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Autore: pamina71    16/04/2015    5 recensioni
Dal capitolo 9 del Cimento di Vivere, ove si parla delle nozze con molti accenni ed una grande elisione, parte questo ramo collaterale, che entra invece nel dettaglio, sempre con Vivaldi ad offrire la colonna sonora: Piccolo Concerto per flautino in Do Maggiore, RV 443, un gioiellino meraviglioso e sconosciuto che spero di convincervi ad ascoltare leggendo la storia.
Musicalmente, un primo movimento vivace e brillante, come i giorni che precedono le nozze, lo sventolio affaccendato delle gonne della nonna, le sorelle eccitate.
Un secondo movimento adatto alla funzione, ad una piccola pieve di campagna.
Un terzo movimento...adeguato a due sposini.
Può tranquillamente essere letto come storia a se', anche se, nascendo come "costola" di un'altra ff, ho deciso di partire subito con la descrizione dei preparativi, senza por tempo in mezzo e senza indugiare sugli avvenimenti precedenti, che i vecchi lettori conoscono e che i nuovi (sempre che siano interessati) troveranno facilmente nel Cimento di Vivere.
Genere: Introspettivo, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Lame e violini'
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Piccolo Concerto per flautino in Do Maggiore - Allegro molto

 

Giovedì 4 luglio, h 18,30.

Oscar era sulla via del ritorno a casa dal suo primo giorno in Caserma dopo le nozze. Era felice dell'accoglienza festosa ricevuta, ma subito le incombenze e le preoccupazioni dovute alla particolarità del momento politico l'avevano ricacciata nel vortice degli impegni e delle ansie.

André sarebbe rientrato più tardi; anche se aveva organizzato le cose in modo che i loro turni coincidessero, si era dovuto trattenere in caserma per in disguido all'armeria, che in seguito aveva rallentato e ritardato a cascata tutti gli impegni della giornata.

Oscar si era rassegnata all'idea di attenderlo da sola a casa, per quanto le spiacesse.

 

Giunta in vista della loro piccola casa bianca, vide un calesse fermo accanto al cancello. No, no, non Josephine oggi!

Appena vide Oscar, la bella dama con un abito bianco à la reine che sedeva sul calesse le fece un cenno con la mano, e si accinse a scendere. Oscar rispose al saluto e smontò a sua volta.

Le due sorelle si abbracciarono, poi la maggiore si girò a recuperare due cestini ricoperti ciascuno da un panno bianco.

- Ma sei sola?

- André arriverà dopo, le grane non diminuiscono mica solo perché ci si sposa. Anzi, sembra che aumentino.

- Bene, allora ti farò compagnia e potremo scambiare quattro chiacchiere in santa pace.

Josephine non si accorse del lampo allarmato negli occhi della sorella.

Oscar, seppure lievemente seccata per l'intrusione e per l'intromissione nel loro minuscolo e privatissimo regno, la fece accomodare nel piccolo salotto, le cui finestre davano sul crinale della collina, e da cui la vista spaziava sulle vigne sottostanti.

- La nonna di Andrè ha saputo della mia visita e vi manda due panieri di viveri; evidentemente pensa che non possiate sopravvivere senza i suoi manicaretti.

Oscar stava esplorando il contenuto del primo canestro, colmo di vasetti di composte e marmellate di vario tipo.

- Allora, com'è? - Si informò la sorella.

- Com'è, cosa? - Domandò di rimando la destinataria di quel bendidio.

- Essere sposata, no?

Oscar cominciò a sentirsi un po' sulle spine. Stava per rispondere Dovresti saperlo, ma si fermò in tempo, rammentandosi di quanto fossero sciagurate e infelici le nozze della bella donna che la osservava curiosa.

- Io ed André abbiamo sempre vissuto insieme, quindi a parte il trasloco non è cambiato molto...

- A parte il trasloco? Mi stai canzonando o questa davvero è la tua risposta?

- Perché dovrei dileggiarti? Sei stata cosi' gentile da venire sino qui per portarmi queste cose, che senso avrebbe?

Ma é così tanto riservata o proprio non afferra quello che le chiedo?

- Capisco, allora proverò a riformulare da domanda: come vanno le cose tra te e tuo marito? I tuoi doveri coniugali? E' uno sposo esigente?

Oscar rimase per un attimo senza fiato e senza parole. Le sue gote divennero una buona imitazione della marmellata di marasche che teneva in mano.

