Appena l’ho lasciata libera dal peso della mia bacchetta si è smaterializzata, con un’occhiata fredda.
Sicuramente è andata a casa, a farsi un bel tè caldo. Lo fa sempre quando è tesa o, almeno, lo faceva quando la conoscevo.
Sono colto dal dubbio che possa essere cambiata. Mi rispondo di no, non può essere cambiata.

L’orologio posto in cucina segna le 2 e 56 del mattino. Sono entrato in casa sua, di nascosto. Dovevo controllare, controllare che dopotutto, dopo tutto questo tempo, fosse sempre lei.
Lei con il divano morbido e ricoperto di cuscini dai mille colori, lei dal tappeto sliso, lei dal fuoco acceso, nel camino, anche quando ci sono 25 gradi perché ”..lo sai che mi piace guardarlo!e poi non fa così caldo…”, lei dalle magliette troppo larghe, lei dagli occhioni disillusi e caldi, lei dalle mani affusolate, lei e basta.
Vedo una teiera posata sul tavolo. Sì, è sempre lei.
Sto per andarmene quando sento il letto cigolare, nell’altra stanza.
La vedo ciondolare fino al tavolo, prendere la teiera e rimetterla sul fuoco, sbadigliante e assonnata.
Non si è accorta di me. Dimenticavo che, quando si sveglia, ci mette come minimo un’ora per riprendersi.
Mi avvicino, silenzioso.
Mi fermo alle sue spalle e inspiro il suo profumo di sonno e pigrizia e grinta ed energia.
La abbraccio da dietro, avvolgendole le braccia intorno al petto.
Attraverso i vestiti sento il suo cuore pompare veloce, mentre trattiene il fiato e si trova paralizzata dal terrore.
Con un gesto di bacchetta circondo le nostre figure con le note di una canzone. Della nostra canzone. Con quella che era la nostra canzone.
Sentendola si rilassa, ma il cuore diventa sempre più frenetico.
La faccio voltare verso di me. I suoi occhi sono sempre i soliti, i soliti della battaglia: così freddi da farmi pensare che non sia più lei.
- Ti va di ballare?-
Senza aspettare una risposta la avvolgo nel mio mantello e inizio a muovermi seguendo la canzone.
Terminata mi stacco da lei.
No, non è cambiata. È di nuovo lei, la ragazza che ho conosciuto a Hogwarst, quella che mi mandava a quel paese e mi tirava uno schiaffo e poi mi baciava appassionatamente, quella che rideva della mia pomposità e mi tranquillizzava, quella che stringevo a me annusando il profumo dei suoi capelli rossi, quella che avrei voluto baciare tutto il giorno, quella che sognavo tutte le notti, quella a cui sorridevo dolcemente dopo che facevamo l’amore.
Mi guarda disillusa, sa che è solo un cedimento. Mi guarda da sognatrice.
la stringo a me ancora una volta, annusandone il profumo, baciandola dolcemente.
Quando l’orologio segna le tre del mattino mi smaterializzo lontano da quella distrazione che lei è.

Ancora una volta sorrido al pensiero di lei. Sono rimasto sempre lo stesso, dopotutto.