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Autore: Ljn    05/04/2015    3 recensioni
Come termina la giornata dei nostri eroi? Quali pensieri si rincorrono nelle loro testoline bacate? Come cambiano questi pensieri col passare del tempo?
- 8 anni - è la prima finestra. E' sera, e un temporale sta disturbando la pace di Konoha. Le vite di Sasuke, Sakura, Naruto e Kakashi ancora non si sono mescolate. Non davvero, per lo meno.
- 14 anni - La loro vita è cambiata, e loro stanno cercando di aggiustarvisi.
- 20 anni - Vita di coppia, vita di squadra.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kakashi Hatake, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Buona Pasqua!!!
Ebbene sì. Con tutto che avevo pronto il capitolo da un po' di tempo, solo ora mi sono decisa a postarlo, e solo perchè è festa e io volevo fare gli auguri.
Ah, ho una avvertenza d'obbligo da esternare, prima di consegnarvelo: nel testo che si riferisce a Kakashi ho usato una parola che non è corretta. Detta parola è "blaterio" che, ho scoperto, con o senza accento è un termine dialettale. Il termine italiano per quello che intendevo è "blateramento" ma non mi piace. Affatto. Avrei potuto usare "chiacchiericcio", però non mi suonava altrettanto ... evocativo? Sta di fatto che ho commesso un errore consapevole, e prima che qualcuno me lo faccia notare preferisco farlo notare io.
Ringraziate Yuko e Ryan se le cose hanno senso. Sono loro che hanno subito le mie paranoie, questa volta.
Bacioni e ancora tanti tanti Auguri!!

Prima di dormire.

- 14 anni. -
 

Naruto.

Quella stanza è soffocante.

Si chiude con attenzione la porta alle spalle, uscendo. Non vuole svegliare Ero-sennin dal suo russare sonoro. Aveva avuto abbastanza occasioni per imparare che né i calci né tantomeno i tentativi di privare il maestro dell’aria, riuscivano nell’impresa impossibile di fargli smettere quei terrificanti suoni, quando beveva, però riuscivano a svegliare l’uomo e a renderlo di umore particolarmente irritabile e vendicativo. Appiccicosamente, vendicativo. E lui proprio non ci è abituato. Avere qualcuno che dorme nella stessa stanza è … spaventoso. Viola lo spazio che ha attentamente disegnato attorno a sé in un modo che ha del blasfemo. Anche perché è il qualcuno sbagliato. È un qualcuno che non ha … aveva l’abitudine di appallottolarsi sotto le coperte e fingere che lui fosse invisibile dopo aver preso e dato un paio di buoni pugni in faccia e calci negli stinchi, prima di stabilire che “è meglio dormire, ché domani c’è la missione, Dobe, e già da riposato un sasso è più sveglio di te, figuriamoci se hai sonno”. Come se la colpa fosse solo sua se avevano passato metà della notte a bisticciare per delle scemenze! È un qualcuno che non si sveglia … svegliava di soprassalto nel cuore della notte, ansimando pesantemente, e poi andava in bagno (quando avevano la fortuna di una missione che permetteva la permanenza in un albergo, almeno), e l’acqua scorreva, scorreva, e lui non sapeva di sapone e di doccia appena fatta, quando tornava a letto solo diversi, lunghissimi, minuti dopo, perciò che ci faceva in bagno tutto quel tempo? È un qualcuno che non sussurrava nel sonno parole indistinte, e non si allungava verso dei fantasmi solo per trovarsi le dita allacciate alle sue, che si erano mosse per istinto a rispondere alla preghiera di contatto. È Jiraiya, non Sasuke. Russa, non sospira. Urla, non sibila. Ride, non ghigna. È un maestro, non un compagno. È un adulto che cerca di avere cura di lui (quando ora lui non ne ha bisogno perché oramai lui sa come avere cura di se stesso, dattebayo) e che insegna. La vita, la morte. Insegna l’unico modo per riportare a casa il qualcuno giusto. Il qualcuno che aveva abbassato la guardia attorno a lui, come lui aveva fatto a sua volta attorno al Teme. Il qualcuno che gli aveva dato l’impressione di essere finalmente parte di qualcosa, per la prima volta. Speciale nel senso giusto. Riconosciuto. Visto. Curato, per la prima volta. Senza obblighi, secondi fini, colpe e responsabilità.

Il prato che ha eletto a campo di allenamento quando sono arrivati in quella cittadina sconosciuta, tre giorni prima, accoglie il solito respiro di libertà che gli sfugge dai polmoni ogni volta che riprende a muoversi nella direzione giusta.

 

Sakura.

Dovrebbe dormire.