- JOSEPHINE! Ma sono cose da chiedersi?

- Per l'amor del cielo! Sembri un'educanda appena uscita dal convento, non una che trascorre le proprie giornate in caserma!

- E i tuoi discorsi mi ricordano quelli dei miei soldati!

Posò il vasetto e prese a gesticolare in modo alquanto imbarazzato con le mani aperte, i palmi rivolti verso la sorella.

- Ti adoro, lo sai. Ma questo no. Non me lo chiedere. Ti prego. Questi discorsi non fanno per me.

- D'accordo, d'accordo. Non credevo davvero che con il tuo mestiere tu fossi così facile all'imbarazzo...

- Non è dovuto al mestiere o meno. Io sono così e basta. Discorso chiuso, sei d'accordo?

- Va bene, si arrese Josephine, sorridendo.

Ma che disastro hanno fatto, mio padre e la nonna? E' una contraddizione vivente: soldato, e timida sino al ridicolo per altre cose. E non mi venga però a dire che è arrivata vergine al matrimonio, li ho ben visti io come si guardavano, questi due. Ma, conoscendola, capacissima di non averne avuti altri, prima.

- Se mi scusi un attimo, andrei a cambiarmi, non riesco più a sopportare divisa e stivali. Posso?

- Ma certo, ti aspetto qui.

 

Oscar salì le scale sino alla camera, e si richiuse la porta alle spalle sospirando.

Mentre si cambiava gli abiti, rinfrescandosi un poco ed eliminando le fasce che nella calura di luglio erano davvero soffocanti, si chiese quante altre persone avrebbero azzardato un simile discorso. Sua madre? La nonna? Si sentì stanca al solo pensiero.

Intanto, Josephine al piano inferiore curiosava nella piccola cucina, le cui finestre si aprivano sul convento, e nel salottino che fingeva anche da sala da pranzo. La portafinestra di questa stanza immetteva nel piccolo e fresco giardinetto, non più grande di quelli che a Palazzo Liancourt erano la sua camera de letto ed il suo boudoir, ma era verde, per nulla soffocante giacché circondato solo da una bassa siepe, e decisamente grazioso, con il glicine profumato ad ombreggiarlo.

Curiosa ed annoiata, decise di salire le scale, in punta alle quali si aprivano solo due porte. Una era semiaperta e dava su una stanza soleggiata adibita a biblioteca, con scaffali di libri, alcuni dei quali ancora da sistemare, le custodie dei violini su un ripiano, uno scrittoio ingombro di carte che ancora non avevano trovato sistemazione.

L'altra era chiusa, ed era sicuramente la porta della loro camere da letto. Bussò.

- Vieni pure, ho finito.

- La stanza si trovava sopra al salotto, la finestra era aperta sul giardinetto da cui arrivava. Un letto in ciliegio occupava la parete più lunga, un cassettone ed un armadio costituivano il grosso dell'arredamento. Unica concessione ai vecchi tempi, il tavolo da toeletta sormontato da uno specchio, lo stesso che Oscar utilizzava a casa per pettinare i lunghi e indisciplinati capelli biondi.

La divisa era poggiata sul davanzale aperto della finestra, Oscar aveva solamente una camicia bianca e dei pantaloni comodi, non culottes, ma lunghi alla caviglia, all'inglese. Josephine osservò le fasce arrotolate accanto allo specchio. Che orrendo cilicio usava la sorella!

Un'anta del guardaroba era ancora semiaperta, e una serie di giacche e pantaloni si intravvedevano nella penombre. In mezzo a quegli indumenti maschili, spiccava il bell'abito blu del matrimonio. Josephine non resistette all'impulso, aprì del tutto l'anta per ammirarlo nuovamente. Lo sguardo le cadde sul ripiano basso, ove stava il corsettino morbido, ripiegato con cura e del tutto privo dei nastrini per chiuderlo.

- E questo? Cosa è successo? perché hai tolto i nastri?

- Per la seconda volta in pochi minuti, Oscar riprese il color marmellata. Rosa fragola, stavolta.

- Non erano più recuperabili...

- Fammi il piacere! Come fanno dei nastri a non essere più recuperabili, te li ha staccati a morsi?

La fragola stava virando al rosso acceso della composta di ribes.

