Salve! Ecco la mia nuova storiella, spero che a qualcuno piaccia!!! La vera storia in realtà inizia tra un po’ ma dovevo per
forza iniziare così o non si sarebbe capito niente. Per favore se a qualcuno
piace mi lasci scritto almeno due righe per farmelo sapere!!!
Se no mi passa la voglia di continuare a scriverla! Se poi pensate che sia tanto terribile ditemelo comunque così almeno cerco di
migliorare e, se proprio devo, cancello tutto e riscrivo… adesso vi lascio alla
lettura del primo capitolo. Bye ^^
I
-Mio
signore, la vostra futura sposa è arrivata- era stato
il piccolo e timido Tonke a parlare, un semi-dio
dalle sembianze di un ometto piccolo e quasi insignificante, con la voce
stridula e incerta e un’espressione da ingenuo continuamente stampata sulla
faccia. Il suo interlocutore? Il maestoso e potente dio della morte e della
guerra: Balor. Alle parole del servo, la sua reazione è strana; la fronte
severa si riempie ancora di più di rughe, la mascella, già dura di suo, si irrigidisce e si serra; l’occhio aperto, quello che non
distruggerebbe tutto ciò che si trova ai suoi piedi con un solo sguardo, si
incupisce e si socchiude, lasciando intravedere solo una macchiolina del suo
verde brillante. Non sembra molto contento dell’incontro con la sua sposa.
-falla
entrare- la sua voce un tuono, cupo come il suo
aspetto. Decisamente non sembra un uomo che varrebbe
la pena di sposare. Ma quale donna, seppur una dea,
poteva opporsi alla sua volontà di diventare sua moglie, quando quello
sfortunato giorno egli decise di prendere moglie? Nessuna. Nessuna ne aveva il coraggio. Era il padre di tutti gli dei
dopotutto.
Il
piccolo Tonke, servitore del dio da ormai secoli,
corse fuori dall’imponente stanza reale per fare
entrare la sposa. La stanza era davvero regale, il trono su cui sedeva Balor
era di legno finemente lavorato e magnificamente intarsiato, con alcune parti
ricoperte interamente d’oro. Il trono era appoggiato alla parete di fronte alla
porta, una porta in legno massiccio come il trono
stesso e riccamente decorata con incisioni di manifattura divina. Davanti ai
piedi del dio, c’era un enorme tappeto rosso morbidissimo e in un angolo
dell’enorme sala c’era un piccolo tavolo apparecchiato con le più dolci delizie
che un uomo o un dio potesse desiderare. Tutto nella
stanza profumava di sfrenata ricchezza.
Ad
aggiungere ancora più bellezza e meraviglia alla sala del dio Balor, fu la
comparsa di una donna, anzi di una dea. Era la bella Branwen. Anche il freddo Balor non poté esserle indifferente; la sua
bellezza spezzava il fiato e fermava per un attimo il cuore. Non per niente era
la dea dell’amore. I capelli rosso fiamma le
ricadevano sulle spalle come una cascata impetuosa, domata da due treccine molto fini, che partivano dalle tempie per poi
unirsi in un’unica treccia sulla nuca. In forte contrasto con i capelli erano
gli occhi; avevano un taglio orientale, leggermente allungati, ed erano di un celeste glaciale, più azzurri del cielo in primavera e
più cristallini dei freddi ghiacci della loro gelida isola, invisibile agli
occhi degli umani. Il viso aveva una dolcezza infinita che veniva
trasmessa soprattutto dall’espressione dei suoi occhi e raggiungeva chiunque.
Il suo fisico era perfetto a dir poco; alta, con la vita sottile e un
portamento fiero che imponeva a tutti di portarle rispetto, oltre che amore
incondizionato. Balor aveva saputo scegliere bene la sua consorte.
-e-e-eccola mio signore. La dea
Branwen- anche il servitore era rimasto ammaliato dalla stupenda donna che
aveva avuto l’onore di accompagnare dal suo signore. I due futuri sposi si osservarono a lungo, prima che lui iniziasse a parlare,
interrompendo le fantasticherie del servo, che si era come incantato a fissarla
con i suoi piccoli occhietti color nocciola.
-serviteci
da mangiare e da bere, non voglio che la mia ospite, nonché
futura moglie muoia di fame- il dio aveva quasi sorriso, nel limite delle sue
possibilità ovviamente; le labbra erano talmente poco avvezze al sorriso, che
fu per lui un’impresa ardua allargarle in una parvenza di sorriso. Anche la bellissima dea sorrideva, ma di un sorriso
completamente finto. Come poteva lei, dea stupenda, sposare uno come lui? Un
uomo alto e muscoloso sì, ma dall’aspetto così rude e arcigno, con quei capelli
spettinati e disordinati, una benda sull’occhio destro e quella voce tonante e
per niente musicale? Erano così diversi, eppure aveva acconsentito al
matrimonio, non aveva avuto altra scelta a dir la verità. Quando
si era sparsa la voce, attraverso i diversi messaggeri alati, che il dio della
morte cercava una compagna, si era sparso il terrore tra le figure femminili
divine. Tutte sapevano di essere possibili candidate, sapevano che il potente
dio non si sarebbe mai accontentato di una qualunque mortale o semi-dea.
