Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: emotjon    04/04/2015    3 recensioni
Lui, tuono e tempesta.
Lei, emozione e disincanto.
Insieme, un accordo di corde e suoni, pelle e sensi. un melodia che vibra sulle corde del cuore.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Zayn Malik
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



5. Note stellate.


 
Canzoni del capitolo:
Who you are - Jessie J.
Fighter - Christina Aguilera.


 
 

Zayn aveva iniziato a dare lezioni di musica quando era stato ammesso alla Royal Academy of Music. Dopo la prima litigata coi genitori ai quali finito il liceo aveva confessato quanto amasse suonare il violoncello elettrico; cacciato di casa, erano finite anche le lezioni di violoncello pagate dal padre, erano finiti i concerti ai quali andava di tanto in tanto per immergersi completamente nella musica e per capire come sentissero gli altri musicisti. Era finita la vita che loro avevano programmato per lui ed era iniziata una vita nuova, nella quale doveva lavorare se voleva andare avanti, se voleva frequentare quella scuola terribilmente costosa e se non voleva vedersi costretto ad abbandonare la musica.
Quando era successo aveva solo diciotto anni, ma la musica era l'ultima cosa che si sarebbe lasciato scivolare tra le dita. La musica non l'aveva mai tradito e mai l'avrebbe fatto, lei era l'unica cosa che mai l'avesse fatto sentire vivo, e di certo non l'avrebbe scaricata solo perchè i suoi genitori - pur fieri della borsa di studio parziale per l'accademia - lo stavano lasciando in mezzo ad una strada solo perchè si era ribellato al proprio futuro programmato, ribellato all'assenza del violoncello elettrico nella propria vita.
La musica non l'aveva tradito, e lui di certo non avrebbe tradito lei.
Fatto sta che aveva dovuto trovarsi un lavoro, e l'unica cosa che gli piacesse fare o che in realtà sapesse fare era proprio la musica. L'unica cosa che non lo stancasse mai, l'unica che non lo annoiasse, che gli mettesse allegria. L'unica cosa, nel miliardo di lavori che avrebbe potuto cercare nella capitale inglese, che riuscisse a dargli la soddisfazione di saper fare qualcosa, di far capire a qualcuno cosa significasse la musica e magari di far diventare la musica stessa parte integrante della vita di qualcun altro.
E dare lezioni di musica lo faceva sentire bene, lo faceva sentire importante, utile a qualcosa. Forse convinto nel profondo - o era soltanto speranza - che con il passare del tempo uno dei suoi piccoli allievi sarebbe diventato bravo a suonare almeno la metà di quanto dicevano tutti fosse lui. Dare lezioni di musica gli faceva incanalare la rabbia in altro modo che non fosse suonare, per una volta, o più semplicemente la rabbia sembrava sparire e basta... per poi ricomparire quando la lezione finiva e i pensieri tornavano alla sua mente prepotenti come sempre o forse più di prima.
Solo, quel giorno di inizio maggio, la sua mente era altrove.
Concentrata su un paio di labbra che non aveva avuto il coraggio di sfiorare con le proprie, sull'odore dello shampoo di una ragazza riccia che non riusciva a scrollarsi dai pensieri, sulla presa della sua mano piccola contro la propria camicia quando l'aveva tirata via appena in tempo prima che si facesse male, sul modo in cui le sue iridi verde giada fossero finite in automatico sulle proprie labbra che non era riuscito a non mordere - come non era riuscito a non ricambiare lo sguardo alle sue, di labbra, che tremavano ancora un po' dalla paura.
Aveva ripensato a quel momento tutta la settimana, cercando di scacciarlo dalla mente, cercando di pensare ad altro, cercando disperatamente di far finta di nulla. Ma come avrebbe potuto far finta di non aver voluto baciarla, quando poi si ritrovava ad accompagnarla in stanza tutte le sere, o a parlarle nei corridoi o a lasciarsi prendere sottobraccio perchè ormai era troppo normale per non lasciarglielo fare? Come avrebbe potuto evitare di pensare a come si sarebbe sentito se si fossero baciati, quando anche lei non faceva altro se non guardargli le labbra e guardarlo negli occhi e distogliere lo sguardo arrossendo?
E, quel giorno di maggio - mentre avrebbe dovuto spiegare alle gemelle Carter come leggere un pentagramma - in realtà stava pensando alle labbra di Esme, ai suoi occhi verdi o alla sua abitudine di salutarlo con un sorriso e muovendo le dita della mano prima di lasciarlo da solo a rimuginare su quanto fosse davvero incredibile quel mezzo sorriso. In realtà quella era l'ennesima volta in cui si ritrovava a pensare a quelle labbra, alla dolce tortura a cui si sarebbe sottoposto pur di averle sulle proprie; era l'ennesima volta che finiva per immaginare come fossero, quelle labbra, quanto potessero essere soffici, di cosa avrebbero potuto sapere quando le avesse sfiorate...
E semplicemente era il suo pensiero fisso, non riusciva a smettere di pensarci.
Esme era nella stessa situazione, con la differenza che invece di insegnare musica ai figli dei ricconi si era dovuta accontentare di un umiliante e sottopagato lavoro come barista nella caffetteria poco distante dall'accademia.
Ma, come Zayn, la sua mente era annebbiata dal ricordo onnipresente di come lui l'aveva salvata da quell'amplificatore; fissa sulla stretta che le aveva circondato il polso e l'aveva tirata forte; fissa sul respiro che le era mancato all'improvviso quando era finita schiacciata addosso a lui, col suo odore nelle narici e la sua clavicola coperta dalla camicia leggera ad un millimetro dal proprio naso; fissa sul modo in cui aveva continuato a sfiorarle il polso fino a calmarla, fino a sentire il suo cuore tornare a battere in modo regolare.
Come Zayn, non riusciva a smettere di pensare a quel momento - a cui aveva inevitabilmente pensato per tutta la settimana - in cui chiamandola "gattina" si era preoccupato per lei, in cui l'aveva tenuta stretta a sè come avesse avuto paura di romperla, in cui lei come lui non aveva potuto evitare di spostare lo sguardo dai suoi occhi scuri alle sue labbra carnose, umide di saliva e di preoccupazione per lei.