Lo sa, lo sa. Domani shisho la porterà con sé in ospedale, e lei dovrà essere sveglia e attiva e pronta a cogliere ogni minimo gesto della sua insegnante, perché Tsunade-sama è brusca e spiega poco con le parole e tanto con i fatti. E nonostante sappia quanto lei stia soffrendo, shisho le ha detto chiaro e tondo di non pensare che essere una ragazzina col cuore spezzato possa giustificare stupidi errori e mancanze. Essere un medico significa ignorare le proprie emozioni e andare avanti per il bene degli altri. E a lei sta bene, perciò davvero … dovrebbe dormire. Però essere un dottore … apprendista, dottore … non vuol dire essere privo di sentimenti (no, questo no), e non significa neppure che questi sentimenti non possano impedirle di prendere sonno quella sera. E lei non è ancora un medico, e oggi non è domani, e lei non è in ospedale, ma a casa. Ha litigato con mamma, oggi, e l’amore della sua vita è lontano ormai da tanto, tanto tempo, e lei si sente in colpa. Più di quanto si è sentita in colpa la prima volta che si è resa conto di cosa significasse davvero la promessa che aveva estorto al suo compagno, di riportarle Sasuke. Oggi ... oggi si è sentita sola. Disperatamente sola, e per la prima volta dopo tanto ha pensato a Naruto, che l’ha lasciata indietro ad aspettare e soffrire per andarsene a spasso per il mondo con Jiraiya-sama, e se ne è risentita. E poi, mentre ancora stava covando irritati pensieri di vendetta per quando quello stupido si fosse degnato di farsi vedere, ha sentito di nuovo parlare di quelle persone che vogliono Naruto. E si è resa conto del proprio egoismo. Aveva pensato a Naruto come ad un oggetto, uno strumento. A quel ragazzino che la infastidiva con le sue dichiarazioni e che aveva sempre respinto, lei ha imposto il fardello del proprio dolore, ignorando cosa avrebbe significato per lui portarlo. Eppure … quel ragazzino che il suo Amore aveva ferito e ora è lontano da casa ad inseguire un’illusione non sua, lui, Naruto, ha problemi ben più grandi che il ficcare in testa al suo futuro marito un po’ di buonsenso. Lui, Naruto, è inseguito da persone che lo vogliono rapire, forse uccidere. E lei ha pensato a lui solo perché si è sentita sola. E magari domani lei farà un altro passo lungo la strada per diventare un medico, accidenti!, eppure il suo primo pensiero è stato di accusarlo, risentita, di una cosa su cui non ha controllo, che non è sua responsabilità. E allora oggi, quella sera, fissando le stelle ha deciso che da ora in avanti avrebbe sperato che entrambi i suoi compagni tornassero a casa da lei. E magari Sasuke l’avrebbe davvero amata e sposata (sarebbe stato così romantico! Lui sarebbe tornato, l’avrebbe guardata e si sarebbe subito reso conto di amarla, e poi avrebbero avuto una casa, e lei sarebbe stata una mamma in carriera e lui un marito perfetto!), una volta tornato a casa, ma Naruto sarebbe stato là con loro, e lei lo avrebbe riconosciuto e non sarebbe più stata egoista, con lui. Lo avrebbe fatto, si ripromette mentre si stiracchia e sorride.

Aah … avrebbe proprio dovuto dormire.
 

Kakashi.

La missione è andata bene, dovrebbe essere soddisfatto di se stesso.

È appena riuscito a liberarsi di Gai, e anche questo potrebbe essere considerato un successo. La compagnia dell’uomo verde è divertente solo i due secondi netti che precedono l’apertura della bocca dello shinobi quando si incontrano al briefing della missione, e lui può ancora illudersi che ci sia un altro motivo per la presenza di Gai nella stanza. Poi tutta quell’energia rivolta a coinvolgerlo in sfide stupide e stancanti e conversazioni solo apparentemente prive di senso iniziano ad essere irritanti, quindi insopportabili, con le loro buone intenzioni. Perciò anche solo la conquista del proprio spazio e del silenzio a lungo auspicato, durante i quattro giorni di incessanti tentativi di farlo parlare, dovrebbe essere sufficiente per sentirsi soddisfatto. Anche se è solo un effimero sollievo in un mare quasi infinito di sfide inutili e blaterio gioioso e senza pause. La vita di un ninja è fatta di attimi colti e morti improvvise, no? E questa volta non è morto nessuno dei suoi. Eppure … eppure lui si sente un fallito. Mmfh. Non è neppure il caso di domandarsi perché si senta un fallito. È un anno che ogni successo ha il retrogusto amaro della sconfitta. Da quando il suo pupillo se ne è andato. Da quando si è reso conto che lui non era abbastanza, per quel ragazzino arrabbiato e ferito, che assomigliava così tanto a … al figlio di Zanna Bianca. Da quando ha riportato a casa una cosina bionda (così piccolo, così piccolo! Ha tredici anni, Kami-sama! È troppo piccolo per tutto questo!) che avrebbe dovuto essere più grande di così, avrebbe dovuto essere arancione, non ROSSA. Da quando è rimasto fuori dalla sala operatoria per ore, in compagnia di uno stranamente silenzioso Gai, a temere che l’eredità del suo maestro non l’avrebbe mai più guardato con un broncio a corrucciargli gli occhi così dolorosamente azzurri e familiari. Da quando i sorrisi non sono più così spensierati, ma contengono una pena nuova e costante, e gli occhi di Sakura non sono più innocenti e limpidi. Da quando la squadra di ragazzini che gli è stata affidata perché insegnasse loro a sopravvivere, e alla quale aveva iniziato a pensare senza neppure rendersene conto come “famiglia” (Minato-sensei, era così che ti sentivi tu?), è andata in pezzi a causa della sua inadeguatezza .

