Capitolo
2
-
Era questo l’albero che avevi segnato? –
Allan
annuì, chinandosi a rovistare tra le
foglie cadute, alla ricerca dell’apertura della piccola
botola. Tirò con forza,
spazzando via un po’ di terriccio. I cardini cigolarono
leggermente, mostrando
un’apertura scavata nel terreno, profonda circa due o tre
piedi, contenente una
piccola riserva di cibo.
-
Dovrebbe bastare per la gente di Locksley –
considerò.
-
Finche non troveremo qualcosa in più é tutto
ciò che possiamo dar loro – confermò
Robin, amareggiato.
Allan
sapeva riconoscere il disgusto per se
stesso, era una sensazione che nel periodo alle dipendenze di Gisborne
e dello
sceriffo aveva provato molto spesso, e Robin non era mai stato capace a
mascherare le proprie emozioni.
-
Sai, ho sentito parlare di un gruppo che vive
nella foresta – buttò lì, spolverandosi
rapidamente i calzoni, - Si fanno
chiamare la Fratellanza del Bosco e hanno provveduto alle
necessità del popolo
durante la nostra assenza. Forse loro hanno scorte maggiori delle
nostre. –
Gli
occhi azzurro sporco dell’ex nobile
fissarono l’orizzonte, persi, come sempre quando rifletteva
sui pro e i contro
di un’azione.
-
È una buona idea, dobbiamo solo trovarli. –
-
Beh, si da il caso che io sappia da dove
cominciare. –
-
Allora fammi strada, Allan. –
Allungò
il passo, spostandosi sul limitare
orientale della foresta. Aveva sentito dire che spostavano il campo
ogni due
giorni, ma la zona era circoscritta in un miglio scarso.
Scavalcò un tronco
caduto, mentre un cattivo presentimento si faceva strada in lui. Un
cappio si
strinse attorno al piede destro, sollevandolo a testa in giù
e lasciandolo a
ondeggiare appeso a un ramo come un perfetto idiota.
Robin
portò una mano alla faretra, il pennacchio
della freccia già tra le mani, quando dalla boscaglia fecero
la loro comparsa
tre ragazzi, due maschi e una femmina.
Allan
sgranò gli occhi davanti alla figura della
giovane, incredulo. Erano passati anni da quando l’aveva
vista per l’ultima
volta e la tredicenne dalle trecce bionde e gli occhi verdi e innocenti
si era
trasformata in una diciassettenne dall’aspetto selvatico che
ricordava vagamente
gli spiritelli dei boschi di cui la madre non faceva altro che parlare
nelle
sue favole della buonanotte.
-
Lexi! –
-
Allan? – chiese, stupita. Poi rivolse un cenno
al ragazzo che gli stava più vicino e che, a giudicare
dall’aria altezzosa che
aveva, doveva essere il capo. – Tiralo giù,
Julian, possiamo fidarci di lui. –
-
Come fai a dirlo? Per quanto ne sappiamo
potrebbe essere una spia dello sceriffo. –
Involontariamente
c’erano andati più vicino di
quanto fosse lecito. Storse il naso, contrariato davanti al sorrisetto
divertito che Robin gli aveva lanciato. D’accordo, aveva
commesso degli errori,
ma aveva pagato in abbondanza quel tradimento.
Robin
alzò le mani in segno di resa. – Sono Robin
Hood, dubito che una mia visita sia ben accetta allo sceriffo.
–
-
È mio fratello, Julian, non ci consegnerebbe
mai – insistè Lexi.
Julian
lanciò un’occhiata interrogativa
all’ultimo
membro del terzetto, un ragazzo con una zazzera di capelli biondi e
occhi
castani che gli conferivano un’aria molto dolce. Ad Allan
ricordò
immediatamente Will anche se i due esteticamente non si somigliavano
affatto.
-
Mi fido del suo giudizio. –
Con
una scrollata di spalle, tagliò la corda
della trappola. – Non farmene pentire, Lexi – disse
aspramente.
No,
quel Julian non era proprio un simpaticone.
Mentre
si rimetteva in piedi con l’aiuto di
Robin, sua sorella gli si affiancò per poi abbracciarlo con
slancio.
-
Pensavo che fossi morto. –
- E
io che fossi rimasta al villaggio con mamma.
–
Lexi
sbuffò, ravviandosi una ciocca ribelle che
le era ricaduta davanti agli occhi. – Non sono più
una bambina, Allan, so
quando é il caso di combattere per una giusta causa.
–
Il
ragazzo che l’aveva appoggiata si fece
avanti, porgendo la mano a entrambi. – Jordan. Perdonate
Julian, ieri due dei
nostri amici si sono scontrati con gli uomini dello sceriffo. Uno
é morto, l’altra
é stata catturata. –
Ecco
perché quel tipo aveva l’aria di un animale
feroce in gabbia. Smaniava per andare a Nottingham a liberare la
ragazza, ma sapeva
che senza un buon piano sarebbe stata una missione suicida.
Improvvisamente
provò un briciolo di compassione per lui; dopotutto non era
una cattiva
persona.
-
Come si chiama la ragazza? –
-
Cat. –
–
Diminutivo di Catlyn, suppongo. –
-
No. Cat come il gatto. – Lexi scosse la testa
davanti all’ilarità dei due. – Se non la
vedete non potete capire il perché di
questo nome. –
-
L’ha catturata Gisborne e non era affatto
messa bene quando é entrata al castello. Conoscendo lo
sceriffo, ora starà
anche peggio – spiegò Jordan, amaramente.
