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Autore: Nicky Rising    09/04/2015    1 recensioni
L'autobiografia della più grande rockstar degli anni '90, Minnie, in arte Aree Monroe, diventata famosa grazie al suo produttore Axl Rose e alle sue molteplici collaborazioni con i Guns N' Roses. Ripercorriamo insieme alle sue stesse parole le emozioni, e la strada che l'ha portata al successo insieme agli uomini che lei stessa, ancora oggi, definisce come i più importanti della sua vita.
Aree sono io e siete voi: prendendo spunto solamente dai sogni, un personaggio e una storia, che spero vi possano appassionare. Mia prima long degna del termine!
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Axl Rose, Quasi tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Luglio, 1992  “Chet Baker – You don’t know what love is”


“Minnie?”
Sentii la sua voce. Alzai gli occhi sullo specchio del bagno. Per quanto ero rimasta lì a pensare? Mi bagnai i polsi con l’acqua fredda, il caldo mi stava dando alla testa, sembrava di stare perennemente sotto al phon. L'afa americana, spesso, mi rendeva quasi difficile respirare e riusciva ad aiutarmi solo lo stendermi sul pavimento di piastrelle fresche, oppure bagnarmi con acqua gelida la fronte o le braccia.
Bussò alla porta:
“Posso entrare?”
Chiusi il rubinetto e gli aprii.
“Ehi, tutto bene? Sei qui da un’ora..”
Lo guardai, le mie attenzioni inavvertitamente attirate dal leggero segno violaceo che ancora marcava il suo occhio destro.
“Ho caldo”
Sorrise:
“Immagino tesoro..”
Calò un silenzio insolito, fra di noi, che cercai di colmare con la prima domanda che mi venne in mente:
“Quando ripartite per il tour?”
“Tra tre giorni.. Inghilterra”
Sorrisi tra me e me, quanto mi mancava quel posto.
“Che c’è? Vuoi venire?”
Lo guardai stupita:
“Ma che dici.. Avrete di meglio da fare in tour che avere me come peso..”
“Peso? Da quando sei un peso?”
Axl si era steso la schiuma da barba sulle guancie, e ora osservavo i movimenti lenti che si disegnava sul mento, mentre mi ascoltava.
“Sarete già tanto impegnati senza che anche io venga a rompervi..”
“Questo è vero, sarà un po’ stancante, ma in fondo resteremo lì solo una settimana, abbiamo solo cinque concerti.. E tu sei abbastanza indipendente per decidere se restare in hotel o venire a vederci dal backstage.. O se partecipare alle feste o no..”
Capii solo allora che Axl non stava scherzando, in fondo, quando mai lo faceva?
Dovevo iniziare ad abituarmi al fatto che quando diceva qualcosa di estremamente folle, era perché lo pensava davvero.
“Ad ogni modo, i ragazzi non saranno d’accordo..”
Dissi appoggiandomi al bordo della vasca, Axl si voltò a guardarmi e rimase pochi secondi ad osservarmi le gambe accavallate che si scoprivano con gli shorts, sorrise.
“Secondo me..I  ragazzi saranno d’accordo..”
Rise, anche se sul momento non afferrai la battuta.
Scrollai le spalle ed uscii dal bagno, anche se lui mi fermò dolcemente sulla soglia con la mano libera:
“Hai detto che ci romperesti le palle, io credo che ci aiuteresti: penso che ci saresti molto utile.. Sai.. In tour le tentazioni sono sempre più forti..”
“Ah, si?” gli risposi scettica “E che c’entro io?”
“Duff non ha tutti i torti quando ti definisce il nostro angelo custode..”
“Lui scherza..”
“Credo di no.. Pensaci”
Me ne tornai nella mia camera e provai a leggere qualcosa, ma le lettere mi sembravano incomprensibili per via dei miei pensieri che continuavano ad avventurarsi tra l’Inghilterra, i concerti, i Guns in tour.. Ero già stata con loro in Italia, è vero, ma solo per una settimana di relax con la mia famiglia e per una data a Torino, niente spostamenti, niente esagitazioni post concerto, forse perché i miei erano a vedere la performance, e feste contenute, che mi ero persa svenendo su un divano. Ricordai anche come dopo il Tribute per Freddie, Axl mi aveva promesso di portarmi con loro nelle prossime date e di aprirgli i concerti, ma anche quella volta, non l’avevo preso sul serio, e me ne ero dimenticata dopo un paio di mesi che non se n’era più parlato.
Ad ogni modo, dato che il tempo stringeva, i ragazzi non mi lasciarono più il tempo di riflettere, in tutta fretta, decisero che era un’idea stupenda e che dovevo per forza venire. Axl in un paio d’ore mi preparò una scaletta di cover da alternare per ogni serata dopodiché, mi ritrovai con loro su un aereo privato, destinazione: Londra.

I concerti erano cinque: il tour partiva da Londra, andava a Manchester, Milton Keynes e toccava l’Irlanda a Slane, per poi chiudere il tour con una seconda ed ultima esibizione a Londra.
