CAPITOLO 4:
Erano passati due giorni dalla mia cattura e i miei aguzzini non si erano fatti più vivi, se non per portare del cibo al mio coinquilino. Per me niente. Sospettavo vagamente che intendessero portarmi allo stremo per poi interrogarmi ancora.
Due
guardie arrivavano, gli portavano un magro pasto e controllavano che
lo finisse e non me ne porgesse nemmeno una parte, con suo sommo
dispiacere. Quell'imbecille infatti non si era ancora ricreduto sulla
guerra e sulla nostra sorte, era certo di avere ancora delle speranze
di vita e aveva cercato di improvvisarsi di nuovo eroe rifiutandosi
di mangiare se non avessero dato del cibo anche a me. Tutto ciò con
risultati nulli, ovviamente. Sarebbe rimasto un civile fino alla fine
dei suoi giorni. Sono dell'opinione che soldati si nasce, e lui non
aveva l'animo del guerrigliero, era troppo elegante e... americano,
senza offesa.
Troppe
utopie, troppi vagheggiamenti. Ma in qualche modo la sua parlantina e
i suoi ideali mi avevano conquistato. Assomigliava a un bambino
mentre affermava di voler fare il pompiere da grande: era coraggioso
ma non aveva provato nulla della vita vera. Almeno, non di quella
disumana di cui voleva scrivere.
E
quasi sicuramente non avrebbe mai potuto realizzare i suoi sogni. Non
scherzavo dicendo che saremmo stati entrambi morti nell'arco di una
manciata di giorni. Non credevo possibile che i nostri eserciti si
sarebbero mobilitati ancora per due soggetti insignificanti quali
eravamo noi.
Eppure
quella sera mi dette torto.
Penso
fosse da poco tramontato il sole perché le guardie erano arrivate
con il pasto per Aaron quando un elicottero militare sorvolò
ripetutamente la zona per diversi minuti. Le mie orecchie si
drizzarono a quel suono. Cosa stava succedendo?
Uno
sparo. Un altro, e poi una raffica. Le stesse grida disumane di
qualche giorno prima, al nostro attacco, e a quel suono le guardie
sbarrarono gli occhi e corsero via imbracciando le armi, così di
fretta da dimenticare il piatto per terra e la porta aperta.
Sbalordita,
feci l'opposto di quel che ogni essere razionale avrebbe fatto in
quel momento: mi misi a ridere, a ridere sguaiatamente quasi fossi
impazzita.
Appoggiai la testa al muro dietro di me, aprendo la bocca e scoprendo la gola secca per non aver bevuto in tutto il giorno.
Appoggiai la testa al muro dietro di me, aprendo la bocca e scoprendo la gola secca per non aver bevuto in tutto il giorno.
«Alla
fine sono venuti per davvero, folli! Così mi hai smentito, Julian?
Non è ancora giunta l'ora della mia morte?»
Cacciai
fuori dalla tasca quel piccolo MP3 che un tempo era suo: le sue
playlist, i suoi cantanti preferiti, le canzoni che mi facevano
piangere. Tutto ciò che avevo.
Lo
accesi: magari era rimasta ancora un po' di batteria. L'apparecchio
vibrò e la schermata iniziale apparve davanti ai miei occhi. Il
rosso lampeggiante della batteria catturò la mia attenzione, ma il
tutto sembrava funzionare ancora. Premetti qualche tasto e la prima
canzone che risaltò al mio sguardo fu Wind of change degli
Scorpions. No, decisamente nemmeno Julian era fatto per la guerra.
Improvvisamente lo schermo cominciò a tingersi di nero, alternando
la schermata scura a quella della canzone ogni due o tre secondi,
mentre il ronzio che avevo sentito durante la missione proveniva
fioco dalle cuffiette. Il rumore si acuì e l'MP3 non rispose più ai
miei comandi. Sembrava impazzito e prossimo a rompersi
definitivamente.
Il
petto si strinse in una morsa d'angoscia disperata e strinsi i denti
fino a farli cigolare per impedirmi di piangere, ma contro ogni mio
sforzo gli occhi si stavano offuscando di lacrime.
«Mercedes,
Mercedes! Alzati dai, veloce! Non vedi che possiamo fuggire?»
«Non
posso, Aaron. Non è destino che io continui, arrivata fin qui. C'è
altro che mi chiama, questa non è più la mia strada, mi dispiace ma
ora scappa!»
«Cosa...
stai delirando, avanti vieni» mi tirò in piedi per un braccio «una
volta fuori, vedrai, ti porterò con me in America e mi racconterai
tutto quello che vorrai sulla guerra. Sarà tutto diverso,
pubblicheremo un libro e-»
«Avanti
ciarlatano, ti faccio strada!» sorrisi, ma subito dopo il mio
sguardo era serio e determinato. Avevo deciso di salvargli la vita a
tutti i costi, lui ne era degno. E in men che non si dica, ero di
nuovo un soldato in missione.
