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Autore: Jaredsveins    19/04/2015    5 recensioni
Destiel ambientata tra i banchi di scuola.
Dean e Castiel sono amici, ma il loro rapporto è un po' particolare. Il loro passato li porterà ad unirsi, oppure ad allontanarsi sempre di più?
Se volete sapere come va, non vi resta che leggere!
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Salve a tutti! Mi presento a chi non mi conosce e non ha mai letto di conseguenza qualcosa scritta da me. Mi chiamo Federica, ma chiamatemi pure Feffe. Shippo Destiel a mai finire e questa è la prima long su quei due esseri pucci (shh non l'ho detto davvero) che butto giù, quindi spero che venga fuori qualcosa di carino e spero con tutto il cuore che mi facciate sapere cosa ve ne pare.
Ci vediamo al prossimo capitolo!

-Feffe


1. Do you feel cold and lost in desperation?

 

No one knows what it's like
To feel these feelings
Like I do
And I blame you
No one bites back as hard
On their anger
None of my pain and woe
Can show through

Behind blue eyes – The Who

 

20 Marzo 2007

 

La pioggia batteva violentemente contro i vetri della finestra, il vento soffiava attraverso gli spifferi e entrambi i suoni creavano così gli unici rumori presenti nella casa ormai silenziosa. Silenziosa perché non vi era più nessuna vita ad abitarla. Mezz'ora prima c'era, ma adesso tutto quel che era rimasto erano dei corpi senz'anima e delle pozze di sangue che li circondavano. Solo uno di loro si era salvato, perché si trovava a casa di amici. Solo uno di loro che ignaro di tutto, aprì la porta di casa e urlò di esser tornato. Ma nessuno rispose, nessuno disse nulla perché semplicemente nessuno era lì ad aspettarlo. Non più.

“Mamma? Papà?” Il ragazzo sbuffò e immaginò che tutti dovessero già essere a letto. “Sammy?” Si recò nella camera del fratello e un urlo gli morì in gola, perché non poteva credere ai suoi occhi e si augurò di avere le allucinazioni. Perché, se non le avesse avute, avrebbe voluto dire che il corpo dilaniato sul pavimento era davvero di suo fratello. Avrebbe voluto dire che i suoi occhi riversi all'indietro e vuoti erano reali.

“Sammy..” Si avvicinò e si inginocchiò per terra, stringendo i pugni nei jeans e gemendo di orrore quando si rese conto di non star sognando. Perché avrebbe voluto svegliarsi e scoprire che quel che stava vivendo era solo un incubo, uno di quelli che ti fa svegliare con l'angoscia ma che dopo un po' ti lascia stare. Avrebbe voluto non esser mai uscito da casa quella sera, perché almeno sarebbe toccata la stessa sorte a lui e non avrebbe dovuto sopportare quel dolore che si stava facendo spazio in lui.

La puzza di sangue gli stava ormai impregnando le narici, il silenzio era troppo rumoroso in quel momento. E dentro se sapeva bene che, se fosse andato nella camera adiacente a quella, avrebbe trovato uno spettacolo altrettanto terribile.

E volle verificare ciò, alzandosi e reggendosi a malapena in piedi mentre vedeva offuscato per le lacrime che gli erano salite agli occhi. Spostò la porta della camera da letto e appena vide il resto, urlò.

Sua madre giaceva sul letto che ormai era impregnato dal sangue, gli occhi erano chiusi e una ferita era aperta all'altezza del cuore. Suo padre aveva il volto tumefatto, era irriconoscibile e stava per terra supino, senza vita, con una ferita come quella della madre ma all'altezza dello stomaco.

Dean sentì la testa girare e le gambe lasciarlo, infatti crollò sul pavimento e tutto ciò che seguì quel momento fu il buio.

Quando si risvegliò, trovò il suo amico di famiglia Bobby a consolarlo.