- Josephine...sei terribile, lo sai? E' solo che, Jeanne, quando me lo ha messo, per paura che il nodo cedesse non ha fatto il fiocco con gli occhielli. Ha proprio fatto un nodo doppio, bello resistente. E poi...lo sai che André non ci vede bene...avevamo solo una candela...non riusciva a disfare il nodo...

oooh, insomma....Non è propriamente una bugia. E poi sono fatti miei.

- ...insomma?

- Beh, ecco... mi ha tagliato i nastri...Ossignore, che imbarazzo!

Josephine si mise a ridere. Altro che educanda, una ragazzina! Crede che sia capitato solo a lei?

- Tutto lì? Tutto questi balbettii solo per questo! Te lo vado a ricomprare e te ne prendo anche una bella quantità! Almeno venti aune1!

 

Lunedì 30 giugno, h 0,30

 

Gli sposi erano su una piccola carrozza che li stava riportando alla nuova casa. André sedeva con il capo appoggiato all'indietro, mentre Oscar si era seduta di traverso sul panchetto, poggiando le gambe sulle ginocchia del marito, che con la mano destra continuava ad accarezzare la seta delle calze tra la caviglia e il ginocchio. Lento, lentissimo. Senza andare oltre, e senza aprire gli occhi. La sposa si stava godendo la vista di quel bel profilo, il dolce tormento quei tocchi lievi che non andavano da nessuna parte, o quantomeno non dove sperava che si dirigessero...

Arrivati al piccolo cancello in legno rosso, André scese e le porse la mano.

- Mia signora...

Quell'appellativo la fece arrossire di piacere, imbarazzandola un poco. Sorrise, mordicchiandosi il labbro inferiore, e lasciò la propria mano sinistra, con l'anello che luccicava debolmente alla luce della poca luna, poggiarsi sulla mano tesa di lui. Si sentiva abbastanza inerme, con quell'abito, quegli scarpini, e il solo contatto con lui le diede un senso di protezione di cui mai avrebbe creduto di aver bisogno.

 

La guidò in casa tenendola per la mano, come aveva fatto due sere prima. Accese la candela sulla stessa bugia, e salirono le scale. Qui André lasciò che entrasse in camera da sola, e la vide sedersi al piccolo tavolo da toeletta e dedicarsi al compito di liberare i capelli dalle forcine che li imprigionavano, dopo aver scalciato con fare indolente gli scarpini nell'angolo vicino all'armadio. andò poi in biblioteca e tornò mettendosi in tasca un oggetto lucente.

Sorrise al riflesso nello specchio, si accostò alla schiena della moglie, ponendole le mani sulle spalle e liberandole dai capelli che aveva sciolto.

Oscar poggiò le proprie mani su quelli di lui, stringendole leggermente. Gli lanciò uno sguardo impertinente attraverso il vetro argentato.

- Signor marito, sei venuto a prendere ciò che ora è tuo di diritto?

André si chinò a sfiorarle i capelli con le labbra. Invece di rispondere allo scherzo, rispose serio:

- Finalmente...non mi sono sentito tranquillo sino a che Padre Bonnet non ha recitato la formula. Mentre ti attendevo ero in ansia, temendo che tua padre cambiasse idea, rinchiudendoti nelle segrete...o che fossi tu a cambiare idea.

- Ma come ti è venuta in mente una cosa simile?

- Te l'ho già detto, non mi pare vero che tu abbia scelto me, e questa minuscola casa, e il poco che ti posso offrire.

- Molto più di quanto mi darebbero altri ben più ricchi. Su questo non ho mai avuto il minimo dubbio.

Oscar rovesciò completamente all'indietro i capo per baciarlo sulle labbra. Andrè rispose con una dolcezza che stava iniziando a mutarsi in passione. Lo abbracciò alzando le braccia all'indietro, in una posizione che la costrinse a flettere il dorso ed evidenziò le clavicole, mentre il ciondolo a forma di stella cadde nella fossetta alla base del collo. La baciò in quel punto, spostando con le labbra quel simbolo scambiato alcuni mesi prima.

Tenendola per i fianchi, la aiutò ad alzarsi e, slacciando la cintura ed aprendo lentamente i bottoncini sulle scapole, le sfilò l'abito lasciandolo cadere ai suoi piedi, in un sospiro di seta.