Non fu un buon periodo. Per niente.
I ricordi che ho sono pochi, tristi, e tossici. L’unico positivo che ho, e che mi fa ancora tornare il sorriso quando ci penso, è quello del nostro arrivo a Londra.
Venimmo ripresi e montati sulla pubblicità del concerto: il video mostrava la nostra uscita dall’aeroporto, un paio di fattorini sullo sfondo che portavano i bagagli, Axl al centro, la giacca marrone sulla canottiera bianca e i pantaloni di pelle, Duff alla sua destra, la borsa a tracolla e gli occhiali da sole, Slash con la custodia della chitarra sotto braccio, Izzy, i capelli scompigliati dal vento sotto il caratteristico cappello e Matt, le bacchette che uscivano da una tasca e la camicia fuori dai pantaloni. Io, in mezzo a Duff e Izzy, inquadrata mentre mi toglievo gli occhiali e mi sistemavo la borsa sorridendo ai fotografi. So che tutto questo può sembrare stupido, più avanti essere ripresi e idolatrati in quel modo dalle telecamere divenne un’abitudine, ma allora mi faceva sentire come una delle più grandi dive della terra, circondata dai cinque ragazzi più sexy d’America e con uno stile ideato dalla stilista di Axl che mi faceva sentire così bella. Quasi perfetta. Io. Che non ero niente.
Fine.
Questo è l’unico ricordo positivo che ho.
Gli altri sono composti da concerti folli, che si concludevano con tre ragazze per musicista, casse di birra, di vodka, di Jack Daniel’s e tanta, troppa droga.
Se entravi nel locale in cui si trovavano i ragazzi, trovavi gente intenta a scopare ovunque, tavolini ricoperte di strisce di coca e buste di polvere scura sparsa sui banconi. Bottiglie vuote, vomito, mutandine da donna e quantità industriali di sigarette, canne e, sì, siringhe.
I primi giorni la situazione era ancora sostenibile, la prima festa la affrontai volentieri, ignara della piega che avrebbe preso: Slash e Duff iniziarono a fare una gara, chi riusciva a bere di più vinceva, quando iniziarono a vomitare mi allontanai velocemente, preoccupata dal fatto che per reagire sniffavano coca. Axl flirtò tutta la sera con ragazze che erano già pronte in partenza a dargliela senza che lui si sprecasse, pensai che lo facesse solo per farmi innervosire, non so bene neanche io il perché. Alla fine, stetti con Izzy e mi ubriacai fino ad addormentarmi  in un angolo e risvegliarmi con lui svenuto, sporco di vomito e riverso sul pavimento vicino a me. Partecipai solo ad un’altra festa, la sera successiva, le cose andarono più o meno nello stesso modo, tranne per il lavoretto che Slash si fece fare da una ragazza in pubblico del quale approfittò anche Matt. Quando anche la mattina seguente mi risvegliai in uno stato catatonico di ricordi confusi e vuoti temporali capii che era ora di finirla: quelli non erano i ragazzi che conoscevo, quelli non erano i miei amici, erano solo un branco di animali.
Alzando lo sguardo dal divano della suite di Axl dove mi ero assopita, mi accorsi di quanto potesse essere luridamente lussuosa quella stanza: gli specchi con il bordo dorato schizzati di bevande alcoliche, i mozziconi di sigaretta sui tappeti, i tavolini rotti, le tv piatte scheggiate. Non indossavo la maglietta, ero in reggiseno. Perché ero in reggiseno? Non lo ricordavo.
Ricordavo solo Izzy che rideva, una sigaretta.. Avevo fumato una sigaretta? Forse anche una canna.. Non lo sapevo, non potevo saperlo..
Mi alzai e trovai un Axl addormentato nella vasca da bagno. Due biglietti sull’orlo del lavandino, uno diceva:
“Sei anche meglio di come ti descrivono, la roba era davvero forte, grazie.. Ma eri più forte tu.. Splendida nottata, Ti amo”
Era firmata da una certa Tess che come saluto aveva lasciato un bacio segnato col rossetto sul foglietto di carta.
Sull’altro biglietto era scritto:
“Mai fatto del sesso così, posso dirtelo? Sei perfetto, non cambiare mai! Forse un giorno ci rivedremo”
Il secondo aveva una firma illeggibile, si riconosceva solo il disegno stilizzato di una stellina.
“Non cambiare mai”, già, a quanto pare a gente come loro piaceva così, ma da quando Axl era ai loro livelli? Riempii un bicchiere da cocktail vuoto di acqua fredda e glielo tirai in faccia.
Aprì gli occhi a fatica, infastidito dalla luce del mattino:
“Porca troia! Sei fuori di.. Che ore sono?”
“Le 11”
“L’alba.. Perché mi hai svegliato?”
“Perché me ne vado”
Feci per uscire dal bagno, non mi ero neanche rimessa la maglietta, gli avevo parlato mezza nuda, ma che importava, per loro era normale vedere donne così.