Pianse tanto, come mai in vita sua e promise a se stesso che avrebbe scoperto chi era stato a fare una cosa del genere. Promise a se stesso che dopo quel giorno, non avrebbe più perso tempo a piangere, ma a combattere. E così fu, non versò nemmeno una lacrima nemmeno ai funerali. Semplicemente, rimase a fissare le tre bare che venivano abbassate sotto terra, serio. E combatté per tanto tempo, per mesi e mesi fino a quando non si scoprì chi fu a uccidere la sua famiglia. Una persona che nemmeno Dean conosceva e che scoprì aveva dei debiti con John, suo padre. Era stata tutta una schifosa questione di soldi. Dean sapeva che, qualsiasi somma di denaro suo padre dovesse a quell'uomo, non sarebbe mai stata equivalente al valore di tre vite. Perché da quel giorno in poi non ci sarebbe più stato nessuno ad aspettarlo a casa, non ci sarebbero più stati i litigi con Sam, le risate, gli abbracci, la consapevolezza di poter contare sul proprio fratello. Non ci sarebbe più stata sua madre a consolarlo quando stava male, a dirgli quanto lo amava e ad aiutarlo con le prime cotte. Non ci sarebbe più stato suo padre ad aiutarlo a difendersi dagli idioti che lo avrebbero preso un giro a scuola, non ci sarebbe mai più stato un padre che lo avrebbe aiutato a diventare un uomo. Ci sarebbe solo stato lui contro il mondo.

 

 

20 Marzo 2015

 

Castiel si trascinò al banco in fondo alla classe stanco, sbuffando e poggiando la testa sul braccio ora disteso sulla superficie dura. Ultimamente studiava come una macchina e non aveva più tempo per niente, ma era l'ultimo anno e doveva prendere quel fottutissimo diploma. Non leggeva da giorni e si sentiva già in astinenza, non era nemmeno riuscito a comprare il CD per cui aveva messo i soldi da parte. I suoi lo asfissiavano, dicendogli che se non fosse uscito da scuola con un voto decente, col cavolo che lo avrebbero mandato in vacanza nelle Maldive.

Sorrise tra se e se, pensando a quanto sarebbe stato bello svegliarsi, affacciarsi e trovare attorno a se il mare cristallino. Ma i suoi pensieri furono interrotti dall'ingresso del suo amico in classe, Dean Winchester.

Era un ragazzo okay, anche se a volte Castiel si sentiva in imbarazzo perché quel ragazzo era un tipo molto riservato e quindi in certi momenti non sapeva come comportarsi. Si conoscevano da ormai due anni, ma avevano iniziato a legare davvero negli ultimi mesi per via di un episodio successo in mensa.

Degli idioti lo avevano attaccato chiamandolo checca di merda e Dean era intervenuto, dicendogli di andare a farsi fottere e presentandosi a lui con un sorriso. Castiel ne era rimasto molto sorpreso, perché anche se sapeva difendersi da solo, nessuno lo aveva mai fatto per lui e gli aveva fatto davvero molto piacere.

Quel giorno, però, aveva qualcosa di diverso, era più serio del solito e questo scosse Castiel che si chiese subito cosa potesse esser successo. Erano amici, ma nessuno dei due si confidava mai con l'altro. L'unica cosa che Cas sapeva dell'altro, era che viveva con un amico di famiglia e l'altro sapeva di lui solo della sua omosessualità. A lui sarebbe piaciuto moltissimo parlare con Dean della propria vita, solo che per una volta in cui lui gli fece una domanda, il ragazzo era scattato come una molla e gli aveva detto in modo per niente gentile, di farsi gli affari suoi. E da quel giorno parlarono di tutto, ma non delle loro famiglie.

“Buongiorno!” Lo salutò allegro Castiel.

“Mh, ciao.” Dean fece un cenno e si sedé accanto a lui, sbuffando scocciato.

“Qualcosa non va?”

“Che ti importa scusa?” Rispose secco, senza guardarlo.

Cas si zittì subito e sospirò, sapendo che non avrebbe potuto chiedergli nulla e si guardò attorno cercando di concentrarsi su altro, mentre la classe si riempiva piano piano.