E, come Zayn, aveva immaginato la consistenza di quelle labbra per ore intere, aveva continuato a guardarle giorno dopo giorno mentre se le mordeva appena quando lo salutava con la mano e con un mezzo sorriso che non riusciva mai a fermare. Aveva pensato di morderle, quelle labbra, di sfiorarle appena, di farsi sfiorare il piercing al labbro inferiore mentre le mani le vagavano fino ai suoi capelli senza che nemmeno lei se ne rendesse conto. Aveva passato di passarci un dito sopra e di sentirne la consistenza, aveva immaginato il suo respiro di sigarette e musica contro la pelle fino quasi a sentire la testa girare e rendersi conto di avere le palpebre abbassate.
Ma quel giorno di maggio aveva il giorno libero, così aveva deciso di prendersi un paio d'ore in teatro. Aveva fatto male i conti, se pensava che la musica l'avrebbe distratta da lui - in fondo nemmeno servire caffè per sei ore filate riusciva a distrarla da lui, dalle sue labbra, dai suoi occhi troppo profondi per non essere notati e dalle sue braccia che quando la abbracciava sembravano essere nate apposta per quello. Quel giorno di maggio era un giorno come tutti gli altri da quando l'aveva conosciuto. Quel giorno di maggio aveva talmente tanti pensieri per la mente e quasi tutti riguardavano lui, che sarebbe stato quasi impossibile riuscire a cantare qualcosa decentemente.
Anche se era da sola in quel teatro vuoto. O forse proprio per quello.
Perchè era strano, ma era come se si fossero entrati dentro, l'uno sotto la pelle dell'altra. Come se una volta entrati in contatto non riuscissero più a staccarsi, a lasciare la presa, a lasciarsi scivolare via, liberi di tornare a respirare, di far battere i cuori normalmente. Come se i loro sguardi si fossero fusi l'uno dentro l'altro e non riuscissero più a separarsi. Come se si fossero finalmente trovati senza sapere di essersi cercati.
Ed era strano, ma Esme smetteva di tremare quando lui la sfiorava.
Smetteva di pensare troppo, di mordersi le labbra. Smetteva di essere nervosa al solo sentire le punta delle dita di Zayn sfiorarle una mano, un braccio; al solo essere toccata anche per sbaglio da lui, sentiva il resto scivolarle via di dosso, sentiva l'aria arrivarle prepotente nei polmoni, sentiva le mani smettere di tremare e i brutti pensieri tornare al proprio posto - dove tentava sempre di nasconderli. Strano come solo Zayn riuscisse a farle quell'effetto, ma lei di certo non l'avrebbe fermato, nè sarebbe scappato dalla presa di quelle dita o dal tocco di quella pelle. Egoista, forse, ma non le sarebbe potuto importare di meno.
Era strano, ma Zayn non riusciva a smettere di farlo.
Sfiorarla anche solo per un istante, anche solo per sbaglio, gli veniva naturale come respirare. Perchè non voleva che lei tremasse, non voleva che stesse male, non voleva che pensasse troppo se significava che iniziasse a mordersi le labbra fino a rischiare di sanguinare. Sfiorarla gliela faceva sentire più vicina, forse addirittura un po' più sua. Sfiorarla lo faceva respirare con più leggerezza; sfiorarla lo faceva sorridere, quando la vedeva sciogliersi sotto al suo tocco - anche se durava appena il tempo di un respiro.
Esme stava giusto pensando a quello, alla strana delicatezza con cui lui la toccava sempre. Come ne avesse davvero bisogno, come se la toccasse per rendersi davvero conto della sua esistenza. Ci stava pensando, coi capelli ricci legati in quello che sarebbe dovuto essere uno chignon e una matita tenuta stretta tra le labbra struccate, con addosso una maglietta troppo grande per lei e presa a caso dall'armadio e il solito paio di jeans stretti strappati sulle ginocchia. Ci stava pensando, circondata da un mare di spartiti che invadevano il parquet, mentre lei vi stava in mezzo, seduta a gambe incrociate sul legno scuro e con un quaderno in equilibrio precario sul ginocchio.
Gli occhi verdi tenuti chiusi, mentre immaginava come avrebbero potuto suonare le note che Zayn le aveva scarabocchiato ovunque. Le palpebre tenute abbassate, si accorse a malapena della porta che si apriva cigolando o del leggero rumore delle ruote di un carrello che scorrevano sul parquet; se ne accorse solo quando lo sentì sorridere; se ne accorse solo quando la sua mezza risata divertita le arrivò alle orecchie e fu costretta ad aprire gli occhi e schiudere improvvisamente le labbra al vederlo, perdendo la presa sulla matita che cadde tra le sue gambe fermando il silenzio e coprendo quella risata che non avrebbe mai smesso di riascoltare.
«Ciao...».
Sembrava che Esme perdesse ogni pensiero e ogni capacità di spiccicare parola, in sua presenza. Sembrava che persino quel "ciao" le fosse scivolato dalle labbra a fatica, quasi come avesse voluto dire tutt'altro. Sembrava che Esme diventasse la classica dodicenne alla prima cotta in sua presenza, e lo odiava, odiava il proprio essere così e odiava lui per renderla così insicura e imbarazzata... lei non era mai stata così debole, prima che lui arrivasse e suonasse il violoncello in quel modo che le provocava un uragano dentro.
E sembrava che anche solo quel "ciao", seppur sussurrato a fatica ma udito come fosse stato urlato, riuscisse ad abbattere il muro di rabbia che di solito custodiva il cuore di Zayn, sciogliendolo in un sorriso che sembrava nascere apposta perchè lei lo vedesse, apposta perchè lei sorridesse di rimando, apposta per mandarle in crisi ogni pensiero logico appena nato nella sua mente.
Quel sorriso nato da quel "ciao" le scioglieva il cuore e i pensieri in un colpo solo, e lui lo sapeva, alla perfezione.
«Ciao...». Avrebbe voluto dire di più, mentre si chinava per baciarle una guancia, indugiando qualche secondo di troppo solo per sentire il suo odore di caramelle alla menta entrargli dentro. Avrebbe voluto chiamarla "micetta" solo per vederla accennare una smorfia per nascondere il sorriso che però sapeva le stesse covando dentro. Avrebbe voluto tirarla su e abbracciarla tanto forte da sentire solo lei, come faceva sempre ma mai abbastanza.