Dopo essermi infilata una felpa, mentre cercavo di raggiungere l’uscita senza calpestare niente, Axl sembrò riprendere d’un tratto la forza vitale e scattò in piedi iniziando a seguirmi.
“Minnie, che cazzo stai dicendo. No sul serio, illuminami! Siamo in Inghilterra in un hotel nel centro di non so neanche io che cazzo di città, dove pensi di andare?”
Lo guardai irritata, aveva ragione, ma l’ultima cosa che volevo era rimanere lì un secondo ancora, circondata da quello che ora mi faceva venire il volta stomaco.
“Non me ne importa niente, faccio un giro, qui non riesco a respirare..”
Mi afferrò il polso per bloccarmi, la voce alterata dalla rabbia:
“Bimba cazzo, non posso lasciarti andare in giro da sola, sei fuori di testa?!”
Strattonai violentemente il braccio e lasciò la presa:
“Non ho sei anni Axl, sono maggiorenne, ok? Non sei neanche più in dovere di prenderti cura di me, contento? Lasciami vivere!”
“Ah sì?! Perfetto, allora non sono neanche più in dovere di avverare tutte le tue stronzate di sogni, giusto? Buona a sapersi, un pensiero in meno.”
Si voltò sbuffando mentre mi tiravo la porta dietro la schiena, sbattendola forte e chiudendomela alle spalle.
Corsi giù per le scale dell’hotel e mi ritrovai in una strada principale di Londra, da dove saremmo dovuti partire per la seconda tappa quella sera: se non fossi ritornata in tempo, sarebbero partiti senza di me. Sarei diventata una senzatetto? Magari nessuno mi avrebbe più risposto al telefono o gli spiccioli che avevo in tasca non sarebbero bastati per una chiamata.
La rabbia calmò le mie paure, scrollai le spalle e iniziai a camminare velocemente con le mani nelle tasche. Non mi importava di Axl, non volevo che i miei sogni fossero avverati da un ninfomane alcolizzato e non volevo essere circondata da musicisti inaffidabili, incapaci di proteggermi e tossici, che credevo miei amici.

Non ricordo per quanto camminai, sempre nella stessa direzione, senza guardare nessuno, ma ad un certo punto i miei piedi iniziarono ad urlare, e allora, calmata la rabbia, pensai di tornare in hotel. Alzai lo sguardo.
Buio più totale. Non avevo la più pallida idea di dove fossi.
Una parte di me avrebbe voluto scoppiare a piangere: cosa diamine stavo facendo? Tutta la mia vita ad illudermi che quella band fosse la cosa migliore che potesse capitarmi quando invece era la peggiore, stavo sprecando un anno di scuola, avevo sprecato persino la mia storia d’amore con Michele pensando di essermi innamorata di.. Di.. Di nessuno. Di un principe azzurro vestito in perfetto stile anni ’80 che invece non esisteva.
Cercai di prendere coraggio e mi avvicinai ad una donna che sembrava abbastanza affidabile:
“Mi scusi, mi sa dire dov’è il Mandarin Oriental Hotel?”
La donna mi lanciò un’occhiata di rimprovero alle gambe scoperte da una minigonna molto sexy che avevo indossato la sera prima per la festa, e che ora non centrava proprio nulla con la felpa grigia che mi ero messa prima di uscire dalla suite.
“Quanti anni hai ragazzina?”
“Ho solo bisogno di un’informazione!”
Sospirò pazientemente, visibilmente preoccupata:
“Non pensavo che anche delle ragazze così giovani ora..”
Aspetta, cosa?! Mi aveva scambiato per una..?
“Mi scusi, ho diciotto anni e mi sono persa, non so da quante ore io stia camminando in giro per questa città del cazzo, e non ho la minima idea di dove mi trovi. Può gentilmente dirmi come arrivare a quel fottuto hotel, per favore?”
Sgranò gli occhi, io mi pentii subito del tono che avevo usato e fortunatamente parve accorgersene:
“Mi dispiace ragazzina, ma quell’hotel è davanti ad Hyde Park, più o meno a tre chilometri da qui.. Senza un biglietto per la metro non andrai molto lontano..”
Frugai imbarazzata con le mani nelle tasche, trovai cinque dollari, nessuna sterlina.
Mi guardò, pensai a quanto odiassi essere guardata con pietà, ma lo sapeva quanti concerti avevo fatto, ultimamente?
Mi allungò una banconota da dieci sterline:
“Queste basteranno di sicuro, laggiù c’è una fermata per la metro, l’hotel che cerchi sta a pochi minuti a piedi dalla stazione centrale.. Buona fortuna”
Si allontanò velocemente. Le sue informazioni non erano assolutamente sufficienti, secondo lei con quelle dieci sterline poteva togliersi il peso dalla coscienza.
Mi sedetti sul marciapiede, ora acquistando perfettamente le sembianze di una sgualdrina.