La missione è andata bene, come quasi tutte quelle che l’hanno preceduta. Lui è Kakashi dello Sharingan, non un qualsiasi ninja inesperto e privo di talento e fiducia in se stesso. È il figlio di una leggenda, allievo di un’altra, leggenda lui stesso. È Hatake Kakashi. E a volte si domanda quando questa certezza ha cominciato a non essere abbastanza.

 

Sasuke.

È così stanco …

Riesce a malapena a stare in piedi. L’allenamento diventa più duro ogni giorno che passa, eppure lui nel tratto di cunicolo che lo porta ogni sera alla sua stanza, non si sente per niente più forte. Non come si sente ogni mattina, quando si alza e si prepara per fare un passo in più verso la sua morte. No. Ogni sera lascia il suo … maestro dopo ore e ore di esercizio e arranca verso la camera che gli è stata assegnata cercando di convincersi che il suo obiettivo è un giorno più vicino. Si chiude la porta alle spalle, esegue lentamente i sigilli necessari per bloccarla, e poi crolla sul letto, faccia in giù. Ci vogliono sempre cinque minuti buoni, prima di convincere se stesso a girarsi e guardare il soffitto di pietra, e in quel lasso infinitesimalmente breve  si concede l’unica pausa della giornata. Chiude gli occhi e sogna. Non dell’infanzia che non è più sua da troppi anni, quella la sognerà più tardi, quando dormirà davvero e i suoi non saranno sogni ma incubi. No … in quei cinque minuti sogna coscientemente di argento e voce profonda e lenta. Sogna di rosa e di miele appiccicoso e dolce. Sogna di arancione e azzurro limpido, di liti e risate. Sogna una sicurezza che non si era accorto di provare di nuovo, e di compagnia e del calore di avere qualcuno che si preoccupa per lui. Sogna quello che ha lasciato perché fosse al sicuro. Sogna quello che lo rendeva debole, ma che non può ancora lasciar andare. Sogna non l’obiettivo, ma il motivo nobile di questo. Sogna una vita che non gli è mai appartenuta. Poi si volta e apre gli occhi. Quella sera il soffitto sono pareti altissime di roccia, su cui l’acqua scorre e cade rumorosa, il colore è arancione e giallo Sole, poi rosso demone, poi azzurro cielo. Poi di nuovo rosso. Il braccio che si trascina faticosamente sulla fronte per fermare le vertigini che lo assalgono improvvisamente è rovente, come quando era circondato dalla carne di … Inala profondamente l’aria vicina alla pelle del suo avambraccio. Se si concentra abbastanza intensamente, può ancora sentire l’odore del sangue che l’aveva macchiata. È diverso, quell’odore, da quello del sangue amaro che copre il resto del suo corpo oramai da secoli. È quasi dolce. È quasi caldo. Aaah. Stupido, stupido, stupido, si ripete nascondendosi dai suoi sogni con quel braccio. È quasi un anno, e lui ancora non è riuscito a liberarsi di quel fastidioso ... vezzo. Deve smetterla di sognare il passato. Lui È una freccia diretta verso un obiettivo. Solo quello. Niente altro. Un obiettivo che lo ucciderà, molto probabilmente, ma un obiettivo che morirà prima di lui, sicuramente. Non gli interessa. Non gli interessa che per farlo abbia abbandonato quella vita serena che lo aveva accolto senza che lui neppure se ne accorgesse. Non gli interessa quello che ha dovuto sacrificare. Non gli deve interessare. Non gli interesserà.

Adesso però che il sogno è finito, si sente solo vuoto dentro. Ma è solo perché è stanco, non sono i rimorsi che gli hanno scavato nell’anima. Domani la sete di vendetta lo riempirà di nuovo, e la pelle non brucerà più.

   
 
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