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Autore: wanderjess    01/04/2015    1 recensioni
Mercedes crede che la guerra le abbia rivelato tutto sulla brutale natura umana, disilludendola per anni. Sullo sfondo delle note di Eye of the tiger, però, potrebbe scoprire che oltre al mondo selvaggio che lei conosce c'è ancora qualcosa degno di speranza.
[Sta partecipando al concorso "This is war - Situations" indetto da ManuFury sul forum di EFP]
Genere: Azione, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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cap 4

CAPITOLO 4:


Erano passati due giorni dalla mia cattura e i miei aguzzini non si erano fatti più vivi, se non per portare del cibo al mio coinquilino. Per me niente. Sospettavo vagamente che intendessero portarmi allo stremo per poi interrogarmi ancora.

Due guardie arrivavano, gli portavano un magro pasto e controllavano che lo finisse e non me ne porgesse nemmeno una parte, con suo sommo dispiacere. Quell'imbecille infatti non si era ancora ricreduto sulla guerra e sulla nostra sorte, era certo di avere ancora delle speranze di vita e aveva cercato di improvvisarsi di nuovo eroe rifiutandosi di mangiare se non avessero dato del cibo anche a me. Tutto ciò con risultati nulli, ovviamente. Sarebbe rimasto un civile fino alla fine dei suoi giorni. Sono dell'opinione che soldati si nasce, e lui non aveva l'animo del guerrigliero, era troppo elegante e... americano, senza offesa.
Troppe utopie, troppi vagheggiamenti. Ma in qualche modo la sua parlantina e i suoi ideali mi avevano conquistato. Assomigliava a un bambino mentre affermava di voler fare il pompiere da grande: era coraggioso ma non aveva provato nulla della vita vera. Almeno, non di quella disumana di cui voleva scrivere.
E quasi sicuramente non avrebbe mai potuto realizzare i suoi sogni. Non scherzavo dicendo che saremmo stati entrambi morti nell'arco di una manciata di giorni. Non credevo possibile che i nostri eserciti si sarebbero mobilitati ancora per due soggetti insignificanti quali eravamo noi.
Eppure quella sera mi dette torto.
Penso fosse da poco tramontato il sole perché le guardie erano arrivate con il pasto per Aaron quando un elicottero militare sorvolò ripetutamente la zona per diversi minuti. Le mie orecchie si drizzarono a quel suono. Cosa stava succedendo?
Uno sparo. Un altro, e poi una raffica. Le stesse grida disumane di qualche giorno prima, al nostro attacco, e a quel suono le guardie sbarrarono gli occhi e corsero via imbracciando le armi, così di fretta da dimenticare il piatto per terra e la porta aperta.
Sbalordita, feci l'opposto di quel che ogni essere razionale avrebbe fatto in quel momento: mi misi a ridere, a ridere sguaiatamente quasi fossi impazzita.
Appoggiai la testa al muro dietro di me, aprendo la bocca e scoprendo la gola secca per non aver bevuto in tutto il giorno.
«Alla fine sono venuti per davvero, folli! Così mi hai smentito, Julian? Non è ancora giunta l'ora della mia morte?»
Cacciai fuori dalla tasca quel piccolo MP3 che un tempo era suo: le sue playlist, i suoi cantanti preferiti, le canzoni che mi facevano piangere. Tutto ciò che avevo.
Lo accesi: magari era rimasta ancora un po' di batteria. L'apparecchio vibrò e la schermata iniziale apparve davanti ai miei occhi. Il rosso lampeggiante della batteria catturò la mia attenzione, ma il tutto sembrava funzionare ancora. Premetti qualche tasto e la prima canzone che risaltò al mio sguardo fu Wind of change degli Scorpions. No, decisamente nemmeno Julian era fatto per la guerra. Improvvisamente lo schermo cominciò a tingersi di nero, alternando la schermata scura a quella della canzone ogni due o tre secondi, mentre il ronzio che avevo sentito durante la missione proveniva fioco dalle cuffiette. Il rumore si acuì e l'MP3 non rispose più ai miei comandi. Sembrava impazzito e prossimo a rompersi definitivamente.
Il petto si strinse in una morsa d'angoscia disperata e strinsi i denti fino a farli cigolare per impedirmi di piangere, ma contro ogni mio sforzo gli occhi si stavano offuscando di lacrime.
«Mercedes, Mercedes! Alzati dai, veloce! Non vedi che possiamo fuggire?»
«Non posso, Aaron. Non è destino che io continui, arrivata fin qui. C'è altro che mi chiama, questa non è più la mia strada, mi dispiace ma ora scappa!»
«Cosa... stai delirando, avanti vieni» mi tirò in piedi per un braccio «una volta fuori, vedrai, ti porterò con me in America e mi racconterai tutto quello che vorrai sulla guerra. Sarà tutto diverso, pubblicheremo un libro e-»
«Avanti ciarlatano, ti faccio strada!» sorrisi, ma subito dopo il mio sguardo era serio e determinato. Avevo deciso di salvargli la vita a tutti i costi, lui ne era degno. E in men che non si dica, ero di nuovo un soldato in missione.