Sicuramente avrebbe voluto una delle più belle dee dell’isola. E così infatti era successo, aveva scelto niente di meno che la
dea dell’amore, la dea più bella tra tutte, insieme alla dea della bellezza
stessa. Di tutte, infatti, erano queste due ad avere avuto più paura di tutte e
a ragione.
-allora,
mia cara, celebreremo le nozze il prima possibile. Giusto?- i suoi occhi erano
puntati con aria di sfida in quelli fieri di lei, come a volerla invitare a
dirgli di no.
-e
come potrei dirvi di no, mio signore?- la sua voce era
dolce almeno quanto il suo volto e non c’era nessuna traccia di provocazione,
sparita anche dai suoi occhi, dove però si poteva ancora leggere molta la
fierezza. Adesso Balor stava cercando di regalarle un altro sorriso; due tentativi
nello stesso giorno: una gran novità portata dall’idea del matrimonio.
-bene,
mangiamo pure adesso- e addentò un pezzo di una coscia
di maiale, in modo piuttosto maleducato e poco fine. Branwen represse un lieve
conato di vomito, vedendo il suo futuro marito ingozzarsi così, e cercò di non
fargli notare il suo sguardo di schizzinoso disappunto. Distolse lo sguardo e
iniziò anche lei a servirsi di un po’ di cibo, che iniziò a mangiare con
educazione, sperando di mettere in imbarazzo l’altro di fronte a sé, ma senza
risultati apparenti. Egli continuava a mangiare con la stessa foga di prima,
senza badare alla sua ospite che gli indirizzava sguardi un po’ sorpresi e un
po’ dispiaciuti nel vederlo mangiare così. Terminarono il pasto in silenzio,
prima che Balor ordinasse a Tonke di sparecchiare la
tavola e di lasciarli soli.
-vi
accompagno a vedere il nostro giardino, sono sicuro che lo troverete di vostro
gradimento- stavolta non tentò di sorridere di nuovo.
Lei invece gli sorrise per fargli capire che l’idea le
era gradita, anche se in realtà dentro di lei stava urlando e piangendo, al
solo pensiero di essere da sola con lui in un immenso giardino. Se pensava che sarebbe stata la sua compagna per l’eternità,
si sentiva svenire, quindi meglio non pensarci e continuare a sorridere per
compiacere il suo accompagnatore. Ma dentro la sua testa e il suo cuore continuava a ripetersi che era impossibile che stesse per
sposare quell’individuo; lei, la dea dell’amore, che
si sposa con un uomo che non ama e che non a sua volta non la ama, ma vuole
solo avere degli eredi da iniziare alla sua terribile professione? Un’ombra le
apparve sul tenero volto e venne riflesso dai suoi
occhi in una fontanella che il suo promesso le stava mostrando. Stava
continuando a parlare per spiegarle come era stato
creato quel magnifico giardino, ma lei non stava ascoltando una sola parola,
persa completamente nei suoi pensieri, e non stava nemmeno osservando nulla del
giardino, anche se sicuramente le sarebbe piaciuto, se ammirato in un altro
momento. Balor si accorse della sua assenza.
-non
è di vostro gradimento, cara?
-no,
no di certo. È tutto meraviglioso, ma sono molto stanca e vorrei
ritirarmi nella mia camera, se non vi dispiace.
-ma certo. Vi accompagno personalmente- la riportò
in casa e la condusse in una camera enorme, immediatamente di fianco alla sua.
-la
vostra camera è vicinissima alla mia, se avete bisogno di qualcosa non esitate
a chiamarmi- e poi aggiunse, indicando una ragazzina
dall’aria allegra che la fissava, tutta contenta di avere una padrona così
bella da servire –questa è Olimpia, sarà la vostra cameriera e dama di
compagnia, spero che andrete d’accordo-
-sarà
sicuramente così, grazie mio signore- ed entrò nella
sua nuova e lussuosa camera. Iniziò a guardarsi intorno.
Anche quella camera era enorme e sfarzosa,
esattamente come la stanza dove aveva pranzato con Balor. Le pareti erano
decorate con pannelli color pesca e alle finestre le tende erano abbinate con
lo stesso colore ed erano di un tessuto morbidissimo; sulla parete a sinistra
della porta c’era un grande armadio, sicuramente già pieno di bellissimi
vestiti della sua misura. Sulla parete di fronte all’ingresso c’era il
gigantesco e stupendo letto a baldacchino, con delle coperte di seta anch’esse
abbinate alle pareti e alle tende e i cuscini grandi e morbidi di una tonalità
in contrasto; tutto era circondato da un fine e sottile velo leggerissimo e
morbidissimo, che celava in parte la vista dell’interno del letto agli
osservatori esterni. In un angolino della camera c’era
poi un lavabo in finissima porcellana, decorata con disegni fatti a mano, e una
specchiera, con appoggiati sul ripiano i profumi più delicati che una donna
potesse desiderare. Era tutto stupendo, ma sembrava più entusiasta la serva che la padrona.