Nessuno
dei due disse nulla. Non c’era molto da
obiettare. Lo sceriffo sapeva essere spietatamente creativo quando
voleva,
Allan aveva avuto modo di sperimentarlo sulla sua pelle e ancora ne
portava
addosso i segni. Probabilmente non lo avrebbero abbandonato per il
resto della
sua vita.
-
Vi aiuteremo a portarla fuori di lì. –
Julian
si voltò a fulminare Robin con un’occhiataccia.
– E come conti di farlo? Sono ore che cerco di escogitare un
modo per salvarla,
ma non me ne viene in mente nemmeno uno. –
-
Conosco bene il castello, ci sono passaggi
segreti attraverso cui intrufolarsi dentro e fuori; sarà
rischioso, ma … -
-
Non capisci. Cat deve essere salvata a ogni
costo. Lei … Lei é importante –
concluse, stringendo i pugni.
Ah,
l’amore.
Allan
avrebbe tirato fuori una delle sue solite
battutine sarcastiche se non avesse letto la stessa disperazione negli
occhi di
Robin quando aveva visto Marian riversa sulla sabbia di Gerusalemme.
Non c’era
proprio nulla di divertente o di ridicolo in un sentimento in grado di
sconvolgere così profondamente un uomo.
-
Se Robin dice che la porteremo in salvo allora
puoi stare sicuro che sarà così. –
-
Io vengo con voi. –
-
Tu porta da mangiare a Locksley e nei villaggi
vicini, quando avrò un piano pronto te lo farò
sapere. –
Già,
in tutto quel trambusto si era quasi
dimenticato del motivo per cui erano andati a cercare la Fratellanza.
Julian
annuì.
- Robin …
-
-
Sì? –
-
Apprezzo il tuo aiuto. Tutti noi lo
apprezziamo. –
*
Eve
urlò. Aveva perso il conto delle volte in
cui l’aveva fatto da quando il sole era sorto nel cielo e il
carceriere l’aveva
assicurata a un piolo con mani e piedi legati. La gola le doleva e ogni
centimetro del suo corpo sembrava sul punto di andare a fuoco. Era
arrivata
persino a credere che presto o tardi la pelle le si sarebbe staccata
definitivamente dal corpo, lasciando esposta solo la carne
sanguinolenta e le
ossa.
Lo
sceriffo aveva continuato a girarle intorno,
tartassandola di domande e inique battutine durante tutto il tempo,
mentre
Gisborne si era addossato a una parete nell’angolo
più buio e non aveva aperto
bocca nemmeno per una volta. Per quanto ne sapeva lei, poteva benissimo
essersene andato.
-
Per oggi basta così. Non abbiamo fretta, mia
cara ragazza, e prima o poi mi dirai ciò che voglio sapere.
–
-
Fareste prima a tagliarmi la lingua. Tanto non
dirò mai nulla a un essere disgustoso come voi. –
-
La gattina ha ancora gli artigli ben affilati.
Carceriere, conducila nuovamente in cella. –
Il
sollievo dei legacci sciolti durò solo per un
attimo, perché nel momento stesso in cui mosse le braccia
una fitta di dolore
bruciante si irradiò in tutto il corpo.
Sdraiata
sul pagliericcio della cella, si
accostò quanto più poteva al muro. Il gelido
sollievo della muratura sulla
pelle lesa la fece sospirare di piacere. Niente e nessuno
l’aveva mai preparata
a sopportare un dolore di quel tipo. Altri due giorni così
e, sempre se fosse
riuscita a sopravvivere, avrebbe rischiato di perdere la
sanità mentale.
Non
le restava che confidare in Julian e nel
resto del gruppo. Non l’avrebbero abbandonata al suo destino,
ne era certa.
Si
raggomitolò su se stessa come avrebbe fatto
una gatta, chiudendo gli occhi e cercando di addormentarsi nella
speranza che
un po’ di riposo lenisse le contratture nel suo corpo.
Proprio
mentre cercava di rilassarsi e precipitare
in un sonno senza sogni, udì distintamente la voce dello
sceriffo e di Gisborne.
Provenivano da una delle grate superiori, segno che la sua cella era
situata
sotto qualcosa d’importante. Sembravano parlare di lei, ma
non ne fu sicura
finchè Gisborne non proseguì nella sua arringa.
-
Non parlerà. L’avete vista anche voi, é
un
osso duro, e la tortura sembra non servire a nulla. È leale
ai suoi amici, non
li tradirà. –
-
La sopravvaluti troppo, Gisborne.
-
Molto spesso, mio signore, raggiungere il
cuore delle donne rende più facile piegarle rispetto alla
tortura. –
Lo
sceriffo rise.
-
Oh, il piccolo Gisby é intenerito dal bel
faccino della ragazza? Per quanto mi riguarda, se la vuoi, puoi
prendertela.
Usala come serva, prendila nel tuo letto, ma non fare di lei
un’altra Marian. –
Persino
da dov’era poteva riuscire a sentire il
fremito nel corpo di Gisborne. E se quella era la stessa Marian di cui
aveva
sentito parlare lei, allora forse un modo per vincere la scorza dura
che
avvolgeva quell’uomo esisteva. Forse sarebbe riuscita a
scappare da quel
castello anche senza una squadra di soccorso.
Spazio
autrice:
Eccoci
con l’aggiornamento,
come promesso il nuovo capitolo é stato concluso in tempi
celeri e quasi
sicuramente sarà così anche per i prossimi (ma
non vi faccio promesse u.u). Abbiamo
conosciuto qualche nuovo personaggio e visto Allan e Robin. Spero che
vogliate
lasciarmi una recensioncina per farmi sapere che ne pensate. Alla
prossima.
Baci
baci,
Fiamma
Erin Gaunt