Diedi un'occhiata fuori dalla porta: il corridoio era deserto. Gli feci segno di starmi dietro e cominciai a correre verso quella che sapevo essere l'uscita dell'edificio. Dopo nemmeno due minuti di percorso tra i cunicoli sentii dei passi concitati venire verso di me e istintivamente mi appiattii contro il muro, facendo segno a Aaron di imitarmi. Ero girata verso di lui, al buio quasi completo, quando sentii una grossa mano poggiarsi sulla mia spalla e costringermi a voltarmi, terrorizzata.
«Capitano Soler, signore. Lei e l'ostaggio potete seguirci. Vi porteremo al campo.»
Richard Leyes, un veterano della guerra, mi aveva sempre messo addosso un timore reverenziale con quel corpo assurdamente enorme, ricoperto da numerose cicatrici, ma in quel momento non potei che essere entusiasta del suo intervento. Lo seguimmo entrambi e io gli chiesi se avesse addosso una pistola in più, ottenendo poco dopo una piccola Glock 42, calibro 9.
L'aria aperta mi mise i brividi, era notte e come poche sere prima il cielo si mostrava stupendo nella sua corona di stelle, ma senza il chiarore della Luna che quel giorno doveva essere nuova.
Leyes ci scortò attraverso gli stretti cunicoli tra gli edifici e insieme arrivammo alla piazzetta più grande, di fronte alla torre di vedetta. Il casino era infernale e il buio era rischiarato solo dall'esplosione delle bombe a pochi metri da noi. La piazza era tutto un clangore di armi da fuoco e di cozzare di spade, il caos regnava assoluto. Cercai di seguire Leyes, sparando a qualsiasi nemico mi capitasse a tiro per proteggere Aaron, ma io e l'americano perdemmo di vista il Sergente poco dopo, non appena un soldato nemico beccò di striscio la gamba di Newell.
«Mierda, Aaron! Riesci a camminare?» imprecai dopo aver freddato l'impudente militare con un colpo alla testa.
«Sì, sì, mi ha solo sfiorato...» rispose stringendo i denti e mostrando un coraggio che mai avevo visto in un civile. Gliela si leggeva negli occhi la volontà di combattere, un'assurda voglia di vivere che richiamava gli istinti più reconditi dell'uomo. Ora erano gli occhi di un guerriero.
«Corri allora... vivi!»
Cominciammo davvero a correre più forte che di quanto la stanchezza ci permettesse, spingendoci oltre i nostri limiti e verso un futuro agognato da entrambi, finché una pallottola non colpì anche me, trafiggendomi una spalla.
«Tu, ferma!» Il più viscido tra i due aguzzini che mi avevano picchiata mi aveva appena sparato. Arrancai e caddi a terra per il dolore, affiancata da quell'imbecille che invece di scappare si era chinato su di me per aiutarmi. Eravamo a una decina di metri dall'uscita del campo e sicuramente i nostri camion stavano aspettando la squadra appena lì fuori.
Gridai: «Aaron, corri ti ho detto! Esci da qui e raggiungi il mio esercito... loro ti porteranno in salvo!»
«Non fare la stupida, vieni con me. Dai tuoi compagni ci arriveremo assieme» rispose alzandomi di peso.
Perdevo sangue. Sentivo i battiti del mio cuore rimbombarmi nelle orecchie e le energie scemare velocemente. Ma non potevo... no, dovevo saperlo in salvo.
Raccolsi tutte le forze che avevo in corpo e urlando lo spinsi verso l'uscita, vedendolo inciampare e poi riprendere l'equilibrio, fissandomi sbalordito.
«Ti prego, Aaron» supplicai «ti prego, scappa, fallo per me. Torna in America e racconta quello che hai visto, sei destinato a cose grandi... io le ho viste!»
«Des... non chiedermi di lasciarti morire.»
«Non pensare a me. Io muoio... muoio per qualcosa in cui credo!» strinsi gli occhi e piansi vedendolo correre e oltrepassare l'uscita.
Il mio animo era in pace e le nella mia mente risuonava una musica leggera che tante volte avevo sentito in battaglia: “And the last known survivor, stalks his prey in the night, and he's watching us all with the eye of the tiger...”
Mi voltai col sorriso sulle labbra e due righe di lacrime sul viso, verso il nemico che mi puntava una pistola addosso. Mi voltai e guardai la morte in faccia, affrontandola a testa alta, mentre il piccolo MP3 nelle mie tasche esalava il suo ultimo respiro, spegnendosi.
Uno sparo. Un dolore acuto al petto. E poi fu buio per sempre.

Appena una settimana dopo, un elicottero si alzava tra le sabbie roventi per un lungo viaggio verso l'America. Un piccolo cane zoppo uggiolava spaventato sul pavimento del mezzo, mentre un giovane dai profondi occhi scuri girava il volto verso la finestra, scrutando il cielo azzurro.

«Non dimenticherò mai il tuo coraggio, Mercedes.»
  
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