-vuole riposare, mia signora?- la vocetta
allegra e giovane della cameriera aveva distolto Branwen dall’osservazione
della camera.
-sì,
grazie. Ma ti prego almeno tu, non chiamarmi mia signora, mi sento
una vecchia.
-e
come volete che vi chiami?- Olimpia era sorpresa,
tutto si aspettava, tranne che quella dimostrazione di confidenza da parte di
una dea così bella e regale.
-Branwen
andrà benissimo, grazie Olimpia.
-va
bene Branwen- la dea iniziò a pensare che quella
ragazzina che la serviva sarebbe stata la sua unica amica in quell’enorme palazzo, che per lei era già una prigione
dorata.
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Le
nozze erano programmate per due giorni dopo il loro primo e unico incontro; Balor
non si era certo preoccupato di passare del tempo con lei il giorno successivo
ad esso, tutto preso com’era ad organizzare nel minor
tempo possibile il matrimonio. Da come erano state
progettate, sarebbero state le nozze più sfarzose che si fossero mai viste
sull’isola degli dei. Migliaia di servitori erano alle prese con
l’organizzazione, Balor voleva che tutto fosse perfetto e indimenticabile, sia
per lui che per la sua signora. La cosa sicuramente più spettacolare di tutte
era il magnifico vestito della sposa. Branwen era nella sua camera e Olimpia la
doveva aiutare a vestirsi, cosa non molto semplice con un vestito tanto
elaborato. Era di un bel bianco panna, con delicati
ricami colorati sullo stretto corpetto e sul bordo della gonna, che si allargava
dolcemente dalla vita in giù; magnifiche e rare perle bianche seguivano i
ricami dorati, sia sul corpetto, che sul bordo della gonna. Sul
corpetto inoltre, c’erano ricchi merletti lavorati a mano, che continuavano fin
sulle maniche, le quali erano aderenti alle braccia fino al gomito, per poi
allargarsi fino in fondo. Tutto era accompagnato da un paio di scarpe
lucide, dello stesso colore del vestito e da una fine coroncina di perle. Con
tutti i nastri per allacciarlo sulla schiena, era davvero impossibile
indossarlo senza nessun aiuto.
Per
fortuna, Olimpia fu molto abile nell’allacciarle tutto e in poco tempo la
splendida dea fu pronta per il suo matrimonio imminente. Solo la sua
espressione non era radiosa, come dovrebbe invece
essere per una sposa nel giorno delle sue nozze. Altro che radiosa, si sentiva
come una condannata nel giorno della sua esecuzione; una bellissima lucciola
imprigionata in un vaso di vetro, un magnifico e decorato vaso di vetro, ma pur
sempre una prigione. Uscì con passi lenti e leggeri dalla camera, accompagnata
dalla serva, e si diresse verso l’enorme giardino decorato a festa per la grande occasione. Nel giardino sembravano essere riuniti
tutti gli dei maggiori dell’isola, standoci perfettamente, senza essere
stretti. Non c’era un solo albero che non fosse
decorato con luci, gigli bianchi o lunghi nastri color panna; non un solo
tavolo che non fosse apparecchiato con le più superbe delizie paradisiache e
decorato anch’esso con candele candide e fiori di ogni tipo, tutti rigorosamente
bianchi o color panna. Non si era mai visto nulla del genere.
Branwen
si sentì quasi mancare, ma fu prontamente sostenuta da Olimpia e nessuno se ne accorse; si stampò sul grazioso viso un sorriso che non aveva
nulla da invidiare ai sorrisi di vera gioia presenti sulle facce degli
invitati. Anche Balor riuscì a sorridere, anche se non
con molta grazia. La cerimonia si svolse con la massima solennità, celebrata
dallo stesso dio della guerra. Mentre parlava il
silenzio era il più assoluto possibile, nessuno fiatava, gli invitati quasi non
respiravano per paura di disturbare Balor e Branwen. In compenso, dopo la
cerimonia, tutti si lasciarono andare ai bagordi, alle danze e ai canti, per
festeggiare come si deve i novelli sposi. Tutti
sembravano così felici per la nuova coppia… tutti tranne la sposa. Aveva una
paura cieca e folle del nuovo marito e aspettava con crescente orrore il
momento in cui sarebbero rimasti soli, magari in una smisurata camera da letto.
Ma sapeva che quel momento di panico sarebbe arrivato,
non poteva scappare, sarebbe durato per sempre. Doveva cercare di abituarsi
all’idea, per quanto terribile fosse.