«Ho già finito il tempo? Cazzo...», borbottò con una risatina passandosi una mano sulla fronte, mentre il moro spostava alcuni dei suoi spartiti dal pavimento per sederlesi di fronte, a gambe incrociate anch'egli, in modo che le loro ginocchia in parte scoperte dagli strappi dei jeans entrassero in contatto. Ed Esme si maledisse mentalmente; aveva passato due ore in quel teatro senza concludere nulla che non fosse pensare al ragazzo che in quel momento le stava di fronte e guardava il quaderno che teneva sul ginocchio con un sorriso furbo e la testa leggermente inclinata da un lato. «Che c'è?», gli chiese mordendosi un labbro, vittima di quello sguardo così intenso da respirare a fatica.
«Hai trovato i miei appunti, a quanto pare».
Il ragazzo trattenne una risata divertita, passandosi una mano tra i capelli per nascondere il sorriso che gli aveva appena increspato le labbra. Trattenne una risata, al vederla sollevare le sopracciglia e storcere leggermente il naso - era troppo bella quando lo faceva, ed era inutile negarlo, inutile che lui continuasse a negare quanto la trovasse meravigliosa. Esme sarebbe voluta scoppiare a ridere, ma si limitò a passare lentamente la lingua sulle labbra, indugiando sul piercing, sorridendo tra sè quando vide l'altro deglutire, sollevata dal fatto che non fosse l'unica a sentirsi debole, impotente e fragile quando si trattava di lui - a Zayn succedeva la stessa cosa quando la guardava o la ascoltava ridere, e lei se n'era appena accorta, come avesse appena trovato il suo punto debole, il suo tallone d'Achille.
Beh, era difficile non trovarli. «Il problema è che non ho idea di come farle suonare», mormorò appena, recuperando la matita da terra e riposizionandosela tra le labbra, guardandolo dritto negli occhi e trattenendo una risata. Stare con lui la faceva ridere, e ancora non era riuscita a scoprirne il motivo, il perchè in sua presenza le venisse così tanto da ridere, il perchè con lui riuscisse ad essere se stessa, tanto spontanea e maliziosa da vedere i propri muri crollare come un castello di carte sotto una folata di vento.
E davvero non aveva idea di come far suonare quelle note o di come lui le avesse composte - cosí in disordine e senza un filo logico e senza nemmeno un motivo. Non aveva idea di come farle funzionare, né di come immaginarne il suono nella propria mente, tanto per giocare. Non sapeva come comportarsi, con quelle note; non sapeva se sentirle completamente proprie o se considerarle solo di Zayn o se, ancora, considerarle di entrambi - come una collaborazione, una scrittura a quattro mani, un duetto.
Non ne aveva idea, Esme, ma nemmeno ci fu bisogno di chiedere a Zayn. Nel tempo in cui lei stava impiegando a formulare una frase che avesse un minimo di senso, lui si stava già sollevando da terra e stava già aprendo la custodia del violoncello elettrico con un mezzo sorriso ad increspargli le labbra piene. Nel tempo in cui lei avrebbe messo in ordine i pensieri, lui si stava arrotolando le maniche della camicia bianca fino ai gomiti e stava liberando i primi due bottoni dalle rispettive asole fin troppo lentamente, tanto lentamente che per Esme era allo stesso tempo difficile guardarlo e impossibile smettere di farlo.
E ogni volta che lo osservava avvicinare l'archetto alle corde sembrava essere la prima. Ogni volta che note nuove - o sempre le stesse - venivano emesse dal suo violoncello e le arrivavano alle orecchie, sembrava sempre di assistere alla nascita di qualcosa di meraviglioso, perchè ogni volta che lui suonava in sua presenza le sue dita davano vita alla miglior musica che potessero creare. Ogni volta che lo sentiva suonare era come la prima e lungo la schiena Esme sentiva nascere un brivido che era sempre più intenso di volta in volta ma che allo stesso tempo sembrava essere sempre uguale e sempre lo stesso.
Ascoltarlo suonare quelle note però era diverso. Era più intenso. Emotivamente più distruttivo, se pensava che quelle note doveva averle scritte sui suoi appunti sperando probabilmente che le trovasse, o se pensava - con un sorriso impossibile da trattenere - che forse quelle note le aveva ispirate proprio lei, che forse le aveva scritte apposta per lei. Erano note lente, lunghe, le più intense che gli avesse mai sentito suonare; e le si abbassarono le palpebre, mentre al contrario lui non riusciva a smettere di guardarla o di suonare quella serie di suoni ispirati dal suo sorriso; le si chiusero gli occhi color giada, mentre immaginava i suoni che sarebbero potuti venire dopo o le parole che la propria voce avrebbe potuto cantarci sopra.
Suonare quelle note era differente anche per Zayn, diverso da qualsiasi cosa avesse mai composto o suonato, diverso perchè gli arrivava direttamente dal cuore e diverso perchè quelle poche note erano l'effetto che gli faceva pensare ad Esme e a quelle labbra che tanto avrebbe voluto avere il coraggio di baciare. E smettere di guardarla era impossibile, mentre schiudeva le labbra, inclinava la testa dal un lato e rilassava completamente i muscoli delle spalle con un mezzo sorriso sulle labbra rosa; impossibile, quando la vide sfarfallare le ciglia e risollevare le palpebre, leccarsi piano le labbra e voltare le pagine del quaderno fino a trovarne una bianca, prima di scriverci un paio di righe, alzarsi da terra scompostamente e avvicinarsi a lui col labbro intrappolato tra i denti, a mostrargli la pagina.
La pagina che prima era bianca.
In quel momento c'era una serie di note, che Zayn prese a suonare con un sopracciglio leggermente inarcato, accorgendosi poi - mentre prendevano vita - che sembravano suonare alla perfezione, di seguito a quelle che aveva composto lui. Le suonò come fossero la continuazione del proprio respiro, come venissero dal proprio cuore e non da quello di lei, come se quelle note li collegassero più di quanto già non fossero.
Al musicista venne da ridere, a quel pensiero. Perchè il loro rapporto era già strano così, senza che pensassero le stesse note e li stessi suoni. Rise piano, guardandola mentre anche lei tratteneva una risata inarcando ironicamente un sopracciglio. E rise più forte, smettendo poi di suonare mentre lei gli lanciava un foglio di carta appallottolato scoppiando a ridere con lui, passandosi una mano tra i capelli ricci e osservando il suo sorriso, le pieghe intorno agli occhi e il naso appena appena arricciato.