Non mi importava niente, volevo solo tornare a casa.
Appoggiai la testa sulle ginocchia, e piansi, piansi tanto, sperando di togliermi quel peso enorme e di ricominciare a pensare razionalmente.
Finii per addormentarmi.
Sì, esatto, io, nel 1992, abbandonai l’hotel dei Guns e mi addormentai su un marciapiede nel nulla cosmico di Londra.
Non so se Jim Morrison o Dio mi videro, o se quella donna avesse pregato per me, ma quando mi svegliai, guardando spaventata l’imbrunire del cielo e pensando ai Guns che magari erano usciti per cercarmi, tardando per il tour, riconobbi, tra alcune persone, una testa di capelli biondi, lunghi fino alle spalle, un sorriso sarcastico e due occhi azzurri un po’ tristi, una felpa verde chiaro, dei jeans azzurri stracciati, le mani che facevano segno di abbassare la voce ad un branco di ragazzine che gli si era accalcato intorno.
Mi alzai e andai verso di lui. Non poteva essere davvero..
“Mi scusi?”
Si voltò. Oh porco cavolo era lui davvero. Probabilmente gli dovetti sembrare uguale a tutte quelle altre ragazzine, se non peggio, perché rimasi a fissarlo con gli occhi sognanti per non so quanto:
“Ragazzina, mi dispiace, devo veramente andare in hotel ora, torniamo a casa domani, se sei una mia fan dovresti saperlo..”
Mi strizzò l’occhio, e forse rimase un po’ stupito del fatto che non svenni, ma mi ripresi e cercai invece di parlargli:
“Noi non ci conosciamo, è vero, ma forse mi ha già visto..”
Mi avvicinai al suo orecchio per non farmi sentire dalle altre ragazze:
“Sono Minnie, quella dei Guns.. alloggio loro, sono al Mandarin Oriental hotel, Axl è nella camera 156, mi deve credere.. Mi sono persa, la prego, so che ha altro da fare, ma non ho idea di come tornare da loro..”
In un primo momento si allontanò da me con un sorriso incredulo, poi mi guardò meglio. Prima rimase incredibilmente stupito, poi tornò serio. Mi prese il braccio:
“Vieni con me” disse solo, ignorando quelle galline che si ostinavano ad urlare il suo nome.
Camminò per alcuni passi a velocità della luce, poi, dopo aver seminato sguardi indiscreti, si rilassò, la sua espressione sembrò rasserenarsi, e fu allora che si fermò tendendo la mano nella mia direzione­:
“Ho letto di te, è un vero piacere conoscerti, Kurt Cobain, al tuo servizio..”
Sorrisi imbarazzata: “Conosco il suo nome..”
“Ok, punto primo: non mi dare del lei, ho venticinque anni, non sessanta. Punto secondo: ora ti porto nell’hotel dove sto, magari ti trovo qualcosa da mettere di decente, ti faccio usare il telefono e puoi ritornare dai tuoi Guns per la notte..”
“Mi dispiace dirti che la situazione è un po’ più grave.. Non so che ore sono, ma dovevano partire alle 20 per la prossima tappa del tour..”
Diede un’occhiata all’orologio, poi mi guardò, indeciso sul da farsi:
“Come mai eri qui da sola?”
Iniziai a giocare con una ciocca di capelli, guardandomi i piedi:
“Diciamo.. che.. Ho agito di impulso, ho avuto una discussione con Axl..”
Sorrise beffardo:
“Hai litigato con Axl Rose?! Sul serio? Strano davvero! Non sembra il tipo!
Pensavo che fosse solo l’uom.. l’essere più suscettibile della terra, capace di prenderti a pugni un bassista insieme al suo seguito di cazzoni senza che questo ti abbia fatto niente..”
Sorrisi tra me e me, già, gli MTV awards dell’anno precedente non erano andati proprio bene per le due band.. Ma in fondo, non aveva iniziato Kurt a provocare Axl?
Preferii tenere quell’idea per me e mi limitai a tacere.
Arrivammo in un hotel piuttosto appariscente, non come il nuovissimo Mandarin, certo, ma le cinque stelle c’erano, e si vedevano tutte. Mi accompagnò al piano della sua suite, mi disse di fare con comodo e andò a bussare nelle camere vicine, Dave Grohl e Krist Novoselic si trovavano li?!
I miei dubbi trovarono risposta quando il batterista dei Nirvana entrò nella suite dove io mi stavo cambiando, mi infilai un paio di jeans che mi diede Kurt, per poi andare nel salotto dove trovai tutti i componenti della band con le braccia conserte a fissarmi, ma avrei resistito, ero una collega, non una fan.
“Minnie! Un vero piacere.. Ho ascoltato tutte le tue esibizioni!”
Sorrisi a Krist, stringendogli la mano:
“Pensavo non seguiste i concerti dei Guns”
“Infatti accendo la TV solo quando ci sei tu bambola”
Mi fece l’occhiolino, poi rise.