Diedi un'occhiata fuori dalla porta: il corridoio era deserto. Gli feci segno di starmi dietro e cominciai a correre verso quella che sapevo essere l'uscita dell'edificio. Dopo nemmeno due minuti di percorso tra i cunicoli sentii dei passi concitati venire verso di me e istintivamente mi appiattii contro il muro, facendo segno a Aaron di imitarmi. Ero girata verso di lui, al buio quasi completo, quando sentii una grossa mano poggiarsi sulla mia spalla e costringermi a voltarmi, terrorizzata.
«Capitano
Soler, signore. Lei e l'ostaggio potete seguirci. Vi porteremo al
campo.»
Richard
Leyes, un veterano della guerra, mi aveva sempre messo addosso un
timore reverenziale con quel corpo assurdamente enorme, ricoperto da
numerose cicatrici, ma in quel momento non potei che essere
entusiasta del suo intervento. Lo seguimmo entrambi e io gli chiesi
se avesse addosso una pistola in più, ottenendo poco dopo una
piccola Glock 42, calibro 9.
L'aria
aperta mi mise i brividi, era notte e come poche sere prima il cielo
si mostrava stupendo nella sua corona di stelle, ma senza il chiarore
della Luna che quel giorno doveva essere nuova.
Leyes
ci scortò attraverso gli stretti cunicoli tra gli edifici e insieme
arrivammo alla piazzetta più grande, di fronte alla torre di
vedetta. Il casino era infernale e il buio era rischiarato solo
dall'esplosione delle bombe a pochi metri da noi. La piazza era tutto
un clangore di armi da fuoco e di cozzare di spade, il caos regnava
assoluto. Cercai di seguire Leyes, sparando a qualsiasi nemico mi
capitasse a tiro per proteggere Aaron, ma io e l'americano perdemmo
di vista il Sergente poco dopo, non appena un soldato nemico beccò
di striscio la gamba di Newell.
«Mierda,
Aaron! Riesci a camminare?» imprecai dopo aver freddato l'impudente
militare con un colpo alla testa.
«Sì,
sì, mi ha solo sfiorato...» rispose stringendo i denti e mostrando
un coraggio che mai avevo visto in un civile. Gliela si leggeva negli
occhi la volontà di combattere, un'assurda voglia di vivere che
richiamava gli istinti più reconditi dell'uomo. Ora erano gli occhi
di un guerriero.
«Corri
allora... vivi!»
Cominciammo
davvero a correre più forte che di quanto la stanchezza ci
permettesse, spingendoci oltre i nostri limiti e verso un futuro
agognato da entrambi, finché una pallottola non colpì anche me,
trafiggendomi una spalla.
«Tu,
ferma!» Il più viscido tra i due aguzzini che mi avevano picchiata
mi aveva appena sparato. Arrancai e caddi a terra per il dolore,
affiancata da quell'imbecille che invece di scappare si era chinato
su di me per aiutarmi. Eravamo a una decina di metri dall'uscita del
campo e sicuramente i nostri camion stavano aspettando la squadra
appena lì fuori.
Gridai:
«Aaron, corri ti ho detto! Esci da qui e raggiungi il mio
esercito... loro ti porteranno in salvo!»
«Non
fare la stupida, vieni con me. Dai tuoi compagni ci arriveremo
assieme» rispose alzandomi di peso.
Perdevo
sangue. Sentivo i battiti del mio cuore rimbombarmi nelle orecchie e
le energie scemare velocemente. Ma non potevo... no, dovevo saperlo
in salvo.
Raccolsi
tutte le forze che avevo in corpo e urlando lo spinsi verso l'uscita,
vedendolo inciampare e poi riprendere l'equilibrio, fissandomi
sbalordito.
«Ti
prego, Aaron» supplicai «ti prego, scappa, fallo per me. Torna in
America e racconta quello che hai visto, sei destinato a cose
grandi... io le ho viste!»
«Des...
non chiedermi di lasciarti morire.»
«Non
pensare a me. Io muoio... muoio per qualcosa in cui credo!»
strinsi gli occhi e piansi vedendolo correre e oltrepassare l'uscita.
Il
mio animo era in pace e le nella mia mente risuonava una musica
leggera che tante volte avevo sentito in battaglia: “And the
last known survivor, stalks his prey in the night, and he's watching
us all with the eye of the tiger...”
Mi
voltai col sorriso sulle labbra e due righe di lacrime sul viso,
verso il nemico che mi puntava una pistola addosso. Mi voltai e
guardai la morte in faccia, affrontandola a testa alta, mentre il
piccolo MP3 nelle mie tasche esalava il suo ultimo respiro,
spegnendosi.
Uno
sparo. Un dolore acuto al petto. E poi fu buio per sempre.
Appena una settimana dopo, un elicottero si alzava tra le sabbie roventi per un lungo viaggio verso l'America. Un piccolo cane zoppo uggiolava spaventato sul pavimento del mezzo, mentre un giovane dai profondi occhi scuri girava il volto verso la finestra, scrutando il cielo azzurro.
«Non
dimenticherò mai il tuo coraggio, Mercedes.»