«Come fai a capirci qualcosa con questo casino, Esmeralda?».
La ragazza alzò gli occhi al cielo, sorridendo dentro di sè perchè il proprio nome per intero detto dalla sua voce, scivolato via dalle sue labbra, suonava terribilmente bene. Come una melodia, un segreto, o una preghiera sussurrata con un filo di voce in una chiesa vuota che odora di fiori e acqua santa. Il proprio nome detto per intero da lui era tutta un'altra cosa - non riusciva nemmeno ad odiarlo come faceva di solito, da quanto alle sue orecchie suonavano bene quelle nove lettere.
«Casino?».
Le venne da ridere. Quello era semplicemente disordine controllato. E fu esattamente in quel momento - pensando all'effettivo disordine che la circondava - che si accorse della completa assenza di spartiti nella vita di Zayn. Sollevò entrambe le sopracciglia e inclinò la testa da un lato, di fronte a quella scoperta. E la sua espressione confusa lo fece semplicemente scoppiare a ridere con la gola esposta e la testa buttata all'indietro, prima che le spiegasse che lui imparasse tutto a memoria. Orecchio assoluto e una memoria fotografica da far paura, era il suo unico segreto.
«Come tu impari le canzoni, io imparo le note... lo so che sembra difficile, è solo questione di abitudine, piccola».
Quel "piccola" le fece perdere un battito. La fece arrossire appena sulle guance, senza che riuscisse a fermare il sangue dall'affluire al proprio viso sempre un po' pallido. Quella parola la fece sorridere, perchè non era mai stata tipa da nomignoli ma detto da lui sembrava tutto stranamente migliore, sembrava tutto stranamente più bello.
«Comunque io nel mio casino ci convivo benissimo, ragazzo prodigio».
E passarono tutto il resto del pomeriggio in quel teatro a provare. A comporre. A scrivere note nuove su un pezzo di carta che Esme avrebbe perso nella tracolla e di cui forse Zayn non avrebbe più fatto parola. A cantare parole nuove cercando di dare loro un senso. A sorridersi e lanciarsi pezzi di spartiti appallottolati. A fissare il soffitto l'uno accanto all'altra, a volte anche senza dire niente, semplicemente perchè il silenzio bastava a colmare il vuoto, o forse perchè non c'era nessun vuoto da riempire.
Passarono il pomeriggio più vicini di quanto non fossero mai stati, separandosi solo quando all'improvviso il ragazzo si sollevò da terra con una mezza risata - provocata dallo sguardo confuso della ragazza, che aveva ancora il suo odore nelle narici quando si accorse che si stava allontanando - e si sistemò sulla seggiola posta al centro del palco, col violoncello posizionato tra le gambe divaricate e la camicia ancora come l'aveva sistemata quando le aveva suonato quelle poche note (pericolosamente sbottonata, insomma).
«Che stai...?».
Ma le sue parole, dette come sempre con un filo di voce quando era sola con lui, vennero fermate dal cozzare lieve dall'archetto contro le corde. Come sempre. I brividi erano sempre quelli, Zayn era sempre lo stesso... ma quella canzone... quella era la canzone che cantava giorno dopo giorno in sala di registrazione. La canzone che lui doveva averle sentito cantare un'infinità di volte senza mai stancarsene. La canzone che parlava di lei, delle sue paure, delle insicurezze che le attanagliavano lo stomaco.
La canzone che le permetteva di restare fedele a sè stessa.
Just be truth to who you are, diceva. E lei l'aveva sempre presa alla lettera. Le era venuto da piangere la prima volta che l'aveva sentita, aveva pianto la prima volta che l'aveva cantata in sala di registrazione. Le si spezzava sempre un po' la voce, ogni volta che la cantava. Veniva travolta dall'emozione e faticava a respirare e... finiva per piangere col sorriso, perchè quella era una delle canzoni che la faceva andare avanti, che la faceva respirare a pieni polmoni quando la cantava, che la calmava, che le faceva esprimere ogni briciola di quel che sentiva dentro. Che la faceva sentire viva, semplicemente.
E lui la stava suonando come se nulla fosse. Come se non sapesse cosa significasse per lei, come non le avesse mai visto le lacrime agli occhi e non avesse mai sentito la voce spezzarlesi come vetro infranto sempre sulle stesse note, sulle stesse parole. Sempre nel momento in cui la sua mente ripercorreva tutta la propria vita e avrebbe solo voluto piangere, ma c'era quella canzone e c'erano quelle note... e Zayn le stava sentendo dentro nello stesso modo in cui le sentiva lei ogni volta che le cantava. Era incredibile come stesse prendendo un sentimento non suo e lo stesse facendo proprio, facendo sentire alla cantante lo specchio delle sue emozioni.
Come se lei fosse davanti ad uno specchio e la stesse cantando.
Come se le emozioni che lei faceva fluire via le tornassero indietro, colpendola con la stessa forza con cui le lasciava andare, la stessa con cui se ne liberava. Tornavano indietro come schiaffi, come pugni nello stomaco, in un certo senso come memorie che avrebbe volentieri voluto scordare. E le venne da piangere, anche se era davanti a lui, anche se odiava che qualcuno - chiunque fosse - la vedesse così debole. Le venne da piangere perchè quella canzone era semplicemente il suo punto debole, perchè quelle erano le parole che avrebbe voluto saper scrivere e perchè come la stava suonando Zayn era davvero troppo per non sciogliersi. Sarebbe riuscito a far sciogliere chiunque, Esme ne era sicura.
«Ehi...». Non si era nemmeno accorta della fine della canzone. A malapena sentiva le lacrime rotolarle lungo le guance. A malapena sentiva la voce di Zayn arrivarle alle orecchie, tramortite dai piccoli singhiozzi che non riusciva a trattenere. «Esme...», la chiamò il ragazzo lasciando il violoncello e andandole accanto, abbassandosi al suo livello e notando le palpebre abbassate e le labbra che le tremavano come foglie in autunno. «Guardami, Es... stai bene?», provò ad aggiungere in un sospiro, senza riuscire a nascondere la preoccupazione nella propria voce.
«H-hai imparato una delle mie canzoni, Zay...».