“Potrei usare il telefono? Magari per avvertire Axl che sto bene..”
Kurt annuì e mi indicò la cornetta, io digitai il numero di Axl e aspettai paziente, sedendomi sul divano mentre i ragazzi parlavano e ridevano tra loro. Parlavano forse di me?
“Pronto?!”
“Axl?”
Sentii un sospiro enorme, poi rispose:
“Ti stiamo cercando da due ore Minnie, spero che tu sia soddisfatta, ma che cavolo avevi in mente? Dobbiamo partire tra venti minuti! Credi che questo sia professionale?”
“Ah, certo, scusami, dimenticavo che solo tu puoi farti desiderare e arrivare ore in ritardo a qualsiasi appuntamento.”
Silenzio. Non ero riuscita a frenare la lingua, Dave aveva interrotto i suoi interlocutori e si era messo ad ascoltare la  mia telefonata sorridendo beffardo.
“Minnie, non ho tempo per delle stronzate, dicci dove sei, ti veniamo a prendere.”
Guardai Kurt, ora silenzioso, che mi guardava come per analizzare la mia prossima mossa.
“Sono al Luxor Hotel, Kurt Cobain, Dave e Krist mi hanno gentilmente ospitata.”
Axl rise forzatamente. “Mi prendi per il culo, vero?”
Kurt si avvicinò, abbassò il telefono in modo che Axl non potesse sentire:
“Domani torniamo a Los Angeles.. Possiamo portarti a casa se vuoi”
Lo guardai incredula, era davvero così gentile? In un primo momento declinai l’offerta, ma poco convinta e i ragazzi parvero accorgersene.
“Ragazza, noi quell’aereo lo prendiamo comunque, i posti ci sono, è il nostro..”
Gli sorrisi, mentre Axl continuava a chiamare il mio nome dal telefono. Me lo riappoggiai all’orecchio:
“Scusami, non c’è bisogno che mi veniate a prendere, torno a Los Angeles con loro. Ci vediamo quando tornate.”
“Non pensare che sia così facile, ragazzina, non te lo permetterò”
“Pensi davvero che starei meglio con voi? Non siete in grado di occuparvi di me, dovevo aspettarmelo, ma, fortunatamente, come hai detto tu, so cavarmela da sola. Io.. Ho bisogno di pensare..”
“A cosa, di grazia?!”
Sospirai..
“Non so se voglio continuare questa cosa.. Ci vediamo.. Non chiamarmi: non risponderei, scusami.”
Riattaccai bruscamente. Kurt mi sorrise.

Quando arrivai a Los Angeles, Kurt mi accompagnò fino alla villa di Axl, della quale fortunatamente avevo una copia delle chiavi che mi aveva dato appena ero arrivata. Lo invitai dentro casa per salutarlo.
“Cazzo, questa casa è una figata!”
Sorrisi, già, casa di Axl era bellissima: l’aveva progettata insieme ad Erin quando si erano sposati, poi, con il divorzio, lei se n’era andata, e la casa era rimasta al cantante, che, in fondo, aveva anche finanziato l’intera costruzione, dal valore di milioni e milioni di dollari.
“Vuoi qualcosa da bere?”
“Sì, grazie, se hai una birra.. Potrei usare il telefono? Dovrei chiamare Courtney e dirle che sarò a casa tra poco..”
“Certo, accomodati pure..”
Mentre andava nell’altra stanza per telefonare, gli preparai la birra, per poi portargliela. Gliela appoggiai sul tavolino davanti al divano, mentre parlava con la moglie:
“Come state bellezze? Sì? Non stai male vero? Perfetto.. Sì, certo che lo so, non vedo l’ora. Speriamo di no! Secondo me assomiglierà a te, e sarà bellissima. Anche io ti amo.. A presto”
Lo guardai sorridendo:
“Scusami, non ho potuto evitare di ascoltare..”
“Ormai tutti i discorsi vertono sulla bimba..”
“Quando nascerà?”
“Il mese prossimo..”
“Felice?”
Annuì.
Nel tempo che passammo insieme, non ero riuscita a non notare quanto i suoi occhi mandassero sempre quella luce di malinconia, di rimpianto. Sorrideva, rideva, ma sembrava che il suo viso fosse diviso in due, i suoi occhi non partecipavano mai alle sue emozioni ed era strano, in quel momento era l’uomo più invidiato della terra, con il nuovo genere che la sua band aveva creato stava oscurando tutti, persino la band che fino all’anno prima era la più famosa del mondo: gli stessi Guns N’ Roses.
Dal mio punto di vista, il Grunge non mi appassionava particolarmente, alcuni pezzi nuovi che erano usciti erano interessanti, l’album Nevermind era un disco stupendo, ma non c’era più una ricerca, non c’era più una grinta, un coinvolgimento.. Sembrava che gli anni ’90 fossero arrivati e stessero divorando tutto e tutti con la loro malinconia, orecchiabilità e innovazione. La rabbia era diventata disinteresse, la ribellione assomigliava più a un silenzio passivo che restava a guardare. Mi venne da paragonare quei due decenni così diversi alle droghe: se gli anni ’80 erano la coca, con energia e forza, i ’90 erano pura eroina, con quel qualcosa di ovattato e insensibile.