Dopo dieci minuti la lezione iniziò e entrambi i ragazzi non si parlarono nemmeno un po', con un leggero disappunto di Castiel. Avrebbe davvero voluto sapere cosa turbava Dean per poterlo aiutare, ma non gli aveva risposto in modo molto carino e non gli andava di discutere con nessuno, soprattutto con lui.

“Scusami.”

Quella parola arrivò inaspettata alle orecchie di Cas che sgranò gli occhi, voltandosi verso l'altro. “Cosa?”

“Scusami, non avrei dovuto risponderti in quel modo. E' che oggi è..”

Castiel guardò Dean in aspettativa e poté sentire il suo cuore battere all'impazzata, perché sarebbe stata la prima volta in cui l'amico gli avrebbe detto cosa non andava.

“Niente, lascia perdere.”

“No, adesso me lo dici.” Lo punzecchiò Castiel, dandogli dei colpetti con la penna sul fianco con l'intento di far ridere l'altro.

“No, davvero..non è nulla.” Dean si alzò e chiese il permesso di uscire, recandosi fuori nel momento in cui il professore gli disse di sì.

Cas incrociò le braccia e scosse il capo confuso, pensando che prima o poi avrebbero parlato per bene.

 

Finita la lezione, Castiel si recò fuori dall'istituto per andare sul prato a leggere un libro per distrarsi, visto che i suoi pensieri erano tutti concentrati su Dean Winchester. E poi quelli erano gli unici momenti in cui poteva fare qualcosa che gli piaceva. Tra una lezione e l'altra. Quindi si sedé, poggiò la schiena su un albero e iniziò a leggere tranquillamente, non accorgendosi dell'amico che si stava avvicinando a lui.

“Disturbo?”

Il ragazzo chiuse il libro e negò con il capo, facendo spazio a Dean per farlo appoggiare al tronco dietro loro. “Comunque sei strano forte eh.”

“Perché?” Il biondo aggrottò le sopracciglia e inclinò il capo.

Castiel pensò che fosse adorabile. “Oh beh, perché prima sei scontroso, poi scherzi, poi stai per dirmi qualcosa e ti zittisci, uscendo dalla classe. E ora eccoti qui. Sicuro di non soffrire di un disturbo della personalità?”

Dean scoppiò a ridere insieme a Castiel e gli diede un pugno sul braccio per scherzare. “Sono sicuro. E' solo che non sono abituato a parlare dei miei problemi agli altri.”

“E' che non sei abituato ad avere amici, in realtà.”

E Dean sapeva che aveva ragione.

Castiel era il primo vero amico che riusciva ad avere dopo molti anni e non era abituato a sfogarsi, a confidarsi con qualcuno oppure a ricevere consigli. Lui credeva di riuscire a star bene da solo, senza il bisogno di nessuno perché, secondo lui, i rapporti rallentavano le persone. Dean pensava che avere qualcuno al proprio fianco, fosse una debolezza perché se si teneva a qualcuno, si era più vulnerabili. Perciò era sempre stato solo, non aveva mai cercato nessuno illudendosi di star bene quando invece sapeva benissimo che, in fondo, tutti avevano bisogno di qualcuno per riuscire a essere felici anche con tutti i rischi che avrebbe comportato.

E così conobbe Castiel, quel ragazzo che a volte definivano strano per via della sua omosessualità anche se non dichiarata; quello stesso ragazzo che invece di allontanarsi da lui ed evitarlo quando lo insultava, si avvicinava di più e gli diceva di capire la sua rabbia; quello stesso ragazzo che lo sopportava e supportava; quel ragazzo che non sapeva del passato di Dean; quel ragazzo a cui non aveva mai raccontato della sua vita.

“Beh, sono amico tuo.”

“Touché.”

Dean si mise a ridere e chiuse gli occhi poi, godendosi il vento che gli stava colpendo il viso.

“Cosa c'è che non va Dean?”

Si sentì toccare la spalla dall'amico che aveva appena parlato piano, come se avesse quasi paura di chiederglielo.