Oscar rimase con indosso la sottogonna rigida in chintz e quella più larga e morbida in seta, orlata dello stesso blu dell'abito, e con il petto coperto dal corsettino morbido. La doppia fila di lacci blu ed argento scendeva dalle scapole ai fianchi. Andrè la percorse con la punta delle dita della mano sinistra, mentre con la mano destra recuperava un oggetto lucente dalla tasca.

Non l'avrebbe mai ammesso con nessuno, ma quei nastri l'avevano preoccupato da quando ne aveva sentito parlare con entusiasmo dalla nonna con le sorelle di Oscar. Aveva perfettamente coscienza della poca vista che gli rimaneva, e la luce tremula dei doppieri non lo avrebbe aiutato a sciogliere quegli stretti nodi. Ma non voleva ammettere la debolezza del proprio occhio. Si sentiva inerme, e gli sembrava di mentire alla donna della sua vita proprio la prima notte di nozze. Non avrebbe mai voluto farle capire l'entità del problema. Per questo aveva deciso di giocare d'astuzia, eliminando i problema alla radice e nello stesso tempo lasciandole credere di aver pensato ad un innocuo gioco licenzioso. Cosa che peraltro non era certo lontana dalla verità.

Infilò la punta fredda dello stiletto2 tra le scapole ed i laccetti, facendola trasalire. Trasalire, ma non spaventare. Nulla di quello che gli sarebbe venuto in mente avrebbe potuto impaurirla davvero.

- Ci pensavo da quando ho capito che ne indossavi uno...- le soffiò leggero all'orecchio.

Ed è vero, anche se non ne saprai mai la ragione. Perdonami questa menzogna.

Fece saltare il primo incrocio, che cedette con un lievissimo crocchiare.

- Ma non pensavo - e tagliò il secondo. Un soffio di seta.

- Che ti avrebbero convinta - recise il terzo, un crepitio quasi impercettibile.

- Ad indossarne uno così... - troncò tutta la fila. Un ritmato strapparsi di fili.

Oscar portò le mani avanti per impedire che cadesse, ma Andrè fu veloce a sfilarglielo dalle mani e gettarlo sul cumulo frusciante formato dall'abito. Un refolo di stoffe preziose.

Gettò lo stiletto, che cadde con un tintinnio argentino come una campanella.

Liberò i due gancetti che reggevano le sottogonne che raggiunsero il resto della veste da sposa. Ora le restavano indosso solo le lunghe calze di seta. Si girò verso di lui, ed iniziò a liberarlo lentamente dal fazzoletto che lo stringeva sul collo. Un alito di stoffa su stoffa. Gli sfilò la giacca e il gilet, mentre Andrè rimaneva immobile, gustandosi quegli sfioramenti leggeri, le braccia, il collo, il seno che lo toccavano attraverso il bisso leggero della sua camicia. Rumori appena udibili, nel silenzio della stanza. Non aveva alcuna fretta.

Avevano tutta la notte, tutta la licenza, tutta la vita a loro disposizione.

 

Quando anche tutti i suoi abiti non furono altro che un monticello ai suoi piedi, la prese in braccio e la distese sul copriletto candido. Un tonfo di lana e piume.

- Sono tua. Je suis à toi3. Sei tu il padrone del mio cuore, e il mio corpo ti appartiene.

- Sarò tuo padrone non più di quanto tu non lo sia stata per me...

Dal glicine arrampicato sulla facciata giungeva un bordone di foglie smosse da un refolo di vento e dal frinire di decine di grilli.

Si guardarono a lungo, prima che un bacio unisse il suono dei loro respiri in un silenzio liquido.

André le prese i polsi e li accompagnò sul cuscino, oltre la testa. Lasciò a reggerli la sua mano sinistra, posizionata e delicata come sul manico del violino. Passò la mano destra sul costato di Oscar, magro e in rilievo come i tasti di un clavicembalo. Mosse le sue lunghe dita in una languida carezza scandita dal ritmo delle costole.

Scese lungo il corpo in una scia silenziosa di baci, minuscola melodia amorosa sostenuta dal tempo del respiro di lei. Quando le labbra diventarono incontentabili il fiato silenzioso si fece ansito, e cadenza veloce. Un'armonia di leggeri aneliti e frusciare scomposto di pelle sulle pieghe scomposte delle coltri.

Le labbra ritornarono alle labbra, sospiri e morsi si confusero. Mentre quello di lei lo accoglieva e lo accudiva il concerto dei corpi divenne tempo impetuoso, rapido e solenne. Note gravi di bassi sospiri, afflati acuti e confricare di lenzuola. Strofinio di mani sul dorso, carezze di capelli sulla pelle.