Riuscì finalmente a guardarlo negli occhi, asciugandosi di fretta le guance e tirando su col naso, facendolo sorridere appena - un po' per il gesto tanto tenero e un po' per come l'aveva chiamato. Solo Sky lo chiamava in quel modo, e l'aveva sempre trovato ridicolo. Ma detto da lei era tutta un'altra storia. Detto da lei era musica, anche se stava ancora piangendo e tratteneva a stento altre lacrime e altri singhiozzi e altra emozione.
«E' una bella canzone, no?».
In qualche modo riuscì a farla ridere, anche se pianissimo, mentre annuiva appena e si passava una mano tra i capelli. Cercava di calmarsi, Esme, ma non riusciva a smettere di pensare a come si sarebbe sentita se ci avesse cantato sopra, se avesse provato a sovrapporre la propria voce al suono carezzevole del violoncello del ragazzo. «Scusami... dio, sono un disastro... e mi hai vista piangere, cristo...». Quella volta fu lui a ridacchiare, prima che le posasse un bacio sulla fronte - come per tranquillizzarla - e le sussurrasse un "sei bellissima comunque" a fior di pelle, perfettamente udibile nel silenzio dell'auditorio deserto.
Lei sbattè velocemente le palpebre ancora umide di lacrime, cercando di assimilare quelle tre parole. Soprattutto due delle tre, in realtà. Sei bellissima. Era davvero troppo che non se lo sentiva dire, troppo che non ci credeva, troppo che subito dopo esserselo sentito dire non le spuntava in automatico un sorriso sulle labbra - uno di quelli veri, coi denti scoperti, uno di quelli che si fanno fatica a trattenere da quanto sono spontanei e sinceri. Quindi sorrise, Esme, del sorriso più vero che le sue labbra rosa fossero mai riuscite a creare. Sorrise seza riuscire a fermarsi e senza riuscire a smettere di farlo, asciugandosi le lacrime e prendendo un respiro profondo prima di alzarsi da terra e lisciare inutilmente le pieghe sui jeans. Sorrise di fronte all'espressione serena di Zayn - che sembrava anche impressionato dal suo riuscire a calmarsi così, nel giro di pochi istanti, con solo quelle due parole che le aveva sussurrato senza pensarci ma pensandole e credendoci con ogni fibra di se stesso.
«Posso farti sentire una cosa? Non l'ho cantata davanti a nessuno... non so neanche se ne sono capace in realtà...», borbottò improvvisamente poco convinta e in imbarazzo. Gesticolò nervosamente, osservando Zayn sedersi a gambe incrociate sul parquet, prima di prendere un respiro fondo e sistemarsi un riccio dietro l'orecchio. Non avrebbe dovuto avere paura, non di lui, non di cantare davanti a lui quando l'aveva già sentita decine di volte, non di... di cosa aveva paura, davvero? «No, okay, non lo so...».
«Canta e basta, Esme», le disse lui con un mezzo sorriso.
E in qualche modo riuscì a convincerla. Quel sorriso la convinse a chiudere gli occhi e lasciar scivolare le parole della canzone come stesse semplicemente respirando; quel sorriso la spinse a cantare a bassa voce ma con tutta la forza che aveva dentro, la spinse ad esprimere ogni emozione con tutta se stessa, come avesse voluto far capire davvero a Zayn come si sentiva quando cantava quelle parole, come avesse voluto fargli capire tutto quel che aveva passato - o quasi - con una canzone.
In qualche modo i suoi occhi riuscirono a darle la spinta che le serviva per cantare. Fighter era un'altra delle sue canzoni, di quelle che a mano a mano che le cantava la rendevano più forte; Fighter era essere forti nonostante le debolezze, il dolore o le persone che se ne andavano senza nemmeno lasciare uno straccio di spiegazione, perchè quelle debolezze e quel dolore - e le persone che se ne andavano, anche - l'avevano resa una guerriera; Fighter le aveva fatto capire che non si sarebbe dovuta arrendere, mai, anche se c'erano tanti - troppi - muri da abbattere e le sembrava di non avere la forza necessaria per farlo.
Canta e basta. Ed Esme cantò e basta.
Le prime parole solo sussurrate, ma poi dette col coraggio e la determinazione di sempre. Come se avesse avuto colui che le aveva fatto male di fronte e gli stesse dicendo tutto quello che non era mai riuscita a dirgli. Non ce l'aveva con Louis per averla tradita o per essersene andato da un giorno all'altro sparendo dalla sua vita quasi non fosse mai esistito. Non riusciva più ad avercela con lui, non riusciva nemmeno più a ricordare come fosse stato amarlo, come fosse stato essere completamente sua e sorridere e farsi accarezzare la schiena con le labbra dopo aver fatto l'amore.
Louis era la persona di cui si fidava di più al mondo.
L'aveva tradita e abbandonata.
Ma lei avrebbe solo voluto ringraziarlo.
Avrebbe voluto ringraziarlo perchè ogni lacrima che aveva versato per lui l'aveva resa più forte, perchè ogni notte insonne l'aveva resa pià saggia, le aveva permesso di imparare a non fidarsi troppo delle persone perchè nei suoi confronti esse sembravano esser fatte apposta per scappare e lasciarla sola coi propri demoni. Avrebbe voluto dirgli grazie per averla resa in grado di pensare con la propria testa, per essersi posta degli obiettivi, dei sogni.
Avrebbe dovuto ringraziarlo per averla resa quel che era in quel momento, in quel teatro vuoto con Zayn come unico spettatore, che la guardava come si guarda il cielo tingersi di rosso al tramonto e la ascoltava rapito, sorpreso, paralizzato da tutti quei sentimenti che gli arrivavano addosso come proiettili e gli finivano sotto pelle senza più riuscire a trovare nè a cercare la via d'uscita. Zayn continuava a guardarla e sentiva sempre più brividi lungo la schiena, sempre più il desiderio di prenderla tra le braccia e stringerla fin quasi a farla sparire.
Esme avrebbe voluto ringraziare Louis.
«So thanks for makin me a fighter...».
Di nuovo a voce bassa, quell'ultima frase. Un sussurro, rispetto agli acuti che avevano spezzato l'aria fino a qualche secondo prima. Un sussurro che il violoncellista sentì direttamente sulle proprie ossa, ancora tremanti dall'ultimo acuto che le aveva invase con quella voce potente e profonda. Sembrava un'altra persona quando cantava, e di certo non avresti detto che da quel corpicino così minuto sarebbe potuta venir fuori tutta quella voce, senza alcuno sforzo.
