a osservare le sponde dell'Edogawa in quella cartina stilizzata in 3D.

«Anche se avessero percorso a ritroso l'Edogawa, seguendone le sponde, non avrebbero potuto andare lontani. In alcuni punti, sono totalmente sommerse, perché il fiume è incanalato in passaggi obbligati in cemento.»

Sgranando leggermente gli occhi, Nobu sorrise orgoglioso a Byron e, assentendo al suo commento, disse: «Ottima constatazione, caro. Sì, non avrebbero potuto andare da nessuna parte, da lì. E percorrere le strade limitrofe sarebbe stata follia. Sono piene di scanner. Mezzi pubblici e auto private, sono da escludere. Stesso problema. Gli scanner si trovano su tram e metropolitane, e dalle auto è possibile essere visti in ogni modo.»

«C'è un'altra via, Nobu-san

L'uomo fissò il suo amante in cerca di spiegazioni e Byron, arrischiandosi a digitare un paio di dati sul computer del suo capo, fece comparire la rete sotterranea della G-Cans.

Che, tra le altre cose, combaciava con il punto di potenziale atterraggio dei due fuggiaschi.

Nobu sorrise, si levò in piedi e, afferrato il colletto della camicia di Byron, lo piegò in avanti per baciarlo.

«Ora, possiamo dedicarci ad altro.»

Byron non se lo fece ripetere.









Note: Se vi state chiedendo il significato del titolo, trattasi nient'altro che del nome del paese raggiunto da Yuki e Cameron. L'Edogawa citato da Nobu, invece, è uno dei fiumi principali di Tokyo, e i canali della G-Cans scaricano le acque di reflusso delle inondazioni proprio nel suo corso. Casomai aveste qualche altra domanda, non esitate a chiedere. E grazie per avermi seguita fino a qui!


  
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