Ad ogni modo, Kurt Cobain era da rispettare solo per essere riuscito a portare una innovazione, e la sua voce mi era sempre piaciuta molto per la capacità di trasmettere le emozioni di cui parlavano le loro canzoni. Allo stesso tempo, Duff, che era fuggito da una città piovosa e senza obiettivi come Seattle per la grandiosa città dei sogni, si sentì preso per il culo, quando, dopo pochi anni, il fulcro della  nuova corrente Rock, divenne proprio quella, da dove spuntarono anche i Soundgarden e i Pearl Jam.
Il carattere dei Nirvana, comunque, era tutto fuorché disponibile o gentile: il pugno che Axl aveva sferrato in faccia a Kurt agli MTV awards, avevo sempre pensato se lo fosse meritato tutto, in fondo Rose, insieme a Slash, li aveva sentiti suonare, gli aveva proposto di aprirgli i concerti e loro avevano declinato in modo molto arrogante, insinuando di essere loro i migliori e non il contrario. Ad ogni modo, la stessa offerta la accettarono i Soundgarden e i Guns furono il loro trampolino di lancio.

Dopo aver passato con loro un paio di giorni, comunque, non tardai ad affezionarmi a quei ragazzi, in particolar modo a Kurt, che seppe prendersi cura di me e riportarmi sana e salva a casa. In più, in quel momento, così arrabbiata con i Guns che credevo miei protettori e che invece mi stavano portando verso la loro stessa autodistruzione con la sicurezza che io li avrei salvati, avevo bisogno di qualcuno che aiutasse me, sperduta tra sogni insicuri ed incerta sulla strada da prendere.
Il mio rapporto con Kurt, infatti, si basò sempre sull’aiuto reciproco che ci davamo: lui si occupava della mia crescita artistica, io della sua situazione morale, che allora ingenuamente non capivo come potesse non essere tra le migliori.
In quei giorni, quando tornammo dall’Inghilterra, Kurt passò parecchio tempo con me, dato che stare in quella enorme villa da sola non mi faceva stare bene: studiammo insieme e la nostra amicizia si consolidò come una delle migliori che avessi mai avuto e, in quel momento, poco mi importava come quello stesso amico, stesse soppiantando tutta la mia musica preferita con la propria.
Il giorno del ritorno dei Guns, ero del tutto impreparata alle reazioni che avrebbe potuto avere Axl su quell’amicizia e, soprattutto, a come affrontare quella che per me era stato un vero e proprio tradimento da parte loro nei miei confronti con quella dannatissima droga che sembrava preferissero tutti alla sottoscritta. Quelli che quindi erano i miei problemi, però, si rivelarono inutili, perché mi ritrovai a doverne affrontare uno molto peggiore.
Quel pomeriggio ero con Kurt, eravamo nello studio della musica e stavamo parlando di un disco, tale “Cupid” di Sam Cooke, del 1961, quando il mio cellulare squillò dopo giorni in cui taceva.
“Pronto?” Mi spostai in salotto per non disturbare Kurt.
“Sono Duff, Angelo..”
Voce trafelata, sospiri, parlava velocemente, aveva paura?
“Ehi.. Stai bene?!”
“Eh?! Sì.. Certo. Senti, devi chiamare subito Alan” Pensai subito al loro manager, Alan Niven, sapevo dove Axl teneva il suo numero.
“..Non è lì con voi?”
“No cazzo, è tornato a Los Angeles a metà delle date, in fondo era piuttosto inutile, cioè ce la sappiamo cavare da soli, non siamo più degli stronzi come nell’86 però, Cristo.. Se quel coglione decide di rovinarci la vita non è colpa mia..”
“Per favore, calmati, di che coglione parli adesso?”
Duff sospirò:
“Non hai letto l’ultimo numero di Rolling Stone, vero?”
No, in effetti non l’avevo letto. Aspettai che continuasse. Sospirò:
“Mettiamo che Axl abbia parlato di cose un tantino importanti, cose che non aveva neanche detto a noi e che ora ha deciso di sbandierare al mondo, e mettiamo che tu sia l’unica persona in tutto il pianeta a non aver letto quell’intervista. Mettiamo anche che il numero sia uscito il giorno dopo la nostra partenza, che quel suddetto rompi cazzo di cantante non ci abbia avvertito di niente e che i lettori della rivista abbiano aspettato per una settimana il nostro ritorno e che ora siano tutti in aeroporto. Ok? Bella scenetta no?”
“Dove siete ora?”