«Wow», mormorò il ragazzo, mentre l'ultima parola usciva dalle sue labbra e gli arrivava alle orecchie accarezzandole e quasi facendogli il solletico. Aveva ancora gli occhi leggermente sgranati dall'ultima nota decisamente impressionante che aveva emesso sorridendo e le labbra schiuse dalla sorpresa di averla sentita cantare... così. Era semplicemente incredibile, e l'unica parola che era riuscito a pronunciare era probabilmente l'esclamazione più stupida che avrebbe potuto dire.
«Wow?».
«Sei incredibile... mi hai appena lasciato senza parole, micetta».
La vide arrossire appena, nonostante la penombra, nonostante tutto. La osservò passarsi la mano tra i capelli e lanciare un'occhiata all'orologio che portava al polso, anche se sembrava che non volesse farlo, che non volesse dirgli che se ne stava andando - con una scusa parecchio banale, tra l'altro. Sembrava che Esme volesse rimanere con lui, ma volesse anche andarsene e scomparire e magari smettere di pensare a quegli occhi che le ricordavano il buio e quelle labbra che tanto avrebbe voluto baciare. «Beh... dovrei andare, Zayn... dovrei già essere con Iris e Roxanne e...».
Lui si alzò dal parquet e le diede un rapido bacio sulla guancia. Non riuscì a dire una parola mentre la guardava raccogliere i propri spartiti, nè mentre si metteva seduto col violoncello tra le gambe e l'archetto stretto fin troppo forte tra le dita. Non la guardò nemmeno mentre tratteneva uno sbuffo irritato e usciva dal teatro, anche lei senza riuscire a dire una parola. Si riscosse solo quando sentì qualcuno schiarirsi la voce e si accorse di Sky - coi capelli azzurri raccolti in una treccia e un'espressione decisamente stranita sul viso stranamente poco truccato.
«Spiegami per quale motivo l'ho sentita imprecare mentre usciva di qui».
«Perchè sono un coglione, Sky».
«Bene, e ora che l'abbiamo reso ufficiale, alza quel bel culo che ti ritrovi e vai da lei, cristo!». Il musicista scoppiò a ridere davanti a quelle parole, pensando inizialmente che non fosse così semplice. Insomma, non poteva lasciare tutto lì e correrle dietro. O poteva? «Zay, dico davvero... muoviti e vai da lei, ora. Il violoncello te lo riporto in camera io, ma vai...».
E non seppe come controbattere, forse non c'era nulla con cui sarebbe riuscito a tenerle testa. Avrebbe potuto continuare a negare tutto, continuare a negare quanto avrebbe voluto correrle dietro, afferrarla per un polso, tirarsela contro e baciarla. Baciarla e basta. Baciarla fino a non poterne più e sentire i polmoni bruciare per la mancanza d'aria e sentirla sussurrare il proprio nome labbra contro labbra e...
Schioccò velocemente un bacio sulla guancia della propria migliore amica, facendola scoppiare a ridere, prima di correre in corridoio con una mano incastrata tra i capelli e trovarlo vuoto. Completamente deserto. «Cazzo...», borbottò tra sè prima di raccogliere le idee e salire le scale per i dormitori femminili. Meno male che conosceva le sue migliori amiche, o a quel punto avrebbe sicuramente dato di matto.
A Esme invece tremavano le mani. Le veniva da piangere.
E avrebbe davvero voluto avere le palle di prendere Zayn per il colletto della camicia sbottonata e baciarlo. Baciarlo e basta, senza stare a pensarci troppo perchè più ci pensava e più giocava col piercing e più le sembrava di impazzire. Avrebbe voluto avere più coraggio di restare e meno forza di scappare. Scappava sempre, scappava per paura di... tutto, in pratica. Paura di lui, di non riuscire a spiccicare parola, paura di toccarlo, paura quasi di respirare in sua presenza.
E quando Esme aveva paura saliva sui tetti. Si sedeva con lo sguardo rivolto al cielo e componeva, cantava, o qualsiasi altra cosa riuscisse a farle passare la paura. A volte bastava poco, come la vista delle stelle sullo sfondo nero del cielo. A volte non riusciva a smettere di piangere e doveva chiamare Michael perchè corresse ad abbracciarla e facesse scomparire il panico solo sussurrandole che sarebbe andato tutto bene.
C'era un tetto in particolare, su cui Esme amava salire in quei momenti. Nessun grattacielo dagli innumerevoli piani. Era un palazzo di dodici piani, dal quale se ci si saliva di giorno si poteva vedere il cortile dell'orfanotrofio dov'era cresciuta - ed erano in pochi a saperlo, pochi a cui l'aveva voluto dire perchè si fidava più di quanto non facesse con sè stessa.
Non c'era nemmeno bisogno di chiederlo, a Zayn l'avrebbe detto.
Arrivare su quel tetto era automatico, spontaneo come respirare. Poi sollevava lo sguardo al cielo e guardava le stelle e le sembrava di riuscire addirittura a contarle. Perdeva il conto, ricominciava da capo, e finiva per ridere da sola, di se stessa, delle sue inutili paure e degli stupidi pensieri che le affollavano la mente anche quando non avrebbero dovuto, anche quando avrebbe dovuto fare di tutto per impedirsi di pensare.
Arrivare su quel tetto era la sua piccola salvezza.
E su quel tetto sembrava tutto più giusto.
Anche volere Zayn così tanto da far male.
Un'ora e centottanta scalini dopo, Zayn si passò una mano tra i capelli reprimendo un sorriso, al sentirla cantare a mezza voce parole familiari, che le aveva sentito cantare decine di volte in sala di registrazione, ma non ne aveva capito il vero significato fino a quel momento. E' solo un'altra notte e sto guardando la luna, passa una stella cadente e penso a te, canto una ninna nanna in riva al mare e so che se fossi qui la canterei a te. Lanciò un'occhiata al cielo scuro e stranamente limpido sopra le loro teste, appena in tempo per vedere una stella cadere, con la sua scia terribilmente bianca a spiccare nel cielo nero anche se solo per un istante, il tempo che ci avrebbe messo un'onda ad infrangersi contro uno scoglio.