“Non è necessario che tu lo sappia.”

“Ma io voglio solo aiutarti, credimi.”

“Se lo sapessi, non cambierebbe nulla. Quindi non te lo dico.”

“Tenerti tutto dentro non ti aiuterà.”

“E parlarne a te sì?”

Castiel sospirò e negò con il capo, ritirando la mano dalla spalla di Dean e riaprì il libro, cercando di immergersi di nuovo nella lettura e tentando di far finta di nulla. Gli dispiaceva vedere Dean stare male e non poterlo aiutare. Faceva sempre di tutto per farlo ridere e anche se ci riusciva, c'era sempre quella sfumatura di tristezza negli occhi dell'amico che non riusciva a farlo star sereno.

Dean si sentiva in colpa ogni volta che dava risposte come quelle a Cas, perché in fondo voleva riuscire a sbloccarsi ma la verità era che parlare della tragedia della sua famiglia lo avrebbe costretto a ricordare tutto per filo e per segno. Sentire uscire dalle sue labbra parole come “i miei sono morti e anche mio fratello” sarebbe stato troppo e poi, ogni volta che pensava di essere pronto per dirle, si ritirava sempre per paura di esser visto con pena o per paura di non farcela.

“Cas, mi dispiace okay? Ma non voglio annoiare nessuno con i miei problemi, non mi va proprio.”

“Non annoieresti nessuno, stai tranquillo. Ma va bene così, un giorno me ne parlerai.”

Castiel era infastidito e Dean era riuscito a capirlo dal tono che usò e la cosa lo fece arrabbiare. “Cosa vuoi che ti dica?”

“Niente!” Castiel chiuse il libro con forza e si alzò, dando le spalle all'altro e respirando profondamente. “Ora devo andare, ho lezione.”

Dean scosse la testa confuso e al tempo stesso arrabbiato. Non sarebbe mai riuscito a capire il rapporto che aveva con quel ragazzo. Perché alla fine o litigavano, oppure stavano bene o entrambe le cose insieme. “Dipende tutto da me? Dipende dal mio essere schivo e riservato?” Si alzò e aprì le braccia di lato.

Castiel non rispose e continuò a camminare, stringendosi il libro al petto. Adesso era lui che aveva bisogno di stare da solo. Era arrabbiato.

“Rispondi, dannazione!” Il biondo lo prese per il braccio una volta dopo averlo raggiunto e lo costrinse a voltarsi per guardarlo in faccia. “Dipende da questo?”

“Lasciami.” L'altro si divincolò dalla presa che si faceva sempre più forte e ciò gli portò alla mente un ricordo che ormai aveva sotterrato nella sabbia, un ricordo che lo faceva rabbrividire e a cui non dava importanza da ormai molti anni. A Castiel venne il panico.

“No, tu adesso mi rispondi.”

“Dean, ti ho detto di lasciarmi..” La voce del moro si fece un sussurro e sentì un peso allo stomaco al tempo stesso, quando con uno strattone tentò di sfuggire a Dean che invece lo prese anche per l'altro braccio, stringendo la presa con enfasi.

“Non te ne vai se non mi rispondi. Mi sono rotto di questa situazione! Che razza di amicizia è la nostra?!”

“Non è colpa mia se va così!” Castiel esplose e gli urlò contro. “Lasciami cazzo!”

Dean sgranò gli occhi sentendolo e lo lasciò andare improvvisamente, facendolo barcollare indietro e facendogli fare qualche passo per riuscire a stare in equilibrio sui suoi piedi.

Cas corse via e si infilò subito in bagno, chiudendosi dentro uno di questi e sedendosi sul water per poi prendersi subito la testa tra le mani. Le immagini che aveva cercato di non ricordare più stavano riaffiorando nella sua mente ed erano dolorose, taglienti. Il ragazzo infilò le dita tra i capelli, stringendoli nei pugni e ripetendo in continuazione “no”, dondolando avanti e indietro sul posto per almeno cinque minuti. Doveva calmarsi assolutamente.

  
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