“Segregati in una sala di attesa, la sicurezza ci ha chiuso dentro, ma non abbiamo modo di uscire. Se proviamo ad aprire la porta ci ammazzano. Devi chiamare Alan e spiegargli tutto cazzo, di qui non ne usciamo vivi, devono mandare i rinforzi che cazzo ne so, quando eravamo al Rock in Rio giravamo con le forze armate, adesso troveranno un modo per farci uscire dal fottuto aeroporto di Los Angeles. Cazzo.”
“Calmati, chiamo subito”
Chiusi la telefonata, Kurt intanto mi aveva raggiunto in salotto e chiedeva spiegazioni.
“Non è il momento.. E’ successo un casino.. Presente Rolling Stone?”
Il cantante sorrise guardandosi le scarpe, mentre io digitavo il numero sul cellulare. Mi bloccai prima di premere il tasto per avviare la telefonata, e lo guardai:
“Tu hai letto quell’articolo?”
“Oh Bimba, cazzo, tu sei l’unica che non l’ha letto, ma dove vivi?”
E rise, rise di gusto. Lo fulminai con lo sguardo, e smise di ridere, ma continuò a fissarmi con un’espressione estremamente divertita, che mi dava profondamente sui nervi.
“Non me ne frega un cazzo se ti fa ridere, potrai anche detestarli tutti, ma sono la mia famiglia, se non vuoi collaborare puoi anche andartene.”
Kurt alzò le braccia in segno di resa e si avviò verso la porta di ingresso:
“Io me ne vado anche, però non eri tu quella che fino a due giorni fa mi parlava di quanto fosse delusa da quei fantastici ragazzi che ora chiami famiglia?”
Lo guardai mordendomi il labbro, aveva ragione, ma non avevo tempo per lui, non ora.
“Alan?! Sono Minnie.. Bimba! I Guns sono bloccati all’aeroporto.. No, non c’è tempo per spiegare, l’intervista di Axl comunque.. Non me ne frega un cazzo se glielo avevi detto, fa qualcosa!”
Kurt, appoggiato alla porta d’ingresso, continuava a guardarmi:
“Allora sei determinata quando vuoi.. Non sei solo la bambolina fragile come tutti volevano farmi credere.. A quanto pare sei veramente intenzionata a proteggerli.. Non doveva essere il contrario?”
Appoggiai il telefono sul divano:
“E tu non te ne dovevi andare?”
Annuì, ma poi si riavvicinò a me:
“Ormai ci tengo a te bambolina, non.. fare cazzate.. Con.. Loro”
Non riuscivo a capire perché, ma quel pregiudizio che Kurt aveva nei loro confronti non mi stava bene, solo io potevo sparlare dei Guns, punto e basta. E come al solito, da giovane ragazzina incazzata, non ero mai capace di dare un freno alla lingua:
“Almeno loro smetterebbero con l’eroina se stessero per avere una figlia”
Kurt sgranò gli occhi e la sua espressione da preoccupata si trasformò in.. Sconfitta. Non mi salutò nemmeno, uscì di casa e non lo rividi per parecchio tempo. Trovato il tasto dolente? Pazienza, i miei fratelloni in quel momento erano più importanti.

Dopo che Kurt uscì di casa, andai a cercare il numero di Rolling Stone tra la posta che non avevo ancora controllato. Beccato. In copertina, in bianco e nero, solo la sua figura: a petto nudo, con i jeans sbottonati, le catenine al collo e i capelli lisci sciolti sulle spalle. Gli occhi guardavano l’obiettivo con uno sguardo di sfida e misterioso al contempo. Le mani appoggiate sui fianchi, i tatuaggi in bella mostra. La corporatura ben piazzata e il piercing al capezzolo destro seminascosto da una ciocca di capelli. A lato il suo nome, in grassetto marcato.
Sotto, in corsivo “The Rolling Stone interview”.
Sfogliai il giornale fino alla pagina dell’intervista. La lessi tutta d’un fiato e crollai sul divano.

“I think I've got a problem, if my dad fucked me in the ass when I was two. I think I've got a problem about it”

Ora, ho bisogno di prendermi una pausa nella narrazione. Ho copiato una delle frasi forse più conosciute dell’intervista del ’92, anche se penso che tutte le persone che ora stanno criticando Axl per com’è e per la sua carriera e tutte le altre stronzate, non abbiano mai letto l’articolo dall’inizio alla fine. So che starete pensando che conoscendolo è ovvio che io lo difenda, ma il fatto è che non sono contraria a chiunque abbia da discordare con delle sue scelte o con delle mie scelte, ma devono essere persone informate, perché discutere con l’ignoranza è totalmente inutile. Axl ha realizzato quell’intervista proprio perché era stufo di tutte le persone che lo fraintendevano senza conoscerlo, si è reso disponibile ad aprirsi al mondo, ai suoi amici, a chiunque. Ha rotto completamente i ponti con i suoi genitori da allora, per farsi conoscere, e tantissime persone, nonostante questo, ancora pensano di poterlo criticare senza sapere le orribili tragedie che hanno tracciato la sua vita. Non voglio stare qui a parlare di lui, questa è la mia autobiografia e ho aperto questa parentesi solo perché io stessa, quando lessi per la prima volta quell’intervista, stentai a credere che quel pazzo avesse trovato il modo di stupirmi ancora una volta, trovando le palle di tirare fuori tutto, così, a chiunque.