«Esprimi un desiderio», mormorò il ragazzo, tanto piano da non essere sicuro che lei l'avesse sentito, almeno finchè non la vide irrigidire le spalle ma senza voltarsi, nascondendogli il sorriso che le spuntò inevitabilmente sulle labbra al solo sentire il suono nella sua voce. E' stato appena esaudito. Esme avrebbe voluto dirlo, almeno sussurrarlo, ma non ne ebbe il coraggio; riuscì a malapena a voltarsi verso di lui, ancora con le braccia incrociate sotto al seno e le labbra ancora schiuse dalle parole che aveva canticchiato prima che lui arrivasse. «Ciao...», sussurrò ancora Zayn, stavolta guardandola negli occhi senza trattenere un sorriso - uno dei suoi, di quelli con la lingua tra i denti e le pieghe intorno agli occhi e il naso arricciato.
E alla ragazza scappò l'accenno di una risata, mentre si tratteneva a stento dall'alzare gli occhi al cielo davanti al quel saluto. Non si vedevano da quanto, due ore? Eppure sembrava davvero che Zayn la stesse salutando come si fa con chi non si vede da anni, in un sussurro appena udibile che avrebbe potuto benissimo essere inteso come un segreto. E eppure, per quanto odiasse ammetterlo, le era mancato.
Più di tutto, il suono della sua voce.
Più di tutto, l'effetto che le faceva quando la guardava.
«Come mi hai trovata?», gli chiese mordendosi appena il labbro inferiore, per poi trattenere tra i denti un'estremità del piercing - per un istante, quanto bastava da far trattenere il fiato al violoncellista, nonostante la poca luce, nonostante tutto. Le venne spontaneo indietreggiare di un paio di passi, mentre lui ne faceva altrettanti in avanti, verso di lei. Come volesse inseguirla, lui; come stesse scappando e non aspettasse altro che essere inseguita, lei. Costretta a fermarsi al sentirsi collidere contro la balaustra della terrazza, gli occhi verdi ancora fissi in quelli più scuri di Zayn e un mezzo sorriso ancora ad incresparle le labbra, riflesso del suo.
E Zayn fece solamente un gesto con la mano come se non fosse importante, pur continuando a sorridere pensando a come avesse bussato con poca grazia alla porta della stanza di Iris - trovandosi però Roxanne di fronte con un sopracciglio inarcato e tutte le intenzioni di nascondere la bionda dietro di sè. Il ragazzo non aveva fatto troppe domande, aveva semplicemente chiesto dove fosse Esme, ricevendo la risposta con una mezza risata e senza troppa fatica.
«Le tue amiche...».
«Ovviamente», mormorò la mora alzando gli occhi cielo.
«Non avrei saputo aspettare domani, okay? Io... devo solo dirti una cosa, non riesco più a tenermela dentro e niente...». La ragazza si morse un labbro per non ridere, sentendo poi la risata incastrarlesi in gola quando lo vide avvicinarsi ancora, tanto vicino e imponente da impedirle ogni pensiero coerente - insieme alla fuga. Tanto vicino che era quasi come abbracciarlo ma senza poterlo toccare, tanto vicino da avere il suo odore nelle narici e non riuscire a smettere di guardargli le labbra e gli occhi e di nuovo le labbra. Sentirlo così confuso era strano, ma allo stesso tempo quella confusa era lei - confusa dai suoi occhi, dalle parole che le stava dicendo, da quelle labbra che, diamine, erano troppo da sopportare, soprattutto a quella distanza. «Posso parlare o pensi che scoppierai a ridere?».
Sono proprio belli, i tuoi occhi. Ma prese un respiro profondo e non disse nulla, limitandosi ad annuire. Limitandosi ad abbassare le palpebre per un secondo al sentire la sua mano posarlesi sul fianco, con le punte delle dita a sfiorarle la pelle sotto la maglietta cospargendola di brividi e pelle d'oca. Limitandosi a riaprire gli occhi e ritrovare ancora i suoi sul proprio viso, ancora fissi su di lei come stesse guardando chissà quale dipinto o ascoltando chissà quale sinfonia. Sì, sono proprio belli. Come l'alba, la neve che cade e la coda delle comete.
Il ragazzo prese un respiro profondo, pensando esattamente la stessa cosa riguardo i suoi, di occhi. Con la piccola differenza che lui li avrebbe paragonati al tramonto, alla pioggerella che cade quando c'è il sole e alle foglioline che sbocciano sugli alberi in primavera. «Sono giorni che non riesco a togliermi di mente le tue labbra, Esme». E lo disse in un sospiro, soffiandolo delicatamente contro la sua pelle e senza troppi giri di parole, senza stare a pensarci troppo - chè se avesse continuato a pensarci probabilmente non l'avrebbe detto, non così. «Sono giorni che non riesco a smettere di pensare al suono della tua voce, al modo in cui aggrotti le sopracciglia quando sei confusa, o alla tua cazzo di risata che mi manda completamente fuori di testa... non ci riesco, non riesco a starti lontano», aggiunse sempre più a bassa voce, sempre più vicino - tanto da far male, da respirarlo, da non riuscire a dire nulla.
Non c'era nulla che avrebbe potuto dire senza sentirsi la ragazza più ridicola del pianeta, probabilmente. Nulla che le venisse in mente, mentre senza distogliere lo sguardo da lui si passava una mano tremante tra i capelli mossi dal vento, prima di allungare la stessa mano verso la sua guancia ricoperta dal solito velo di barba e posarcela delicatamente contro, in una carezza che doveva servire a dire tutto quel che le sue labbra non sarebbero riuscite a pronunciare nemmeno se le avesse costrette a farlo. Gli accarezzò la pelle sentendo i peli ispidi della barba farle il solletico sotto i polpastrelli e lasciando che un sorriso le comparisse sul viso mentre quasi in automatico il pollice finiva a sfiorargli le labbra facendole schiudere.
Non era riuscita a trattenersi, e di sicuro Zayn non l'avebbe fermata.
Per nulla al mondo.
«Soo nella tua stessa situazione... da quando mi sono imbucata in teatro e ti ho visto tenere il violoncello tra le braccia», ammise la cantante passandosi la lingua sul labbro inferiore ma senza scostare la mano dal viso del violoncellista, continuando a sfiorarlo come avesse paura di romperlo, come un soffio di vento accarezza un prato facendone oscillare i fili d'erba. «Ho la tua cazzo di risata in loop nel cervello e non riesco a smettere di ascoltarla e sorridere anche io, perchè è troppo bella... i tuoi occhi sono troppo belli e non riesco a non guardarli, non riesco a stare lontana da te, Zayn».