Poi il silenzio della pace, suono inaudibile di un orecchio che ascolta il cuore su cui poggia, di una mano lieve che carezza capelli neri come l'uva4 che a breve colorirà i filari intorno alla bianca casetta.

 

Lunedì 30 giugno, h 9,30

Madame Marguerite si svegliò serena nel grande letto circondato dai tendaggi color pesca del baldacchino. Il suo primo pensiero fu per la figlia appena andata in sposa.

Per la prima volta l'idea del matrimonio di una delle ragazze non le dava alcuna preoccupazione. Per la prima volta non avrebbe avuto una sposa da consolare. Per la prima volta la notte di nozze non era stata un incubo od una sgradevole imposizione. Per la prima volta, ebbe la certezza assoluta che il marito di una delle sue figliole sarebbe stato in grado di renderla una moglie felice. Per la prima volta, il prescelto non era un aristocratico.

 

Lunedì 30 giugno, h 20,30

André aprì la porta di casa e con un gesto galante cedette il passo ad Oscar. Uscirono nel piccolo giardino tenendosi per mano, poi oltrepassano il piccolo cancello per andare a passeggiare tra le verdi viti digradanti sulla collina.

Nessuno dei due si accorse di una figura vestita con una divisa azzurra, che reggendo nella mano destra le redini di un cavallo grigio, li osservava con un misto di invidia e gelosia, tenendo le labbra serrate in una smorfia di disgusto.

 

Venerdì 5 luglio, h 14,30

- André, c'è una dama che ti cerca.

- Qui in caserma? Ma non è giorno di visita.

- Dice che non le importa, deve solo darti una cosa. Credo sia una delle sorelle di tua moglie. Ha lo stesso piglio di chi sa benissimo come farsi obbedire...

 

- Buongiorno Josephine, non mi aspettavo di vedervi.

Diverse paia d'occhi gettavano sguardi incuriositi facendo sembiante di essere affaccendati in altre incombenze.

- Ciao, caro, ho solo dovuto fare una commissione per Oscar. Ecco qui.

E gli porse un piccolo pacchetto, del tutto insignificante, che non giustificava minimamente una deviazione così lunga fino alla Caserma.

- Cos'é?

- Venti aune di nastro blu per corsetti - rispose la Duchessa, con un preoccupante sorriso dispettoso, e una voce squillante che aveva tutte le intenzioni di farsi udire dai commilitoni curiosi.

- Se hai intenzione di tagliarlo tutte le volte, ve ne servirà parecchio.


Citazione divertentissima, già usata nell'altra mia ff, dal sito del Politecnico di Torino: "Nel Settecento, la confusione sulle unità di misura era indescrivibile. Praticamente, ogni città usava misure diverse (...). A Torino, ad esempio, l'unità di misura era il braccio, corrispondente a un terzo dell'impronta del corpo di Cristo sulla Sindone, a Londra era la yarda il cui valore era pari alla distanza tra la punta del naso e il pollice della mano di Enrico I (...). Soltanto a Parigi, esistevano circa ottocento diverse unità di misura che sovente, sotto lo stesso nome, nascondevano valori molto diversi creando, nel loro folclore, una confusione enorme. Ad esempio, le stoffe si compravano ad aune, un'antica misura corrispondente a circa un metro e 20 centimetri, ma già solo a Parigi c'erano tre diverse aune, per misurare i diversi tipi di stoffa e, per complicare ulteriormente le cose, c'erano aune più lunghe per comprare all'ingrosso, più corte per la vendita al dettaglio. Gli speziali usavano la libbra come unità di peso, ma la libbra dei fornai era più leggera di quella dei commercianti di ferramenta. Il sale si vendeva al moggio, la calce al poinçon, il gesso a sacchi, i minerali alla raziera, l'avena a profenda."

Lo so, é un topos che ritorna, già usato, sia da Rivoluzione, sia in una ff che si intitola Histoire de Corset e da molti altri. Ma l'idea mi piaceva, e volevo darle un accento più triste, meno giocoso.

3  Lo so, altro topos usatissimo. Preso dal manga, ma volevo puntare l'accento sull'inversione dei ruoli avvenuto col matrimonio, almeno dal punto di vista di Oscar.

Paragone della Ikeda.
   
 
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