Quando alla sera, ormai perse le speranze, decisi di andare a dormire senza aspettarlo, mi infilai il pigiama e spensi la luce. In quel momento, sentii le chiavi di Axl girare nella toppa, la porta aprirsi e i suoni familiari delle sue scarpe sul pavimento, della giacca appoggiata all’attaccapanni, delle chiavi infilate nel cassetto del mobile all’ingresso.
Mi alzai e gli andai incontro.
Sorrise appena, quando mi vide vestita da notte, con addosso una sua camicia vecchia.
“Non ti fai nemmeno abbracciare?”
Lo guardai e scossi la testa, anche se la tentazione era forte. Mi sedetti per terra e lo guardai mentre sistemava le sue cose, era tardissimo, ma non ricordo esattamente l’ora, volevo rimanere lì, a guardarlo, a cercare di trovare degli indizi sul folle motivo che l’aveva spinto a raccontare tutto, così. Quando finì di disfare la valigia, si sedette anche lui, di fronte a me.
“Immagino che abbiamo tante cose da dirci”
Annuii.
“Per prima cosa, vorrei scusarmi con te.”
Alzai lo sguardo su di lui, sembrava sereno, più leggero, tranquillo e pentito.
Mi avvicinai e gli diedi un leggero bacio sulla guancia. Mi sorrise malizioso:
“Basta così poco per farsi perdonare?”
Arrossii leggermente:
“In questo periodo ho capito che.. Nonostante tutte le cazzate che riuscite a fare.. c’è qualcosa..”
“Qualcosa?”
Axl mi si avvicinò..
“Qualcosa che mi spinge a..”
“Cosa?”
“A rimanere.. Così legata a..”
Mi abbracciò forte, come non aveva mai fatto, e appoggiai la testa sulla sua spalla lasciandomi cullare da lui. Mi portò in braccio in camera da letto, senza smetterla mai di tenermi stretta al suo petto. Spense la luce e mi appoggiò sul materasso.
“Non scappare mai più da me Bambolina.. Promettimelo”
“Te lo prometto..”
“Sai perché non devi farlo?”
“No..”
“Senza di te, io non ho niente..”
Risi:
“Non dire stronzate”
“Non lo sto facendo.. Io senza di te, potrei anche morire. Non lasciarmi mai.”

Dio, come hai fatto a creare una cosa così perfetta? Stronzate, non è neanche la più bella che io abbia mai visto. Non è bella, non lo è. Ma che diamine mi importa? Ho passato troppo tempo a provare a nascondere a me stesso quello che provo per  questa dannatissima ragazzina, ma ora basta. Ora ho smesso di nascondermi. Ora sono riuscito anche a togliermi di dosso quel peso enorme che portavo. Ora il mondo può sapere. Le risposte ci sono state: i ragazzi vedono solo un branco di fans che non ci lascia uscire dall’aeroporto.. Io vedo.. Amore.. Amore e attenzioni che non ci venivano arrecate da troppo tempo. Amore.. Come quello che provo per questa bambolina? E’ così assurdo, mi viene da ridere tra me e me. Io, che potrei avere chiunque, io che avevo il solo compito di guidarla verso il successo.. E  invece.. Izzy si è scusato. In fondo, posso capirlo, come si può non resisterle, a una così? Non so se lo perdonerò, forse sì. Non lo vedrò per così tanto tempo.. Meglio non pensarci, ora, meglio concentrarsi sulle cose belle.
Oh.. Di cose belle ce ne sono così poche, in realtà.. Se fosse per me, bacerei questa ragazza qui, ora, la farei mia.. Ma non posso. Lei è così ingenua, così fragile. E ha una carriera davanti che io non posso ulteriormente condizionare.


Uscì dalla stanza, dopo avermi baciato la fronte, e dopo, sono sicura, aver sussurrato altre tre parole, tre parole che forse mi inventai nel sogno che stava già prendendo il sopravvento, tre parole che forse fraintesi, tre parole sbagliate e ingenue che, però, mi sembrarono:

“Buonanotte, amore mio”




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Dopo diverso tempo in cui non lasciavo una nota dell'autore sono tornata. Spero che la storia stia continuando a piacere e invito sempre tutti i lettori a lasciare un parere, un segno, un codice morse, qualcosa xD
urt è ovviamente un personaggio esterno al fandom, ma visti gli anni in cui si svolgono le vicende di Minnie e dei Guns, ho deciso di inserirlo. Avrà un ruolo piuttosto marginale nel racconto, ma sarà comunque un'importante presenza per lei.
Per il resto, spero di ritrovarmi in tanti anche al prossimo capitolo, che non tarderò a pubblicare :3
Un bacio,
Nicky
 
  
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