Il cuore le batteva fortissimo contro la cassa toracica, tanto da sentirlo nelle orecchie, tanto che forse anche Zayn lo sentiva, a quella distanza. Sembrava volerle sfondare, quelle poche ossa che lo distanziavano da lui. Sembrava voler uscire e farsi cullare dalle braccia di Zayn, lasciandosi risanare dalle vecchie cicatrici o lasciandosi schiacciare e distruggere. Non avrebbe fatto alcuna differenza, importava solo che fosse lui a farlo. Lui e nessun altro.
E continuò a batterle forte - sempre più forte, quasi da sembrare che le scoppiasse nel petto - mentre si sollevava sulle punte dei piedi aiutata dalla mano di Zayn che ancora la teneva per il fianco, ancora con la mano sotto alla sua maglietta, direttamente a contatto con la sua pelle. Sulle punte per averlo più vicino, per poterlo guardare meglio negli occhi, per avere le sue labbra più vicine e il suono del suo respiro leggermente irregolare direttamente nelle orecchie. Sulle punte per poter guardargli direttamente dentro e cercare di fargli capire - con un solo sguardo - quanto volesse essere baciata.
Smise di battere, per un secondo, al sentire improvvisamente le labbra del moro contro le proprie. Abbassò lentamente le palpebre, incastrandogli in automatico la mano - quella libera dall'accarezzargli la guancia - tra i capelli, mentre la leggera pressione della sua lingua contro le labbra gliele fece schiudere con un sospiro e un sorriso trattenuto a stento dal mostrarsi contro la pelle dell'altro. Lo respirò per qualche secondo, semplicemente fermi l'uno contro l'altra. Si lasciò respirare, lasciò che Zayn le rubasse ossigeno e lo facesse proprio; lasciò che lui le leccasse lentamente tutto il labbro inferiore, senza fermarlo, senza riuscire a farlo; lasciò che le dita di Zayn le scivolassero placide sotto la maglietta, mentre le succhiava appena il labbro e la sua lingua giocava con l'anellino di metallo che portava.
Lasciò che la baciasse come forse nessuno l'aveva mai baciata.
Lo baciò come non aveva mai baciato nessun altro. Con così tanta voglia di baciarlo da fargli venire i brividi lungo la schiena, mentre stringeva appena la presa delle unghie sulla sua nuca facendogli perdere un respiro. Lo baciò sfiorandolo con la lingua come fosse una preghiera - una preghiera a non smettere, a non respirare, a finire il fiato con lei.
E lui si lasciò baciare come volesse essere l'ultima goccia d'acqua nel deserto, l'unica cosa in grado di dissetarla, di rimetterla in forze. Si lasciò baciare lasciando che lei gli rubasse aria direttamente dai polmoni, restituendogliela al respiro successivo e riprendendola a quello dopo. E così via, fino a sentire ognuno il battito di cuore dell'altro nelle orecchie e sentire il respiro cedere in piccoli sbuffi uno sulle labbra dell'altra.
Nessuno dei due però capì chi si staccò per primo.
Zayn era troppo preso dallo sfiorarle la schiena nuda sotto la maglietta, incappando con le dita sul gancetto del reggiseno, respirando più a fondo e tornando indietro. Era impegnato a sentire le sue dita sfiorargli la nuca e tornare ad affondare nel capelli. Impegnato ad osservarla risollevare le palpebre e abbandonare la fronte contro la propria con un sospiro affannato e rotto dal fiato corto.
Esme era troppo presa dalla sfumature terribilmente scura che avevano preso le sue iridi, troppo presa dal rendersi conto di quel che era appena successo per poter anche solo pensare di dire qualcosa, con la fronte posata contro la sua e gli occhi immersi nei suoi senza riuscire a staccarsene. Era troppo presa da lui per rendersi conto che non si stavano più baciando. Troppo presa dalle sue mani contro la schiena.
«Avevo un ragazzo, una volta...», mormorò la ragazza con gli occhi che le brillavano di ironia al vedere il sopracciglio del moro inarcarsi - quello ornato dal cerchietto di metallo. «Baciava decisamente meglio di te, gattino», scherzò mordendosi un labbro per non scoppiare a ridere, o un po' anche per risentire il suo sapore sulla punta della lingua. Soprattutto, per risentire il suo sapore. Lo osservò serrare la mascella e passarsi una mano tra i capelli, sfiorando poi anche se solo per un attimo le dita di Esme, ancora incastrateci in mezzo.
«Ah, davvero?».
«Mh, sì, davvero...».
Le prese la mano delicatamente, sfiorandone le dita e intrecciandole con le proprie come fosse la cosa più naturale del mondo, facendole risucchiare un respiro, senza che però riuscisse a smettere di sentire quel contatto o riuscisse a smettere di osservare lui, coi muscoli del collo ancora tirati ma le labbra stirate in un mezzo sorriso - in un certo senso come se si stesse trattenendo dallo scoppiare a ridere.
E le sfiorò una guancia con le le labbra. Una carezza che la fece ridacchiare, con la barba che le faceva il solletico e quelle dita che non smettevano di sfiorarla - nè sulla mano che stringevano, nè sulla schiena, ancora impegnate a toccarla, impegnate a sentire la pelle d'oca formarsi e sparire e tornare quando le sue dita tornavano indietro. Le sfiorò la mascella, con le labbra. Poi lo zigomo. E la guancia. E le labbra, come fosse un gioco, come a stuzzicarla, a rimangiarsi le parole, a farla ridere contro di lui perchè sapevano entrambi di star scherzando e non c'era nulla di più bello.
La baciò di nuovo, sollevandola per i fianchi e posandola a sedere sulla balaustra, facendola scoppiare a ridere contro la propria bocca mentre incrociava le caviglie dietro la sua schiena. Tenendolo vicino, appiccicato a sè e senza intenzione di farlo allontanare. La baciò di nuovo, ancora e ancora, sfiorandola e mordendola e ridendole direttamente nell'orecchio, accarezzandola e dimostrandole di saper baciare meglio di chiunque altro avesse mai avuto - meglio di chiunque altro avrebbe mai potuto avere.
La baciò di nuovo, mentre una stella cadeva nel cielo sopra le loro teste.
La baciò di nuovo, non avendo altro desiderio da esprimere che non fosse lei.




 
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: emotjon